Roma (Agenzia Fides – I vescovi della Chiesa patriarcale di Cilicia degli Armeni, riuniti in Sinodo a Roma dal 4 al 12 febbraio presso il Pontificio Collegio Armeno “in Urbe” sotto la presidenza del Patriarca Raphaël Bedros XXI Minassian, durante le sessioni di lavoro hanno preso in esame le procedure e le azioni necessarie per avviare la Causa di canonizzazione del Cardinale e Patriarca Krikor Bedros Agagianian, che dal 1960 al 1970 fu Prefetto della Congregazione di Propaganda Fide. A tale scopo – riferisce il comunicato finale dei lavori del Sinodo – verrà avviata la ricerca delle testimonianze e del materiale utili a far procedere senza lungaggini le varie fasi del processo di canonizzazione, una volta avviato. Tra le altre cose, si è stabilito anche di iniziare la stesura di studi utili a ricostruire la biografia del Cardinale Agagianian, secondo adeguati parametri storiografici.
Il 4 febbraio 2020, il Vicariato di Roma – città in cui il Cardinale Agagianian è morto e è sepolto – aveva pubblicato l’editto in cui si dava conto dell’intenzione di avviare – su richiesta del Patriarcato armeno cattolico – l’inchiesta volta a verificare le condizioni per l’avvio formale del processo di canonizzazione: Nell’editto veniva data indicazione a tutti gli interessati di raccogliere e far pervenire al tribunale diocesano tutto il materiale – a partire dagli scritti dello stesso Agagianian – da sottoporre a studio preliminare per poi sottoporre alla Congregazione per le Cause la richiesta di apertura ufficiale del processo di canonizzazione.
Ghazaros Agagianian, nato ad Akhaltsikhe (nella attuale Georgia) nel settembre 1995, ha rivestito un ruolo di primo piano nelle vicende della Chiesa di Roma durante i decenni prima e dopo il Concilio vaticano II. Ordinato prete della Chiesa cattolica armena il 23 dicembre 1917, entrò in seguito nel 1921 alla facoltà di didattica del Pontificio Collegio Armeno, di cui divenne poi rettore dal 1932 l 1937. Fu nominato Vescovo titolare di Comana di Armenianel 1935, ed eletto Patriarca di Cilicia degli Armeni il 30 novembre 1937, con il nome di Krikor Bedros (Gregorio Pietro) XV. Il 18 febbraio 1946 fu creato cardinale da Papa Pio XII. Dal 18 luglio 1960 al 19 ottobre 1970 il cardinale Agagianian guidò come Prefetto la Sacra Congregazione “De Propaganda Fide”, che assunse l’attuale denominazione di Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli il 15 agosto 1967.
Il cardinale Agagianian, che aveva rinunciato al titolo patriarcale nel 1962, morì il 16 maggio 1971 a Roma, dove è sepolto presso la chiesa di san Nicola da Tolentino. (GV) (Agenzia Fides 14/2/2022)
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-02-14 18:53:382022-02-15 18:55:16I vescovi armeni cattolici impegnati a avviare il Processo di canonizzazione del Cardinale Agagianian, Prefetto di Propaganda Fide dal 1960 al 1970 (Agenzia Fides 14.02.22)
In una lettera indirizzato al Direttore del FarodiRoma, pubblicato il 24 gennaio 2022, Rahman Mustafayev, l’Ambasciatore dell’Azerbajgian in Francia e presso la Santa Sede, aveva proposto “di fornire ai lettori italiani e vaticani alcuni fatti” sulla storia cristiana dell’Azerbajgian. Aveva sottolineato che il suo Paese stava facendo progetti di restauro non solo nel proprio Paese, “ma anche per la Chiesa Cattolica nel mondo – a Roma, in Vaticano, in Francia e in altri Paesi”.
Il Direttore del FarodiRoma, Salvatore Izzo, aveva risposto: «Caro Ambasciatore ospiteremo volentieri il suo articolo come abitualmente facciamo con i contributi di personalità che si offrino di arricchire FarodiRoma con i loro punti di vista».
Quindi, il FarodiRoma il 9 febbraio 2022 ha pubblicato lo scritto di propaganda e falsificazione storica dell’Ambasciatore Mustafayev, dal titolo Le radici cristiane del Caucaso. La storia della Chiesa dell’Azerbajgian [QUI].
La risposta dell’Ambasciatore dell’Armenia presso la Santa Sede non si è fatto attendere ed è stato riportato ieri, 13 febbraio 2022 sul FarodiRoma. Riportiamo di seguito il testo.
Il pericolo dell’annientamento del patrimonio storico e culturale cristiano armeno nei territori dell’Artsakh occupati dall’Azerbajgian La politica di falsificazione dei fatti storici e di appropriazione del patrimonio del popolo armeno, presentando i monumenti armeni in Artsakh come “Albanesi caucasici”
Secondo un rapporto dell’Ufficio del Difensore dei diritti umani dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh), almeno 1456 monumenti immobili della storia e della cultura armene sono passati sotto il controllo dell’Azerbajgian tra cui 161 monasteri e chiese, 591 croci di pietra (in armeno khachkar), siti di scavo a Tigranakert, Azokh, Nor Karmiravan, Mirik, Keren, numerose fortezze, castelli, santuari e altro ancora. Per non parlare degli 8 musei statali con 19.311 reperti e dei musei privati che sono ora sotto il controllo di Baku.
Visti i precedenti casi di deliberata distruzione da parte dell’Azerbajgian, questi monumenti sono ora in pericolo di annientamento. Oltre però alla distruzione fisica o al vandalismo, l’Azerbajgian persegue una politica di falsificazione dei fatti storici e assieme di appropriazione del patrimonio del popolo armeno, presentando i monumenti armeni in Artsakh come “Albanesi caucasici”.
La distorsione dell’identità del patrimonio armeno è non solo un tentativo di “saccheggio culturale” ma anche una grave violazione degli strumenti giuridici internazionali pertinenti. Tenendo conto delle pretese dell’Azerbajgian di discendere dagli Albanesi caucasici, presentare le chiese armene come albanesi caucasiche è, di fatto, un passaggio intermedio verso la loro “azerbaijanizzazione” [su questo tema abbiamo pubblicato l’11 febbraio 2022 l’articolo fondamentale del Prof. Igor Dorfmann-Lazarev della School of Oriental and African Studies di Londra: Azerbajgian: la mitologia storiografica come un’arma di epurazione etnica e culturale].
Le migliaia di monumenti armeni religiosi e secolari nella regione sono stati eretti secoli prima della creazione dell’Azerbajgian nel 1918 e non hanno nulla a che fare con l’identità azerbajgiana. Il nome Azerbaijan, come è conosciuto oggi, fu adottato per motivi politici dall’allora partito al potere Musavate fu usato per identificare la regione adiacente dell’Iran Nord Occidentale. I tentativi di estraniare questi monumenti dal popolo armeno non hanno alcuna giustificazione storica, religiosa o morale. L’Azerbajgian ha agito allo stesso modo nei confronti dei monumenti georgiani, rivendicando come proprie alcune chiese del complesso monastico di David Gareji.
L’Albania Caucasica storica era situata a nord del fiume Kur e non includeva l’Artsakh che era, invece, uno degli stati della Grande Armenia. In alcuni periodi storici, dopo la caduta della Grande Armenia, l’Artsakh entrò a far parte della satrapia persiana albanese ma l’identità armena dell’Artsakh non venne intaccata in alcun modo, continuando a manifestarsi chiaramente sia nella chiesa che nelle dinastie dominanti dell’Artsakh. Gli albanesi caucasici che esistevano nell’alto medioevo sono sopravvissuti a circa una dozzina di popoli caucasici – tra cui gli Udi, i Lachi, gli Tsakhurs, i Rutuli, i Lezgini, ecc. – e ora vivono anche nel Caucaso del Nord, in particolare nel Daghestàn. È da notare che la popolazione dell’Albania Caucasica era composta da decine di gruppi etnici, nessuno dei quali si chiamava o aveva l’identità di “albanese caucasico”. Più tardi il termine “Albania Caucasica” fu usato per indicare l’area geografica.
