GeopoliticaCaucaso: un viaggio nella terra senza pace (Raportdifesa.it 05.04.22)

Mosca (nostro servizio particolare). Il Caucaso è un’importante regione del mondo ricompresa fra i tre mari che la circondano (Mar Nero, Mar d’Azov e Mar Caspio) e sostanzialmente suddivisa fra Russia, Georgia, Armenia e Azerbaigian.

Una mappa del Caucaso

Al massimo, se viene presa in considerazione una zona un po’ più ampia, è possibile inserire come parte della regione stessa anche il Nord – Est della Turchia e il Nord – Ovest dell’Iran.

Il suo simbolo è sicuramente la grande catena montuosa che “taglia” in due l’area, lunga circa 1.200 km e caratterizzata da vette altissime, fra le quali svetta il Monte Elbrus.

Il Monte Elbrus. Una montagna di 5.500 metri sita in Russia

Grande montagna di più di 5.500 metri sita in Russia.

Per la sua posizione strategica, il Caucaso è stato fin dall’antichità terreno di scontro da un lato e di grandi traffici commerciali dall’altro.

Ponte fra Europa e Asia, infatti, fra le varie cose esso ha visto il suo territorio calpestato milioni di volte dai grandi mercanti della Via della Seta.

Mercanti che avevano nella città di Gyumri, una delle grandi e vecchie capitali armene, uno dei fulcri dei loro traffici.

Ma ha visto anche scontri religiosi significativi, su tutti quello fra musulmani e cristiani che purtroppo si staglia con tutta la sua forza anche ai nostri giorni.

A tal proposito, molto interessante è la “storia – leggenda” della conversione dell’Armenia dal paganesimo al cristianesimo nel 301 d.C.

Il Monastero armeno di Khor Virap, uno dei più importanti del Paese

Conversione avvenuta grazie all’illustre personaggio di Gregorio (oggi Santo) che salvò l’allora Re armeno da morte certa grazie alle sue preghiere.

Preghiere richieste dalla sorella del Re, la quale aveva convinto il fratello a recarsi alla Fortezza conosciuta, oggi, con il nome di Monastero di Khor Virap (sito davanti al Monte Ararat) per convincere il cristiano Gregorio ad aiutarlo.

Aiutarlo se fosse stato sempre vivo, in quanto per la sua cristianità il Re l’aveva fatto rinchiudere in una botola per 13 anni, senza cibo e con animali velenosi ad attenderlo.

Per fortuna del coronato, il buon Gregorio era vivo vegeto e riuscì a salvarlo, ottenendo anche la conversione di tutto il regno al cristianesimo.

Ma facendo un salto di qualche secolo e venendo ai giorni nostri, è importante notare come la situazione sia veramente molto tesa e complessa, in particolar modo nelle relazioni fra Armenia e Azerbaigian.

Azeri e armeni conflitto sempre continuo

Con la Georgia che ad oggi rimane sostanzialmente equidistante fra le parti e che garantisce a Yerevan almeno un ampio confine aperto (se si esclude quello molto stretto con l’Iran) in quanto circondata da altri Paesi con i quali le relazioni sono ai minimi storici.

Una situazione tesissima esplosa con tutta la sua ferocia fra la fine dell’800 e i primi anni del’900, con il collasso dell’Impero Russo che portò alla definitiva divisione di questi territori (dopo un breve lasso di tempo che vide l’esistenza della Repubblica Federale Democratica Transcaucasica – febbraio/maggio 1918).

Divisione e ostilità che rimasero “vive e vegete” anche durante il periodo sovietico, quando entrambe le Repubbliche facevano parte dell’URSS (e fino al 1936 anche della RSSF Transcaucasica).

Il crollo dell’area comunista nel 1989 – 1991 vide il Caucaso teatro di ostilità drammatiche, figlie anche della mancata attenzione nella divisione del territorio di meno di un secolo prima.

All’interno dell’Azerbaigian vi è infatti un’enclave abitata da cristiani – armeni che non ha nessuna intenzione di cedere il territorio agli azeri e nemmeno di abbandonarlo: la Repubblica dell’Artsakh.

Un territorio sito nel Karabakh superiore (Nagorno Karabakh) e autoproclamatosi indipendente (con il sogno di ricongiungersi allo Stato armeno) il 6 gennaio 1992.

Un’immagine del conflitto tra armeni e azeri per il Nagorno Karabakh

Un territorio che ha vissuto una decisa ripresa delle ostilità anche nel 2020, quando una guerra azero – armena conclusasi dopo circa un mese e mezzo di conflitto ha visto il cessate il fuoco sostenuto dall’Azerbaigian, dall’Armenia e dall’autoproclamatasi Repubblica, con la Russia da garante.

Russia che ha l’obbligo di difendere l’Armenia in quanto entrambe facenti parte del CSTO [1] (una specie di “Patto di Varsavia 2.0) ma molto attenta a mantenere un canale di dialogo aperto con l’Azerbaigian (in primis perché quest’ultimo decisamente sostenuto dalla Turchia).

Un delicato equilibrio di interessi, quello che si gioca nel Caucaso, sia fra Potenze regionali e globali (Turchia e Russia in primis) che fra Nazioni che hanno lì il proprio territorio (Georgia, Armenia, Azerbaigian).

Il Nagorno-Karabakh stretto tra Armenia e Azerbaigian

Se il sogno della Turchia di Erdogan è infatti quello di riuscire a garantirsi un corridoio stabile e sicuro che dal suo territorio attraversi il Caucaso e riesca a proiettare stabilmente Ankara in Asia centrale (nei Paesi cosiddetto – STAN), la Russia ha invece tutto l’interesse a “contenere” questo disegno “neo -ottomano”, sia garantendosi un ruolo nell’area anche tramite l’Armenia che “difendendo” le sue posizioni in Asia centrale.

Putin ed Erdogan

Senza dimenticare le crisi che ancora si giocano nel nord della Georgia (con l’esistenza di due autoproclamatesi Repubbliche filorusse esistenti dal 2008, dopo la Guerra russo – georgiana) i contrastanti sentimenti che animano le popolazioni di questi territori (ad esempio fra chi vede con favore una presenza forte di Mosca e chi invece guarda più benevolmente verso occidente), i fondamentalisti islamici che ancora giocano un ruolo significativo in questa parte di mondo e le difficoltà economiche che attraversano grandi strati di cittadini caucasici.

