ASIA – Le Chiese asiatiche promuovono speranza e compassione nel tempo della pandemia (Agenziafides 10.06.20)

Chiang Mai (Agenzia Fides) – Le Chiese cristiane in Asia sono autentici fari di speranza e compassione nel mezzo della crisi legata al Covid-19. “Le Chiese vivono e svolgono un ruolo cruciale nell’accompagnare le persone e le comunità sofferenti, mentre portano un messaggio di speranza e misericordia. Le Chiese sono provocate dalle sofferenze di innumerevoli persone che sono influenzate dalla diffusione del nuovo coronavirus. La forza d’animo, la fede, la speranza, la costante fiducia di Dio ci ispirano a glorificare Dio in questo tempo difficile. Dio sente il nostro dolore, vede le nostre lacrime e si prende cura del suo popolo”, hanno affermato i leader delle Chiese asiatiche riunitisi in una conferenza virtuale della Christian Conference of Asia (CCA). L’organismo ,che riunisce le maggiori confessioni cristiane in Asia, inclusa la Chiesa cattolica, ha avviato una serie di video-conferenze e webinar per discutere questioni e sfide rilevanti, causate dalla crisi globale.
P. William La Rousse, Vice Segretario generale della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche (FABC), ha affermato che “la Chiesa cattolica in Asia collabora da vicino con le agenzie governative nazionali e locali, nell’osservanza delle norme cautelative, nella lotta al virus, nella cura dei malati”. Ha notato poi che “l’emergenza ha generato una innovazione nel ministero della Chiesa, con l’uso ampio della tecnologia per trasmettere in streaming la preghiera e il culto”.
Un altro aspetto – ha rimarcato – è l’impegno della Caritas che in molte nazioni dell’Asia offre un prezioso contributo per una risposta coordinata alla pandemia, soprattutto per i bisogni dei più poveri e vulnerabili. In diverse nazioni, le scuole e le strutture cattoliche sono utilizzate per ospitare i senzatetto, per l’isolamento e la quarantena, e in alcuni casi come residenze per gli operatori sanitari, per garantire un accesso più rapido agli ospedali. “La pandemia – ha concluso – ha messo in luce le disuguaglianze sociali e le inadeguatezze del sistema politico-economico”.
Il Segretario generale dell’CCA, Mathews George Chunakara, ha affermato che “la crisi del Covid-19 è un forte campanello d’allarme per il mondo” e che “ha infranto i miti sui livelli globali di sviluppo, che erano, in effetti, insostenibili”. “La diffusione di Covid-19 ha messo in luce le nostre inadeguatezze nel servire i più vulnerabili: è fondamentale riesaminare il ruolo delle nostre Chiese in questo nuovo mondo” ha aggiunto.
Trai punti affrontati nella discussione vi erano la testimonianza di fede nel mezzo della crisi; la missione di servizio delle Chiese asiatiche; la cooperazione inter-ecclesiale delle Chiese asiatiche; le risposte spirituali e teologiche alla comune sofferenza del mondo di oggi.
L’Arcivescovo Sebouh Sarkissian, presule della Chiesa armena ortodossa in Iran, ha affermato che “la Chiesa continua a incoraggiare i fedeli, poiché la principale arma spirituale resta la speranza” e rimarca che “essendo fisicamente distanti, tempi così difficili ci hanno avvicinato l’uno all’altro”.
Il metropolita Yakob Mar Irenaios, Presidente della Chiesa siro-ortodossa malankarese, ha dichiarato: “Non dobbiamo permettere al virus di entrare nelle nostre menti. Sebbene il blocco sia stato uno shock per tutti, le Chiese si sono mobilitate per alleviare la sofferenza”. Le Chiese indiane – ha osservato – sono state in prima linea nelle operazioni di soccorso per i migranti e i lavoratori a giornata, raggiungendo milioni di persone.
Il Vescovo Leo Paul, della “Chiesa del Pakistan”, parte della comunione anglicana, ha parlato delle sfide affrontate dalle minoranze in Pakistan, un paese a maggioranza islamica, rimarcando alcuni episodi di discriminazione. Il popolo pakistano, ha messo in guardia, “sta per affrontare una grave crisi di sicurezza alimentare, una crisi economica, una crisi sociale e una crisi psicologica, a meno che non si prendano misure serie e concrete per migliorare le condizioni della popolazione”.
Jacky Manuputty, Segretario generale della Comunione delle Chiese in Indonesia (IGP), ha affermato che le Chiese indonesiane hanno risposto con prontezza e urgenza all’avviso dell’Organizzazione mondiale della sanità sulla pandemia globale, inviando lettere pastorali ai fedeli e sensibilizzando sulle misure cautelative da adottare, ma anche mobilitando risorse finanziarie e umane in tutto il paese, per far fronte alla pandemia, aiutando malati, famiglie indigenti, piccole imprese.
Il Vescovo Reuel Norman Marigza, Segretario generale del Consiglio nazionale delle Chiese nelle Filippine, ha elogiato gli sforzi comuni e collaborativi di protestanti, cattolici ed evangelici, nel fornire soccorso alle comunità colpite, notando un “servizio compassionevole e operato con sensibilità e competenza” , che è stato in grado di raggiungere anche le comunità isolate degli indigeni.
Sawako Fujiwara, del Seminario teologico luterano nell’Università Rikkyo in Giappone, ha raccontato dell’impegno delle Chiese cristiane che hanno incoraggiato “l’adorazione privata”, nella case, collegandola alla tradizione monastica della preghiera. Le comunità cristiane hanno anche sviluppato un nuovo sistema di prestiti per aiutare le piccole chiese a sostenere i loro pastori.
Tutti i rappresentanti delle Chiese asiatiche hanno sottolineato la necessità di collaborare con altre comunità di fede e con le organizzazioni della società civile per unificare gli aiuti e garantire il sostegno ai più poveri, vulnerabili e sofferenti. “La Chiesa, ovunque essa sia e in qualsiasi situazione e momento, è chiamata ad essere una benedizione per tutti” hanno concluso . (SD-PA) (Agenzia Fides 10/6/2020)

