“Amate la patria e rispettate chi la difende”: lettera di una ragazza armena ai coetanei italiani (Ilprimatonazionale 09.09.21)

Erevan, 9 set – Vi proponiamo la bellissima lettera di una ragazza armena. Mentre il focus mediatico occidentale è giustamente puntato sulla crisi afghana, rimangono però nell’ombra situazioni geopolitiche non meno importanti. Contesti bellici in cui popoli liberi e sovrani continuano a lottare per la propria autodeterminazione e per i propri confini. È il caso dei guerriglieri Karen in una Birmania sparita dai radar mediatici, rimasti l’unica intransigente opposizione al governo narco-comunista di Rangoon. È il caso della Siria di Bashar Assad, che in questi giorni ha riconquistato importanti zone della provincia di Idlib, riconsegnandole alla patria e strappandole nel silenzio globale al terrorismo internazionale. Ma, per tagliare corto, è il caso anche dell’Armenia che dal novembre scorso vive costantemente con i propri confini sotto attacco della pittoresca coalizione Azerbaigian – Turchia – Israele.

Confini. Patria. Autodeterminazione. Parole che oggi, in Europa, sembrano purtroppo totalmente fuori dal tempo e dal mondo. Ma sono parole, queste, che in terre lontane rappresentano ancora amori non negoziabili, che portano uomini a donare la propria vita al fronte e semplici donne forti a scrivere loro lettere tinte di lacrime, spesso devote al martirio di giovani caduti impugnando un’arma o una bandiera. Una di queste lettere giunge oggi alla nostra redazione ed è rivolta ai ragazzi e alle ragazze di un’Italia troppo assopita, viziata e borghese. Lontana, troppo lontana, dai sentimenti che muovono la purezza delle seguenti parole consegnateci da Armine Kasumyan, giovane armena del villaggio di Dsegh.

Andrea Bonazza

La lettera di una ragazza armena ai coetanei italiani

“Ciao ragazzo e ragazza italiana, conoscente sconosciuto! Ti scrivo da un Paese di cui probabilmente non hai mai sentito parlare, da un Paese difficile da notare anche sulla mappa. Il mio paese è l’Armenia e il mio cuore esplode d’orgoglio soltanto per il fatto che sto per raccontarti la storia eroica della mia nazione che è un nido delle aquile. Comincio il racconto da un tempo molto lontano, da quando il mio antenato Hayk, l’11 agosto 2492 a.C., durante la battaglia di Khoshab sconfisse il suo nemico Bell, facendo guadagnare a tutti gli Armeni il diritto a vivere in questa terra. Hayk fondò un Paese forte, destinato a vivere i giorni di pace e di guerra, a confermare e riaffermare il mio diritto a vivere e creare in questa terra. Il popolo armeno ha origini antiche e la sua storia attraversa anche il regno di Van o Urartu (nella Bibbia è citato il paese di Ararad) intorno al IX secolo a.C., dal quale ha origine la mia capitale Erebwuni oggi Erevan (Argishti A. 786-764) costruita nel lontano 782 a.C. Sul trono di questa terra sono seguite quattro dinastie: Ervanduni, Artashesyan, Arshakuni e Bagratuni. Finito questo ciclo nacque il regno armeno di Kilikia governato tre dinastie: Rubinian, Hetumian e Lusinian. Questo ultimo regno è esistito fino a 1375 d.C.

Sai amico mio, il mio popolo è stato il primo al mondo ad adottare il Cristianesimo come religione di Stato nel 301. A testimonianza di ciò è la cultura cristiana sparsa ovunque sul territorio del mio Paese: chiese, monasteri, cappelle dalle quali salgono le nostre preghiere a Dio. Vorrei che tu ci vedessi inginocchiati a pregare di fronte un khachkar, la croce incisa in un blocco ti pietra, una soluzione artistica unica della cultura Cristiana, i cui esemplari irrepetibili si ritrovano a ogni passo. La mia nazione ha vissuto giorni gloriosi, amico mio, ma anche perdite e momenti dolorosi, a volte irreversibili. L’Armenia ha vissuto nella potenza mondiale di Tigran il Grande, il cui regno si estendeva dal Mar Nero al Mar Caspio; così come ha vissuto senza uno Stato perché sotto il dominio straniero.

Noi Armeni siamo stati emigrati e perseguitati, addirittura abbiamo subito un feroce genocidio ma noi Armeni siamo rimasti sempre in piedi. Sai perché e come, amico mio? Perché nel momento del pericolo il mio popolo è diventato un pugno, è diventato forza, è diventato soldato. Perfino le donne hanno sfidato il pericolo e il nemico. Ecco di chi vorrei raccontarti, amico sconosciuto, del soldato armeno. È uno che, a nome di un’intera nazione e per amore del suo popolo, col freddo e con la pioggia, con la neve e nella tempesta, lui resta fermo sulla trincea che incarna la forza e l’anima fiera del mio popolo. La nostra identità è la fonte creatrice del nostro diritto di vivere liberamente nella nostra terra. Padre Mcrtich Khrimjan, famoso sacerdote armeno-cattolico, diceva: “Il diritto appartiene al forte”. Sai, amico mio, questo diritto di vivere liberamente nella mia terra nei secoli è stato conquistato e difeso dal soldato armeno! Con coraggio, con amore, sacrificio e forza di volontà nonostante un mondo circostante da sempre indifferente al nostro destino.

Sono tante le storie dei nostri eroici soldati, storie di un’umanità semplice ma carica di valori e soprattutto di un grande amore. Io ti vorrei raccontare del mio eroe: Eghisce Hovhannisyan, uno dei numerosi immortali nella Seconda Guerra per l’Artsakh (Nagorno Karabakh) che si è conclusa a novembre del 2020. Eghisce era un mio amico d’infanzia, lui abitava a Vanadzor – capitale della rigogliosa provincia del Lori nel nord dell’Armenia – mentre io continuo a vivere nel vicino villaggio di Dsegh. Le case dei nostri nonni materni si trovano accanto, così, quando arrivavano le vacanze estive, ci incontravamo e ci riunivamo sempre nel cortile della mia infanzia. La presenza di Eghisce era animata da giochi, dalla vivacità, dalla spensieratezza e da incredibili sciocchezze che insieme inventavamo, per rendere le vacanze più interessanti ed esuberanti. Quando arrivava settembre era tempo di ritornare a scuola e così il mio amico ritornava di nuovo nella sua città a Vanadzor. Per molti anni la nostra amicizia è stata scandita da questi ritmi finché Eghisce non entrò nell’Accademia militare intitolata all’eroe nazionale Vasghen Sargsyan, a Erevan, nella capitale del nostro Paese. Durante questo periodo in famiglia sentivo sempre parlare con orgoglio dei suoi successi: dopo la laurea in Accademia, partì per l’Artsakh come un ufficiale specializzato dove diventò prima comandante e poi maggiore. In questa regione dove è nata la lingua armena, il mio amico Eghisce ha trovato anche l’amore che ha generato due bellissimi figli.