Un mix “esplosivo”, in cerca di un equilibrio sempre più stabile che ancora non si riesce a scorgere all’orizzonte.

NOTA

[1] https://www.treccani.it/enciclopedia/collective-security-treaty-organisation-organizzazione-del-trattato-di-sicurezza-collettiva_(Atlante-Geopolitico)/.

*Analista di Geopolitica e Relazioni Internazionali

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Vai al sito

L’Azerbajgian distrugge a Parukh e Karaglukh altro patrimonio culturale armeno dell’Artsakh. Le falsificazioni azeri con degli scheletri armeni (Korazym 03.04.22)

Il Ministero dell’Istruzione, della Scienza, della Cultura e dello Sport della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh) ha rilasciato, ieri 2 aprile 2022, una dichiarazione [QUI], che riportiamo di seguito nella traduzione italiana a cura dell’Iniziativa italiana per l’Artsakh. Il testo rileva l’amara esperienza della politica dell’odio anti-armeno dell’Azerbajgian, allorché quel Paese organizza e incoraggia al più alto livello il vandalismo culturale nei territori occupati dell’Artsakh, aggravato dalla strumentalizzazione dagli Azeri di ossa di Armeni del IX-XII secolo.

Chiesa della Santa Madre di Dio a Karaglukh, XIII secolo.

«Il 24 marzo 2022, a seguito dell’aggressione azerbajgiana, l’area intorno al villaggio di Parukh nella regione di Askeran della Repubblica dell’Artsakh, l’ex insediamento di Karaglukh e l’omonima altura, sono stati occupati dal nemico e le Forze armate azere hanno immediatamente dato seguito al noto copione della distruzione del patrimonio storico e culturale armeno nel territorio occupato.

Oltre alla sua importanza strategica, la zona è importante anche per il suo ambiente storico-culturale e storico-naturale unico. Secondo l’elenco statale dei monumenti immobili di cultura e storia, nei suddetti territori sono ufficialmente censiti circa 20 monumenti, di cui 2 chiese (una di queste è la chiesa della “Santa Madre di Dio” del XIII secolo), la famosa fortezza di Shikakar-Karaglukh, monumenti culturali di valore archeologico, cimiteri, khachkar [(croci di pietra)], lapidi. Qui si trova anche la grotta di Shikakar, dove nel 2011 è stata condotta una ricerca dalla spedizione archeologica internazionale di Azokh.

Va però sottolineato che l’area non è stata ancora sufficientemente studiata, come confermano anche le ricerche condotte nell’area nel dicembre 2021, a seguito delle quali sono stati scoperti altri trenta monumenti.

Attesa l’amara esperienza della politica dell’odio anti-armeno dell’Azerbajgian, allorché quel Paese organizza e incoraggia al più alto livello il vandalismo culturale nei territori occupati dell’Artsakh, possiamo dichiarare con sicurezza che anche il patrimonio storico e culturale di Parukh e Karaglukh sotto l’occupazione dell’Azerbajgian è in pericolo.

Le nostre preoccupazioni diventano più sostanziali dopo aver visto il video pubblicato dall’agenzia di stampa azerbajgiana AZTV il 30 marzo 2022, che mostra i resti umani riesumati dagli Azeri. La macchina della propaganda azerbajgiana, ricorrendo a un metodo ingannevole e insidioso, presenta questo fatto come una sepoltura di massa di Azeri nel villaggio di Ivanyan (in azerbajgiano Khojaly), a seguito delle ostilità del 1992. Tuttavia, la realtà è completamente diversa. In particolare:

1. Sebbene la parte azerbajgiana ricorra da tempo alla falsificazione, accusando la parte armena del massacro degli Azeri nel villaggio di Ivanyan, ci sono prove inconfutabili che le forze armate dell’Artsakh abbiano fornito un corridoio umanitario alla popolazione civile prima e durante le ostilità, e questo massacro è avvenuto dai militanti dell’opposizione azerbajgiana nella periferia di Akna (l’azerbajgiana Aghdam), che è sotto il loro controllo. Intendevano usare il massacro in Azerbajgian come base per il colpo di stato, riconosciuto anche dall’allora Presidente Ayaz Mutalibov.

2. Sulla base dell’analisi di sufficienti dati fattuali, geografici e culturali di cui disponiamo, diventa chiaro che il filmato sopra menzionato è stato girato nel cimitero armeno di Parukh chiamato “Kalen Khut“, che risale al IX-XII secolo. Pertanto, le ossa presentate sono i resti celesti di un vecchio cimitero armeno.

A) Esperti che hanno familiarità con l’area e gli abitanti di Parukh affermano che il video è stato girato nel cimitero “Kalen Khut“.

Scheletri riesumati dagli Azeri e attribuiti a loro connazionali di Ivanjan.

B) Basta uno sguardo di culturologi e archeologi per stabilire che i crani umani presentati nel video hanno una struttura brachicefalica (a testa tonda) di tipo antropologico armenoide tipica degli armeni, mentre la popolazione dell’Azerbajgian ha struttura dolicocefalica (a testa lunga) di cranio di tipo antropologico del Caspio.

Ossa di Armeni del IX-XII secolo vandalizzate dagli Azeri.

C) Tutte le ossa presentate hanno una superficie liscia, il che in senso archeologico significa che non hanno 30 anni, ma secoli, mentre gli antenati nomadi della popolazione azerbajgiana hanno invaso queste parti dell’Artsakh solo nei secoli 18-19.

3. Inoltre, la macchina di propaganda azerbajgiana utilizza un argomento così infondato e falso che si può anche sostenere che il villaggio di Ivanyan (azero Khojaly) si trova ad almeno 17 chilometri da Parukh. È chiaro che le ostilità a Ivanyan non potevano avere nulla a che fare con Parukh.

I fatti sopra citati sono così eloquenti che dobbiamo registrare ancora una volta non solo un altro episodio di distruzione del patrimonio culturale armeno da parte azerbajgiana, ma anche la falsificazione anti-armena e il tentativo di ingannare il proprio popolo e la comunità internazionale.