Consapevole dell’infondatezza delle sue pretese sui monumenti dell’Artsakh, l’Azerbajgian ha sfruttato il fattore “Udi”, presentandoli come discendenti della cultura cristiana dell’Artsakh e contestando così l’identità delle chiese armene dell’Artsakh.
Attualmente ci sono circa 4.000 Udi che vivono in Azerbajgian. Gli Udi sono cristiani, tradizionalmente seguaci della Chiesa Apostolica Armena e, in misura minore, della chiesa ortodossa. In Azerbajgian gli Udi hanno vissuto nei villaggi di Vardashen e Nij. Anche se gli Udi sono strettamente associati alla cultura e alla chiesa armena, la loro area di residenza si trova a nord del fiume Kur, a centinaia di chilometri dall’Artsakh, e non hanno avuto nulla a che fare con la costruzione dei monumenti cristiani nell’Artsakh.
Gli Udi sono stati periodicamente oppressi. Tra il 1918 e il 1922 quando una parte emigrò in Georgia a causa delle persecuzioni. Tra il 1989 e il 1991 quando, a causa della persecuzione su larga scala degli Udi di lingua armena, la maggior parte di loro lasciò l’Azerbajgian e coloro che rimasero furono costretti a rinunciare alla Chiesa Apostolica Armena. Nel 1991 il villaggio di Vardashen venne ribattezzato Oghuz; con un atto simbolico che dimostrava come le autorità Azerbaijane non si considerassero caucasiche ma portatrici dell’identità turca dell’Asia centrale (la popolazione turca degli Oghuz arrivò nella nostra regione nell’XI secolo).
La carta “albanese caucasica” non è perciò che un mezzo per avanzare pretese sul patrimonio storico e culturale delle nazioni vicine.
Negli ultimi anni, le autorità azere si sono attivate per costituire una chiesa Udi che dovrebbe essere il primo passo verso il ripristino della “Chiesa albanese” in Azerbajgian. Il processo coinvolge funzionari ad alto livello come l’ex Capo di stato maggiore del Presidente dell’Azerbajgian Ramiz Mekhtiyev.
I tentativi delle autorità azere di impadronirsi indebitamente delle chiese armene attraverso gli Udi, come nel caso di Dadivank, non sono altro che la maliziosa manipolazione di una minoranza nazionale e religiosa vulnerabile. E gli Udi, che per decenni sono stati vittime di oppressione in Azerbajgian, sono ora costretti a collaborare con le autorità azerbajgiane proprio per impadronirsi indebitamente del patrimonio armeno.
Va inoltre osservato che l’Azerbajgian ha già sostenuto la “tesi dell’albanizzazione” per giustificare la distruzione degli khachkar (croci di pietra) armeni nel Nakhichevan, a conferma del pericolo della politica di distruzione e distorsione dei monumenti armeni. La falsa tesi scientifica di presentare l’eredità cristiana degli armeni o di altri popoli della regione come albanese caucasica non ha una seria diffusione al di fuori dell’Azerbajgian e non è accettata dalla comunità accademica internazionale. Oggi, riconoscendo la debolezza delle proprie argomentazioni, l’Azerbajgian sta ostacolando l’attuazione della missione di valutazione dell’UNESCO nella regione, poiché è ovvio che l’Azerbajgian, con la sua identità turca, non sarebbe in grado di dimostrare l’origine azerbajgiana dei monumenti altomedievali.
È un dato di fatto incontrovertibile che tutte le chiese della regione appartenessero alla Chiesa Apostolica Armena, così come le strutture ecclesiastiche e i suoi seguaci, e in questo momento i diritti della Chiesa devono essere rispettati e tutelati. Lo testimonia non solo la storiografia ma anche le migliaia di iscrizioni armene su chiese e monumenti che raccontano la storia della loro costruzione.
La dichiarazione del Ministro della Cultura dell’Azerbajgian Anar Karimov, che il 3 febbraio scorso durante una conferenza stampa ha annunciato l’istituzione di un gruppo di lavoro che sarà responsabile della rimozione ”delle tracce fittizie scritte dagli Armeni sui templi religiosi albanesi”, deve essere condannata con forza dalla comunità internazionale.
L’istituzione di un tale gruppo di lavoro a livello statale, finalizzato all’appropriazione deliberata e illegale del patrimonio storico e culturale dei popoli vicini e alla privazione della loro memoria storica, è senza precedenti persino nella storia dei conflitti. Dimostra ancora una volta che gli atti di vandalismo e distruzione del patrimonio storico, culturale e religioso armeno in Nagorno-Karabakh durante la guerra dei 44 giorni e nel periodo successivo, sono deliberati e programmati in anticipo e sono parte della politica di annientamento della popolazione armena indigena del Nagorno-Karabakh. Questa azione del governo Azerbajgiano è una palese sfida all’ordinanza per l’applicazione di misure provvisorie emanata il 7 dicembre 2021 dalla Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite che obbliga chiaramente l’Azerbajgian a “prendere tutte le misure necessarie per prevenire e punire gli atti di vandalismo e profanazione nei confronti del patrimonio culturale armeno, incluso ma non limitato a chiese e altri luoghi di culto, monumenti, punti di riferimento, cimiteri e manufatti”.
Alla luce della situazione attuale, l’intervento immediato e il coinvolgimento senza ostacoli sul campo degli attori umanitari internazionali, in particolare dell’UNESCO, diventa più che mai urgente per la conservazione e la prevenzione dei casi di vandalismo contro i monumenti armeni dell’Artsakh, parte integrante del patrimonio culturale universale. La politica di distruzione e distorsione dell’identità del patrimonio storico e culturale armeno e dei santuari religiosi contraddice ogni dichiarazione dell’Azerbajgian sul raggiungimento della riconciliazione nella regione e pone seri ostacoli alla creazione di una pace duratura nella regione.
Considerate le abbondanti prove della distruzione sistematica del patrimonio culturale e religioso armeno nel passato, la conservazione delle migliaia di monumenti storici, culturali e religiosi armeni sotto il controllo militare azerbajgiano costituisce un elemento importante del processo di pace. In questo contesto, la leadership azerbajgiana e la macchina della propaganda statale devono immediatamente porre fine alla riprovevole appropriazione indebita e alla distorsione dell’identità delle chiese armene mostrando, almeno, il dovuto rispetto per i monumenti culturali e religiosi.
L’appropriazione o la distorsione dei valori culturali del popolo armeno e la violazione dei diritti del popolo armeno non contribuiscono alla pace regionale. Ed è per questo che solo l’adeguata salvaguardia dei santuari e dei luoghi di culto può gettare le premesse per la pace nella regione, materialmente e spiritualmente.
Garen Nazarian
Ambasciatore della Repubblica di Armenia presso la Santa Sede
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-02-14 18:50:182022-02-15 18:53:36L’Ambasciatore di Armenia illustra la politica azera di falsificazione dei fatti storici e di appropriazione del patrimonio del popolo armeno (Korazym 14.02.22)
A seguito dell’offensiva dell’Azerbaigian in Nagorno-Karabakh nell’autunno del 2020, una significativa parte del patrimonio storico e culturale cristiano è rimasto nei territori occupati. Ne ha parlato su FarodiRoma l’ambasciatore azero presso la Santa Sede. Pubblichiamo oggi la replica del suo omologo armeno.
