La Russia accusa l’Azerbaigian: violata la tregua in Nagorno-Karabakh (Euronews 27.03.22)

La Russia accusa l’Azerbaigian di violare l’accordo sul cessate il fuoco con l’Armenia in Nagorno-Karabakh, mediato nel novembre del 2020.

Baku ha respinto la richiesta di Mosca, che sollecita ritiro delle truppe azere dalle aree sotto il controllo delle forze di pace russe.

Secondo il Cremlino, le forze dell’Azerbaigian hanno compiuto quattro raid nell’area, usando i droni turchi Bayraktar.

Con una nota ufficiale, il ministero della Difesa russo ha dunque puntato il dito contro l’Azerbaigian per aver violato le disposizioni della dichiarazione tripartita dei leader di Russia, Azerbaigian e Armenia e ha chiesto l’immediato ripiegamento delle truppe.

L’avanzata azera avviena in pieno conflitto russo-ucraino.
Baku sostiene che Mosca non ha i diritto di definire illegali le mosse militari.
Le zone di confine tra il Nagorno-Karabakh e l’Azerbaigian rimangono militarizzate in un regime di “cessate il fuoco”, che registra numerose violazioni su entrambi i fronti.

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Tensioni tra Russia e Azerbaigian. Il rischio per Mosca di scoprire i fronti (Formiche.net 27.03.22)


Nuovo fronte: la Russia accusa l’Azerbaigian di aver violato il cessate il fuoco in Karabakh (Rennovatio21 27.03.22)

Ruanda, Armenia, Bosnia: i genocidi sono una cosa, le guerre d’aggressione, un’altra. Vademecum per Zelensky e Putin (Globalist 27.03.22)

Ruanda, Armenia, Cambogia, Siria, Cecenia, Kurdistan iracheno, Rojava curdo-siriano, Bosnia. E il fascismo italiano in Etiopia, Eritrea, Libia. Non c’è bisogno di ricordare l’Olocausto o cianciare su un “nuovo Hitler” insediato al Cremlino, per denunciare crimini contro l’umanità e criminali di guerra.

GENOCIDIO. Un crimine che ha insanguinato la storia, marchiato i quattro angoli del pianeta.

Sia chiaro: quella che si sta combattendo in Ucraina è una guerra d’aggressione, nella quale è chiaro chi sia l’invasore e chi sta resistendo all’aggressione.  Per questo non c’è bisogno, anzi è fuori luogo, il ripetere da parte del presidente Zelensky che contro il popolo ucraino si sta portando avanti, da parte del “nuovo Hitler” del Cremlino, la “soluzione finale”, arrivando, lui ebreo, a tirare in ballo la Shoah. Non c’è bisogno di queste forzature storiche, di paragoni imparagonabili, per dire della gravità di ciò che gli ucraini stanno subendo.

Ma il GENOCIDIO è altra cosa dall’Aggressione.  E’ voler cancellare dalla faccia della terra un popolo, una etnia, colpevole di esistere. Semplicemente di esistere. E questo crimine investe anche noi. Noi Europa, noi Occidente. Chiunque abbia esercitato un potere coloniale: Francia, Regno Unito, Belgio, Olanda, Portogallo. E sì, anche l’ItaliaGENOCIDIOè quello condotto dalla Cina contro la minoranza uiguri. E’ quello dei turchi contro gli armeni.  “Scarafaggi”. “Esseri inferiori”…La memoria storica non può, non deve essere selettiva. Manipolata a seconda di tornaconti politici, interessi economici più o meno inconfessati o inconfessabili. Decine e decine di milioni di esseri umani perseguitati, trucidati semplicemente perché esistevano.

GENOCIDIO è quello  del Ruanda fu uno dei più sanguinosi episodi della storia dell’umanità del XX°secolo. Secondo le stime di Human Rights Watch, dal 7 aprile alla metà di luglio del 1994, per circa 100 giorni, in Ruanda vennero massacrate sistematicamente (a colpi di armi da fuoco, machete, pangas e bastoni chiodati), almeno 500.000 persone; le stime sul numero delle vittime sono tuttavia cresciute fino a raggiungere cifre dell’ordine di circa 800.000 o 1.000.000 di persone.

Le vittime furono prevalentemente di etnia Tuts, corrispondenti a circa il 20% della popolazione, ma le violenze finirono per coinvolgere anche Hutu moderati appartenenti alla maggioranza del paese. L’odio interetnico fra Hutu e Tutsi, molto diffuso nonostante la comune fede cristiana, costituì la radice scatenante del conflitto, pur se l’idea di una differenza di carattere razziale fra queste due etnie è estranea alla storia ruandese e rappresenta semmai uno dei lasciti più controversi del retaggio coloniale belga.  Fu infatti l’amministrazione coloniale del Belgio che, a partire dal 1926, trasformò quella che infatti era una semplice differenziazione socio-economica (gli Hutu erano agricoltori, i Tutsi allevatori; e gli scambi e i matrimoni misti fra i due gruppi erano comuni) in una differenza razziale basata sull’osservazione dell’aspetto fisico degli individui.

GENOCIDIOE’ quello degli armeni. 