Pertanto, tenendo conto dei crimini sistematici e deliberati commessi dall’Azerbajgian nei decenni precedenti contro il ricco patrimonio culturale armeno e cristiano, che hanno acquisito nuovo slancio dalle ostilità del 2020 e sono stati registrati da molte organizzazioni internazionali, inclusa la risoluzione adottata dal Parlamento europeo il 9 marzo 2022, chiamiamo l’interna comunità nazionale, le organizzazioni per i diritti umani e le organizzazioni per la protezione del patrimonio culturale a non mostrare indifferenza e ad adottare misure contro l’etnocidio culturale commesso dall’Azerbajgian [*].

Ci rammarichiamo che fino ad oggi l’UNESCO, nonostante i suoi impegni e la sua missione, non abbia inviato una missione conoscitiva nei territori occupati dell’Artsakh e non eserciti sforzi significativi per prevenire la commissione di nuovi crimini da parte dell’Azerbajgian.

[*] Il Parlamento Europeo vota una risoluzione di condanna per la distruzione del patrimonio culturale armeno in Artsakh/Nagorno-Karabakh. L’Azerbajgian sta commettendo un genocidio culturale – 11 marzo 2022

Foto di copertina: Ossa, teschi, scheletri… Un patriota azero ha pubblicato questa fotografia su un forum bulgaro, perseguendo obiettivi propagandistici per rivelare al mondo “l’eccezionale ferocia degli aggressori dell’Armenia” e per mostrare 600 scheletri di abitanti di Khojaly (in armeno Ivanyan). Tuttavia, questa stessa fotografia può essere trovata in molti altri siti su Khojaly e su questioni di genocidio. Ora lo esamineremo più a fondo. Lo scontro a fuoco si svolse nella notte del 25-26 febbraio 1992, e la mattina del 2 marzo i cadaveri furono prelevati e portati via (a giudicare dalle sequenze della videocronaca, furono circa 30 o 40 corpi lì, ma questa è un’altra questione da considerare). Da qui sorge una domanda: come potrebbero i corpi “diventare scheletri” in diverse notti fredde, se per il corpo umano e gli abiti si decompongono, occorrono almeno 100 anni? Non ha senso provare il fatto che abbiamo un evidente falso qui, vero? Si possono trovare prove più dettagliate nel sito “Xocali. The chronicle of unseen forgery and falsification” [QUI].

Vai al sito

Di Maio promette una forte partnership con l’Armenia e un impegno per la pace. (Varie 03.04.22)

AGI – L’Italia promuoverà e rafforzerà le relazioni bilaterali con l’Armenia su tutte le questioni di reciproco interesse “e appoggerà” l’ambizioso pacchetto di aiuti finanziari dell’Ue al Paese. In una dichiarazione congiunta con il suo omologo armeno Ararat Mirzoyan, il ministro degli Affari esteri Luigi Di Maio ha affermato di aver incontrato le più alte cariche dello Stato nella capitale armena.

L’Italia è un partner forte dell’Armenia, secondo Di Maio, con uno scambio commerciale cresciuto del 10% l’anno scorso, tornando ai livelli pre-anno nel 2019, oltre a una “presenza qualificata di imprese”, in particolare nel settore delle infrastrutture e dell’energia , ma anche nelle telecomunicazioni, che crescerà grazie a un nuovo accordo sulla tutela e promozione degli investimenti. Allo stesso tempo, Di Maio ha sottolineato l’importanza delle scuole e delle università armene nell’insegnamento della lingua italiana.

Il ministro ha anche ricordato le tragiche conseguenze del conflitto in Nagorno Karabakh, con l’Azerbaigian che ha espresso “profonda solidarietà” per le numerose vittime civili, nonché un impegno ad alto livello per “una soluzione pacifica, condivisa e sostenibile” per ripristinare la pace la regione del Caucaso, che è “un crocevia strategico per tutta l’Europa


Di Maio a Erevan: “Armenia partner economico solido per l’Italia” (Tgcal24.it 03.04.22)


Armenia-Italia, Di Maio: “Erevan partner strategico, sostegno ad aiuti finanziari Ue” (Novanews 03.04.22)


Nagorno-Karabakh, Di Maio: “Sosterremo soluzione pacifica condivisa e sostenibile”(Novanews 03.04.22)


Di Maio in Azerbaijan e Armenia (Daymusilim 02.04.22)


Di Stefano a Nova: “Ottime relazioni con Azerbaigian e Armenia, pronti a favorire il dialogo” (Novanews 05.04.22)

Una guerra impunita genera nuove guerre (Korazym 02.04.22)

Le guerre di aggressione azera nel Nagorno-Karabakh sono simboleggiate da migliaia di tombe di giovani ragazzi armeni che hanno perso la vita sulla linea del fronte. Madri e padri senza risposte e consolazione abbracciano le lapidi sulle tombe, accarezzano i nomi dei propri figli incisi sul marmo, accendono incensi e depongono fiori. Secondo le stime tra giornalisti e osservatori internazionali dal lato armeno sono stati almeno 5.000 le vittime militari, tra cui moltissimi ragazzi tra i 18 e i 20 anni, a seguito dell’ultima guerra dei 44 giorni scatenata alla fine del 2020 dall’Azerbajgian contro la Repubblica di Artsakh/Nagorno Karabakh. Migliaia di rifugiati e dei genitori che ancora cercano notizie dei figli scomparsi durante l’aggressione.

Accompagnato dal Ministro della Difesa dell’Armenia Suren Papikyan, il Primo Ministro Nikol Pashinyan ha visitato il Pantheon militare di Yerablur per rendere omaggio alla memoria degli eroi caduti nella guerra di quattro giorni dell’aprile 2016 e nella guerra di liberazione dell’Artsakh. Il Primo Ministro armeno ha deposto fiori sulle tombe delle vittime della guerra di aprile 2016, il Comandante Vazgen Sargsyan e il Generale Andranik Ozanyan, e una corona di fiori al memoriale dei combattenti per la libertà caduti.

Il Ministero degli Esteri della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh ha rilasciato oggi, 2 aprile 2022 una dichiarazione in occasione del sesto anniversario dell’aggressione militare lanciata dall’Azerbajgian in aprile 2016. Riportiamo di seguito la traduzione italiana della dichiarazione a cura dell’Iniziativa italiana per l’Artsakh.