Secondo un rapporto dell’ufficio del Difensore dei diritti umani dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh), almeno 1456 monumenti immobili della storia e della cultura armene sono passati sotto il controllo dell’Azerbaigian tra cui 161 monasteri e chiese, 591 croci di pietra (in armeno khachkar), siti di scavo a Tigranakert, Azokh, Nor Karmiravan, Mirik, Keren, numerose fortezze, castelli, santuari e altro ancora. Per non parlare degli 8 musei statali con 19.311 reperti e dei musei privati che sono ora sotto il controllo di Baku.
Visti i precedenti casi di deliberata distruzione da parte dell’Azerbaigian, questi monumenti sono ora in pericolo di annientamento. Oltre però alla distruzione fisica o al vandalismo, l’Azerbaigian persegue una politica di falsificazione dei fatti storici e assieme di appropriazione del patrimonio del popolo armeno, presentando i monumenti armeni in Artsakh come “albanesi caucasici”.
La distorsione dell’identità del patrimonio armeno è non solo un tentativo di “saccheggio culturale” ma anche una grave violazione degli strumenti giuridici internazionali pertinenti. Tenendo conto delle pretese dell’Azerbaigian di discendere degli albanesi caucasici, presentare le chiese armene come albanesi caucasiche è, di fatto, un passaggio intermedio verso la loro “azerbaijanizzazione”.
Le migliaia di monumenti armeni religiosi e secolari nella regione sono stati eretti secoli prima della creazione dell’Azerbaigian nel 1918 e non hanno nulla a che fare con l’identità azerbaigiana. Il nome Azerbaijan, come è conosciuto oggi, fu adottato per motivi politici dall’allora partito al potere Musavate fu usato per identificare la regione adiacente dell’Iran Nord Occidentale. I tentativi di estraniare questi monumenti dal popolo armeno non hanno alcuna giustificazione storica, religiosa o morale. L’Azerbaigian ha agito allo stesso modo nei confronti dei monumenti georgiani, rivendicando come proprie alcune chiese del complesso monastico di David Gareji.
L’Albania Caucasica storica era situata a nord del fiume Kur e non includeva l’Artsakh che era, invece, uno degli stati della Grande Armenia. In alcuni periodi storici, dopo la caduta della Grande Armenia, l’Artsakh entrò a far parte della satrapia persiana albanese ma l’identità armena dell’Artsakh non venne intaccata in alcun modo, continuando a manifestarsi chiaramente sia nella chiesa che nelle dinastie dominanti dell’Artsakh. Gli albanesi caucasici che esistevano nell’alto medioevo sono sopravvissuti a circa una dozzina di popoli caucasici – tra cui gli Udi, i Lachi, gli Tsakhurs, i Rutuli, i Lezgini, ecc. – e ora vivono anche nel Caucaso del Nord, in particolare nel Daghestàn. È da notare che la popolazione dell’Albania Caucasica era composta da decine di gruppi etnici, nessuno dei quali si chiamava o aveva l’identità di “albanese caucasico”. Più tardi il termine “Albania Caucasica” fu usato per indicare l’area geografica.
Consapevole dell’infondatezza delle sue pretese sui monumenti dell’Artsakh, l’Azerbaigian ha sfruttato il fattore “Udi”, presentandoli come discendenti della cultura cristiana dell’Artsakh e contestando così l’identità delle chiese armene dell’Artsakh.
Attualmente ci sono circa 4.000 Udi che vivono in Azerbaigian. Gli Udi sono cristiani, tradizionalmente seguaci della Chiesa Apostolica Armena e, in misura minore, della chiesa ortodossa. In Azerbaigian gli Udi hanno vissuto nei villaggi di Vardashen e Nij. Anche se gli Udi sono strettamente associati alla cultura e alla chiesa armena, la loro area di residenza si trova a nord del fiume Kur, a centinaia di chilometri dall’Artsakh, e non hanno avuto nulla a che fare con la costruzione dei monumenti cristiani nell’Artsakh.
Gli Udi sono stati periodicamente oppressi. Tra il 1918 e il 1922 quando una parte emigrò in Georgia a causa delle persecuzioni. Tra il 1989 e il 1991 quando, a causa della persecuzione su larga scala degli Udi di lingua armena, la maggior parte di loro lasciò l’Azerbaigian e coloro che rimasero furono costretti a rinunciare alla Chiesa Apostolica Armena. Nel 1991 il villaggio di Vardashen venne ribattezzato Oghuz; con un atto simbolico che dimostrava come le autorità Azerbaijane non si considerassero caucasiche ma portatrici dell’identità turca dell’Asia centrale (la popolazione turca degli Oghuz arrivò nella nostra regione nell’XI secolo).
La carta “albanese caucasica” non è perciò che un mezzo per avanzare pretese sul patrimonio storico e culturale delle nazioni vicine.
Negli ultimi anni, le autorità Azere si sono attivate per costituire una chiesa Udi che dovrebbe essere il primo passo verso il ripristino della “chiesa albanese” in Azerbaijan. Il processo coinvolge funzionari ad alto livello come l’ex capo di stato maggiore del presidente dell’Azerbaigian Ramiz Mekhtiyev.
I tentativi delle autorità Azere di impadronirsi indebitamente delle chiese armene attraverso gli Udi, come nel caso di Dadivank, non sono altro che la maliziosa manipolazione di una minoranza nazionale e religiosa vulnerabile. E gli Udi, che per decenni sono stati vittime di oppressione in Azerbaigian, sono ora costretti a collaborare con le autorità azerbaijane proprio per impadronirsi indebitamente del patrimonio armeno.
Va inoltre osservato che l’Azerbaigian ha già sostenuto la “tesi dell’albanizzazione” per giustificare la distruzione degli khachkar (croci di pietra) armeni nel Nakhichevan, a conferma del pericolo della politica di distruzione e distorsione dei monumenti armeni. La falsa tesi scientifica di presentare l’eredità cristiana degli armeni o di altri popoli della regione come albanese caucasica non ha una seria diffusione al di fuori dell’Azerbaijan e non è accettata dalla comunità accademica internazionale. Oggi, riconoscendo la debolezza delle proprie argomentazioni, l’Azerbaijan sta ostacolando l’attuazione della missione di valutazione dell’UNESCO nella regione, poiché è ovvio che l’Azerbaijan, con la sua identità turca, non sarebbe in grado di dimostrare l’origine azerbaijana dei monumenti altomedievali.
È un dato di fatto incontrovertibile che tutte le chiese della regione appartenessero alla Chiesa Apostolica Armena, così come le strutture ecclesiastiche e i suoi seguaci, e in questo momento i diritti della Chiesa devono essere rispettati e tutelati. Lo testimonia non solo la storiografia ma anche le migliaia di iscrizioni armene su chiese e monumenti che raccontano la storia della loro costruzione.
La dichiarazione del ministro della Cultura dell’Azerbaigian Anar Karimov, che il 3 febbraio scorso durante una conferenza stampa ha annunciato l’istituzione di un gruppo di lavoro che sarà responsabile della rimozione” delle tracce fittizie scritte dagli armeni sui templi religiosi albanesi”, deve essere condannata con forza dalla comunità internazionale.