La vita scorreva felice quando nel 2016 dovette affrontare con successo il suo battesimo di fuoco nella cosiddetta Guerra dei quattro giorni. Ma la pace è stata infranta nuovamente dall’Azerbaigian durante l’autunno del 2020, in quella che oggi è chiamata la Seconda Guerra per l’Artsakh e anche in questa dolorosa occasione Eghisce si è donato per difendere la sua adorata Patria, la sua amata famiglia, i suoi cari amici. Questa volta la battaglia è stata più impegnativa e Eghisce ha mostrato e dimostrato tutto il suo valore in diverse azioni per fronteggiare l’attacco impari del nemico. Ma in guerra il destino del soldato non dipende solo dalla propria forza e dalle proprie capacità perché spesso il fato abbraccia le gesta del soldato con il sacrificio dell’immortalità. Sì, il mio amico Eghisce, in quelle settimane di fuoco e amore, è stato immortalato nel giardino degli eroi armeni che continueranno a proteggere la pace della nostra Patria da lì, dall’alto… E finché vivrà la volontà del mio Soldato l’Armenia non si inginocchierà”.

Armine Kasumyan

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Nagorno Karabakh: il trauma della guerra e le chiavi della nonna (Osservatorio Balcani e Caucaso 09.09.21)

E’ nonna ed ha 94 anni. Porta sempre con sé una borsetta contenente il suo misuratore di pressione, alcuni oggetti essenziali e le chiavi della casa in Nagorno Karabakh, casa che fu costretta ad abbandonare trent’anni fa.

Dopo la riconquista del suo villaggio da parte dell’esercito azero nell’autunno 2020, in rete è stato pubblicato un video che mostra la sua casa. Dal video si evince chiaramente che la casa venne colpita da un missile molti anni fa, durante la prima guerra [del Nagorno Karabakh]. Col tempo un enorme albero è cresciuto tra le mura dell’edificio fatiscente, probabilmente risale allo stesso periodo in cui ebbe inizio la guerra.

Ad oggi nessuno ha osato dire a questa nonna che la sua casa è stata distrutta, per cui continua a portarsi dietro le chiavi ovunque vada, stando sempre attenta a non perderle.

Rimasta vedova da giovane, ha cresciuto i suoi cinque figli da sola, occupandosi della casa e coltivando ortaggi. Avevano un grande orto dove lavorava dalla mattina alla sera, vendendo gli ortaggi raccolti agli armeni che di solito compravano i suoi prodotti all’ingrosso per poi rivenderli nella città vicina. A tutt’oggi è immensamente orgogliosa che tutti e cinque i suoi figli abbiano frequentato l’università.

Ricorda i tempi in cui gli azeri e gli armeni vivevano fianco a fianco, condividendo tutto e spesso intrattenendo stretti rapporti di amicizia. In occasione della circoncisione dei loro figli, gli azeri spesso invitavano un loro stretto amico armeno a partecipare alla cerimonia, chiedendo a quest’ultimo di tenere il bambino durante l’intervento, credendo che le gocce di sangue cadute sulle sue mani avrebbero unito le due famiglie con un legame ancora più forte, un vero e proprio vincolo di parentela.

Fuga a Baku

Alla fine degli anni Ottanta la situazione iniziò a cambiare. Cominciarono ad avvertirsi le prime tensioni e le relazioni tra i due popoli andarono progressivamente peggiorando. Capitava che il villaggio venisse preso di mira con colpi di arma da fuoco, lasciando la donna sconvolta e preoccupata. Sperava però che le tensioni si sarebbero attenuate e che tutto sarebbe tornato come prima. Non si lasciò sopraffare dal pessimismo nemmeno dopo lo scoppio della guerra in Nagorno Karabakh. Solo dopo aver appreso la notizia dei tragici fatti di Khojaly [dove nel 1992 le forze armene, appoggiate dai russi, uccisero oltre 500 civili azeri], la donna decise di andarsene immediatamente con la sua famiglia. Fecero le valige, un solo bagaglio a testa, chiusero a chiave la porta di casa e fuggirono.

La donna racconta che l’Iran aveva aperto le frontiere per permettere agli azeri fuggiti dal Nagorno Karabakh di raggiungere Baku senza incorrere in pericoli. Una delle sue nipoti, all’epoca dei fatti tredicenne, ricorda ancora quel viaggio. Una scena resterà per sempre impressa nella sua memoria: una notte, trovatisi costretti ad attraversare un fiume, i suoi compagni di viaggio cercarono di guadare le acque impetuose, illuminate dal chiaro di luna, tenendo i bagagli alti sopra la testa.

Fuggendo insieme attraverso l’Iran, ottanta membri della sua famiglia riuscirono a raggiungere Baku, dove si sistemarono in un appartamento composto da quattro camere. Nonostante gli spazi ridotti, l’appartamento era l’ultimo dei loro problemi. La sfida maggiore era quella di procurarsi cibo sufficiente e di sopportare gli atteggiamenti ostili della popolazione locale che li accusava di aver lasciato la loro terra agli armeni e di essere venuti a Baku per scroccare.

Al momento dell’arrivo a Baku la nonna aveva 64 anni. Nessuno si aspettava che lei continuasse a lavorare duramente come aveva fatto prima quando, essendo rimasta vedova, si trovò costretta a crescere cinque figli da sola. Una volta giunti a Baku toccava ai suoi figli provvedere alla famiglia. Erano tempi molto difficili: relegati ad una posizione marginale nella società azera, avevano opportunità molto limitate. Dovettero accettare il fatto di aver perso la loro casa e fare i conti con la percezione che la popolazione locale ebbe di loro, considerandoli “fuggiaschi”. Lavoravano allo stremo delle forze, senza nemmeno poter accedere all’assistenza sanitaria in caso di malattia, faticando a sopravvivere, ma ciò che importava era garantire maggiori opportunità e un futuro più luminoso ai propri figli.

Tempi difficili

Con il passare del tempo tutti i figli della protagonista del nostro racconto hanno sviluppato diverse patologie croniche, ciononostante sono riusciti a crearsi una famiglia e a trovare una casa a Baku o nei dintorni. Ospitare la nonna nella propria casa per loro non è solo un dovere, ma innanzitutto un onore, e a volte devono ricorrere a vari trucchi per convincerla a rimanere.

Tuttavia, la nonna non ha mai voluto rimanere definitivamente con uno dei suoi figli. Dopo alcuni mesi trascorsi nella casa di un figlio, si trasferisce dall’altro, e sono ormai trent’anni che vive così. Non ha mai acquistato una nuova casa, né tanto meno ha sviluppato un senso di appartenenza, nonostante le molteplici opzioni che le sono state offerte.