«Sei anni fa, la notte del 2 aprile 2016, le forze armate azere, violando l’Accordo del 12 maggio 1994 sulla cessazione totale del fuoco e delle ostilità e l’Accordo del 6 febbraio 1995 sul rafforzamento del cessate il fuoco, lanciarono una perfida aggressione contro la Repubblica di Artsakh.

Per quattro giorni, le forze armate azere hanno tentato assalti lungo l’intera lunghezza della linea di contatto, impiegando armi pesanti, artiglieria e aerei. Tuttavia, dopo aver subito pesanti perdite di personale e attrezzature e non aver raggiunto i suoi obiettivi, la parte azerbajgiana, attraverso la mediazione della Federazione Russa, è stata costretta a cessare le ostilità. Ma il bombardamento degli insediamenti di confine di Artsakh è continuato fino alla fine di aprile 2016.

L’aggressione azerbajgiana è stata accompagnata da numerosi crimini di guerra, tra cui tortura, omicidi premeditati e dileggio dei corpi dei defunti, commessi dalle forze armate azere contro sia il personale militare che la popolazione civile della Repubblica di Artsakh.

L’aggressione dell’aprile 2016 è diventata una pietra miliare, tra le altre cose, per testare la reazione della comunità internazionale alla violazione della Carta delle Nazioni Unite e degli obblighi internazionali da parte dell’Azerbajgian. Il fatto che queste azioni illegali non abbiano comportato gravi conseguenze politiche e legali per Baku ha solo rafforzato la fiducia delle autorità azere nella permissività e nella prevalenza della forza sul diritto internazionale.

Sia la guerra dell’aprile 2016, che la successiva aggressione di 44 giorni dell’Azerbajgian nel 2020, nonostante la loro natura locale, sono diventate un vero banco di prova per l’intero sistema delle relazioni internazionali. L’impunità per aver scatenato guerre aggressive ha portato a minare principi fondamentali del diritto internazionale come il non uso della forza, la risoluzione pacifica delle controversie, l’adempimento coscienzioso degli obblighi internazionali, ecc.

Tenuto conto del fatto che le autorità azere rifiutano di negoziare per una soluzione pacifica del conflitto azerbajgiano-Karabakh, continuano a violare i loro obblighi e non interrompono le azioni aggressive, ci aspettiamo che la comunità internazionale adotti misure politiche concrete per garantire la realizzazione da parte degli abitanti di Artsakh dei loro diritti umani e libertà collettivi, senza alcuna restrizione».

Foto di copertina: Dopo un bombardamento dell’Azerbajgian su Stepanakert, capitale della Repubblica di Artsakh/Nagorno Karabakh, il 16 ottobre 2020 (Foto di Sergei Bobylev/Tass).

Vai al sito

Dove sono le “altre” Ucraine, la Via della Seta in salsa putiniana (Formiche.net 02.04.22)

Mosca negli ultimi dieci anni ha allacciato rapporti e relazioni in varie aree: Ossezia, Abkhazia, Nagorno-Karabakh, Crimea, Bulgaria e Grecia settentrionale, al fine di provocare stati di crisi e incassarne i dividendi. Ma ora non ha la capacità militare di garantire una sua presenza

Cosa hanno in comune aree come nuova Ossezia, Abkhazia, Nagorno-Karabakh, Crimea, Bulgaria e Grecia settentrionale? Sono state infiltrate dalla Russia e rappresentano le punte per creare tensioni anche in altre zone come Georgia, Montenegro, Ucraina, Armenia, Azerbaigian. Foraggiando i separatisti, di fatto Mosca è già presente sia come “forza di pace” sia come regista di movimenti più o meno politici. Una sorta di Via della Seta in salsa putiniana che negli ultimi dieci anni ha allacciato rapporti e relazioni al fine di provocare stati di crisi per incassarne i dividendi.

Nagorno

Se l’Armenia resta un partner di Mosca, fino ad oggi però non ha riconosciuto ufficialmente l’invasione dell’Ucraina, come non riconosce l’annessione della Crimea, l’Abkhazia e l’Ossezia del sud. Pochi giorni fa la Russia ha puntato l’indice contro l’Azerbaigian, reo di aver violato il cessate il fuoco figlio degli accordi del 2020 e di usare droni turchi, riaccendendo di fatto la crisi in Nagorno-Karabakh.

Di contro, gli azeri puntano ad ottenere vantaggi nella regione. Secondo il Cremlino, il presidente Vladimir Putin ne ha discusso con il leader armeno Nikol Pashinyan due volte. Sulla stessa linea il ministero della difesa di Mosca, secondo cui sarebbero state violate le disposizioni dei leader di Russia, Azerbaigian e Armenia risalenti al 9 novembre 2020: le forze armate dell’Azerbaigian, accusa Mosca, sarebbero entrate tra il 24 e il 25 nella zona di responsabilità del contingente di mantenimento della pace russo nel Nagorno-Karabakh.

La regione separatista ha replicato che i droni azeri avevano ucciso tre persone e ferito altre 15, per questa ragione l’Armenia ha ufficialmente invitato la comunità internazionale a prevenire tentativi di destabilizzazione del Caucaso.

Ossezia e Abkhazia

L’Ossezia del Sud che nel 1991 ha autoproclamato l’indipendenza dalla Georgia terrà un referendum per unirsi alla Russia, rivelando l’ottica di intervento moscovita in quell’area. I secessionisti di Abkhazia e Ossezia del Sud sostengono il riconoscimento russo di Donetsk e Lugansk, anche in una visione di macro aree e di macro influenze: lo scorso 23 febbraio in occasione della “Giornata del Difensore della Patria”, il presidente abkhazo Bzhania ha fatto anche un discorso pubblico e in contemporanea il presidente dell’Ossezia meridionale Bibilov si è scagliato pubblicamente contro la Nato, aggiungendo di voler fornire anche assistenza tecnica per quanto riguarda i profughi filo russi che escono dall’Ucraina.

Costone balcanico

Serbia e Montenegro sono state parecchio attenzionate da Mosca negli ultimi anni, sia dal punto di vista politico che da quello religioso e industriale. Inoltre ieri il primo ministro bulgaro Kirill Petkov ha dichiarato che le controversie del suo Paese con la vicina Macedonia settentrionale sono state provocate dai servizi di intelligence russi: “Mi è stato detto che le spie russe hanno lavorato specificamente contro le relazioni tra la Bulgaria e la Macedonia del Nord. Qualcuno sta cercando di rappresentare ingiustamente gli interessi della Bulgaria. È sempre stato nell’interesse della Russia impedire ai Balcani occidentali di avere un futuro europeo”.