L’istituzione di un tale gruppo di lavoro a livello statale, finalizzato all’appropriazione deliberata e illegale del patrimonio storico e culturale dei popoli vicini e alla privazione della loro memoria storica, è senza precedenti persino nella storia dei conflitti. Dimostra ancora una volta che gli atti di vandalismo e distruzione del patrimonio storico, culturale e religioso armeno in Nagorno-Karabakh durante la guerra dei 44 giorni e nel periodo successivo, sono deliberati e programmati in anticipo e sono parte della politica di annientamento della popolazione armena indigena del Nagorno-Karabakh. Questa azione del governo Azerbaijano è una palese sfida all’ordinanza per l’applicazione di misure provvisorie emanata il 7 dicembre 2021 dalla Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite che obbliga chiaramente l’Azerbaijan a “prendere tutte le misure necessarie per prevenire e punire gli atti di vandalismo e profanazione nei confronti del patrimonio culturale armeno, incluso ma non limitato a chiese e altri luoghi di culto, monumenti, punti di riferimento, cimiteri e manufatti.”
Alla luce della situazione attuale, l’intervento immediato e il coinvolgimento senza ostacoli sul campo degli attori umanitari internazionali, in particolare dell’UNESCO, diventa più che mai urgente per la conservazione e la prevenzione dei casi di vandalismo contro i monumenti armeni dell’Artsakh, parte integrante del patrimonio culturale universale. La politica di distruzione e distorsione dell’identità del patrimonio storico e culturale armeno e dei santuari religiosi contraddice ogni dichiarazione dell’Azerbaijan sul raggiungimento della riconciliazione nella regione e pone seri ostacoli alla creazione di una pace duratura nella regione.
Considerate le abbondanti prove della distruzione sistematica del patrimonio culturale e religioso armeno nel passato, la conservazione delle migliaia di monumenti storici, culturali e religiosi armeni sotto il controllo militare azerbaijano costituisce un elemento importante del processo di pace. In questo contesto, la leadership azerbaijana e la macchina della propaganda statale devono immediatamente porre fine alla riprovevole appropriazione indebita e alla distorsione dell’identità delle chiese armene mostrando, almeno, il dovuto rispetto per i monumenti culturali e religiosi.
L’appropriazione o la distorsione dei valori culturali del popolo armeno e la violazione dei diritti del popolo armeno non contribuiscono alla pace regionale. Ed è per questo che solo l’adeguata salvaguardia dei santuari e dei luoghi di culto può gettare le premesse per la pace nella regione, materialmente e spiritualmente.
Garen Nazarian, Ambasciatore della Repubblica d’Armenia presso la Santa Sede
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-02-13 19:29:552022-02-13 19:29:55I luoghi di culto contesi in Nagorno-Karabakh. Le ragioni dell’Armenia (FarodiRoma 13.02.22)
Una forte scossa di terremoto di magnitudo 5.1 ha colpito il confine tra Armenia e Georgia questa sera, avvertita fino in Azerbaijan. I sismografi hanno registrato la scossa alle 19:25 (ora italiana), con epicentro a Lori, in Armenia e ipocentri a soli 2 km di profondità.
Altre due scosse hanno colpito l’Armenia e l’Azerbaigian senza provocare danni di rilievo.
Un terremoto di magnitudo 6,2 è stato registrato questa domenica notte nella città di Sameba, nel sud della Georgia. In un video, trasmesso sui social network, si nota come la scossa, avvertita anche nelle città di Tbilisi e Batumi, interrompa una diretta della televisione locale. Il sisma è stato registrato alle 22:25 (ora locale), con epicentro nella città di Sameba poco lontano dal confine con l’Armenia, secondo i dati del Centro di Sorveglianza sismica dell’Università Statale di Ilia.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-02-13 18:48:352022-02-15 18:50:06Forte scossa di terremoto di magnitudo 5.1 al confine tra Armenia e Georgia (Meteoweb 13.02.22)
Di seguito riportiamo il riassunto degli argomenti principali trattati dal Ministro degli Esteri della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Davit Klimi Babayan in un briefing con i giornalisti ieri a Yerevan, a margine di un incontro presso l’Accademia Nazionale delle Scienze dell’Armenia.
Il Corridoio di Lachin e il collegamento dell’Artsakh con l’Armenia
Il collegamento ininterrotto dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh con l’Armenia e il mondo esterno deve essere assicurato e quel collegamento non può essere controllato dall’Azerbajgian. Una cosa del genere non potrà mai accadere e sono inaccettabili le voci provenienti da parte azera circa l’installazione di check point di ingresso. Riguardo alla possibilità di costruire una strada che aggiri il Corridoio di Lachin, a seguito della quale diversi villaggi armeni finirebbero sotto il controllo dell’Azerbajgian, il Ministro Babayan ha sottolineato che la questione della comunicazione ininterrotta è al centro delle autorità dell’Artsakh [QUI].
I rifugiati
Ci sono due condizioni per il ritorno dei profughi azeri nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh. In primo luogo, tutte le questioni politiche devono essere risolte e fra queste vi è il riconoscimento della Repubblica di Artsakh, in primis da parte dell’Azerbajgian. In secondo luogo, i rifugiati armeni devono anche poter tornare a Baku e in altre città dell’Azerbajgian da dove sono stati deportati con la forza. Non può esserci altro modo, ha sottolineato il Ministro Babayan, aggiungendo che le persone che hanno perso la casa nella guerra dell’Artsakh nell’autunno del 2020 sono state aggiunte alla questione dei rifugiati dalla prima guerra del Nagorno-Karabakh all’inizio degli anni ’90.
L’occupazione azera di una parte del territorio dell’Artsakh
Riguardo alla possibilità di deoccupazione delle città di Shushi e Hadrut dal loro attuale possesso azerbajgiano, il Ministro Babayan ha sottolineato che la questione è sempre all’ordine del giorno. Stesso discorso anche per le regioni di Shahumyan, Getashen, alcune parti della regione di Martuni ancora occupate dall’Azerbajgian. «Crediamo che prima o poi accadrà. Ma c’è bisogno di lavorare [per questo]. Posso dire una cosa: non rinunceremo mai alla nostra terra», ha dichiarato il Ministro Babayan.
Il genocidio culturale
«La politica di distruzione e distorsione dell’identità del patrimonio storico-culturale e dei santuari religiosi armeni contraddice le dichiarazioni dell’Azerbajgian sul raggiungimento della riconciliazione e crea ostacoli all’instaurazione di una pace duratura nella regione», ha dichiarato l’8 febbraio 2022 il Portavoce del Ministero degli Esteri dell’Armenia. L’iniziativa del Ministero della Cultura dell’Azerbaigian di presentare le chiese armene nei territori occupati dell’Artsakh come “Aghvan” ed eliminare le note armene e altre tracce armene da queste chiese per questo motivo è un genocidio culturale contro il patrimonio storico-culturale armeno. “Certo, è un genocidio culturale. In generale, il genocidio culturale si compie in modi diversi. La prima è solo una barbarie primitiva: i nostri monumenti, chiese, lapidi e altri monumenti culturali vengono distrutti. Parallelamente, si stanno facendo tentativi per de-armenizzare quei monumenti, per attribuirli agli Albanesi [del Caucaso]. Anche questo è un genocidio. In altre parole, hanno portato le tesi delle cosiddette “chiese aghvan”. La parte azerbajgiana intraprende tali tentativi nei casi in cui non è in grado di radere al suolo il monumento, ad esempio il [monastero] Dadivank. Stanno cercando di eliminare l’identità armena di questi monumenti culturali in un altro modo e di trasformarli in un monumento di cultura non armena”. Questa sciocchezza è un’assurdità quanto l’affermazione del [Presidente turco] Erdogan secondo cui i Turchi furono i primi a sbarcare sulla Luna. Chiamano Azeri anche i Sumeri. Il mondo civile deve rispondere alle [tali] azioni dell’Azerbajgian», ha affermato il Ministro degli Esteri della Repubblica di Artsakh. «Certo, continueremo a lottare contro questo. In primo luogo, dobbiamo unirci, riprenderci da tutto questo e gestire una giusta geopolitica», ha aggiunto Babayan [Azerbaigian: la mitologia storiografica come un’arma di epurazione etnica e culturale – 11 febbraio 2022 di Igor Dorfmann-Lazarev].