Vai al sito

Mkhitaryan: “Vorrei restare a Roma, ma non dipende da me” (Romanews 09.06.20)

MKHITARYAN ROMA INTERVISTA – Il giocatore della Roma Mkhitaryan ha rilasciato una lunga intervista nel corso del programma Fútbol with Grant Wahl. Il calciatore armeno ha parlato di svariati temi: dal suo futuro alla sua esperienza in Italia passando per alcuni episodi passati e per argomenti inerenti al suo paese d’origine. Queste le sue parole:

L’intervista a Mkhitaryan

Come state tu e la tua famiglia?
Finalmente abbiamo un po’ di normalità. È stato difficile durante la quarantena ma per fortuna la situazione è migliorata. Non abbiamo recuperato a pieno, soprattutto a livello mentale, ma stiamo facendo del nostro meglio. Non vediamo l’ora di tornare alla normalità

L’Italia è stata molto colpita dal Coronavirus, come descriveresti la vita lì in questi due mesi?
Ho un amico a Milano e mi diceva che la situazione lì era terribile. Pensavo che sarebbe successo lo stesso a Roma ma per fortuna non è successo. Gli italiani si sono comportati bene e hanno ascoltato il governo. Il paese continua a combattere, ma penso che tutto stia andando meglio.

Cosa pensi di quello che accade in America in questo momento?
È difficile da credere tutto questo. L’unica cosa da sperare è che queste cose non ricapitino più. Non è necessario descrivere cosa pensino le persone. Ma dobbiamo essere uniti e lottare, ma anche vivere la nostra vita.

Com’è la situazione del calcio in Italia?
È strano per noi calciatori ora. Non sappiamo come reagiremo e come giocheremo né come evolverà la situazione. Ma non vediamo l’ora di tornare in campo e siamo entusiasti di giocare. Sappiamo che non sarà come prima ma dobbiamo comportarci bene e cercare di guardare avanti.

È vero che parli 7 lingue?
Sei credo… armeno, russo, francese, inglese, un po’ di tedesco e un po’ di italiano. E ho dimenticato il portoghese perché non avevo con cui comunicare. È una cosa che mi rende più facile rapportarmi agli altri

Ti ha aiutato sapere l’italiano nella squadra?
È sempre stato un mio sogno imparare l’italiano. Dopo tre mesi ho avuto la prima intervista in italiano, e ho fatto del mio meglio per impararla perché è importante dentro e fuori dal campo. non so quanto starò qui, mi piace Roma come città e come club. Mi piacerebbe restare a lungo ma non dipende da me. Io faccio del mio meglio e cerco di imparare l’italiano.
Il club e la filosofia dell’allenatore mi si addicono. Mi diverto e mi piace giocare a calcio.

Ti sei adattato bene all’Italia, come mai ti piace così tanto giocare nella Roma?
Gli italiani sono amichevoli e ti aiutano in ogni modo ad ambientarti. La mentalità in Italia è quella di aiutarsi a vicenda, i giocatori si aiutano per vincere e giocare bene”.

La Roma è 3 punti dietro l’Atalanta, pensi che riuscirà a raggiungere la Champions League?
Tutto è nelle nostre mani. Abbiamo la capacità e l’abilità di arrivare nei primi quattro. Sono solo 12 gare e dobbiamo fare più punti possibili. All’inizio della stagione era uno dei nostri obiettivi, oltre alla Coppa Italia e ad un buon piazzamento in Europa League. Credo che nel calcio 3 punti non siano tantissimi, tutto è possibile e faremo del nostro meglio.

Ti piacerebbe restare alla Roma l’anno prossimo?
Mi piacerebbe essere a Roma non solo l’anno prossimo, ma anche oltre. Ma ho un contratto con l’Arsenal e non dipende solo da me. I club devono mettersi d’accordo. Il mio compito è di impegnarmi e fare del mio meglio in allenamento e in campo. Il calcio cambia velocemente, devi essere sempre pronto.