“Aksor! Gridavano le donne. Questa parola – deportazione – suscitò in mia madre un urlo di disperazione. Lei sapeva”. Era il luglio del 1915 e a ricordare è Varvar, che allora aveva 6 anni e che in seguito raccontò alla figlia, giornalista e scrittrice, la sua storia di sopravvissuta al genocidio degli armeni. Una tragedia e un crimine contro l’umanità che fino al 1973 il mondo ha finto di ignorare. Solamente allora, infatti, la Commissione dell’Onu per i diritti umani ha riconosciuto ufficialmente lo sterminio di circa 1 milione e mezzo di armeni – da parte dell’Impero ottomano – come il primo genocidio del XX secolo.

Gli armeni divennero agli occhi degli ottomani una minaccia esistenziale, e tra il marzo e l’aprile del 1915 si delineò l’intenzione sistematica di eliminarli dal territorio dell’impero.

Gli intellettuali e i mercanti armeni nelle grandi città dell’impero, come Istanbul e Smirne, furono arrestati e in gran parte uccisi, ma il vero genocidio si compì nell’Anatolia orientale. Gli attacchi dell’esercito ottomano contro la popolazione armena e le persecuzioni sistematiche furono atroci. Alcune comunità armene cercarono di opporre resistenza, come quella della provincia di Van, sul lago omonimo, ma fu in gran parte inutile: quando le forze russe conquistarono Van, trovarono 55 mila cadaveri di armeni.

L’impero ottomano cominciò inoltre un vasto programma di deportazioni di massa: anziani, donne e bambini furono costretti a lasciare le loro case e a percorrere centinaia di chilometri a piedi per poi essere rinchiusi in decine di campi di concentramento nel deserto della Siria: la maggior parte dei prigionieri fu giustiziata o morì di stenti, di fame e di malattie.

La gran parte del genocidio degli armeni si compì nel giro di un anno, tra il 1915 e il 1916, ma i massacri continuarono anche per gran parte degli anni Venti.

Dei 2,5 milioni di armeni che si trovavano nell’impero ottomano all’inizio del secolo il 90 per cento fu ucciso o deportato fuori dall’impero. Si stima che alla fine del genocidio circa un milione di armeni morì per mano degli ottomani. Alcune centinaia di migliaia di donne e bambini furono costretti a convertirsi all’Islam e furono adottati da famiglie turche, mentre moltissimi altri armeni fuggirono, creando una diaspora che ancora oggi è forte in molti paesi del mondo, compresi gli Stati Uniti.

 “Italiani, brava gente”.

E poi noi, noi Italia. Nelle scuole superiori dovrebbe essere adottato un libro straordinario, scritto da una persona straordinaria qual è stato Angel Del Boca, lo storico del colonialismo italiano, scomparso. Il libro s’intitola I gas di Mussolini. Il fascismo e la guerra di Etiopia (Editori Riuniti).

Oltre trentamila civili etiopi uccisi, quasi tutti civili, molte donne, bambini, moltissimi mendicanti. In gran parte bruciati vivi, impiccati, ammazzati di botte, fucilati davanti alle loro case o in strada in virtù di una presunta superiorità razziale italiana e della cieca volontà di dominio di Benito Mussolini. Anche l’Etiopia ha le sue “giornate della memoria”, a ricordo del cosiddetto massacro di Addis Abeba del 19, 20 e 21 febbraio del 1937, una strage commessa durante il periodo dell’occupazione da parte dell’Italia fascista (1935-1941).

Tra il 19 e il 21 febbraio del ’37, centinaia di civili italiani, militari del Regio Esercito e squadre fasciste diedero vita a una spietata rappresaglia dopo un attentato commesso dai partigiani etiopi contro il viceré Rodolfo Graziani ed altri ufficiali del suo seguito, gerarchi fascisti negli anni precedenti non aveva esitato a fare della popolazione etiope “carne da macello”, anche riversando – su ordine proprio di Graziani – tonnellate e tonnellate di agenti chimici, come le bombe all’iprite vietate dalle convenzioni internazionali. Contro quel massacro combattevano i patrioti etiopi. Due eritrei della resistenza etiope la mattina del 19 febbraio lanciarono delle bombe a mano nel palazzo Guennet Leul di Addis Abeba causando la morte di sette persone e il ferimento di una cinquanta di presenti, tra cui Graziani, i generali Aurelio Liotta e Italo Gariboldi, il vice-governatore  Armando Petretti e il governatore della capitale Alfredo Siniscalchi.

La risposta del regime fascista fu brutale. In meno di tre giorni le strade di Addis Abeba vennero prese d’assalto da squadracce fasciste: militari italiani armati di tutto punto e moltissimi civili scesero in strada dando vita a quella che Antonio Dordoni, un testimone, definì “una forsennata caccia al moro”. “In genere – si legge nel libro dello storico Angelo Del Boca – davano fuoco ai tucul con la benzina e finivano a colpi di bombe a mano quelli che tentavano di sfuggire ai roghi”. Alla rappresaglia presero parte non solo i soldati italiani ma, in un clima di assoluta impunità, anche commercianti, autisti, funzionari e persone comuni che si macchiarono di violenze di ogni tipo. Gli etiopi che malauguratamente portavano addosso anche solo un coltello, venivano uccisi sul posto; in migliaia furono arrestati e torturati senza alcuna ragione, senza nessuna prova a loro carico. La ritorsione fu particolarmente feroce negli agglomerati di tucul lungo i torrenti Ghenfilè e Ghilifalign, che attraversano Addis Abeba da nord a sud. “Per ogni abissino in vista – scriveva Del Boca – non ci fu scampo in quei terribili tre giorni ad Addis Abeba, città di africani dove per un pezzo non si vide più un africano”. I corpi di migliaia di civili etiopi vennero gettati in fosse comuni: alla fine si contarono oltre 30mila vittime, tutte innocenti, tutte etiopi.