Anche i suoi nipoti sono riusciti a costruirsi una vita dignitosa. Guardando indietro al breve tempo trascorso in Nagorno Karabakh, lo vedono come una risorsa che li ha aiutati a sopravvivere, contribuendo alla loro percezione del mondo e alla costruzione della propria identità. Si sentono ancora legati a quella terra dove sono nati e dove hanno trascorso la loro infanzia.

Raccontando la sua storia, la mia interlocutrice ricorda come, da bambina, aveva aiutato un suo zio a costruire un muro. Passandogli le pietre, lo aveva aiutato a erigere un muro che ancora oggi circonda la loro vecchia casa e l’albero.

Sopraffatti dalla nostalgia per la vita, sicura e confortevole, che vivevano in Nagorno Karabakh, marginalizzati dalla popolazione locale e costretti a fare i conti con innumerevoli difficoltà quotidiane, i membri della famiglia hanno sviluppato vari meccanismi per fronteggiare gli atteggiamenti ostili e umilianti nei loro confronti. Non hanno mai rinunciato alla loro vecchia identità, continuando a percepire se stessi nel contesto della loro vita di una volta, come se non fossero mai stati costretti a fuggire. Lo dimostra l’affermazione di una delle figlie secondo cui “in Karabakh l’istruzione conta molto, per cui abbiamo fatto tutto il possibile per riceverla”. La figlia ricorda di non aver acquistato alcun capo di abbigliamento per anni dopo la fuga dal Nagorno Karabakh. Erano venuti a Baku quando aveva tredici anni, e i primi nuovi abiti – una canottiera e una gonna – li aveva comprati quando si era iscritta all’università. Ancora oggi riesce a descrivere precisamente quegli abiti e ricorda la sensazione provata quando li aveva indossati per la prima volta.

Riabilitazione post traumatica

I pronipoti della protagonista della nostra storia sono cresciuti a Baku. A differenza dei loro genitori, non sentono alcun legame emotivo con il Nagorno Karabakh. Ciononostante, la recente vittoria [dell’Azerbaijan nella guerra del Karabakh] li ha resi felici. Al pari dei loro familiari adulti, sentono che quella vittoria in un certo senso li ha riabilitati. Tutte le sofferenze subite finalmente sembrano avere senso. La loro vita ha acquisito un nuovo significato: finalmente si sentono uguali agli altri e la loro posizione sociale e l’umiliazione subita non rappresentano più un fardello così pesante.

Al momento non intendono ritornare in Nagorno Karabakh, sperando che la vita a Baku diventi più facile. Uno dei nipoti della vecchia signora, un giovane studente anticonformista, scherza dicendo che se il Nagorno Karabakh dovesse legalizzare la cannabis, vi si trasferirebbe immediatamente insieme ai suoi amici.

Sono felici per la vittoria dell’Azerbaijan, si sentono orgogliosi, ma allo stesso tempo piangono le vittime della guerra, sia azere che armene, senza però poter ammetterlo pubblicamente. Pur essendo consapevoli che le due comunità condividono le stesse sofferenze, si rendono conto del fatto che nessuno osa parlarne.

La vecchia signora continua a sperare che un giorno potrà tornare nella casa dove ha dato alla luce e cresciuto i suoi figli e dove ha lavorato tenacemente per garantire loro una vita migliore. È lì che vuole trascorrere gli ultimi giorni della sua vita lunga e difficile, ma assai felice. Nel frattempo, porta sempre con sé le chiavi della sua casa e non si fida a lasciarle a nessuno.

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L’ambasciatrice dell’Armenia ospite a Palazzo San Domenico (Bisceglieviva 07.09.21)

Tsovinar Hambardzumyan, ambasciatrice della Repubblica d’Armenia in Italia, è stata accolta a Bisceglie nella mattinata di martedì 7 settembre. La rappresentante diplomatica dello stato ex sovietico parteciperà a una rassegna cinematografica in programma fino al prossimo 12 settembre al Politeama Italia.

«Affascinata dai colori del nostro mare, l’ambasciatrice ha detto di essere rimasta ammaliata da Bisceglie e questo ci fa enormemente piacere e rende orgogliosi» è quanto osservato dal Sindaco Angelantonio Angarano in una nota. «Con gli assessori Bianco e Rigante e Maria Rosaria Basile della Commissione pari opportunità, a nome della comunità, abbiamo dato il nostro caloroso benvenuto all’ambasciatrice ed espresso la vicinanza al popolo armeno in nome della storia, della cultura e della giustizia» ha evidenziato il primo cittadino.

«Il cinema è ponte tra culture e veicolo di unione tra i popoli. Bisceglie si apre al mondo con manifestazioni di alto profilo che diventano anche occasione per relazioni internazionali e opportunità economiche» ha concluso Angarano rivolgendo un augurio di buon lavoro agli organizzatori della manifestazione.

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>> L’​Ambasciatrice della Repubblica d’Armenia​ in visita a Bisceglie

Premio Marzani: Premiati gli Ambasciatori di Armenia, Iraq e Oman (Notizie Geopolitiche 05.09.21)

Si è tenuta sulla suggestiva terrazza Marzani, nella città di San Giorgio del Sannio, la 14ma edizione del Premio internazionale giornalistico e letterario Marzani, organizzato dall’Associazione Campania Europa e Mediterraneo. Il Premio nasce nel 2008 con il patrocinio del ministero degli Esteri, della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, della presidenza della Camera dei deputati, della Regione Campania, della Provincia di Benevento, dell’Università degli Studi del Sannio e del Comune di San Giorgio del Sannio.
Le questioni della pace, della stabilità e dello sviluppo dell’area del Mediterraneo come elementi fondamentali di una politica europea tesa a gestire il fenomeno dell’immigrazione clandestina, sono solo alcuni dei temi che il Premio Marzani, che si sviluppa ogni anno in sinergia di personalità di primo piano del giornalismo, della diplomazia e delle istituzioni dei paesi interessati; si tratta anche di un importante momento di confronto che vede la partecipazioen dei cittadini comuni. L’edizione di quest’anno del premio ha visto l’apertura con un concerto di giovani professionisti del Conservatorio e dei maestri Massimo Buonocore, Antonio Di Costanzo, Nicola Fusco, Francesco Abate, oltre che di un quartetto di clarinetto.