Com’è lavorare come Mino Raiola?
È interessante lavorare con lui, a volte difficile. Lui fa del suo meglio per rendere felici i giocatori, sia dentro che fuori dal campo. Se un giocatore non è contento del proprio team, lui farà il possibile per migliorare la situazione. In alcune situazioni è complicato lavorare con lui, ma è normale perché è il migliore del suo campo. A volte per esempio non risponde subito al telefono (ride, ndr)

Sei il giocatore più famoso dell’Armenia. Cosa vorresti che si sapesse della tua nazione?
Quando ho iniziato a giocare, volevo fare bene anche per far conoscere la mia nazione. In Armenia il cibo è ottimo e abbiamo tutte e 4 le stagioni. Se andate su Google troverete molte cose interessanti. Io mi sento un ambasciatore del mio paese e spero che avrò successo nel farlo conoscere.

È stato difficile per te non andare in Azerbaijan ai tempi dell’Arsenal?
È stato davvero difficile non poter andare lì per un problema diplomatico. Con l’Arsenal l’anno scorso stavamo facendo bene, ma non ho avuto scelta. La mia vita è più importante di una gara. Se fosse stata la mia unica opportunità, mancarla mi avrebbe intristito molto.


Il giocatore migliore contro cui hai giocato?

Avrei molti nomi, non importa sempre contro chi giochi. In Europa è difficilissimo contro chiunque. Ma potrei dire Leo Messi, perché è incredibile come gioca.

Il miglior difensore contro cui hai giocato?
Non saprei, non potrei dirne solo uno. Perché non ci penso, quando sei in campo pensi ad altro. In una gara puoi giocare male e il difensore sembra bravissimo, oppure il contrario.

Di cose si orgoglioso della tua carriera?
Di ciò che ho affrontato e da cui sono uscito. Ora voglio solo fare del mio meglio.

Vai al sito

Coronavirus, Armenia: premier Pashinyan negativo al secondo test (Askanews 08.06.20)

Roma, 8 giu. (askanews) – Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha dichiarato di essersi completamente ripreso dal Covid-19 e di essere risultato negativo a un test, una settimana dopo aver annunciato che lui e la sua famiglia avevano contratto la malattia del coronavirus.

“Abbiamo appena ricevuto i risultati di ripetuti test sui membri della mia famiglia. I risultati di tutti i nostri test sono stati negativi. Anche ieri sono stati negativi. Naturalmente, i tempi e le circostanze di come siamo stati contagiati devono essere riesaminati, ma al momento, è importante che siamo tutti sani e che ora siamo anche immuni”, ha scritto il primo ministro su Facebook

Pashinyan ha annunciato il 1 giugno che lui e i suoi familiari erano risultati positivi al test per il Covid-19. Numerosi leader internazionali, tra cui il presidente russo Vladimir Putin, hanno augurato al Primo Ministro una pronta guarigione negli ultimi giorni.

Uno stato di emergenza, che è stato proclamato a causa dell’epidemia di Covid-19, è in vigore in Armenia fino al 13 giugno. In base ai dati aggiornati a questa mattina, 13.325 persone nel Paese sono risultate positive alla malattia del coronavirus e ci sono state 211 vittime.

Coronavirus, Pashinyan: in Armenia almeno 100.000 casi (sicurezzainternazionale.luiss.it 08.06.20)

Il numero effettivo di contagi da Covid-19 in Armenia supera i 100 mila, secondo il Primo Ministro Nikol Pashinyan.

“Alcune analisi mostrano che nel nostro paese al momento ci sono più di centomila infetti da coronavirus. Siamo arrivati a questa conclusione, data la proiezione dei decessi e il numero rilevato di infetti” – ha scritto domenica 7 giugno sul suo account Facebook.

Secondo le statistiche del Ministero della Salute, il numero di persone infette da coronavirus in Armenia è aumentato di 766 tra sabato 6 e domenica 7 giugno, un livello record dall’inizio della pandemia nel paese. In totale, lunedì 8 giugno 13.325 casi di infezione, 4.099 guariti e 211 morti sono stati registrati nella repubblica transcaucasica.

Il giorno precedente, il Primo Ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan ha dichiarato che il sistema sanitario nel paese era sovraccarico, 200 pazienti non potevano essere ricoverati in ospedale a causa della mancanza di posti negli ospedali. Ha anche valutato la portata delle violazioni degli standard di sicurezza epidemiologica nel paese come catastrofica, sottolineando che le forze dell’ordine non sono in grado di mantenere la situazione sotto controllo.

Il 1° giugno, il capo del governo armeno ha annunciato che lui e i suoi familiari erano stati infettati dal coronavirus. Ha specificato che nessuno di loro presenta sintomi e annunciato che avrebbe continuato a lavorare da casa in stretta collaborazione video con i ministri.