Nel Paese però il presidente Rumen Radev sembra essere su posizioni più morbide verso Mosca. Secondo i servizi di sicurezza di vari Paesi dei Balcani, la Russia sfruttando la sua fitta rete in Bulgaria, si è infiltrata nei Pomachi della Bulgaria al fine di trasformarla in una sorta di nazione orfana che, quindi, avrà bisogno di un riconoscimento (oltre che di appoggi).

Grecia

Anche la Grecia settentrionale è stata attraversata da vari tentativi di infiltrazione. Il porto di Salonicco è stato privatizzato da un consorzio al cui interno opera come mega player l’oligarca ellino-russo Ivan Savvidis, già deputato alla Duma e amico personale di Putin. La mossa sullo scalo marittimo è stata la conseguenza diretta della presa del Pireo da parte di Cosco China e della risposta americana, che è in procinto di procedere alla privatizzazione dei porti di Alexandroupoli e Kavala, nel nord del Paese, vicinissimi alle pipeline del Tap e che avranno in pancia due depositi di gas. Alexandroupoli in particolare è altamente strategico come sito, dal momento che lì stanno sbarcando le truppe Nato impegnate nell’intero fronte orientale dell’Europa e dal momento che sarà il punto di partenza della via Carpatia, la nuova “autostrada” della Nato che congiungerà la Grecia alla Lituania.

@FDepalo

Vai al sito

ALLARME CAUCASO/ “Ora l’Azerbaijan approfitta dell’Ucraina per attaccare in Nagorno” (IlSussidiario 01.04.22)

Escalation in atto tra Armenia e Azerbaijan che potrebbe portare al riaccendersi del conflitto di due anni fa, terminato con la vittoria degli azeri. In gioco, come ormai da decenni, la regione del Nagorno-Karabakh, enclave armena circondata dal territorio azero e che dopo la firma del trattato di pace in gran parte è tornata nelle mani di Baku. Ma per gli azeri non basta: “Vogliono cacciare completamente ogni armeno da quella zona” ci ha detto Pietro Kuciukianconsole onorario armeno in Italia. Negli scorsi giorni si sono registrati incidenti, con l’occupazione di un villaggio da parte azera lungo la linea di contatto dei due paesi e il susseguente rafforzamento delle truppe armene che hanno evacuato donne e bambini. La situazione, ci ha detto ancora Kuciukian, “è aggravata dal fatto che la Russia, le cui truppe erano state disposte come forza di interposizione fra i due paesi, è oggi totalmente impegnata in Ucraina e quindi l’Azerbaijan potrebbe approfittarne per risolvere una volta per tutte a suo favore il problema del Nagorno-Karabakh”.

Risale la tensione tra Azerbaijan e Armenia, cosa può dirci in merito alla situazione sul campo?

Ci sono scontri in atto, come ormai da tempo. C’è pressione da parte dell’Azerbaijan: gli azeri vogliono che gli armeni lascino del tutto il Nagorno-Karabakh. Vanno in giro con altoparlanti, minacciando la popolazione, ordinando loro di andarsene, sparano, uccidono. L’Azerbaijan, poi, ha interrotto la fornitura di gas al Karabakh, dopo che il gasdotto era stato danneggiato, e in seguito riparato. Adesso aprono e chiudono le valvole quando vogliono, si rischia una catastrofe umanitaria. Sono tutti modi intimidatori per creare paura nella popolazione armena.

Il ministero della Difesa russo è intervenuto dicendo che le forze azere hanno violato la dichiarazione di pace trilaterale di due anni fa. Le forze russe di interposizione sono ancora presenti?

La Russia è ovviamente coinvolta in Ucraina, non sappiamo cosa possano fare adesso, nessuno si interessa a quanto sta succedendo. Gli armeni sono abbandonati, come sempre.

L’Azerbaijan è sempre sostenuto dalla Turchia?

Certamente. La situazione è comunque sempre più complicata, si è scoperta la presenza di una base militare di droni israeliana vicino a Baku, la capitale azera. Già durante l’ultima guerra gli israeliani avevano fornito droni all’Azerbaijan. Per Israele avere un alleato che confina con il nemico Iran è importantissimo. Allo stesso tempo si sta creando una alleanza proprio con l’Iran, in modo da costruire ponti stradali che possano aggirare quel lembo di territorio armeno che impedisce la comunicazione diretta fra Azerbaijan e Turchia. È in atto una evoluzione che preoccupa: non dimentichiamo che il progetto pan-turco di arrivare fino alla Cina per impossessarsi di territori ricchissimi di uranio e petrolio è attivo più che mai.

L’Armenia, che ha già perso l’ultima guerra, sarebbe disposta a fare un compromesso per evitare un nuovo conflitto, lasciando il Nagorno-Karabakh?

Come potrebbe mai rinunciare, sarebbe come se l’Italia rinunciasse all’Alto Adige… Siamo davanti a una situazione che, se non ci sono persone coscienziose, può portare anche al genocidio.

Ricorda un po’ quanto sta succedendo in Ucraina?

Esatto. E personalmente ho il dubbio che la Russia abbia invaso l’Ucraina per distogliere lo sguardo dell’Occidente da quanto sta succedendo dal Caucaso all’Asia centrale.

Cioè?

Nel XIX secolo si affrontavano Russia e Gran Bretagna per il possesso dell’Asia centrale. I russi per distogliere l’attenzione cercarono di conquistare la Turchia, il Bosforo, mentre si espandevano in Asia centrale. Adesso l’interesse russo è tutto per il Kazakistan.

Non a caso truppe russe sono intervenute in Kazakistan come prevede il Trattato di sicurezza collettiva prima dell’attacco all’Ucraina.

Già. Nessuno sa esattamene cosa sia successo, ci sono stati anche dei morti e sicuramente Mosca ha calcato la sua mano in modo ancor più pesante.

Chi pagherà per tutti questi interessi geopolitici?

L’Armenia non ha molti amici, è praticamente abbandonata a se stessa.