Per non dimenticare. Per non auto-assolverci. E per poter superare, ciascuno di noi, la “prova dello specchio”. Guardarsi in faccia e non provare vergogna.

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Quei “cani armeni” sacrificati dall’Italia per le consegne di petrolio e gas (Newsletter Giulio Meotti 26.03.22)

Abbiamo deciso la fine degli idrocarburi russi per sostenere l’Ucraina, ma in queste ore il più antico popolo cristiano muore nel nostro silenzio generale perché l’Azerbaijan possa rifornirci

Da sinistra, una chiesa armena rasa al suolo; un francobollo azero che celebra la “disinfezione” delle terre armene; un civile armeno decapitato dai soldati azeri e il presidente azero Alyev che mostra gli elmetti dei soldati armeni uccisi

Tre soldati armeni sono stati uccisi in un attacco di droni azeri. L’attacco ha sollevato preoccupazioni sul cessate il fuoco che ha posto fine alla terribile guerra del 2020 tra Azerbaigian e Armenia sul territorio armeno del Nagorno Karabakh. Più di 5.500 soldati armeni erano stati uccisi nella guerra di sei settimane che si è conclusa con la conquista dell’Azerbaigian di due terzi del Nagorno-Karabakh.

Se l’Occidente ha deciso la fine della dipendenza dagli idrocarburi russi per sostenere l’Ucraina, in queste ore muoiono gli armeni nel più meschino silenzio generale, destinati a essere spazzati via perché l’Europa possa ricevere greggio e gas dall’Azerbaijan.

Mario Draghi ha discusso nelle scorse ore con il presidente dell’Azerbaigian Alyev del “rafforzamento della cooperazione bilaterale” sull’energia. L’Azerbaigian è già il primo fornitore di petrolio per l’Italia. Il più importante, visto che nel 2021 (dati unem) è valso il 22,3 per cento del totale delle nostre importazioni. La quota della Russia è del 10 per cento. E con il Tap, anche il gas azero sarà vitale per il nostro paese, come per altri paesi europei.

L’Azerbaigian approfitta della tragedia in Ucraina per violare il cessate il fuoco in Nagorno-Karabakh e “finire il lavoro”. “Funzionari eletti, giornalisti, istituzioni: bisogna uscire dall’indignazione selettiva”, scrive l’eurodeputato francese e filosofo Francois Xavier Bellamy. “Perché non ci preoccupiamo dell’Armenia come facciamo con l’Ucraina?”, chiede il giornalista Jean-Christophe Buisson. Perché Draghi e gli altri leader europei non hanno mai chiesto ad Alyev di smettere di uccidere i “cani armeni”, come li ha definiti il presidente azero? Niente aiuto militare agli armeni. Nessuna mozione europea. Nessun articolo di stampa.

Non abbiamo voluto vedere il Museo dei trofei che a Baku Aliyev ha fatto costruire: figure in cera a grandezza naturale che ritraggono soldati armeni morenti, su un letto d’ospedale, in un veicolo blindato, con volti emaciati e occhi smunti.

Non abbiamo voluto leggere, su Vice, la testimonianza di soldati armeni prigionieri degli azeri. “Hanno inserito le loro mani nella ferita del mio stomaco. Mi hanno buttato peperoncino negli occhi e bruciato le mani. Mi hanno picchiato con i manganelli. Ogni volta che venivo passato a un nuovo gruppo di soldati venivo torturato”. O la giornalista turca Uzay Bulut che ha raccontato di diversi video filmati dagli azeri e che mostrano prigionieri di guerra armeni o civili decapitati e mutilati. “Uno di questi video mostra la testa mozzata di un uomo armeno su un maiale macellato. Un altro mostra la testa mozzata di un soldato impalata su un bastone di legno. In un altro video, i soldati azeri tagliano le orecchie a un vecchio, tenuto fermo sul pavimento della sua casa”.

Non abbiamo voluto sentire quello che alla parata militare organizzata dal presidente azero Aliyev, a Baku, per celebrare la guerra contro gli armeni, ha detto il presidente turco Erdogan, che ha evocato lo spirito di Pasha e degli architetti del genocidio armeno. Al tempo, le donne armene hanno dovuto “scegliere” quali figli tenere e quali abbandonare lungo le marce della morte, se suicidarsi o meno, come difendere le figlie dagli stupri. La storia non si ripete mai uguale. Ma, in qualche modo, si ripete.

Ma per l’Europa, persino Uiguri e Rohingya sono vittime più preziose degli Armeni.