Dodici i premiati di questa edizione 2021:
– Safia Taleb al-Souhail, ambasciatrice in Italia della Repubblica dell’Iraq;
– Tsovinar Hambardzumyan, ambasciatrice in Italia della Repubblica di Armenia;
– Ahmed Bin Salim Bin Mohamed Boamar, ambasciatore in Italia del Sultanato dell’Oman;
– Christopher Cutajar, segretario permanente del Ministero degli Affari Esteri ed Europei della Repubblica di Malta;
– la giornalista Tiziana Buccico, esperta di cultura, politica ed arte dell’IRAN e del Medio Oriente;
– il giornalista del quotidiano Il Mattino di Napoli e saggista Marco Esposito;
– la giornalista e scrittrice Daniela Cecchini;
– la giornalista e scrittrice Emanuela Sica;
– il giornalista Ali Hamzah Khaleel Al Kafaji, inviato di guerra, corrispondente tv Iraq al-Manar;
– la giornalista d’inchiesta Mariateresa Conte;
– la fotografa Claudia Delli Gatti;

Il presidente Enzo Parziale dell’Associazione Campania Europa Mediterraneo ha affermato nell’occasione che “Anche quest’anno i nostri ospiti graditi rappresentano uno spaccato importante nel nostro Paese, eccellenze di altissime qualità, che rappresentano quello che è lo scopo della nostra associazione. Ricordiamo all’incirca di due anni fa, quando abbiamo riconosciuto come amministrazione comunale, il Genocidio degli Armeni, realizzando una delibera di concessione della cittadinanza onoraria all’ambasciatrice della Repubblica di Armenia”.

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Strade d’Armenia/2. Ai piedi del monte Ararat, nel paese delle pietre parlanti (Barbadillo 04.09.21)

Non è facile sintetizzare in un articolo la quantità dei posti visitati e la meraviglia suscitata dalla bellezza che offre la terra di Armenia, soprattutto in termini di emozioni; questa volta ci proveremo concentrandoci su alcuni posti attraversati fra le regioni centrali e meridionali.

L’attuale Armenia, pur essendo ricca di acqua, non ha sbocchi sul mare ma, scendendo verso Sud-Est, si incontra il grande lago Sevan, uno dei più grandi laghi d’alta quota nel mondo, ci troviamo infatti a quasi 1.900 mt di altezza per una distesa d’acqua pari a circa 1.300 km². Sevan per gli armeni significa storie e leggende ma soprattutto freschezza, vacanza, sport acquatici, balneazione e buon pesce da mangiare, in particolare le sue gustose trote. 

Noraduz

Pur non avendolo visitato, merita una menzione il monastero di Sevanavank, che da una penisoletta penetra il lago, come un solitario braccio che si allunga su questa distesa d’acqua evocando pace e misticismo. Proseguendo per il litorale si incontra il cimitero di Noraduz che con le sue circa ottocento steli rappresenta la più ricca distesa di Khachkar, le tipiche croci di pietra armene. Ad accoglierci in questo sito antichissimo e che ospita veri e propri capolavori risalenti addirittura al IX secolo, forse qualcuno anche prima, è una simpatica vecchietta intenta a tessere all’uncinetto calze e cappelli di lana. La signora parla un po’ italiano e un po’ inglese e ci guida in questo museo a cielo aperto descrivendoci le rappresentazioni e i significati dei vari Khachkar incontrati, veri e propri libri in pietra che raccontano ancora oggi la vita di chi da secoli attende la resurrezione nell’ultimo giorno. Nel silenzio che avvolge questo sito carico di storia e di spiritualità, è facile lasciarsi accarezzare dal vento immergendosi nei propri pensieri e godendo di una pace che rompe la frenesia della quotidianità lasciata in Italia e ristora pienamente il nostro animo.

Superato il lago si continua a scendere verso sud fino a incontrare il Passo di Selim, una stretta e affascinante serpentina che discende una gola alta oltre i 2.500 mt, ricca di sfumature fra il verde e l’oro nelle sfaccettature dei profili montuosi che si rivelano a ogni curva. Qui si incontra il Caravanserraglio di Selim, costruzione in basalto nero risalente al XIV secolo che serviva da alloggio per le carovane che si spostavano dalla Cina all’Europa e viceversa. L’Armenia, infatti, proprio per la sua posizione strategica che ne fa una cerniera fra Oriente e Occidente, fu una delle tappe principali della celebre Via della Seta, rivelando l’importanza geopolitica di questa piccola terra da sempre al centro delle dispute dei grandi imperi e ancora oggi protagonista di tante turbolenze.

Shaki

Impossibile non lasciarsi coinvolgere dalla poesia che esprimono i versanti del Passo di Selim ma il viaggio deve continuare fino a incontrare le cascate di Shaki, chiamate così perché la caduta delle acque, nei suoi potenti e fragorosi rivoli, ricorda i capelli della bellissima giovane Shaki che per sfuggire alle mire di Tamerlano si tuffò nella gola di Vorotan trasformandosi in cascata invece di trovare la morte. Qui c’è solo una cosa da fare: sedersi e lasciarsi coccolare dal fresco e musicale scrosciare dell’acqua.

Carahunge

Vicino le cascate si trova la fortezza di Smbataberd, da raggiungere attraverso un percorso di trekking di circa 3 km e il meraviglioso sito di Carahunge, ovvero la Stonage di Armenia. Questo posto è particolarmente carismatico, si tratta di un sito archeologico risalente all’era preistorica, probabilmente all’età del bronzo, dove sono erette e allineate a cerchio oltre duecento megaliti che probabilmente servivano come tombe per i guerrieri ma non solo. Molte di queste steli presentano un foro che pare servisse per studiare la volta celeste in relazione alle fasi lunari, ai solstizi e gli equinozi. Insomma, a Carahunge ci si trova dentro il più antico osservatorio astronomico del mondo e il solo pensiero è una grande emozione che scorre come un brivido lungo la pelle. 

Il punto più a sud visitato è il monastero di Tatev, raggiungibile tramite una verdeggiante serpentina di curve immersa in uno scenario di suggestiva bellezza. Un’alternativa è la più lunga funivia del mondo e lasciarsi meravigliare dallo scenario che si apre dalle finestre della cabina, mentre a oltre 1.500 metri di altezza percorre quasi 6 km fino ad affacciarsi sulla vista panoramica del monastero. L’origine del plesso monastico è antichissima, addirittura già del IV secolo, praticamente agli albori della Chiesa armena, in questo posto si trovava una chiesetta luogo di pellegrinaggio che poi nei secoli, nonostante le continue devastazioni, tornò sempre a occupare un importante ruolo religioso e culturale fino ai giorni nostri.