(Paolo Vites)

Vai al sito

Moon Knight: review bombing su IMDb per la serie Marvel perché ha citato il genocidio degli armeni (Multipklayer 01.04.22)

Disney+ ha da poco proposto una nuova serie, Moon Knight, mediamente ben accolta dagli spettatori. Ora, però, lo show di Marvel sta subendo review bombing. Il motivo è il fatto che ha citato il genocidio degli armeni.

Tramite IMDb è possibile vedere che Moon Knight sta ottenendo delle recensioni a una stella – voto minimo -. Nel mezzo di normali critiche da parte degli spettatori, ci sono però delle votazioni che vengono giustificate dal fatto che nel primo episodio viene citato il genocidio degli armeni, che secondo una fetta d’utenza non è mai avvenuto.

Moon Knight
Moon Knight

Una recensione afferma ad esempio: “oggigiorno l’industria cinematografica USA ama inserire false informazioni storiche riguardo a quella stro****a del ‘genocidio degli armeni’. Ovviamente la lobby armena lavora duramente per influenzare queste false informazioni in tutto il mondo”.

Un altro scrive: “Stavo guardando Marvel’s MoonKnight con grande eccitazione. Ma quando ha menzionato il ‘cosiddetto genocidio’, ho chiuso lo show in quel momento. La Marvel è uno strumento di menzogna con quello che ha fatto e dovrebbe immediatamente chiedere scusa al popolo turco.”

Il numero di recensioni negative non è comunque sufficiente ad affossare il voto di Moon Knight, che per ora si assesta sul 7.3/10. Potete leggere anche la nostra recensione di Moon Knight 1×01.

Vai al sito

Di Maio in Azerbaigian e Armenia (Notiziegeopolitiche 01.04.22)

Il ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale Luigi Di Maio, assistito dal sottosegretario di Stato Manlio Di Stefano, sarà in missione da oggi sino a domenica in Azerbaijan e Armenia.
La tappa a Baku si inserisce nel solco dell’attività di diplomazia energetica promossa dal ministro Di Maio all’indomani dell’aggressione russa ai danni dell’Ucraina, finalizzata a accelerare il processo di diversificazione energetica tramite il rafforzamento delle collaborazioni in essere con partner affidabili e dalle grandi potenzialità. Nei suoi incontri con il presidente della Repubblica Aliyev, con il ministro degli Esteri Bayramov e con il ministro dell’Energia Shahbazov, il titolare della Farnesina discuterà di un possibile incremento delle forniture di gas dall’Azerbaigian attraverso il gasdotto Trans-Adriatico (TAP), infrastruttura strategica che lega i nostri due Paesi, e unico gasdotto europeo realizzato negli ultimi anni indipendente dal gas russo.
Il ministro Di Maio passerà in rassegna con i suoi interlocutori anche i temi prioritari dell’agenda bilaterale e regionale, e co-presiederà, insieme all’omologo Bayramov, la prima riunione del Dialogo Strategico bilaterale multidimensionale.
A seguire il ministro Di Maio si recherà a Jerevan, per incontri con le massime cariche dello Stato, fra cui il presidente della Repubblica Khachaturyan, il presidente dell’Assemblea Nazionale Simonyan, il primo Ministro Pashinyan e il ministro degli Esteri Mirzoyan. Obiettivo della visita in Armenia è effettuare un giro d’orizzonte dello stato delle relazioni bilaterali, e ribadire la forte volontà di promuovere il partenariato bilaterale in ogni ambito. Nei suoi incontri, durante i quali si discuterà anche di questioni regionali e dell’auspicio italiano a favore di una rapida normalizzazione del quadro regionale, il ministro Di Maio trasmetterà l’interesse delle imprese italiane ad investire in Armenia, contribuendo alla crescita e allo sviluppo del Paese.
A tutti i suoi interlocutori il ministro Di Maio ribadirà infine la necessità di un impegno a favore del cessate-il-fuoco in Ucraina, volto ad alleviare le sofferenze della popolazione civile in un quadro tuttora particolarmente drammatico.

Vai al sito

L’IMPERO COLPISCE ANCORA: OBIETTIVO AZERBAIJAN (Difesaonline 01.04.22)

(di Gino Lanzara)
01/04/22

L’evoluzione degli eventi ucraini porta ad espandere i teatri geopolitici di interesse. Le relazioni politiche verso est dell’UE toccano sia paesi (relativamente) democratici interessati da processi di integrazione; sia soggetti politici autocratici caratterizzati da rapporti settoriali; sia attori ibridi1 in quanto a dipendenze politico militari che fomentano conflitti latenti.

L’Azerbaigian negli ultimi anni è stato protagonista di un costante decremento degli indici democratici, e di un aumento delle spese militari di fatto indirizzate a riaccendere il conflitto con l’Armenia nei territori del Nagorno Karabakh.

In un’ottica più ampia, Baku ha accresciuto la sua importanza geostrategica ed energetica alternativa a quella di Mosca, in quanto paese di origine e transito di gas e petrolio. Questo aspetto chiarisce perché, realisticamente e nell’ora più buia, nessuno nell’ideologicamente pura Europa, che pure in un recente passato è apparsa apatica nei rapporti con l’Azerbaigian, ora si ponga particolari problemi in tema di democrazia e diritti umani, optando per ben più paganti partenariati strategici, agevolati da un’efficace diplomazia del caviale capace di conferire a Baku una posizione nel Caspio pari a quella di Dubai nel Golfo. Dato il momento, secondo le intenzioni del presidente Ilham Aliyev, capo di stato dal 2003 (!), la produzione azerbaigiana di gas verrà aumentata, grazie anche allo sfruttamento di nuovi giacimenti2, utili al soddisfacimento della domanda interna e di quella di un’Europa3 chiamata ad offrire contropartite tecnologiche.

Tutto facile? No, affatto. Oltre alla carenza di infrastrutture, che non possono implementarsi se il gas non è già stato venduto e monetizzato in modo da garantire gli investimenti, non possono trascurarsi i rapporti con il Cremlino4, con cui Aliyev ha sottoscritto un accordo di cooperazione mirato a garantire l’integrità territoriale, il rispetto del principio di non interferenza, ed impegnandosi a evitare di intraprendere attività che possano causare danni agli interessi dell’altra parte; a questo vanno aggiunte le considerazioni riguardanti le quantità di gas prodotte e l’infrastruttura5 ad esse dedicata, volumi che non possono costituire le basi di un’alternativa valida ai quantitativi russi.