L’indignazione selettiva su Ucraina e Armenia è presto spiegata. L’Ucraina è il cuore di un grande risiko fra due superpotenze, Russia e Stati Uniti ed Unione Europea. L’Armenia è solo un piccolo paese da tre milioni di abitanti e senza risorse naturali. Durante i 44 giorni di guerra, gli armeni hanno perso 5.500 uomini, che per quel popolo rappresenta un’intera fascia di età. Hanno perso quasi tutti i giovani tra i 18 e i 22 anni in servizio. È stata una guerra asimmetrica: gli armeni sono cristiani circondati 82 milioni di turchi, 10 milioni di azeri e 15 milioni di azeri in Iran. La loro sopravvivenza dipende solo dai russi che sono venuti in loro aiuto e nessun russo, con la guerra in Ucraina in corso, oggi interverrebbe in difesa degli armeni. Il panturkismo di Erdogan vuole andare oltre i vecchi confini dell’Impero Ottomano, ma sulla sua strada c’è quel che resta del Nagorno-Karabakh armeno e Syunik, una provincia dell’Armenia. L’ultima guerra è stata anche un grande test sulle armi: gli azeri hanno usato armi non convenzionali come il fosforo o le bombe a grappolo; hanno massacrato tutti quelli che potevano e hanno fatto molti prigionieri. David Boyajian nel suo rapporto ha raccontato quello che si dicevano i jihadisti usati da turchi e azeri: “Siamo venuti in Armenia per uccidere i kaffir, gli infedeli. Ci hanno promesso uno stipendio di 2.000 dollari e un bonus di 100 per ogni testa tagliata. Ci hanno detto espressamente di tagliare teste”. Un video è stato girato dalle forze armene e il prigioniero è uno dei tanti mercenari che azeri e turchi hanno usato nella guerra. Hanno decapitato anziani civili inermi. Come Alvard Tovmasyan. Si era rifiutata di lasciare la sua casa nel villaggio di Karin Tak fuori Shushi, nel Karabakh caduto nelle mani dell’Azerbaijan. Hanno trovato il suo corpo torturato, mani, orecchie e piedi tagliati. Gli azeri hanno testato droni turchi. Fu un massacro, fermato solo dai russi che alla fine sono dovuti intervenire. Sul campo contro gli armeni c’erano generali turchi e jihadisti a cui era stato promesso un bonus di 100 euro pro capite per ogni armeno ucciso e una casa nel Nagorno-Karabakh. È una logica genocida: eliminiamo la popolazione armena, la sostituiamo e cancelliamo le tracce delle sue chiese. Racconta Le Figaro Magazine che a Yerevan gli armeni hanno messo in un bunker molte “khachkar”, le famose stele simbolo dell’identità cristiana armena. Rappresentano l’albero della vita e la sua vittoria sulla morte. Opere d’arte, le più antiche delle quali risalgono al IX secolo. Vi hanno portato in salvo anche i frammenti di affreschi parietali delle due chiese medievali di Dadivank, oggi protette dai soldati russi ma passate agli azeri. Perché come ha detto il direttore dell’Unione degli architetti dell’Azerbaijan, Elbay Qasimzade, “dobbiamo distruggere tutte le chiese in Karabakh”. Non illudiamoci che interverranno i “Palazzi della cultura”. L’Azerbaigian ha dato un contributo di 5 milioni di dollari all’Unesco. Bastava vedere un altro video: soldati azeri entrano nella chiesa di Mataghis, prendono in mano un poster dell’Ultima cena e dicono, ‘entriamo nella loro chiesa, tutto qui appartiene agli armeni, facciamola a pezzi’”.

Permettiamo che massacrino i nostri cugini orientali, questo piccolo meraviglioso popolo, vero “figlio maggiore della Chiesa”, il primo dell’Impero Romano a essersi convertito al cristianesimo, nel 301.

“Gli armeni hanno vissuto una guerra di civiltà nell’indifferenza del resto del mondo”, scrive Krikor Amirzayan, reporter di Nouvelles d’Arménie, sulla rivista francese Front Populaire. “Questa cultura giudaico-cristiana che abbiamo si oppone alla cultura azera filo-turca e fanatica, specialmente di questi jihadisti siriani. Ci sono alcuni video orribili in giro. Un soldato e un civile possono essere visti nella città di Hadrut, sono stati legati con una bandiera armena prima di essere fucilati. Questi video di abusi massicci non si contano a decine, ma a centinaia. Spesso i soldati azeri hanno recuperato i telefoni dei soldati armeni per inviare le immagini dei loro abusi alle famiglie di questi ultimi. Erdogan vuole che questa zona sia islamica. Inoltre, lui stesso ha affermato che questa zona non è cristiana ma che è un’area musulmana. Quello che hanno vissuto gli armeni è stata una guerra di civiltà promossa da Erdogan e dalla sua Turchia espansionista, nell’indifferenza del resto del mondo”.

Per questo, fra amici e sacerdoti, ho deciso di far girare il sostegno economico e morale alla Christians in Need Foundation e al suo progetto ispirato dalla scrittrice armena Antonia Arslan (chi volesse fare una donazione può contattarmi).