Da Tatev parte la risalita del nostro viaggio immerso in una natura straordinaria per bellezza e ricco di cultura, storia ma anche di incontri con gente straordinaria, sempre disponibile e accogliente, pronta a offrirti un succo fatto in casa, tanta frutta fresca, del miele, un pezzo di pane-lavash con formaggio e soprattutto a condividere uno straordinario amore per la propria terra e la propria identità ancora profondamente radicata dentro il cuore di ogni famiglia e sempre aperto per ogni nuovo ospite. Ma prima di arrivare nella capitale ci sono altre tappe fondamentali da attraversare. La prima di questa è il suggestivo monastero di Noravank. Questo plesso monastico è legato al lavoro del celebre scultore e architetto Momik, vissuto nel XIV e creatore di numerosi Khachkar uno più bello dell’altro, nonché delle sculture e di tutti i bassorilievi che ornano riccamente ogni angolo di questo posto. Ma c’è un’altra caratteristica che rende questo sito incantevole ed è la natura che lo circonda. I monaci, si sa, hanno sempre scelto posti abbastanza isolati e immersi nella natura per cercare di conciliarsi meglio con la vita di preghiera e meditativa. In realtà in Armenia (al contrario dell’Europa) erano i principi a costruire i monasteri dove poi si sarebbero insediati i monaci, ma la regola di scegliere dei posti particolarmente mistici restava comunque rispettata. Così Noravank sorge in una gola dove la natura circostante è particolarmente coinvolgente, immersa in altipiani dai colori rossicci con distese striate di verde e di dorato, e nonostante i turisti, il suo silenzio è spezzato solo da qualche rapace che volteggia nell’infinità di un’atmosfera trascendente. 

Da qui merita una visita anche la Cava di Areni, un antichissimo sito archeologico dove è stata rinvenuta addirittura la più antica scarpa al mondo. E per chi ama il buon vino, nel villaggio di Areni è possibile anche gustare le ottime produzioni locali prima di riprendere il cammino verso Khor Virap, e qui si fa la storia dell’Armenia. Come già detto, è impossibile pensare a questa nazione se non in relazione con il Cristianesimo e tutto ebbe origine nel 301 d.C. in questo posto dove dentro un angusto pozzo venne imprigionato per ben tredici anni san Gregorio “l’illuminatore” a causa della sua proclamazione del Vangelo di Cristo. Ma quando il re Tiridate III guarì dalla sua follia per intercessione proprio di san Gregorio, allora il re si convertì e da qui l’Armenia abbracciò ufficialmente la religione cristiana facendo di questo popolo la prima nazione al mondo a diventare cristiana. Da quel momento il Cristianesimo divenne pelle per gli armeni, pagata spesso anche con il sangue del martirio.

Sul promontorio dove sorge il monastero di Khor Virap svetta una enorme bandiera armena che guarda il confine turco e saluta il monte Ararat, geograficamente in Turchia ma culturalmente e simbolicamente terra armena! Qui, sulla cima dell’Ararat, che ogni tanto fa capolino su vari punti dell’Armenia, l’Arca di Noè si fermò dopo il diluvio universale, ed è da qui che chiudiamo questo secondo capitolo.

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Gli ultimi sviluppi del conflitto del Nagorno Karabakh (In Terris 04.09.21)

Immaginatevi una situazione in cui uno stato confinante annuncia di voler progettare un viale lungo decine di chilometri che spacchi il territorio del vostro stato in due e arrivi poi ad un terzo stato (oppure al suo exclave). E senza neanche chiedere la vostra opinione. Che ne pensereste di una tale richiesta? Questo surrealismo tocca i rapporti tra Armenia e Azerbaijan, vincitore, quest’ultimo della guerra dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) dopo l’aggressione del 27 settembre 2020, scoppiata nella guerra dei 44 giorni e realizzata con l’appoggio militare, logistico e pratico della Turchia di Erdogan e dei terroristi esportati dalla Siria. Ora l’Azerbaijan si presenta con nuove idee di rivendicazione contro gli armeni, aspirando a creare un collegamento terrestre via il territorio sovrano della Repubblica d’Armenia e annunciando, allo stesso tempo, di  essere pronto ad “applicare la forza”, qualora l’Armenia volesse opporsi ai suoi progetti.

A seguito della dichiarazione trilaterale di cessate il fuoco, formulata da Armenia, Azerbaijan e Russia il 9 novembre 2020, l’Azerbaigian ha infatti continuato la sua politica di aggressione nei confronti dell’Armenia e della Repubblica di Artsakh, la quale il 2 settembre ha festeggiato i 30 anni della sua indipendenza.

Il periodo tra dicembre 2020 e giugno 2021 ha visto il susseguirsi di vari eventi: l’infiltrazione (13 dicembre 2020) delle forze speciali azere nei villaggi di Hin Tagher e Khtsaberd in violazione della dichiarazione trilaterale, durante la quale i soldati azeri hanno catturato decine di soldati e civili armeniil deturpamento della Cattedrale armena di San Salvatore a Shushi e la rimozione delle sue cupole (3 maggio 2021); l’infiltrazione in Syunik, regione meridionale della Repubblica d’Armenia; le tensioni a Khdzoresk e VerishenVardenis e Kut (3 maggio 2021); l’avanzamento delle truppe azere nelle zone confinanti con le città di  Vardenis e Sisian (14 maggio 2021); il fuoco aperto il 25 maggio 2021, con l’uccisione di un soldato armeno sulla territorio della Repubblica d’Armenia, a Verin Shorzha; la presa in ostaggio di 6 militari armeni sul territorio sovrano della Repubblica d’Armenia, mentre facevano lavori di ingegneria militare mirata alla fortificazione dei confini  (27 maggio). Da segnalare poi che l’Azerbaijan rilascia 15 prigionieri di guerra armeni (13 giugno), però solo in cambio di una mappa delle mine (per i territori occupati), applicando così il principio terroristico di scambio di vite umane con oggetti preziosi; il 15 giugno Erdogan è a Shushi – la città distrutta dalla Turchia e dall’Azerbaigian nel 1920 e nel 2020 – accompagnato dal presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev e dalla sua famiglia – per celebrare il successo dopo l’aggressione contro l’Artsakh e l’Armenia; nella dichiarazione sullo sviluppo del “mondo turco”, si ricorda il trattato di Kars del 1921, per mezzo del quale agli armeni vennero strappate intere regioni, terre storiche armene, nota con soddisfazione la collaborazione russo-turca sul territorio di Artsakh e prevede una collaborazione tra Turchia e Azerbaijan nell’ambito politico-militare.

Il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica di Artsakh condanna fermamente tali visite nei territori occupati di Artsakh, considerandole come ”una provocazione, un’attuazione della politica espansionistica ed estremista e una chiara manifestazione di grave violazione del diritto internazionale, xenofobia, genocidio e politica terroristica”; il 6 luglio 2021 si verifica un caso serio di sparatoria intensa a Verin Shorzha, ferito un soldato armeno; le truppe azere cominciano a sparare anche nella direzione di Yeraskh, nel sud-ovest dell’Armenia. E’ in atto il nuovo piano dell’aggressione, che prevede di attanagliare la Repubblica d’Armenia sia dalla parte orientale che da quella occidentale (17 luglio).