Se l’invasione ucraina ha relegato l’Azerbaigian tra l’incudine di Kiev ed il martello di Mosca, le clausole dell’accordo sottoscritto hanno aumentato l’influenza del Cremlino sui progetti energetici di Baku, che peraltro non ha aderito al CSTO6 a guida russa, e nemmeno all’Unione economica euroasiatica, evitando però accuratamente di esprimere alcun intento di adesione alla Nato, desiderio anestetizzato dalla politica estera di Mosca che ha evitato di ostacolare il successo azero in Nagorno-Karabakh sull’Armenia, partner a cui ha comunque venduto armamenti.

La realpolitik ha indotto sia Baku che Mosca sulla via convergente di una convenienza pagata dall’Azerbaigian con il temporaneo (e avvertito) sacrificio delle relazioni con l’Occidente, e dalla Russia con il sacrificio (avvertito?) di quelle con l’Armenia, paese dipendente in ambito economico, energetico e securitario. Difficile quindi inquadrare compatibilità e disponibilità azere per le necessità di Roma che, pure, pone Baku nel novero dei fornitori privilegiati di gas.

Il colpo di scena è tuttavia giunto grazie al Ministero della Difesa russo, che ha accusato l’Azerbaigian di aver lanciato diversi attacchi, anche qui con droni turchi Bayraktar, nell’area sotto controllo della missione russa di peacekeeping contro l’esercito del Nagorno Karabakh, enclave internazionalmente riconosciuta come parte dell’Azerbaigian, ma vicina all’Armenia; si tratta quindi della prima volta dalla fine delle ostilità in cui Mosca ha accusato una delle due parti di una violazione del cessate il fuoco, in un crescendo di smentite e rimbalzi di responsabilità, e con la richiesta azera alla Russia di ritirare rimanenti truppe armene e unità armate illegali dal territorio riconosciuto come azero.

Mentre Kharkiv e Kiev sono assediate, la Russia corre dunque il rischio di trovarsi impegnata su un duplice fronte, mentre l’Armenia ritiene necessario attivare una specifica deterrenza atta a prevenire una nuova escalation.

Mentre si susseguono gli incontri tra le delegazioni russe e ucraine, il Nagorno-Karabakh, in cui spirali incontrollate potrebbero arrivare a coinvolgere le infrastrutture del Corridoio meridionale del gas e l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyh, potrebbe incrinare i rapporti tra Mosca e Ankara, che con il turcofono e sciita Azerbaigian ha sempre intrattenuto solide relazioni politico economiche, in competizione con l’Iran, che valuta Baku come un potenziale rischio irredentista promuovente l’idea di un’unione con la regione azerbaigiana nord occidentale iraniana, tanto da indurre Teheran a garantire sia un sostegno alla concorrente Armenia, sia a cercare di indurre la laica Baku a riconsiderare i suoi rapporti con Israele7 che fornisce equipaggiamenti avanzati.

Attualmente l’invasione dell’Ucraina ha costretto la Russia a lasciare scoperte diverse aree operative, a cominciare da quella in cooperazione con l’Armenia, senza dimenticare Ossezia, Abkhazia, Transinistria, Libia e Mali, zone in cui i concorrenti potrebbero fruire della necessità di Mosca di un immediato rafforzamento in Ucraina, dove la campagna militare è in difficoltà: il ridimensionamento degli obiettivi del Cremlino può dunque collegarsi al rischio di non riuscire a conquistare l’Ucraina perdendo al contempo i vantaggi tattici e strategici acquisiti altrove.

Al di là degli accordi stretti in precedenza, non si può non ipotizzare, né in considerazione dei toni usati verso i paesi in cerca di alternative energetiche né alla luce delle accuse preventive mosse contro Baku, un nuovo fronte nella zona meridionale che volge all’area deputata al controllo delle forniture energetiche all’Europa, senza per questo trascurare la Georgia, ambita e già smembrata meta. Ampliamo l’area concettuale interpretando la visione strategica russa; secondo il Cremlino, più o meno come sempre, il destino russo è in gioco, ed uno dei teatri decisivi è nel Caucaso, area che da secoli ha creato e crea problemi a zar, segretari generali e presidenti federali, tutti intenzionati a renderla parte integrante del proprio spazio politico e di potere. Il Cremlino, infatti, concepisce il territorio caucasico del sud8 come un’area strategica utile alla preservazione della sicurezza nelle regioni meridionali russe, scosse da periodiche e latenti istanze indipendentiste.

Il panturchismo supportato da Ankara, che intende ampliare la propria area d’influenza oltreconfine, contribuirà inoltre a destabilizzare l’equilibrio dell’area, aspetto questo già stigmatizzato dalla Turchia che non ha mancato di fornire supporto militare all’Azerbaijan, con cui si è impegnata con un trattato di difesa reciproca anti armeno.

L’escalation degli scontri va oltre il semplice attrito di matrice etnica, dato che diversi egemoni, come Russia e Turchia, calcano la scena; attori che, nel corso del tempo, si sono scontrati ripetutamente proprio per l’affermazione della propria egemonia regionale.

Gli interessi areali sono molteplici ed estesi, dato che il Caucaso del sud è divenuto uno snodo essenziale per il mercato idrocarburico, dove gli interessi russi, per il momento, si sono indirizzati a perseguire soluzioni negoziali che consentano la realizzazione di una politica imperiale atta sia a permettere la vendita di armi ad ogni singolo contendente, sia a conservare gli accordi con Erevan e – forse – con Baku, l’alleato strategico – ma riluttante – essenziale per il mantenimento dell’equilibrio.

Due gli elementi da non trascurare: il primo è l’assenza occidentale; tenuto conto delle tardive risposte americane, i vuoti politici venutisi a creare sono stati altrimenti riempiti ma con tutti i problemi conseguenti a conflitti che di freddo o congelato non hanno nulla.

Il secondo riguarda la contrapposizione via via più evidente tra Turchia e Russia, animatrici per procura delle guerre siriane e libiche, ma con visioni non collimanti su Crimea, Mar Nero, Cipro, sfruttamento delle risorse gasifere del Mediterraneo orientale, Balcani, Egitto, Israele, Kurdistan e Fratellanza musulmana.