Gli armeni avevano persino dissotterrato i loro morti nel Nagorno-Karabakh, sapendo che gli azeri avrebbero profanato le loro tombe. Sapevano cosa aspettarsi. Quello che non si aspettavano è l’ignominioso silenzio dell’Europa che fa la morale sul petrolio e il gas russo ma non si scompone nell’accettare le consegne azere sporche di sangue armeno. Ha ragione quel soldato armeno che dice a Le Figaro: “Se i miei amici ventenni caduti fossero stati dei piccoli panda, i media europei ne avrebbero parlato molto di più”. Già, ma erano solo cristianucci aggrediti da islamici…

Eva Gevorgyan per la Gia: Beethoven, Chopin e Skrjabin (Brescia oggi 26.03.22)

È la diciassettenne pianista russo-armena Eva Gevorgyan la protagonista del recital per la Gia in programma alle 18 in San Barnaba per un programma che inizierà con la Sonata op. 31 n. 2 in re minore «La tempesta» di Ludwig van Beethoven e che nella prima parte ospita anche la Sonata n. 2 in si bemolle minore op. 35 di Fryderyk Chopin. La seconda parte è dedicata al grande, complesso ciclo dei 24 Preludi op. 11 di Aleksandr Skrjabin, nel 150° della nascita. Nel 2020 Eva è stata invitata ad esibirsi a Erevan davanti al Presidente dell’Armenia Armen Sarkissian e ha suonato inoltre alla presenza del nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione del Festival Alto Adige. Sempre alle 18, nella chiesa di San Cristo in via Piamarta sarà ricordata in musica e in parole Laura Novati, recentemente scomparsa. Il programma dell’incontro sarà presentato da Maria Vittoria Novati e ci saranno poi varie testimonianze come quelle del suo ex alunno Piergiacomo Calzavara Pinton, di Nino Dolfo e di Gianni Peresson. I contributi musicali, degli strumentisti dell’Isidoro Capitanio, partiranno dalla Bourrée BWV 996 di Bach eseguita al clarinetto da Mirko Lombardi e proseguiranno col Divertimento per tre clarinetti di Mozart con Giuliano Mariotti, Augusto Mazzoni e Antonino Castronovo, e la Morte del Cigno dal Carnevale degli Animali di Saint-Saëns con Giuditta Lombardi al violoncello. L’ingresso è gratuito, è richiesto il rispetto delle prescrizioni anti Covid con green pass e mascherina. Tre giovani pianisti alle 20.30 al Salone Monumentale del Museo Diocesano di via Gasparo da Salò, per il concerto «Piano Virtuoso» dei Talent Music Master Concerts. Anche qui l’ingresso è gratuito e la serata inizierà con Narmin Rzayeva per la Sonata per pianoforte n. 28 in la maggiore op. 101di Beethoven, proseguendo con Anna McCargow per l’Andante spianato e Grande Polacca brillante op. 22 di Chopin. La conclusione della serata con Mia Pecnik per Reflets dans l’eau, Hommage à Rameau e Mouvement, il primo libro delle Images di Claude Debussy. •. L.Fert.

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Nagorno-Karabakh: continuano i combattimenti, Erevan chiede rafforzamento contingente russo (Agenzia nova 26.03.22)

Le autorità di Stepanakert, capoluogo dell’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh, hanno accusato oggi le Forze armate azerbaigiane di aver effettuato degli attacchi per provare ad occupare ulteriori territori nella regione contesa. Le Forze armate azerbaigiana avrebbero in particolare sferrato degli attacchi in un’area dove il controllo della sicurezza è affidato ai peacekeeper russi nei pressi della località di Karaglukh. Secondo quanto riferisce una nota dell’esercito dell’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh, i soldati “stanno prendendo le misure necessarie per fermare l’avanzata del nemico” e stanno lavorando con i peacekeeper russi di stanza nella regione per far cessare le ostilità. Il ministro di stato dell’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh, Artak Beglaryan, ha parlato di un attacco “senza successo” da parte azerbaigiana. Il ministero della Difesa di Baku ha intanto parlato di un tentativo di attacco da parte armena su una delle postazioni lungo la linea del fronte che sarebbe stato respinto. Le tensioni nel Nagorno-Karabakh sono riprese da giovedì dopo che le Forze armate azerbaigiane avrebbero riconquistato il villaggio di Askeran cercando di avanzare ulteriormente verso ovest. Tre soldati armeni sono rimasti uccisi ieri, mentre diversi altri sono stati feriti. Il ministero degli Esteri di Erevan ha invitato oggi la comunità internazionale a compiere passi “concreti e mirati” per prevenire i tentativi di destabilizzazione nel Caucaso meridionale. Erevan ha aggiunto di aspettarsi un rafforzamento del contingente russo nel Nagorno-Karabakh al fine di far tornare la situazione alla normalità.