L’Artsakh non farà mai parte dell’Azerbajgian
«L’Artsakh non farà mai parte dell’Azerbaigian. Fatelo sapere a tutti». Babayan ha dichiarato che una soluzione del genere sarebbe inaccettabile e non vede come possa essere realizzata. «Cosa può fare il mondo? Dire: “Unisciti all’Azerbajgian?”. Non ci uniremo. E cosa possono fare gli Azeri? Organizzare un massacro? Certo che no. E le molestie, il terrorismo non ci spaventano». Circa l’interrogativo se la parte armena abbia mai riconosciuto l’integrità territoriale dell’Azerbajgian, Babayan ha osservato che innanzitutto la Repubblica di Armenia non ha mai riconosciuto ufficialmente l’integrità territoriale della Repubblica dell’Azerbajgian e inoltre, che nel concetto di integrità territoriale dell’Azerbajgian non è compresa l’Artsakh.
La società azera
Un trattato di pace con l’Azerbajgian è sempre stato l’obiettivo finale di tutti noi», ha dichiarato il Ministro Babayan, auspicando che il conflitto possa essere risolto una volta per tutte. Ma ritiene che la parte azera abbia un’idea diversa e apertamente auspica che gli Armeni lascino l’Artsakh. Pertanto, ritiene che sia necessario lavorare su un accordo di pace, ma teme che l’Azerbajgian tenterà di silurare ogni iniziativa della parte armena. “Abbiamo sempre detto che Stepanakert crede che il conflitto possa essere risolto solo in caso di riconciliazione delle [due] società. La società azerbajgiana, purtroppo, non è pronta. Il problema qui non sono le persone. Non ci sono buone e cattive nazioni; ci sono buoni e cattivi leader. Abbiamo uno Stato, rappresentato dall’Azerbajgian, che ha trasformato il nazismo in una politica statale».
L’Artsakh resiste
«La situazione in Artsakh è così com’è: terribile, ma, comunque, siamo determinati. Il “corpo” del Karabakh è ferito, ma lo “spirito” non è spezzato», ha dichiarato Babayan. «Nonostante le varie provocazioni, nonostante le pressioni dell’Azerbajgian, non devieremo dalla “strada” che abbiamo scelto. E ci sono sempre state sparatorie, provocazioni e, purtroppo, ci saranno, poiché quello è lo “stile” del nemico». «Ci sono forze sane in Europa preoccupate per la situazione creata dalle azioni criminali dell’alleanza azera-turca-terrorista, che rappresenta una minaccia non solo per l’Artsakh e l’Armenia, ma per l’intero mondo civile. È questione di tempo È solo che siamo stati i primi, è il turno degli altri, il tempo mostrerà. Se il mondo civile chiude un occhio su ciò che sta accadendo, la distruzione dei valori culturali [armeni], il genocidio culturale [armeno] che fa parlare di sé nei territori del Karabakh occupati dall’Azerbajgian, la politica armenofobica dell’Azerbajgian, il terrorismo, il fattore tempo influenzerà anche prima. In effetti, gli attacchi al mondo civile sono iniziati molto tempo fa. Ricordiamo quale vocabolario [il Presidente turco] Erdogan usava quando si rivolgeva al Presidente francese», ha osservato Babayan.
Aggressione azera-turca-terrorista nell’Artsakh diretta contro l’intero mondo civile
Durante la sua recente visita a Brussel, il Ministro degli Esteri dell’Artsakh, Davit Babayan ha discusso con i partner europei questioni umanitarie causate dalla Guerra del 2020, la necessità del rilascio di tutti i prigionieri ed ostaggi armeni in Azerbajgian, il continuo genocidio culturale armeno perpetrato dall’Azerbajgian e il ruolo della Russia per il mantenimento della pace e della stabilità nella regione. Babayan ha detto ai giornalisti che i suoi incontri a Bruxelles sono stati importanti, ma i loro risultati saranno chiari nel corso del tempo: «Certo, ci sono forze sane in Europa preoccupate per la situazione causata dall’unità criminale turco-azerbajgiana-terrorista. Abbiamo affermato che l’aggressione del 2020 non è stata diretta solo contro l’Artsakh e l’Armenia, ma contro l’intero mondo civile. Il tempo è l’unico problema: siamo stati solo i primi, altri saranno i prossimi. Ma il tempo mostrerà quando questo accadrà. Ma se il mondo civile chiude gli occhi su tutte queste azioni, sul genocidio culturale che sta avvenendo nei territori occupati dell’Artsakh, se c’è un atteggiamento indifferente nei confronti di tale politica dell’Azerbaigian, quel momento verrà prima», ha detto. «Siamo onesti con tutti, non giochiamo, diciamo di cosa si tratta e continueremo a fare di tutto per tutelare gli interessi dell’Artsakh», ha aggiunto il Ministro degli Esteri dell’Artsakh.
Fonti: Iniziativa italiana per l’Artsakh e stampa armena.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-02-13 18:46:162022-02-15 18:48:19Il Ministro degli Esteri Babayan: «L’Artsakh resiste, non farà mai parte dell’Azerbajgian». «L’aggressione azera-turca-terrorista è diretta contro l’intero mondo civile» (Korazym 13.02.22)
Turchia e Armenia provano a parlarsi, di nuovo. Vicini separati da un confine di oltre 300 km che resta chiuso da quasi 30 anni, Ankara e Yerevan hanno relazioni storicamente molto complicate ma recentemente la diplomazia ha cominciato a muovere piccoli passi e, per il momento, è l’ottimismo a prevalere. Il ministero degli Esteri turco ha definito «costruttivo e positivo» il primo incontro che si è svolto a Mosca, il 14 gennaio, tra un rappresentante nominato dalla Turchia e uno dall’Armenia per condurre un percorso di normalizzazione dei rapporti che, sempre secondo il comunicato del ministero, si svolgerà «senza precondizioni». Per guidare il processo, Ankara ha incaricato un diplomatico di lungo corso, l’ex ambasciatore turco a Washington, Tokyo e Beirut Serdar Kılıç, mentre Yerevan ha scelto il trentunenne Ruben Rubinyan, già presidente del Parlamento armeno e stretto consigliere del premier Nikol Pashinyan. Dopo il primo incontro a Mosca, si vedranno di nuovo il 24 febbraio, questa volta a Vienna, per tentare di ottenere una normalizzazione delle relazioni che in 30 anni si è soltanto intravista senza mai diventare una prospettiva reale.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, le repubbliche indipendenti di Armenia e Azerbaigian iniziarono un conflitto per il territorio conteso del Nagorno-Karabakh e Ankara si schierò dalla parte di Baku. L’appoggio della Turchia all’Azerbaigian provocò la chiusura del confine e la rottura dei rapporti con l’Armenia che dal 1993 ha mantenuto il controllo sulla regione disputata. Una nuova guerra tra settembre e novembre 2020 ha rovesciato la situazione e l’Azerbaigian, sostenuto militarmente da Ankara, è riuscito a prendere controllo di gran parte dei territori del Nagorno-Karabakh. In poco più di un anno dalla fine del conflitto, si sono visti sporadici scontri, mentre quasi 2.000 soldati russi pattugliano ancora la zona con l’obiettivo di mantenere il cessate il fuoco firmato da Armenia e Azerbaigian, con la mediazione di Mosca, a fine 2020. L’armistizio ha evidentemente segnato una traumatica sconfitta per Yerevan che dopo quasi 30 anni perde una vasta regione in parte formata dall’autoproclamata ed etnicamente armena Repubblica di Artsakh. A causa delle strette relazioni con l’Azerbaigian – che la Turchia considera un Paese vicino per affinità a livello linguistico, culturale e religioso – il controllo dell’Armenia sul Nagorno-Karabakh era anche il principale motivo per cui Ankara aveva interrotto le relazioni diplomatiche con Yerevan. In questo senso, la sconfitta sul campo di battaglia ha paradossalmente creato le condizioni affinché Armenia e Turchia possano tornare a dialogare. I precedenti tentativi di normalizzazione tra Ankara e Yerevan non funzionarono soprattutto a causa di pressioni azere sulla Turchia per la presenza armena nel territorio disputato. Ma da più di un anno Baku esercita solidamente il controllo su quelle aree, che precedentemente considerava occupate, e per questo motivo il processo di normalizzazione in corso potrebbe questa volta avere successo al contrario di alcuni tentativi nel passato che si rivelarono fallimentari.