La guerra guerreggiata in Nagorno-Karabakh crea da un lato un ulteriore punto dinamico di faglia tra Ankara, e Mosca, e dall’altro si traduce in un problema geostrategico che partendo dal Caucaso del nord tocca il Medio Oriente comprendendo anche Mar Nero e Mediterraneo orientale.

Se per Mosca ciò che interessa non consiste tanto nella protezione di Erevan ma nel mantenimento di un proficuo e mutuo equilibrio di potere da realpolitik con Ankara9, il warning recentemente consegnato a Baku può aprire nuovi scenari, anche alla luce del fatto che i conflitti in atto tra Caucaso, MO e Mar Nero, si muovono sullo sfondo della Guerra Fredda 2.0 tra Russia e Occidente dal 2008.

Come accennato, gli attriti in Caucaso sono da associare ad un vuoto sistemico di potere, una volta abbinato al collasso sovietico, ora alle lacune occidentali. Non è chiaro chi possa essere davvero pronto a colmarle.

1 Moldova, Ucraina e Georgia; Russia, Bielorussia, Azerbaigian; Armenia

2 Al giacimento di Shah Deniz si aggiungono quelli di Absheron, Umid, Babek, Asiman. Lo sviluppo di parte dei giacimenti, con situazione in divenire, è stato affidato alla BP

3 Il presidente Ilham Aliyev ha affermato che nel 2022 dovrebbero essere prodotti 45 miliardi di metri cubi di gas nel suo insieme, Oltre 8 miliardi saranno esportati in Turchia ed altri 7 miliardi in Italia. Il gas rimanente sarà diviso tra Georgia, Bulgaria e Grecia.

4 La Russia fino al 2012 ha affittato la stazione radar azerbaigiana di Gabala, uno dei componenti del sistema russo per il monitoraggio dei lanci di missili balistici. L’Armenia ospita invece unità delle guardie di frontiera russe (circa 4.500 uomini schierati ai confini turco-armeno e armeno-iraniano) e una base a Gumri (secondo un accordo in scadenza nel 2044).

5 Gasdotto TAP, capacità di 10 miliardi di metri cubi all’anno, eventualmente espandibile fino a 20 miliardi.

6 Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva

7 Nel 2004 Alimamed Nuriyev, deputato e presidente della Fondazione Costituzione, ha affermato che nell’Azerbaigian non c’è mai stato l’antisemitismo, invitando la dirigenza politica ad espandere la cooperazione con Israele in campo politico, economico e militare. L’Azerbaigian ospita circa 30.000 ebrei, residenti principalmente a Baku e Qırmızı Qəsəbə nel distretto di Quba dell’Azerbaigian. Gli ebrei della montagna vivono in Azerbaigian da quasi 1500 anni, essi sono i discendenti degli ebrei persiani.

8 Il Caucaso settentrionale è sotto la sovranità russa; quello meridionale è composto da tre stati indipendenti riconosciuti (Armenia, Azerbaijan, Georgia) e altri tre stati di fatto: Abkhazia, Ossezia del Sud, e Nagorno-Karabakh. A nord Mosca difende l’integrità territoriale contro le minacce secessioniste e terroristiche islamiche; in Transcaucasia opera come una potenza post-imperiale.

9 Mustafa Aydın e Bülent Aras hanno definito le relazioni russo-turche come una cooperazione competitiva; Ziya Önis¸ e S¸uhnaz Yılmaz valutano l’elemento fondamentale dei rapporti quale interazione asimmetrica; per Sezer è in atto una “rivalità geopolitica controllata”

Foto: presidency of the republic of Turkey / president.az / MoD Fed. Russa

Vai al sito

Nagorno Karabakh, nuovi negoziati di pace tra Azerbaigian e Armenia (Euronews 01.04.22)

Un territorio conteso, una forza di pace – quella russa – distratta dal conflitto in Ucraina: sono le condizioni che hanno riacceso gli scontri nel Nagorno Karabakh tra forze armene e azere.
I leader dei due Paesi hanno concordato di incontrarsi a Bruxelles la prossima settimana per iniziare nuovi colloqui di pace.

Le forze azere avanzano in Nagorno Karabakh

Nei giorni scorsi Armenia e Russia avevano accusato l’Azerbaigian di aver violato il cessate il fuoco in una zona presidiata dalle truppe di Mosca e di aver preso il controllo del villaggio strategico di Parukh.

Un residente armeno del vicino villaggio di Khramort racconta l’avanzata azera: “Il nemico è venuto e ha cercato di entrare nel nostro villaggio. Prima ci hanno invitato a lasciare la zona tramite altoparlanti, dicendo: ‘Siete nel territorio dell’Azerbaigian, se avete a cuore la vita dei vostri figli, obbedite alle nostre leggi, lasciate questo territorio. Abbiamo sentito la stessa cosa ogni giorno’.

Il cessate il fuoco mediato dalla Russia

Più di 6000 persone sono state uccise nella guerra del 2020 con l’Azerbaigian che ha reclamato il controllo di ampie parti del Nagorno Karabakh (e delle aree circostanti che i separatisti sostenuti dall’Armenia controllavano).

Il cessate il fuoco è stato mediato dalla Russia, che ha inviato circa 2.000 soldati nella regione per far rispettare l’accordo.

I nuovi colloqui di pace

I nuovi scontri arrivano proprio nel momento di maggior vulnerabilità di Mosca, garante della pace nella regione caucasica.

Il ministero della Difesa russo ha riferito che le forze azere si sono ritirate, ma l’Azerbaigian nega di aver ripiegato da quello che considera il suo territorio.

Sul fronte opposto, l’Armenia sostiene che la sua popolazione viene terrorizzata e fatta oggetto di un tentativo di pulizia etnica.

Gli armeni rimasti temono che le forze russe non siano in grado di garantire il rispetto del cessate il fuoco. Sebbene si accusino a vicenda di ostacolare gli sforzi di pace, sia l’Armenia che l’Azerbaigian affermano di essere pronti a impegnarsi al tavolo dei negoziati.

I colloqui sono mediati dall’Unione europea. La Russia si è affrettata a dire che sosterrà attivamente qualsiasi accordo di pace.

Vai al sito


Vedi video

Vedi video 2


Il filo rosso che unisce l’Ucraina e il Nagorno Karabakh (Eastwest 01.04.22)


Armenia e Azerbaigian: il cambio di ruoli verso la Russia (Sole24ore 1.04.22)