Ministero Difesa Mosca: “L’Azerbaigian ha violato gli accordi sul cessate il fuoco”

Le Forze armate dell’Azerbaigian sono entrate in un’area di responsabilità del contingente di peacekeeping russo nel Nagorno-Karabakh, conducendo quattro attacchi con droni Bayraktar TB-2 nei pressi del villaggio di Parukh. È quanto riferisce una nota del ministero della Difesa russo, secondo cui la missione di peacekeeping sta prendendo misure per impedire l’aggravarsi della situazione. “Un appello è stato inviato alla parte azerbaigiana per il ritiro delle truppe”, si legge nella nota del ministero della Difesa russo. Secondo il dicastero russo, anche nei giorni scorsi le Forze armate azerbaigiane hanno condotto degli attacchi “in violazione” dell’accordo tripartito (Russia, Azerbaigian e Armenia) del 9 novembre 2020. Le autorità di Stepanakert, capoluogo dell’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh, hanno accusato oggi le Forze armate azerbaigiane di aver effettuato degli attacchi per provare ad occupare ulteriori territori nella regione contesa. Le Forze armate azerbaigiana avrebbero in particolare sferrato degli attacchi in un’area dove il controllo della sicurezza è affidato ai peacekeeper russi nei pressi della località di Karaglukh. Secondo quanto riferisce una nota dell’esercito dell’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh, i soldati “stanno prendendo le misure necessarie per fermare l’avanzata del nemico” e stanno lavorando con i peacekeeper russi di stanza nella regione per far cessare le ostilità.

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Artsakh – Attacchi azeri, morti e feriti mentre l’Occidente tace (Assadakah 26.03.22)


Russia accusa Azerbaigian: violata tregua in Nagorno-Karabakh (Tgcom24 26.03.22)


Putin ha accusato l’Azerbaigian di aver violato l’accordo di cessate il fuoco nel Nagorno-Karabakh entrando nell’area controllata dalla missione russa. (Flaminiaedintorni 26.03.22)


 

Estonia: Stefan Airapetjan lancia un messaggio di pace (Eurovision 26.03.22)

Stefan Airapetjan, il rappresentante Estone selezionato per l’Eurovision Song Contest di Torino, dice di voler ispirare la gente che ascolta la sua canzone e incoraggiarla a non perdere mai la speranza. In un’intervista con il sito Armeno NEWS.am STYLE (qui l’articolo originale) il ventiquattrenne parla delle sue radici Armene e del messaggio principale della sua canzone Hope. Stefan ha vinto il concorso Eesti Laul aggiudicandosi così di poter rappresentare il suo paese all’Eurovision.

Ho deciso di andare all’Eesti Laul col desiderio di vincere, ed ero pronto a qualsiasi risultato. E’ un grandissimo onore rappresentare il mio paese, specialmente con questa canzone che ha un messaggio ancora più forte visto ciò che sta accadendo nel mondo.

Il giovane artista ama l’Eurovision per la sua capacità di unire i popoli e le nazioni. “L’ho sempre guardato con la mia famiglia, e votiamo per l’Armenia, mentre i nostri amici Armeni votano per l’Estonia.” Riguardo al messaggio principale del brano Hope, con cui Stefan gareggerà a Torino, è tutto incentrato sul rimanere forti e non arrendersi mai.

Voglio mandare un messaggio a tutti con questa canzone: siate forti, non perdete mai la speranza in un futuro migliore, e agite per realizzare questa speranza. Spero che dia alla gente la forza di combattere il male.


Sull’Armenia

Parlando delle sue radici Armene, Stefan ha commentato che nonostante viva in Estonia, ha sempre sentito un legame con l’Armenia.

Entrambi i miei genitori sono Armeni e io parlo Armeno e sono stato in Armenia molte volte. Tutti i miei parenti dal ramo paterno vivono in Armenia, è per questo che vengo in Armenia spesso. So che l’Armenia ha vinto il Junior Eurovision, e questo mi rende molto orgoglioso di essere Armeno. Malena ha una voce magnifica e sono molto contento per lei. Sirusho è una dei miei artisti preferiti in Armenia.”

Stefan spera anche di poter andare in Armenia a fare dei concerti. “Mi piacerebbe venire a fare un concerto in Armenia, ma penso che sia meglio farlo dopo l’Eurovision. Dovrò prendere contatti con qualcuno in Armenia per programmarlo.

L’Eurovision Song Contest 2022 si terrà a Torino il 10, 12 e 14 di Maggio. Stefan si esibirà il 12 Maggio nella seconda semifinale, mentre Rosa Linn, rappresentante dell’Armenia, si esibirà nella prima il 10 Maggio. Se entrambi riusciranno a passare il turno, i due si incontreranno nella finale del 14 Maggio.

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Da giovedì a domenica tanta musica armena e due prime assolute (Montecarlonews 23.03.22)

L’Armenia sarà protagonista di questo penultimo weekend del festival che ne omaggerà la storia antichissima con concerti, una coreografia, una proiezione cinematografica e una mostra dedicata al regista e artista Sergei Parajanov.

Da giovedì a domenica tanta musica armena e due prime assolute

L’Armenia sarà protagonista di questo penultimo weekend del festival che ne omaggerà la storia antichissima con concerti, una coreografia, una proiezione cinematografica e una mostra dedicata al regista e artista Sergei Parajanov.

Per il concerto di giovedì 24 la musica dell’armeno Komitas e dell’ungherese Bartók, etnomusicologi ante litteram, incorniciano la prima esecuzione assoluta (L’Ombre d’un doute, double concerto pour violoncelles et orchestre à cordes) di Bastien David commissionata dal Festival Printemps des Arts con l’Orchestre national d’Auvergne diretta da Roberto Forés Veses e i solisti Marie Ythier e Éric-Maria Couturier al violoncello.