Nel mese di agosto, l’Azerbaijan continua a terrorizzare la popolazione pacifica dei villaggi armeni situati lungo il nuovo confine, sparando nello specifico nella direzione dei villaggi di Sotk, Kut, del lago Sev (confine orientale) e anche nuovamente a Yeraskh, dal territorio di Nakhijevan (confine occidentale) – uccidendo tre soldati armeni, compreso un sottosergente (1 settembre) delle Forze armate dell’Armenia. Nel frattempo Aliyev, nel suo discorso del 17 agosto, svela il piano massimalistico che suona come una nuova dichiarazione guerrafondaia: “Apriremo il corridoio per far ritornare i nostri civili nelle loro terre storiche; staremo ovunque vorremo stare”, “ripeteremo la lezione data agli armeni” [riferendosi alla guerra dei 44 giorni]. Il 25 agosto, come ennesima provocazione, le truppe azere bloccano una parte dell’autostrada Goris-Kapan, invece il 31 agosto provocano incendi lungo il confine armeno-azero nella zona di Sotq e Kut.

Risulta una situazione nella quale l’Armenia si trova circondata da nemici e falsi alleati, una situazione che potrebbe compromettere di nuovo la pace e la sicurezza della regione.

La Russia, con il mancato supporto agli Armeni, ha contribuito in modo decisivo all’allargamento dello spazio geopolitico dei neo-ottomani, rafforzando il fattore turco non solo contro l’Armenia – avendo utilizzato quest’ultima come un “alleato strategico” usandola, comunque, come risorsa/moneta di scambio nei suoi rapporti con i turchi, come ha fatto anche 100 anni fa – ma anche contro l’Occidente e la Cina.

La comunità internazionale continua a rimanere inattiva e complice dei crimini dei neo-ottomani contro il popolo armeno dell’Artsakh, essendo neutralizzata dalla presenza della Russia sul territorio, che continua la “politica di punizione” contro l’Armenia per il cammino democratico da essa intrapresa senza la sua approvazione.

L’Azerbaijan gioca su tre piani importanti oltre a quello politico:

  • Militare – pressioni da est e ovest sull’Armenia, mirate alla realizzazione del progetto a tappe “1. Corridoio, 2. Conquista di Syunik 3. Lago di Sevan 4. Yerevan”
  • Culturale – deturpamento di monumenti armeni e dissacrazione di tombe e siti cristiani armeni, cancellazione di ogni traccia storica della presenza degli armeni in Artsakh, seguendo il principio #CancelArmenianCulture ossia quello di distruggere ogni traccia e prova dell’esistenza secolare degli armeni nei territori occupati.
  • Psicologico – esaltazione dei crimini contro gli Armeni, dei crimini di guerra, processi inventati contro i prigionieri di guerra armeni dove questi ultimi vengono etichettati come “terroristi”, per controbilanciare la schiacciante evidenza sull’uso da parte dell’Azerbaijan di mercenari terroristi esportati dalla Siria attraverso il territorio turco.

L’Armeniaa causa del sua dipendenza da un alleato geostrategico e politico estremamente discutibile, si trova innanzitutto in uno stato di prigioniero del proprio modello democratico eletto nel 2018, a dispetto della mancata approvazione del Cremlino – giocatore fondamentale e gestore di questo conflitto, i cui presupposti vennero creati apposta da Stalin negli anni 20 del secolo scorso, per tenere la regione sotto controllo. Come risultato, intere regioni armene, molte delle quali oggi fanno parte di un soggetto politico e territoriale conosciuto con lo stesso nome di una regione iraniana (“Azerbaijan”), sono diventate una specie di valuta nelle mani delle grandi potenze per pagare le cessioni /bilanciamento/ del potere, ma anche per punire gli Armeni per la via di sviluppo democratico da loro scelto.

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Laura Ephrikian racconta la sua Armenia Serata di beneficenza (Lanazione 22.09.21)

Serata a favore dei bambini dell’Africa. Sabato alle 19, alle “Delizie di Alessia” in via Nazario Sauro a Marina, si chiude il calendario dell Proloco Marina. Ospite l’attrice Laura Ephrikian, una vita passata in Rai ed ex moglie di Gianni Morandi, che presenterà il libro: “Una famiglia armena” edito da Spazio Cultura e con postfazione di Walter Veltroni. La storia della famiglia armena della donna a partire dalle origini, da quando il nonno scappò a Venezia e trovò l’amore. Previsto un apericena di beneficenza per la fondazione di Laura Ephrikian che provvede alla sopravvivenza dei bambini africani. La raccolta punta alla costruzione di diversi pozzi d’acqua. La serata sarà introdotta dalla presidente Proloco, Roberta Branzanti e moderata dalla conduttrice Alessandra Cenci Campani. Per prenotazioni chiamare lo 0585832825 oppure 3478137970

A Pordenonelegge lo ‘Sherlock Holmes’ del Genocidio armeno (IlFriuli.it 03.09.21)

Fra gli eventi internazionali più attesi, alla 22esima edizione di Pordenonelegge, in programma dal 15 al 19 settembre, c’è senz’altro la presentazione di Killing Orders. I telegrammi di Talat Pasha e il genocidio armeno di Taner Akçam, coraggioso intellettuale e storico turco, rifugiatosi negli Stati Uniti per la sua lotta a favore della verità e ancora oggi insopportabile per il regime di Ankara.

Il libro è uscito a fine 2020 per le Edizioni Guerini, da tre decenni impegnate nella pubblicazione di libri dedicati alla storia armena, nelle collane dirette da Antonia Arslan Storia e cultura armena, Carte armene e Frammenti di un discorso mediorientale. Appuntamento venerdì 17 settembre, alle 11 nello Spazio San Giorgio, per il dialogo Akçam – Arslan che porterà alla luce i documenti e le scoperte di Killing Orders, testimonianze provate nella loro autenticità – e tradotte per la prima volta in lingua italiana: i telegrammi di Talat Pasha, l’architetto del Metz Yeghern – il Grande Male.

Un vero terremoto negli studi sul Genocidio Armeno, perché quei documenti non lasciano alcun dubbio: quello patito dagli armeni fu un Genocidio, il primo del XX secolo. Akçam restituisce con precisione al lettore, passo dopo passo, istruzione dopo istruzione, le varie fasi di preparazione, innesco e divampare dello sterminio. Una macchina della morte su ampia scala affidata alla carta e all’inchiostro, intrisa del sangue di oltre un milione e mezzo di vittime. L’opera fondamentale di Akçam ci fa entrare nei meandri dell’organizzazione genocidaria e nella logica dei carnefici. Il negazionismo di Stato che cerca di giustificare, ridimensionare o del tutto misconoscere questo immenso buco nero della Storia, su cui affonda la nostra contemporaneità sia in Europa sia nel Medio Oriente, è qui messo definitivamente con le spalle al muro.