La malattia di Pashinyan ha accresciuto il ruolo del presidente, Armen Sargsyan, una figura normalmente solo cerimoniale. Il capo dello stato ha incontrato il ministro della sanità Arsen Torosyan. Secondo quanto riferisce il servizio stampa dell’Ufficio del Presidente, Armen Sargsyan ha espresso preoccupazione per la situazione con l’infezione da coronavirus. Il presidente ha chiesto informazioni e chiarimenti in merito alla strategia per il superamento dell’epidemia di coronavirus, nonché sulle misure adottate e sui problemi esistenti.

Il ministro Torosyan ha informato il presidente della situazione attuale del coronavirus nel paese, del processo di trattamento e riabilitazione dei pazienti, dei problemi di salute e delle esigenze prioritarie del sistema. Il presidente Sargsyan ha espresso la disponibilità a continuare a utilizzare i suoi contatti personali per sostenere ulteriormente l’istituzione di cooperazione e interazione con vari paesi e strutture per superare i problemi.

Il 14 maggio il governo armeno ha deciso di prorogare lo stato di emergenza dichiarato in Armenia il 16 marzo 2020 e prorogato fino al 14 maggio 2020. Lo stato di emergenza dalle 17:00 del 14 maggio 2020 è stato prorogato di altri 30 giorni, fino al 13 giugno 2020 incluso. L’attività economica autorizzata è stata tuttavia riaperta a partire dal 4 maggio scorso.

Leggi Sicurezza Internazionale il solo quotidiano italiano interamente dedicato alla politica internazionale

Italo Cosentino, interprete di russo

di Redazione

Vai al sito

In notevole ritardo la raccolta delle angurie armene e ucraine (Freshplaza.it 04.06.20)

Logistica difficile e ondate di freddo ritardano la stagione

Le difficoltà logistiche a seguito della pandemia di Coronavirus, insieme alle ondate di freddo, hanno portato a un considerevole ritardo nella campagna ucraina delle angurie. Normalmente, i primi lotti dal Paese dell’Europa orientale arrivavano già a metà giugno, ma l’inizio della raccolta stagionale di quest’anno è previsto a metà luglio, come afferma Stefan Matvienko, commerciante di questi prodotti nei Paesi di lingua tedesca.

Angurie fresche originarie della regione di Cherson, in Ucraina

“Alcuni giorni fa, sono state registrate temperature di circa 12 gradi nella capitale ucraina di Kiev: un’ondata di freddo straordinaria, per questo periodo dell’anno”, ha detto Matvienko riferendosi all’attuale situazione meteo. L’effetto climatico è stato altrettanto negativo sulla crescita delle angurie ucraine, quindi quest’anno non è possibile rispettare il programma originale di fornitura.

L’ondata di freddo in Ucraina ha portato a un ritardo nella crescita e quindi a un inizio tardivo della raccolta.

Una situazione simile esiste nel secondo Paese di riferimento dell’agenzia d’importazione, l’Armenia, dove le prime angurie di stagione solitamente vengono caricate alla fine di maggio, ma quest’anno si prevede che i primi lotti arriveranno sul mercato non prima della fine di giugno. Inoltre, le restrizioni sulle esportazioni, dovute alla crisi Coronavirus, stanno avendo gravi ripercussioni sulle attività di export, afferma Matvienko. “Normalmente, la parte del leone la fa il canale di vendita al dettaglio russo, ma alcune catene hanno già deciso di acquistare da altri Paesi”.

E’ stata selezionata una varietà speciale per la coltivazione in Ucraina: si tratta di un’anguria con un peso medio del frutto compreso tra 10 e 12 kg.

A causa delle lunghe distanze di trasporto e del gran numero di alternative più vicine, anche il mercato tedesco ha meno probabilità di essere preso in considerazione. “Tuttavia, vedo ancora un grande potenziale per le angurie ucraine sui mercati tedesco e austriaco. L’anno scorso abbiamo fornito per la prima volta prodotti ucraini in Germania, e l’interesse suscitato è stato sorprendente. In primo luogo, perché i costi logistici sono relativamente bassi. In secondo luogo, perché è stata selezionata una varietà speciale in Ucraina, con un peso del frutto di circa

Vai al sito

Armenia: cenerentola del Covid19 (Osservatorio Balcani e Caucaso 05.06.20)

Nel sud del Caucaso l’Armenia è ad oggi la più colpita dall’epidemia di coronavirus. Data l’impellente crisi economica il premier Pashinyan sonda la disponibilità dell’Unione Economica Eurasiatica di garantire aiuti incontrando però il muro di Putin

05/06/2020 –  Marilisa Lorusso

Con più di 10.000 casi l’Armenia è il paese sudcaucasico colpito più duramente dal Covid-19. Le vittime superano il centinaio e la fascia di età dei deceduti va da un 92enne a un 43enne. I numeri non sono paragonabili a quelli della vicina Georgia, con 800 casi, e dell’Azerbaijan, che non raggiunge i 6000 (qui i dati del 20 aprile per comparare la crescita dei contagi nelle tre repubbliche). Il primo giugno anche il primo ministro Nikol Pashinyan ha reso noto di essere stato trovato positivo al tampone, cui si era sottoposto prima di recarsi in Nagorno Karabakh. L’intera famiglia Pashinyan è positiva e il premier lavora da casa, attualmente asintomatico  .