Venerdì 25 sarà la volta del canto armeno poetico ed evocativo affidato al soprano Karine Babajanyan accompagnata dal pianista Vardan Mamikonian.

Sabato 26 alla masterclass pianistica mattutina segue un recital pomeridiano (ore 15.00) per i violinisti Gaspard Maeder e Hugo Meder in cui la degustazione di vini si mescola a quella musicale. Il pomeriggio prosegue con la proiezione di un film e una mostra dedicati a Sergei Parajanov, una delle voci più importanti del cinema e dell’arte armena: alle 17.30 al Lycee Technique et Hotelier vi sarà la proiezione del film Sayat Nova, La Couleur de la grenade e alle 19 all’Opera si terà l’inaugurazione della mostra. Sempre all’Opera, nella Salle Garnier, alle 20 sarà possibile esplorare la musica tradizionale armena affidata all’Ensemble Gurdjieff.

Domenica 27 a Nizza al Conservatoire à Rayonnement Regional protagonista il balletto con una doppia prima assoluta di musica e danza armena commissionata dal Printemps des Arts: Sept, les anges de Sinjar di Aram Hovhannisyan e Michel Petrossian con la coreografia di Michel Hallet Eghayan. Gli interpreti saranno la Compagnie Hallet Eghayan e l’Ensemble Orchestral Contemporain diretto da Léo Margue.

 

GIOVEDÌ 24 MARZO

18.30 – INCONTRO

con Bastien David, compositore

mediatore Tristan Labouret, musicologo

Théâtre des Variétés

 

20.00 – THEATRE DES VARIETES

CONCERTO

Komitas Vardapet Fourteen Pieces on Themes of Armenian Folk Songs, per orchestra d’archi (trascrizioni – estratti)

Bastien David L’Ombre d’un doute, double concerto pour violoncelles et orchestre à cordes (prima esecuzione assoluta, commissionata dal Printemps des Arts de Monte-Carlo)

Béla Bartók Divertimento pour orchestre à cordes 

Orchestre national d’Auvergne

Roberto Forés Veses direzione musicale e artistica

Marie Ythier e Éric-Maria Couturier violoncello

 

VENERDÌ 25 MARZO

18.30 – ONE MONTE-CARLO, AMPHITHEATRE

INCONTRO

con Anahit Mikayelyan del Musée Sergei Parajanov (Erevan, Arménie) e Michel Petrossian, compositore, «Folklore armeno e arte colta» mediatore e musicologo Tristan Labouret

 

20.00 – ONE MONTE-CARLO, SALLE DES ARTS

CONCERTO

Mélodies d’Arménie et d’ailleurs

Karine Babajanyan soprano

Vardan Mamikonian pianoforte

 

22.30 – AFTER

CLUB DES RESIDENTS ETRANGERS DE MONACO

con Vardan Mamikonian

 

SABATO 26 MARZO

10.00/13.00 – MASTER CLASSE

con Vardan Mamikonian, pianoforte

Conservatoire à Rayonnement Régional de Nice

 

15.00 – LYCEE TECHNIQUE ET HOTELIER

CONCERTO-DEGUSTAZIONE PER DUE VIOLINI

Jean-Marie Leclair Sonate, op. 3 no 1 

Sergueï Prokofiev Sonate, op. 56 

Luciano Berio Duos (extraits)

Béla Bartók 44 duos (quatrième cahier)

Gaspard Maeder e Hugo Meder violino

 

17.30 – CINEMA DES BEAUX-ARTS

PROIEZIONE DEL FILM

Sergei Parajanov Sayat Nova, La Couleur de la grenade

A preludio della proiezione: opere d’Arno Babadjanian e Aram Khatchaturian con allievi della classe di pianoforte dell’Académie Rainier III

 

19.00 – OPERA DE MONTE-CARLO, ATRIUM

INAUGURAZIONE DELL’ESPOSIZIONE SERGEI PARAJANOV

In presenza di Anahit Mikayelyan del Musée Sergei Parajanov (Erevan, Arménie)

 

20.00 – OPERA DE MONTE-CARLO, SALLE GARNIER

CONCERTO

Komitas Vardapet Musique traditionnelle arménienne

Georges Gurdjieff Œuvres diverses

Ensemble Gurdjieff

Levon Eskenian direzione artistica

 

22.30 – AFTER

con Gaspard Maeder e Hugo Meder

 

DOMENICA 27 MARZO

15.00 – CONSERVATOIRE A RAYONNEMENT REGIONAL DE NICE

BALLETTO

Aram Hovhannisyan e Michel Petrossian

Sept, les anges de Sinjar (prima esecuzione assoluta commissionata dal Printemps des Arts de Monte-Carlo)

Compagnie Hallet Eghayan

Michel Hallet Eghayan choreografia

Ensemble Orchestral Contemporain 

Léo Margue direzione

 

Modalità di prenotazione e di acquisto dei biglietti:

Il prezzo dei biglietti varia da 20 a 40 euro; entrata gratuita per i bambini fino ai 12 anni.

biglietti di 10 euro per giovani dai 13 ai 25 anni. Per gruppi biglietti ridotti.