I protocolli per la normalizzazione firmati il 10 ottobre 2009 a Zurigo dai ministri degli Esteri di Turchia e Armenia non furono però ratificati l’anno successivo dall’attuale presidente turco Recep Tayyip Erdoğan che all’epoca era primo ministro e, insieme all’ex capo di Stato Abdullah Gül, aveva negli anni precedenti dimostrato di essere il primo leader politico turco aperto a una normalizzazione con Yerevan. Dopo più di 10 anni, Erdoğan occupa ancora il vertice della politica turca e oggi, con una situazione sul campo di battaglia completamente diversa e un netto cambiamento nei rapporti di forza ora sbilanciati a favore di Baku, il leader turco ha chiarito che vuole tornare a dialogare con l’Armenia. Nei giorni del primo anniversario del conflitto in Nagorno-Karabakh del 2020 è stato lo stesso Erdoğan ad affermare che «la Turchia non ha alcun problema a normalizzare i rapporti con l’Armenia», aggiungendo che la distensione delle relazioni avrebbe potuto avvenire solo «se Yerevan mostrerà una volontà sincera a risolvere i suoi problemi con l’Azerbaigian». Poche settimane dopo, sono stati nominati rappresentanti diplomatici per guidare il processo di normalizzazione ed è stato annunciato che collegamenti aerei diretti tra Turchia e Armenia sarebbero ripresi dopo una pausa di oltre 2 anni. Il 2 febbraio c’è stato il primo volo tra Istanbul e Yerevan mentre Ankara ha invitato il ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan a un importante forum diplomatico internazionale che si svolgerà in Turchia, ad Antalya, tra l’11 e il 13 marzo. Yerevan sembra avere accolto l’invito positivamente e se la visita avrà davvero luogo potenzialmente sarà di grande importanza visto che all’Antalya Diplomacy Forum parteciperà anche il ministro degli Esteri azero e la Turchia potrebbe trovarsi ad ospitare un faccia a faccia tra i due dopo il conflitto del 2020. «Lasciamo che Armenia e Azerbaigian possano esprimersi qui» è stato il commento del ministro degli Esteri turco Mevlüt Ҫavuşoglu che ha sottolineato come un incontro tra autorità armene e azere in Turchia potrebbe rivelarsi un’occasione per sviluppare un rapporto di fiducia tra Baku e Yerevan.
Stabilire normali relazioni diplomatiche tra Turchia e Armenia porterebbe a una serie di prospettive vantaggiose per entrambi se si considerano potenziali cooperazioni dal punto di vista turistico e commerciale che potrebbero realizzarsi con l’apertura del confine. Le premesse per una buona riuscita oggi ci sono anche se non si dovrebbe confondere la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con una riconciliazione tra i due Paesi a partire, ad esempio, dalla memoria storica che ancora non è condivisa tra il popolo turco e quello armeno. Lo spettro dei massacri di Armeni in epoca ottomana, che hanno avuto il loro apice nel 1915, incombe ancora sul presente, rappresenta un argomento a dir poco sensibile e Ankara continua a non accettare, e forse non accetterà mai, la definizione di “genocidio” per descrivere quel momento storico. Una normalizzazione dei rapporti diplomatici non potrebbe avere un effetto diretto sul delicato territorio del racconto di un passato macchiato da sanguinosi conflitti. Nello stesso tempo, considerate le circostanze, inaugurare rapporti diplomatici normali rappresenta forse il primo passo per gettare le basi di un riavvicinamento tra i due popoli che dovrebbe essere sviluppato a livello culturale, sociale, letterario e di memoria storica. Una riconciliazione che sarebbe molto gradita alla popolazione armena di Turchia, oggi ridotta a poco più di 50.000 persone ma custode della memoria di un patrimonio che si perde nei secoli presente a Istanbul, e in molte altre zone del territorio della Repubblica di Turchia, che non è stato completamente cancellato nemmeno dopo i drammi del XX secolo.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-02-11 19:40:072022-02-13 19:41:32Sulla via della normalizzazione tra Armenia e Turchia (Treccani 11.02.22)
Negli ultimi giorni alcuni siti italiani hanno pubblicato degli articoli che rivendicano un legame organico tra l’antica civiltà dell’Albania del Caucaso (da non confondere con l’Albania nei Balcani) e gli azerbaigiani moderni, un popolo musulmano turcofono. Provare un tale legame è un compito arduo perché il Regno dell’Albania del Caucaso, il cui nucleo era situato nelle pianure dell’Azerbaigian odierno, fu abolito dai persiani intorno al 510 d.C. Dopo l’islamizzazione dell’Albania del Caucaso, avvenuta ad opera degli arabi già prima della fine del secolo VIII, la lingua albanese – la principale portatrice della sua cultura cristiana – gradualmente svanì, mentre l’armeno divenne la lingua dominante delle popolazioni cristiane che restavano ancora sul territorio dell’antico regno. L’esigua popolazione udi dell’Azerbaigian, la cui lingua parlata rappresenta una parente, o addirittura una discendente diretta, dell’albanese del Caucaso, è stata per secoli affiliata alla chiesa armena. È proprio a causa dei legami stretti con gli armeni che una gran parte degli udi fu costretta ad abbandonare la terra natia dell’Azerbaigian all’inizio degli anni 1990.
La Storia dell’Albania del Caucaso attribuita a Mosè di Kałankatoyk̔, un’opera composita scritta in armeno tra i secc. VIII e X rappresenta la fonte principale sull’Albania cristiana. Gli articoli pubblicati nei giorni scorsi evitano ogni menzione della lingua in cui questa opera fu scritta proprio per sostenere la tesi dell’estraneità degli armeni alla storia dell’Azerbaigian e a quella dell’Artsakh (Nagornyj Karabagh), una regione storica armena situata sui monti che sovrastano le pianure dell’Albania del Caucaso.
Antichi Paesi della Transcaucasia.
Eppure, la Storia dell’Albania del Caucaso non è soltanto redatta in armeno ma rivela anche riferimenti culturali armeni. Per esempio, essa annovera ripetutamente l’Artsakh tra le «Regioni Orientali», perché al centro della mappa mentale dei suoi autori non si trovano le pianure adiacenti alla costa caspica (dove si trovava una volta il regno svanito dell’Albania) ma si trova la valle dell’Ararat situata a occidente – il cuore dell’Armenia.
All’inizio del secolo X, il Katholikos armeno Giovanni di Drasxanakert, che aveva visitato l’Albania del Caucaso, attesta che i suoi contemporanei prìncipi albanesi si riconoscevano come appartenenti allo stesso popolo (žołowurd) degli armeni.