Lo stato di emergenza dichiarato il 16 marzo e previsto per un mese è stato esteso fino a metà maggio e ha incluso il fermo dei mezzi pubblici, in vigore dal primo aprile. Nonostante lo stato di emergenza alcuni esercizi ed attività con permessi hanno iniziato a riaprire. Dure le pene per chi viola la quarantena obbligatoria che arrivano ad un massimo di 5 anni di reclusione.

L’attività del governo è stata frenetica e, sotto la pressione di una crisi che montava ogni giorno di più, l’esecutivo ha legiferato prevalentemente con decreti con un totale di diciassette pacchetti d’aiuto  varati nelle settimane più drammatiche della crisi.

In Armenia – come ovunque – alla pandemia e al necessario lockdown contenitivo del contagio è conseguita una acuta crisi economica. Il dilemma del bilanciamento fra la sicurezza sanitaria e quella economica attanaglia tutti i paesi, ma è avvertito in modo più drammatico in quelli strutturalmente più deboli, per un tasso di povertà più alto, per una maggiore dipendenza dalle importazioni anche di beni di prima necessità e dalle rimesse dall’estero.

La vulnerabilità economica

Rientra nel gruppo dei paesi che maggiormente risentono della crisi in corso anche l’Armenia, la cui vulnerabilità economica porta ad essere esposta e in forma critica a tutte le sfide che la contrazione economica pone. Il primo ministro armeno ha parlato  apertamente di conseguenze sociali ed economiche catastrofiche e di lungo termine, se i contagi dovessero implicare un nuovo lockdown completo.

Nell’immediato si è dovuto garantire l’accesso a beni di prima necessità ai meno abbienti. Stando ai dati del 2018 il 23,5% della popolazione armena vive al di sotto della soglia della povertà, e molti non sono in grado di accantonare dei risparmi. A questa categoria si aggiungono quelle in via di pauperizzazione, in primis tutti coloro che hanno lavori in nero o con prestazioni largamente extra contrattuali, per i quali l’interruzione dell’attività ha implicato in automatico la fine della retribuzione senza ammortizzazione alcuna. Sull’efficacia dell’intervento del governo nel sostenere categorie particolarmente vulnerabili e in generale la popolazione si è arrivati alle mani in Parlamento  . La rissa che ha visto coinvolto un membro della maggioranza e uno dell’opposizione non è certo il segnale rassicurante e di coesione da far pervenire nel pieno di una parossistica crisi.

Il crollo del potere di acquisto rischia di espandersi nel medio e lungo termine. I numeri della contrazione economica per l’Armenia si muovono intorno a una decrescita del 2% secondo il ministro dell’Economia Janjughazyan  , a fronte di una prevista crescita del 4.9% prevista per il 2020. Altre previsioni sono più negative  . Janjughazyan ha valutato che la flessione nel bilancio dello stato sarà per prima cosa causata dalla contrazione delle entrate fiscali. Sia le sospensioni fiscali in corso, sia un ridotto giro di affari ridurranno il gettito fiscale per l’anno 2020. Il parlamento il 29 aprile ha espresso un voto favorevole alla richiesta di un prestito di 312.5 milioni di dollari, e si cercano ora creditori per mettere insieme questa cifra stimata necessaria per scongiurare una crisi più profonda. Si punta al Fondo Monetario Internazionale pur nella consapevolezza che questo comporterà un notevole indebitamento per il paese.

In tutti i paesi a valuta debole c’è poi preoccupazione per le fluttuazioni monetarie. I debiti sono espressi in valute forti, dollaro o euro, e un crollo del cambio renderebbe l’indebitamento ingestibile. Per il momento, sottolinea Janjughazyan, il cambio drama-dollaro tiene. La stabilità del cambio è fondamentale anche per gli approvvigionamenti. L’Armenia importa una grande quantità di beni, anche di prima necessità, e i prezzi sono espressi in valute forti.

Il rallentamento economico preoccupa non solo il settore delle importazioni ma anche quello delle esportazioni armene. La riduzione della produzione colpisce i paesi esportatori di energia e di materie prime. L’Armenia risente direttamente del secondo fattore, e indirettamente del primo. Il paese esporta infatti minerali, metalli e pietre, che costituiscono il 30% delle esportazioni. Con le industrie che li utilizzano a ciclo produttivo ridotto la scarsa domanda rischia di far collassare l’offerta armena.

Indirettamente, invece, il collasso del mercato energetico che ha portato il petrolio al 20 dollari al barile colpisce la comunità armena via Russia. La Russia si trova infatti ad affrontare sia una pandemia numericamente dilagante, sia una enorme fragilità economica dovuta a una strutturale dipendenza dal mercato dell’energia per la stabilità del proprio budget. Con quest’ultimo messo in crisi da lockdown e crisi economica a pioggia il costo della presente congiuntura colpisce i vari soggetti economici del paese. La comunità armena in Russia è mittente del 45% delle rimesse che raggiungono la repubblica sudcaucasica. Inoltre la svalutazione del rublo e la crisi interna indeboliscono il mercato russo, che da solo farebbe il 28% delle esportazioni armene.