Taner Akçam è ampiamente riconosciuto come il primo storico turco ad aver scritto e discusso apertamente il Genocidio Armeno. Nato nella regione di Kars-Ardahan, nel 1976 viene arrestato e condannato a dieci anni di reclusione per i suoi scritti. Un anno dopo riesce a fuggire e a rifugiarsi in Germania. Oggi ha la cattedra di Studi sul Genocidio Armeno alla Clark University negli Stati Uniti. Per le nostre edizioni ha pubblicato Nazionalismo turco e Genocidio armeno (2005). Nell’aprile 2021, insieme ad Antonia Arslan, ha ricevuto dal sindaco di Ferrara la cittadinanza onoraria, in risposta alle dichiarazioni dell’Ambasciatore turco, che ha invitato il primo cittadino a “rivedere le sue posizioni” a seguito di un’iniziativa dedicata al Genocidio organizzata dal Teatro Comunale di Ferrara.

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Il Genocidio Armeno a Pordenonelegge (Lastampa 01.09.21)

Il Genocidio Armeno è stato riconosciuto come realtà storica dal Papa, dall’Unione europea e pochi mesi fa anche dall’America di Joe Biden, eppure in Turchia viene ancora negato, e se un cittadino turco osa parlarne rischia il carcere. Taner Akçam è uno storico turco a cui è stata inflitta una condanna a dieci anni di carcere per i suoi scritti, che riguardavano, fra l’altro, anche il Genocidio Armeno. Fuggito in Germania, ora ha una cattedra alla Clark University negli Stati Uniti. Fra gli eventi internazionali di Pordenonelegge il 17 settembre alle ore 15,30 Taner Akçam, in dialogo con Antonia Arslan, presenterà il suo libro “Killing Orders” (Guerini e Associati, 2020), un volume denso di documenti inediti che aggiungono prove a prove.

In “Killing Orders” vengono tradotti per la prima volta in lingua italiana i telegrammi di Talat Pasha, l’architetto turco del Genocidio. Akçam restituisce con precisione al lettore, passo dopo passo, istruzione dopo istruzione, le varie fasi di preparazione, innesco e attuazione dello sterminio pianificato di un milione e mezzo di armeni, per la maggior parte donne e bambini.

Pordenonelegge, Festa del Libro con gli Autori, è in programma con la sua 22a edizione dal 15 al 19 settembre. L’autore presenterà il libro il 17 settembre 2021 alle ore 15,30 presso lo Spazio San Giorgio, in dialogo con la scrittrice Antonia Arslan. Info e dettagli pordenonelegge.it

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Strade d’Armenia/1. Un itinerario di spiritualità guerre e paesaggi (Barbadillo 01.09.21)

Attraversare l’Armenia è un viaggio affascinante, coinvolgente, spirituale tanto da assumere anche i tratti di un pellegrinaggio. I profili paesaggistici e naturali di questa piccola terra (appena più grande della Sicilia) incastrata nel Caucaso sono sorprendentemente vari, basti pensare che ogni sua provincia si caratterizza diversamente dalle altre in un’armonia che trova la sua sintesi nel carattere e nella cultura millenaria del suo popolo. Tra sinuose strade si attraversano i rigogliosi boschi delle regioni nordiche, si passa per il grande lago Sevan che offre freschi profumi e quella brezza che invita alla contemplazione, fino a raggiungere le dorate e brulle distese dei campi di foraggio nel sud, questa terra ti accoglie sempre con gratuito calore e si racconta con profondo dolore. Nonostante stiamo parlando di una civiltà antica e fortemente identitaria, l’Armenia ha ritrovato la sua indipendenza solo trent’anni fa, al crollo dell’Unione Sovietica, dopo secoli di varie dominazioni a opera dei persiani, dei bizantini, dei selgiuchidi, dei mongoli, della Russia zarista e sovietica, degli ottomani fino alla tragedia del Genocidio armeno vissuta fra il 1915 e il 1918 in cui circa un milione e mezzo di armeni trovarono la morte per mano turco-ottomana. 

La prima tappa di questo viaggio è Gyumri, già Leninakan sotto il dominio sovietico e già Alessandropoli sotto il dominio zarista. Situata a nord-ovest, a ridosso del confine turco, Gyumri è la città più antica dell’Armenia nonché la seconda per dimensioni dopo la capitale Erevan. In realtà le città armene sono poche, forse solo i capoluoghi delle sue undici province, perché il tessuto demografico si estende soprattutto lungo tanti piccoli villaggi che in sé possono racchiudere straordinarie testimonianze storiche e monumentali. Questa città venne devastata da un tremendo terremoto nel 1988 che portò qui una delegazione umanitaria italiana di cui faceva parte anche il medico Antonio Montalto, oggi Console onorario per la Repubblica italiana e impegnato ormai da oltre trent’anni in numerosi progetti che spaziano dall’umanitario alla promozione culturale, turistica e urbanistica di questa affascinante città. Passeggiare fra le vie di Gyumri, infatti, significa lasciarsi meravigliare dalle suggestive costruzioni in basalto nero che ne fanno una caratteristica unica benché i segni del terremoto siano ancora purtroppo evidenti.  Il rapporto fra questa città e l’Italia si è arricchito anche grazie all’impegno dell’Ong identitaria e italiana “Manalive” la quale lo scorso anno ha donato una biblioteca multimediale alla Casa Famiglia gestita dalle suore cattoliche dell’ordine dell’Immacolata Concezione e che conta di avviare presto una missione permanente sul territorio. L’ospitalità di queste religiose ma soprattutto l’accoglienza e il sorriso di questi bambini, è sicuramente uno dei ricordi più belli di questo viaggio.

Dzoraget

I giorni seguenti abbiamo attraversato le verdeggianti province di Lori e di Tavush, dove fra canyon e altipiani mozzafiato raggiungiamo subito la “Croce Sirun” nella valle di Dzoraget. Si tratta di un tipico Khachkar, ovvero le croci votive scolpite dentro un blocco di pietra con ricchi motivi geometrici e floreali che rappresentano un importante simbolo identitario per tutta l’Armenia. Questo tipo di rappresentazione artistica e religiosa, infatti, esiste solamente in Armenia benché presenti una varietà di motivi pressoché infinita. Questo particolare Khachkar del XIII secolo (ma ne esistono centinaia di più antichi) intarsiato in una pietra di tufo, è interessante perché presenta una tale ricchezza ed eleganza nei suoi ornamenti che il famoso poeta armeno Hovhannes Tumanian lo ha eletto a suo monumento preferito. 