 

FESTIVAL PRINTEMPS DES ARTS DE MONTE-CARLO

12 avenue d’Ostende MC 98000 Monaco, tel + 377 98 06 28 28; printempsdesarts.mc

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Il restauro del pavimento della Basilica del Santo Sepolcro, un lavoro tutto italiano (AciStampa 21.03.22)

Il Patriarca greco ortodosso, il Custode di Terra Santa e il Patriarca Armeno possano che sollevano la prima pietra del pavimento del Santo Sepolcro e benedicono l’avvio ai lavori. É sicuramente la immagine più bella del 14 marzo 2022 a Gerusalemme.

É il frutto di un accordo fra le Comunità cristiane che storicamente sono le guardiane e servitrici dei luoghi santi, ossia il Patriarcato greco-ortodosso, la Custodia di Terra Santa, il Patriarcato armeno. Sarà la Custodia di Terra Santa a farsi carico di alcuni interventi nel Santo Sepolcro di Gerusalemme, a prosecuzione del restauro dell’Edicola di Cristo, curata dal Patriarcato greco-ortodosso nel 2016-17.

Quello che sicuramente si vedrà subito finiti i lavori è il restauro della pavimentazione dell’intera Basilica del Santo Sepolcro.

“Questo progetto comune è stato iniziato già due anni fa, e tutto era pronto per l’inizioreale dei lavori” ha ricordato il Custode di Terra Santa Fr. Francesco Patton nel suo discorso.”La pandemia ha rallentato la possibilità di muoverci dal progetto all’esecuzione, ma ora siamo pronti ad iniziare. In questo contesto storico, con la pandemia e la guerra, la cooperazione ai lavori di restauroassume un significato diverso, perché questo è il luogo in cui Gesù diventa pietra angolare della Chiesa”.

Ci sarà poi la di messa in sicurezza dell’Edicola di Cristo, e la verifica della sua stabilità statica e la revisione degli di impianti elettrici, idrici, meccanici, speciali, antincendio.

Il lavoro scientifico porta la firma italiana della Università la Sapienza di Roma con Giorgio Piras, Direttore del Dipartimento di Scienze dell’Antichità. Il pavimento sarà resataurato

Dal Centro per la Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”. Infine il Politecnico di Milano è responsabile della documentazione e del modello HBIM. La ditta Manens – TIFS SpA di Padova è responsabile di tutti gli impianti; la ditta IG Ingegneria Geotecnica di Torino è responsabile degli interventi per la messa in sicurezza dell’Edicola di Cristo e della stabilità dell’intero edificio durante i lavori.

La cerimonia del 14 marzo si è svolta in due momenti. Prima la preghiera in tre lingue diverse, greco, latino e armeno, poi il discorso del Patriarca Greco-Ortodosso: “il restauro dell’Edicola è segno di speranza per il mondo. Siamo profondamente grati a tutti gli esperti che hanno reso possibile tutto questo e siamo convinti che questo porterà a un’ottima realizzazione del progetto di restauro della Rotonda dell’Anastasis iniziato anni fa, e del resto della pavimentazione della Basilica”.

Dopo il Custode Patton anche l’arcivescovo SevanGharibian ha salutato con gli “auguri alle nostre comunità per questo progetto e auguri ai tecnici, che faranno sicuramente del loro meglio per completare i lavori nel miglior modo possibile”.

I lavori iniziano dal corridoio antistante la Sacrestia dei Francescani .

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“La pace va costruita ogni giorno Andiamo avanti con la diplomazia” (Ilrestodelcarlino.it 21.03.22)

l sessantanovenne Baykar Sivazliyan è presidente dell’Unione degli Armeni in Italia e ha vissuto parte della sua vita lottando contro la guerra. Nel 2012 è stato nominato accademico corrispondente della Accademia dei Filopatridi di Savignano. In Italia ci sono 3mila armeni, a Cesena tre famiglie e in provincia gli armeni sono una cinquantina. Sivazliyan è molto legato alla Romagna perché con questa terra ha delle relazioni familiari in quanto la sua compagna è di Capannoguzzo di Cesenatico.

Sivazliyan come vive questa situazione della guerra fra Russia e Ucraina?

“Con un grande disagio perché io vengo da un’appartenenza etnica che per secoli ha vissuto con la guerra e ha subito un genocidio, il primo del XX secolo”. Cosa si dovrebbe fare per riportare la pace?

“Prima di tutto la serenità degli animi e uno sguardo più attento nei confronti dei nostri figli. La pace bisogna costruirla giorno dopo giorno senza dimenticare che la diplomazia è la scienza del possibile”.

Chi potrebbe convincere Putin a smettere di bombardare l’Ucraina?

“Putin ha una vena religiosa ortodossa molto forte. Io penso che il patriarcato di Mosca con l’aiuto della Santa Sede di Roma potrebbe essere una chiave di svolta di questa immensa tragedia”.

Si arriverà alla pace?

“Penso di sì. Ho la sensazione che saremmo già potuti arrivarci. Temo che le chiacchiere di noi occidentali abbiano lasciato due contendenti ad ammazzarsi per settimane. Quando c’è la guerra non vedono coloro per i quali alzano la voce, ma quelli che con umiltà, come ha fatto il Papa, si recano ai piedi del guerrafondaio. Solo così si possono ottenere risultati rapidi”.

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