L’Unione Economica Eurasiatica nella crisi

L’interrelazione economica russo-armena si è intensificata dopo l’ingresso di quest’ultima nell’Unione Economica Eurasiatica, l’UEEA. Eredità geopolitica lasciata dall’ex presidente Sargsyan, l’UEEA è ora uno strumento che il governo Pashinyan voleva utilizzare per cercare di tagliare i costi dell’economia armena. Il 19 maggio durante un meeting in videoconferenza del Consiglio dell’UEEA ha premuto per la creazione di un mercato comune per il gas che includendo grandi produttori come la Russia e il Kazakhstan potrebbe avere tariffe tali da abbattere i costi dell’energia in Armenia.

Da Mosca è arrivata però una doccia fredda  . Così Vladimir Putin: “Quando si tratta della tariffa unificata proposta dai nostri amici armeni e bielorussi per i servizi di trasporto e transito del gas, riteniamo che una tariffa unica possa essere attuata solo su un mercato unico con un bilancio unificato e un sistema fiscale unificato. Un livello così profondo di integrazione non è stato ancora raggiunto nella UEEA, ne siamo tutti consapevoli; per ora, i prezzi del gas dovrebbero essere formati in base alle condizioni di mercato, dovrebbero tenere conto dei costi e degli investimenti dei fornitori e garantire anche un ragionevole tasso di rendimento del capitale investito nella produzione. […] Se le posizioni dei nostri amici armeni e bielorussi rimarranno invariate, sarebbe probabilmente logico escludere la questione del gas del Progetto di Strategia [in discussione] per approvarlo oggi”. Per parafrasare liberamente una nota citazione: non bisogna che tutto cambi affinché nulla cambi, ma anche se tutto è cambiato, non è ancora cambiato niente.

Vai al sito

Biden vorrebbe riconoscere il genocidio armeno (Laragnatelanews.it 05.06.20)

Joe Biden, membro del partito democratico e candidato a Presidente degli Stati Uniti alle elezioni che si svolgeranno a novembre 2020, ha annunciato sul suo profilo Twitter che, qualora venisse eletto, spingerà per il riconoscimento del genocidio armeno avvenuto tra il 1915 e il 1917.

Nonostante sia una delle più gravi atrocità commesse nell’ultimo secolo, questo tema molto raramente viene affrontato in maniera adeguata dai mezzi di informazione e dalle istituzioni scolastiche. Dunque, al fine di comprendere a pieno la portata della dichiarazione di Biden, appare utile ricordare per grandi linee gli avvenimenti di quel periodo.

Le milizie dell’Impero Ottomano si resero protagoniste di innumerevoli crimini, tra cui uccisioni e deportazioni forzate, ai danni degli armeni di fede cristiana.

Il reale numero delle vittime non è facilmente accertabile: infatti, le fonti armene riporterebbero almeno due milioni e mezzo di morti; mentre le istituzioni turche, al contrario, non ne conterebbero più di duecentomila.

A prescindere però dalla quantificazione, sembra quindi che tutte le condizioni elencate dalla Convenzione ONU del 1948 siano soddisfatte e, di conseguenza, non pare ci possano essere particolari dubbi circa la riconduzione di quegli atti alla fattispecie genocidaria.

Tuttavia la Turchia non ha mai accettato di riconoscere il crimine in questione, incriminando anzi coloro che avessero intenzione di far luce sulla vicenda grazie alla alquanto vaga legge volta alla tutela dello spirito turco.

Nemmeno gli altri Stati del pianeta sono così concordi sul riconoscimento della natura genocidaria degli stermini commessi dagli Ottomani, ma qui le ragioni sono un po’ più complesse. In tantissimi casi infatti la decisione in merito viene guidata più da ragioni geopolitiche che strettamente giuridiche. E, proprio a questo ultimo proposito, possiamo tornare a trattare della più stretta attualità, ossia dell’annuncio di Biden.

Già qualche tempo fa infatti l’amministrazione dell’attuale Presidente Donald Trump aveva minacciato Erdogan di riconoscere il genocidio armeno, così da dissuadere il leader turco dall’intervenire militarmente in Siria dopo il ritiro delle forze armate statunitensi.

Inoltre, parlando della situazione negli Usa, non possiamo non sottolineare la notevole influenza esercitata dalla potente lobby armena presente sul territorio americano e, come è naturale che sia, la battaglia per il riconoscimento del genocidio subito dal proprio popolo è in cima all’agenda di queste persone.

In conclusione quindi, appare molto triste che una delle pagine più buie del ‘900 sia utilizzata come una semplice mossa per tenere sotto scacco Erdogan e la Turchia. L’uso politico di un tale avvenimento non fa certo bene alla memoria delle vittime perseguitate e, anche a distanza di oltre un secolo, onorare il loro ricordo a livello internazionale risulterebbe un enorme atto di umanità e solidarietà, atto per il quale, con ogni probabilità, la maggior parte dei paesi non è ancora pronta.