Quando, all’inizio del secolo XI, le tribù turche iniziarono a penetrare nelle pianure caspiche, l’albanese del Caucaso non era più praticato in quanto lingua scritta. Nessuna testimonianza storica ci suggerisce che la cultura dell’antica Albania del Caucaso abbia esercitato un influsso diretto sulle popolazioni turcofone, mentre i prestiti armeni nel kurdo successivamente parlato sul suo territorio, nonché nell’azerbaigiano – parole relative all’agricoltura, all’allevamento di animali, allo scambio monetario, all’artigianato e alla religione – riflettono il ruolo degli armeni nella sedentarizzazione di queste popolazioni nomade. Altri influssi armeni sono riscontrabili in varie sfere di attività culturale sul territorio dell’Azerbaigian, per esempio nelle forme architettoniche o nei disegni ornamentali sui tappeti.
Ogni resoconto storico della terra conosciuta oggi come Azerbaigian (un nome che prima della Rivoluzione russa del 1917 era attribuito esclusivamente alla provincia persiana a sud del fiume Arasse, sul territorio dell’Iran) presuppone, quindi, un esame dei legami e della trasmissione culturale tra l’Albania del Caucaso e gli armeni delle regioni caspiche da una parte e tra gli armeni e gli azerbaigiani dall’altra.
La dottrina storiografica ufficiale dell’Azerbaigian rinnega radicalmente l’esistenza di tali legami, ed è questa negazione che fornisce ai dirigenti azerbaigiani una base ideologica per la loro opera di distruzione del patrimonio monumentale e artistico armeno in Azerbaigian, nella regione di Nakhichevan e nel Nagornyj Karabagh, epurati dalla popolazione armena, nonché per le ambizioni espansionistiche dell’Azerbaigian sul territorio della Repubblica dell’Armenia.
Per apprezzare la fallacia del mito di un passato «albanese» degli azerbaigiani possiamo rivolgerci ad un raro documento che ci permette di sentire la voce del popolo udi stesso: è una petizione, redatta in armeno, che nel 1724 gli udi indirizzarono allo zar russo Pietro il Grande. Essa fa luce sulla natura dei rapporti che gli udi intrattenevano sia con le popolazioni turche dell’ex Albania del Caucaso sia con gli armeni prima che i russi iniziassero a penetrare nel Caucaso:
Con suppliche e implorazioni, portiamo alla conoscenza della sua Maestà tutti i crimini ivi commessi e lo stato in cui giace questo paese. Ecco, cosa i senza legge e gli infedeli hanno per così tanti anni portato sulle nostre teste: primo, essi hanno bruciato le chiese e ci hanno causato tanto male agendo contro la nostra fede; hanno indotto preti in apostasia, uccidendone diversi; hanno portato in prigionia donne con loro figli e figli con loro madri; monasteri ed eremitaggi, resi deserti, rimangono tali fino ad oggi, mentre noi, i sopravvissuti, giacciamo in mezzo alle sofferenze, né vivi né morti. Siamo albanesi, e udi per quanto riguarda la nostra stirpe. […] Segretamente osserviamo la nostra religione, ma apertamente i senza legge ci forzano con la spada, vecchi come giovani, a diventare turchi. Per paura non osiamo a scriverti tutto […] Non siamo che pochi superstiti rimasti in questa terra […] Che il Re celeste sia il tuo protettore, nonché delle tue forze, e la Sua Maestà sia la protettrice di tutti i fedeli armeni, sia ricchi sia indigenti. (Relazioni armeno-russe durante il primo terzo del secolo XVIII, vol. II/2, a cura di A. Hovhannisyan, Erevan, 1967, pp. 90–91, in arm.)
Le origini della mitologia storiografica che rivendica una continuità culturale diretta tra gli albanesi del Caucaso e gli azerbaigiani risalgono alla politica delle nazionalità sovietica: per prevenire lo sviluppo sul territorio dell’Unione sovietica di una comune identità turca, sostenuta a partire dal 1931 dalla Turchia kemalista, l’Azerbaigian, come altre repubbliche turcofone, fu obbligato a sviluppare un’identità nazionale separata e autoctona. L’eliminazione, tra il 1936 e il 1938, da parte delle autorità sovietiche di numerosi eminenti intellettuali dell’Azerbaigian (filologi, storici ed etnografi tra gli altri) ha spianato la strada per la creazione in questa repubblica di una nuova dottrina, dissociata dalla tradizione storiografica precedente e da ogni analisi oggettiva delle fonti storiche. A partire dalla pubblicazione nel 1939 a Baku della prima Storia della repubblica sovietica socialista dell’Azerbaigian, possiamo osservare una lunga successione di tentativi intrapresi da parte degli accademici azerbaigiani per impiantare il passato del loro popolo ora in una, ora in un’altra civiltà antica. Per collegare queste civiltà ai turcofoni odierni, la quarta versione della Storia dell’Azerbaigian, pubblicata tra il 1958 e il 1962, rivendicherà l’apparizione delle popolazioni turche sul suo territorio nel secolo IV d.C., e cioè più di sei secoli prima della datazione universalmente riconosciuta nel mondo accademico. Nel 1976 Nasir Rzayev scoprirà tratti turchi nelle sepolture, scavate nel territorio della repubblica e risalenti ai secc. II a.C. – IV d.C., mentre nel 1989 Mirəli Seyidov anticiperà l’apparizione dei turchi in Azerbaigian al secolo III a.C. Per Seyidov, le tribù turche rappresentavano addirittura il gruppo predominante dell’Albania del Caucaso. Nel 1990 Ali Sumbatzade affermerà che la lingua degli azerbaigiani antichi fosse «vicina alla lingua degli elamiti, dei cassiti (cossei) e dei lulubei». Tali espedienti permisero agli accademici azerbaigiani di lasciare gli armeni fuori del quadro storico. La contemporanea Fəridə Məmmədova (Farida Mamedova) afferma addirittura che gli armeni sono degli stranieri nel Caucaso del Sud.
Nel 2007 il Ministero della cultura dell’Azerbaigian pubblica, quindi, un libro che definisce tutto il territorio della Repubblica dell’Armenia come «l’Azerbaigian occidentale» (Aziz Youssif oghlu Alakbarli, The Monuments of Western Azerbaijan, eds B. Budagov et al., Baku: Nurlan Publishing House, 2007): è una road map per l’esercito dell’Azerbaigian.
Igor Dorfmann-Lazarev School of Oriental and African Studies, London
Il Prof. Igor Dorfmann-Lazarev (Mosca, 18 aprile 1968) è ricercatore associato presso la School of Oriental and African Studies (SOAS), University of London, Department of the Languages and Cultures of the Near and Middle East. In precedenza ha svolto attività di ricerca presso il Dipartimento di Storia Antica della Goethe Universität di Frankfurt am Main e poi presso l’Università di Regensburg. Tra il 2001 e il 2015 ha insegnato ebraico, armeno, Patristica delle Chiese Orientali e Storia dell’Armenia nelle Università di Roma (La Sapienza e Tor Vergata), Montpellier, Durham, Londra (School of Oriental and African Studies-SOAS) e Istanbul (Boğaziçi Üniversitesi). In precedenza ha studiato a Mosca, Gerusalemme e Roma e ha scritto la sua tesi di dottorato all’École Pratique des Hautes Études (ÉPHÉ, Sorbonne sui rapporti armeno-bizantini durante il IX secolo. La monografia basata sulla sua tesi di dottorato, Arméniens et Byzantins à l’époque de Photius (Leuven 2004), ha ricevuto il premio “Charles et Marguerite Diehl” dall’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres. Nell’ÉPHÉ è stato inoltre insignito, nel 2009, del diploma di abilitazione. I suoi attuali interessi di ricerca risiedono nella trasmissione degli apocrifi attraverso le tradizioni cristiane orientali. Questo tema è stato anche al centro della sua ricerca presso l’Università di Halle, nel 2010-12, nell’ambito di una borsa di studio A. von Humboldt. Nel 2018 ha ideato e diretto la Conferenza Internazionale The Role of Esoteric and Apocryphal Sources in the Development of Christian and Jewish Traditions con la partecipazione di trenta studiosi in rappresentanza di università di undici nazioni (Forschungskolleg Humanwissenschaften, Bad Homburg). È interessato al ruolo che le antiche idee religiose, veicolate attraverso la letteratura apocrifa, hanno svolto nella formazione di distinte tradizioni esegetiche, concezioni antropologiche e cosmologiche e iconografiche dei cristiani orientali, e in particolare in Armenia e, negli studi più recenti, anche in Georgia e nell’Albania del Caucaso. Ha contribuito alla Cambridge History of Christianity e ad altri volumi collettivi e alle principali riviste internazionali di studi armeni e orientalisti.