Sirun

Da qui si continua ad attraversare le prospere vallate sempre ricche di acqua fino a raggiungere il carismatico monastero di Kobayr. Questo luogo risulta di particolare fascino sia perché incastrato sul fianco del canyon del Debed, sia perché rappresenta una preziosa testimonianza storica della dinastia Bagratidi, quando forti erano le influenze politiche e religiose fra la Georgia ortodossa e l’Armenia rimasta pre-calcedoniana. Oltre allo scenario di poetica bellezza che offre questo sito, è degno di ammirazione e nota l’affresco sulla parete dell’altare di questo monastero purtroppo in rovina. La Chiesa apostolica armena, infatti, è generalmente molto spoglia di rappresentazioni pittoriche ma ricca di decorazioni incise nella pietra. L’augurio è che presto qualcuno possa farsi carico del restauro di questo posto che avvolge e incanta insieme con una forza misteriosa che proviene da secoli di storia tutt’altro che silenziosi. 

Sarebbero tanti i posti visitati e da descrivere in quest’area nordica, uno dei più importanti certamente è il monastero di Haghpat, patrimonio dell’Unesco e modello perfetto per apprezzare l’architettura religiosa armena che risulta essere molto originale rispetto ai paradigmi europei. Quando si parla di Armenia è impossibile non pensare anche al Cristianesimo, perché la storia di questa terra si lega sin da subito alla fede nel Risorto spesso pagata con il martirio e che si è espressa nei secoli con una fiorente vita monastica. Entrare nel complesso monastico di Haghpat, anche questo immerso in uno scenario paesaggistico di grande suggestione e ascetismo, significa attraversare il centro spirituale e culturale più importante dell’Armenia medievale. Basta semplicemente chiudere gli occhi e si può subito immaginare la vita che questi religiosi conducevano fra i loro orti, la biblioteca con migliaia di manoscritti e gli altari incensati che congiungono a Dio.

Akhtala

Un altro monastero importante in zona, e che abbiamo visitato, è certamente quello di Sanahin ma ancora più particolare è il monastero-fortezza di Akhtala. Anche questo posto si colloca come particolarmente significativo per le vicende religiose di questa terra poiché al centro delle influenze ortodosse bizantine, calcedoniane di matrice georgiana, e la fedeltà alla dottrina del “miafisismo” tipica della Chiesa apostolica armena. Non è un caso che questa chiesa presenti numerosi affreschi che la rendono particolarmente affascinante così come il fatto che sia meta ecumenica di pellegrinaggi, ma certamente una caratteristica che non passa inosservata di questo complesso sono le sue fortificazioni militari. Akhtala, dove oggi risiede anche un importante e colorata miniera, sorge su un punto che nei secoli fu strategico dal punto di vista della difesa militare contro le pressioni dei popoli asiatici.

Prima di chiudere questa prima parte è doverosa almeno una menzione a una delle caratteristiche più belle dell’Armenia, ovvero la splendida accoglienza del suo popolo. Se in Italia, e in particolare nel Meridione bizantino, l’ospite è ancora sacro, in Armenia l’ospite è addirittura di famiglia! Qui sono rare le strutture alberghiere e spesso l’ospitalità è affidata alle case delle famiglie dove, a prezzi irrisori, riservano delle stanze per i turisti per poi coinvolgerli nella loro quotidianità, soprattutto a tavola fra un pezzo di pane-lavash, ricche insalate, carne arrostita e un bicchiere di vodka rigorosamente fatta in casa, magari nel mentre di una cena fra amici. 

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Armeni: prima messa dopo un secolo nella chiesa del quartiere di Hrant Dink (Rassegna 01.09.21)

A Malatya la chiesa di Üç Horan era chiusa dal 1915 ed era in condizioni fatiscenti. Ai lavori di ristrutturazione ha contribuito anche l’amministrazione locale stanziando fondi pubblici. Il luogo di culto sorge nell’area in cui è cresciuto il compianto giornalista, ucciso nel 2007. Al suo interno verranno celebrate messe, matrimoni e battesimi, ma sarà anche un centro culturale.

Istanbul (AsiaNews) – La comunità cristiana armena ha festeggiato la celebrazione della prima messa dopo 106 anni nella chiesa di Malatya, che sorge nel quartiere in cui è cresciuto il compianto giornalista Hrant Dink, assassinato davanti alla sede di Agos nel gennaio 2007. La cerimonia ufficiale di riapertura al culto si è tenuta il 28 agosto scorso alla presenza del patriarca armeno in Turchia Sahak Maşalyan, del vescovo metropolita di Sahak Maşalyan Ğriğoriyos Melki Ürek, del vice-patriarca e di numerose autorità religiose e civili delle province circostanti.

Chiusa dal 1915, la chiesa di Üç Horan sorge nella provincia orientale di Malatya; per oltre un secolo è stata inaccessibile ai fedeli e la struttura in condizioni fatiscenti, tanto da farne temere un crollo. Ad eseguire i lavori di ristrutturazione l’organizzazione HAY-DER (Malatya Armenians Association), con base a Malatya, che ha saputo riportare agli antichi fasti il santuario e il battistero.

Da oggi la comunità cristiana armena locale potrà celebrare al suo interno funzioni religiose fra cui messe, battesimi e matrimoni. Nei giorni in cui non viene utilizzata come luogo di culto, essa viene riconvertita a centro culturale. All’opera di restauro ha contribuito l’amministrazione locale, stanziando fondi pubblici. Nel suo intervento, il patriarca Maşalyan ha definito la riapertura “una pietra miliare per questa regione” e per gli armeni in particolare “una giornata di grande festa”.

Nuran Gezdirici, presidente della Malatya Philanthropist Armenians Culture and Solidarity Association, dice di provare “grande orgoglio” per la restituzione al culto di “Üç Horan, o Taş Horan come la chiamano i nostri vicini musulmani”. La leader armena ha quindi reso omaggio alla memoria del giornalista Hrant Dink che “è cresciuto a due vie di distanza dalla chiesa”.

Alla prima celebrazione dopo oltre 100 anni sono intervenuti esponenti delle comunità armene di tutta la Turchia, per un giorno di festa dopo alcuni episodi recenti di emarginazione o attacchi, ultimo dei quali la profanazione di tombe e lapidi di un cimitero nella provincia di Van. Dopo l’ inaugurazione di sabato 28, ieri i vertici ecclesiastici hanno celebrato la prima liturgia domenicale.

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Turchia: Malatya, la chiesa armena riapre al culto dopo 106 anni (SIR 01.09.21)


La chiesa armena di Malatya riapre al culto dopo 106 anni (Agenzia Fides 01.09.21)


La chiesa armena riapre dopo 100 anni (Quotidiano.net 02.09.21)