Vai al sito

CAUCASO: Caso Safarov, la Corte di Strasburgo condanna Baku (Eastjournal 03.06.20)

L’ennesimo capitolo del caso Safarov si è concluso con una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) attesa dal 2013. Il tribunale di Strasburgo ha condannato l’Azerbaigian per le sue azioni nell’ormai lontano 2012, ma nessuno può dirsi pienamente soddisfatto del risultato della vicenda processuale.

Il caso Safarov

Ad inizio 2004 era in corso a Budapest un corso di inglese organizzato dalla NATO nell’ambito del programma Partenariato per la pace, iniziativa con il fine di “creare fiducia” tra i paesi membri dell’Alleanza atlantica e gli stati dell’ex Unione sovietica.

Tra i partecipanti, alloggiati in un albergo della città, c’erano due tenenti dell’esercito armeno, Gurgen Margaryan e Hayk Makuchyan, e un pari grado azero, Ramil Safarov. Alle cinque del mattino del 19 febbraio, Safarov uccise Margaryan nel sonno con sedici colpi d’ascia; provò quindi a entrare nella camera di  Makuchyan, trovando la porta chiusa a chiave. Dopo il suo arresto da parte delle autorità ungheresi, il ministero degli Esteri azero dichiarò che a scatenare la follia omicida di Safarov sarebbero stati gli insulti ripetuti dei due armeni all’indirizzo dell’Azerbaigian.

Per l’omicidio, le autorità magiare condannarono Safarov all’ergastolo nell’aprile del 2006. Da quel momento, Baku indirizzò a Budapest una serie di richieste di estradizione, accolte, infine, nel 2012, poco dopo una visita del primo ministro Viktor Orbán nella capitale azera. La condizione del rimpatrio era che il tenente continuasse a scontare la sua condanna a vita in Azerbaigian, in ottemperanza con la Convenzione sul trasferimento delle persone condannate (1983) siglata dai due paesi.

Nonostante le premesse, una volta atterrato a Baku, Safarov venne accolto come un eroe. Nel giorno del suo rientro in patria ottenne la grazia dal presidente Ilham Aliyev, una promozione a maggiore e un nuovo appartamento, oltre a ricevere gli stipendi arretrati accumulati durante gli otto anni di prigionia in Ungheria.

Un conflitto irrisolto

I fatti cruenti di Budapest e ciò che ne seguì si spiegano con il clima d’odio che scorre tra Armenia e Azerbaigian per effetto del conflitto in Nagorno-Karabakh. Il controllo di questo remoto territorio montuoso costituisce il pomo della discordia nelle relazioni tra i due paesi fin dall’epoca sovietica. Negli anni venti, la demarcazione staliniana dei confini aveva visto la regione, a maggioranza armena, diventare una oblast autonoma in seno alla Repubblica Socialista Azera. Una guerra tra il 1988 e il 1994, costata 30 mila morti e centinaia di migliaia di rifugiati, ha portato alla secessione del territorio dall’Azerbaigian. Oggi il Nagorno-Karabakh è uno degli stati non riconosciuti nell’ex territorio sovietico, ma la sua indipendenza si regge sul sostegno finanziario, politico e militare dell’Armenia.

Il caso Safarov ebbe grande risonanza internazionale, e tra gli altri, la Casa Bianca, il Parlamento europeo e l’allora Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon criticarono il comportamento delle autorità azere. Scatenò, inoltre, proteste rabbiose in Armenia, mettendo in crisi i rapporti tra Erevan e Budapest ed esacerbando la tensione nel Caucaso.

L’appello a Strasburgo

Nel febbraio di 2013 Makuchyan e Samvel Minasyan – zio dell’ufficiale ucciso – si appellarono alla CEDU. Ad  Azerbaigian e Ungheria si imputava la violazione dell’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che tutela il  diritto alla vita. Secondo il testo del ricorso, commutando la grazia a Safarov, Baku ha fatto sì che non venisse applicata la condanna per omicidio; al contempo, Budapest avrebbe accettato l’estradizione senza avere garanzie sull’effettiva applicazione della condanna. Le autorità azere venivano accusate anche di aver violato l’articolo 14 sul divieto di discriminazione, considerato il legame tra la riabilitazione della figura di Safarov e l’etnia armena della vittima.

La Corte di Strasburgo ha riconosciuto: “il fallimento ingiustificato dell’Azerbaigian nel far applicare la sentenza per il crimine d’odio etnico commesso dal suo ufficiale all’estero”. Ha definito come un atto privato l’omicidio, negando la tesi di crimine di stato; ha, tuttavia, condannato Baku per l’accoglienza a Safarov al suo rientro in patria sottolineando il legame causale tra la glorificazione del gesto e l’etnia della vittima. I giudici hanno assolto l’Ungheria  dal momento che non hanno trovato prove sufficienti per dimostrare che le autorità di Budapest potessero prevedere l’eventuale rilascio dell’estradato.