Foto di copertina: Monastero di Gandzasar, un monastero armeno del XIII secolo situato nella Repubblica di Artsakh Nagorno Karabakh), nei pressi del villaggio di Vank (regione di Martakert). “Gandzasar” significa “Montagna del tesoro” in armeno (da gandz tesoro e sar montagna). Gandzasar fu la residenza del Catholicosato di Aghvank della semiautonoma Chiesa Armeno-Albana dal XIV secolo fino al 1836 quando quest’ultima venne definitivamente unita alla Chiesa Apostolica Armena. Ora è la sede dell’Arcivescovo armeno dell’Artsakh.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-02-11 19:34:152022-02-13 19:35:31Azerbaigian: la mitologia storiografica come un’arma di epurazione etnica e culturale (Korazym 11.02.22)
Erevan, 11 feb 16:10 – (Agenzia Nova) – Oltre il 60 per cento degli abitanti di Erevan è contrario all’apertura del confine tra Armenia e Turchia. E’ quanto risulta da un sondaggio telefonico condotto nella capitale armena tra il 24 gennaio e il 2 febbraio da Mpg Llc, ufficio di rappresentanza in Armenia della società di analisi e consulenza Gallup. Come evidenziato dal direttore di Mpg Llc, Aram Navasardyan, questo è l’esito della rilevazione nonostante la recente apertura di negoziati per la normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi. Al sondaggio hanno partecipato 800 residenti di Erevan. “Decisamente” favorevole all’apertura delle trattative con Ankara è il 6,9 per cento, mentre “piuttosto” favorevole è il 15,6 per cento. “Piuttosto” sfavorevole è il 7,6 per cento ma “decisamente” lo è persino il 54,6 per cento. Il 15,3 per cento si è detto indeciso. Navasardyan ha segnalato un margine di errore del 3,5 per cento.
Ankara e Erevan non hanno relazioni diplomatiche ufficiali e la frontiera tra i due Paesi è chiusa su iniziativa turca dal 1993. Le tensioni tra i due Stati sono alimentate da diverse questioni aperte, dal sostegno di Ankara all’Azerbaigian nel conflitto del Nagorno-Karabakh all’opposizione turca al riconoscimento internazionale del genocidio armeno del 1915 da parte dell’Impero ottomano. Il 14 gennaio Mosca ha ospitato un primo incontro tra le delegazioni armena e turca per la normalizzazione delle relazioni bilaterali. Un altro incontro si terrà a Vienna il 24 febbraio. (Rum)
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-02-11 19:32:162022-02-13 19:33:54Armenia: oltre il 60 per cento degli abitanti di Erevan contro apertura confine con Turchia (Agenzia Nova 11.02.22)
I DUE PROGETTI FOTOGRAFICI REALIZZATI DA CLAUDIO GOBBI E ALLESTITI FRA LE SALE DI CA’ PESARO, A VENEZIA, AFFRONTANO IL TEMA DELL’IDENTITÀ CULTURALE METTENDO IN DIALOGO MODELLI ARCHITETTONICI GEOGRAFICAMENTE E CRONOLOGICAMENTE DISTANTI. MA EMOTIVAMENTE COMPLEMENTARI
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Corrono in parallelo le narrazioni alla base delle due serie fotografiche ideate da Claudio Gobbi (Ancona, 1971) e presentate in altrettante sale della Galleria Internazionale d’Arte Moderna – Ca’ Pesaro a Venezia. Da una parte c’è la disseminazione – concettuale e visiva – di Arménie ville: 64 immagini, alcune delle quali realizzate da Gobbi, altre custodite da archivi di vari Paesi e altre ancora scovate in Rete o commissionate ad autori diversi, che testimoniano l’immutabilità dell’archetipo della chiesa armena, la cui architettura è sopravvissuta a 1500 anni di storia radicandosi in aree geografiche lontane dal territorio caucasico. Dall’altra parte, invece, c’è la disseminazione dell’identità collettiva associata al teatro come luogo di condivisione e memoria culturale: gli scatti, realizzati in oltre venticinque Paesi, restituiscono frammenti silenziosi di platee e foyer, quinte e palcoscenici novecenteschi rigorosamente vuoti.
Claudio Gobbi, Sofia, Bulgaria, 2007
LE FOTOGRAFIE DI CLAUDIO GOBBI A VENEZIA
A unire i due registri narrativi è la definizione via via più netta di una geografia che, superando i limiti di longitudini e latitudini, trova il suo punto di ancoraggio e la sua bussola nell’idea di persistenza. L’Atlas of Persistence che dà il titolo alla mostra è composto dagli aspetti permanenti che contraddistinguono un archetipo e che si riverberano nelle vicende di quanti hanno a che fare quotidianamente con forme, luoghi, spazi capaci di resistere al tempo. Le chiese armene e i teatri rientrano quindi nel medesimo orizzonte dell’identità culturale comunitaria, innestandosi in una riflessione ancora più ampia e decisamente attuale sul confine. La mostra, curata da Francesca Fabiani, è l’esito del dialogo tra la Direzione regionale Musei Veneto e l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD) del Ministero della Cultura, che di recente ha scelto di includere anche il contemporaneo nella sua consolidata attività di promozione del linguaggio fotografico, espandendosi oltre la propria sede di Roma con l’iniziativa ICCD OFF SITE. An Atlas of Persistence è il primo capitolo di una serie di eventi che troveranno dimora in varie sedi espositive veneziane, dando seguito a una collaborazione virtuosa.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-02-10 14:25:212022-02-11 14:30:08Dalle chiese armene al silenzio dei teatri. Le foto di Claudio Gobbi a Venezia (Atribune 10.02.22)
Ankara, 10 feb 09:17 – (Agenzia Nova) – La Turchia vuole tenere incontri sulla normalizzazione delle relazioni con l’Armenia ad Ankara ed Erevan. Lo ha affermato il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu parlando all’emittente “Trt Haber”. “Il primo incontro, come sapete, è avvenuto a Mosca, e il secondo è previsto per il 24 febbraio a Vienna. Vogliamo fare incontri anche ad Ankara ed Erevan, ma la parte armena ha scelto un terzo Paese. Tuttavia il dato principale è che il processo è in corso”, ha detto Cavusoglu. Gli inviati speciali di Armenia e Turchia sulla normalizzazione delle relazioni hanno tenuto il primo incontro a Mosca il 14 gennaio. Le parti hanno espresso la disponibilità a impegnarsi in un dialogo costruttivo e non politicizzato.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-02-10 11:28:202022-02-11 14:29:01Turchia-Armenia: Cavusoglu, vogliamo tenere incontri per normalizzare rapporti ad Ankara ed Erevan (Agenzianova 10.02.22)
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