La reazione delle parti

L’Azerbaigian dovrà pagare le spese processuali ai ricorrenti. Makuchyan ha, però, dichiarato di essersi appellato a Strasburgo “alla ricerca di giustizia, non di una compensazione”. Similmente, il suo avvocato, Philip Leach, ha spiegato ad EVN Report che l’obiettivo del ricorso era la cancellazione della violazione dei diritti umani che si era venuta a creare con la grazia commutata a Safarov e questa può essere ottenuta solo se l’ufficiale sconterà la pena a cui è stato condannato.

Da parte azera, Leyla Abdullayeva, portavoce del ministero degli Esteri, ha criticato “il tentativo dell’Armenia di politicizzare la CEDU e usarla come strumento nella sua campagna diffamatoria contro l’Azerbaigian”. Abdullayeva ha sottolineato che la Corte ha riconosciuto la non responsabilità di Baku nell’omicidio, la cui causa è legata “alla politica di aggressione” di Erevan.

Una pace sempre più lontana

Il pronunciamento di Strasburgo sul caso Safarov ha avuto una vasta eco mediatica sulla stampa armena. Nessuna delle parti ha, però, di che gioire da questa storia. Se in Armenia c’era la speranza di vedere l’omicida scontare la sua pena, il testo della sentenza contiene una serie di dichiarazioni di membri delle istituzioni azere a dimostrazione del clima di odio insanabile che scorre tra i due paesi. Tra le altre cose Safarov è stato definito: “un eroe”, “un figlio fedele dell’Azerbaigian”, “un esempio per i giovani” e si è parlato dell’omicidio come di “un gesto a difesa della patria”.

Quando le autorità di un paese arrivano a giustificare un delitto a sangue freddo, viene da pensare che gli ostacoli sulla strada della pace siano insuperabili. Sono passati tanti anni dalla fine della guerra del Nagorno-Karabakh e dai fatti di Budapest. Una generazione di armeni e di azeri è cresciuta in sistemi che promuovono l’odio reciproco, mentre al fronte giovani soldati continuano a morire.

Vai al sito

Armenia: premier Pashinyan, attenzione a norme sanitarie o restrizioni torneranno in vigore (Agenzianova 03.06.20)

Erevan, 03 giu 09:29 – (Agenzia Nova) – Le autorità dell’Armenia potrebbero essere costrette a imporre nuovamente delle misure restrittive e di distanziamento sociale se la popolazione non seguirà le norme igieniche sanitarie necessarie per evitare una nuova ondata di Covid-19. Lo ha detto il primo ministro Nikol Pashinyan dopo che il numero di casi confermati di coronavirus nel paese caucasico ha superato quota 10 mila. Pashinyan, che lunedì è risultato positivo insieme ad altri membri della sua famiglia, ha avvertito che un nuovo blocco potrebbe causare una grave crisi economica. “Abbiamo al massimo tre giorni per cambiare questa situazione”, ha detto il capo del governo di Erevan. Lo scorso 14 maggio in Armenia è stato prorogato lo stato d’emergenza dopo che il numero di contagi quotidiani ha segnato un aumento dalla fine di aprile. Tuttavia, progressivamente le autorità locali hanno iniziato a riaprire le scuole materne, i centri commerciali e le palestre ed è ripreso il servizio di trasporto pubblico. Resta obbligatorio, tuttavia, l’utilizzo delle mascherine sanitarie negli spazi pubblici. (Rum)

A Luino il capo della Chiesa Ortodossa Armena per la commemorazione del genocidio (Luinonotizie 03.06.20)

Venerdì 5 giugno, durante la S. Messa delle ore 18.00 nella Prepositurale dei SS. Pietro e Paolo di Luino, verrà commemorato l’anniversario del genocidio del popolo armeno, avvenuto tra il 1915 e il 1916 per mano dell’impero ottomano.

Sarà presente per l’occasione anche il capo della Chiesa Ortodossa Armena in Italiapadre Tyrair Hakobyan, che al termine della celebrazione farà la sua testimonianza.

Ricordare è un dovere umano. I nostri fratelli armeni per troppo tempo sono stati lasciati soli nel loro dolore immenso. L’impero ottomano perpetrò nei loro confronti il primo genocidio del ‘900, a cui si ispirò Hitler per la soluzione finale degli ebrei. Non è giusto chiamare questi abominii olocausti perché l’olocausto è un sacrificio gradito a Dio e Lui che è padre vuole che trionfi sempre il bene”, afferma Alessandro Franzettiche ha effettuato uno studio storico approfondito consultabile qui.

“Ringrazio la comunità armena di Milano, padre Tyrair Hakobyan capo della Chiesa Ortodossa Armena in Italia e il prevosto e decano di Luino don Sergio Zambenetti che presiederà la funzione di venerdì che ha come intenzione la memoria dei martiri del genocidio armeno. Sono invitati a partecipare tutti, fedeli, laici e chiunque abbia a cuore la verità storica e la memoria”.

Vai al sito