Reportage da Şuşa, in Azerbaigian (Euronews 17.07.21)

Şuşa, piccola città di soli cinque chilometri quadrati, si trova a un’altitudine di 1600 metri ed è spesso definita un “gioiello della corona del Karabakh”. Euronews è la prima televisione occidentale ad avere accesso senza restrizioni a questa città strategica.

La città è stata campo di battaglia chiave nel lungo conflitto del Nagorno-Karabakh. Ora appartenente all’Azerbaigian, fino alla breve e sanguinosa guerra dello scorso anno era sotto controllo armeno. Nel cuore dela citta sorge un’antica cattedrale, danneggiata durante il conflitto in quello che per gli armeni è stato un “attacco deliberato” mentre per gli azeri un “errore”.

“Questa chiesa, Kazanchi, è stata costruita alla fine del XIX secolo. Negli ultimi cento e più anni è stata ricostruita più volte. Ha subito alcuni danni durante i recenti combattimenti”, afferma l’esperto Unesco Rizvan Huseynov.

Lo scenario è simile anche nel resto della città, con ovunque cantieri di ricostruzione post bellica. “I lavori sono in corso qui al Karabach Hotel, uno dei numerosi siti in fase di ricostruzione. Molti altri aspettano il turno”, spiega il corrispondente di Euronews, Emin Ibrahimov.

“Abbiamo iniziato a lavorare a questo sito a maggio – dichiara Elchin Bashirli, responsabile di progetto – e contiamo di terminare entro settembre. Al nostro arrivo ci si sono presentate numerose difficoltà, mancavano le infrastrutture, l’acqua e l’elettricità. Ora i problemi sono risolti e le infrastrutture sono migliorate”.

“La città porta ancora le cicatrici della recente guerra – conclude Ibrahimov -. Speriamo che azeri e armeni imparino a coesistere pacificamente in questa meravigliosa regione”.

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Inuit e armeni. Quelle fosse comuni di bimbi di cui quasi nessuno sa (Avvenire 16.07.21)

Caro direttore,
recentemente, come puntualmente riportato da ‘Avvenire’, una sconcertate e tragica scoperta è stata fatta in una scuola canadese, la Kamloops Indian Residential School nella British Columbia (aperta nel 1890 e rimasta attiva fino al 1978) e gestita da religiosi cattolici. All’interno di un grande piano di omologazione del governo del Canada i bambini indigeni, inuit e di altre etnie, strappati dalle loro case, venivano portati con la forza in questo e in altri istituti analoghi di diverse confessioni, dove venivano convertiti, dove era vietato parlare la loro lingua, costretti ai lavori forzati, soggetti persino ad abusi fisici e sessuali.

Regnavano malnutrizione ed epidemie. Nel giardino della scuola è stata scoperta una fossa comune con i resti di 215 bambini indigeni. Ma si stima che questa cultura e questo agire genocidario abbiano provocato la morte di almeno 3mila bambini indigeni. Papa Francesco ha denunciato il crimine e ha parlato di «colonizzazione ideologica». In un mio recente viaggio in Libano, per l’inaugurazione del Giardino dei giusti di Kfaranabrakh, iniziativa di Gariwo, la foresta dei Giusti, promossa con il padre greco-melchita Abdo Raad, ho attraversato passi, colline e villaggi, per lo più abitati da maroniti, i cui militi sembravano presidiare la zona e ho raggiunto il villaggio di Antoura. Attraversato l’abitato, mi sono trovato di fronte a tre grandi caseggiati moderni e a un antico edificio perfettamente restaurato: l’imponente Istituto Lazarista, tuttora funzionante.

Ad Antoura nel 1915 era stato messo in opera un piano di turchizzazione forzata degli orfani armeni sopravvissuti. L’istituto dal 1657 era un collegio francese dei Gesuiti, poi passato ai Lazaristi, ma nel 1915, allo scoppio della prima guerra mondiale, i religiosi furono scacciati e il collegio requisito dal governo ottomano dei Giovani Turchi. Gemal Pascià, uno dei triumviri del governo che ha attuato il genocidio degli armeni, requisì l’istituto trasformandolo in un orfanotrofio per i bambini armeni e nominando direttrice Halide Edib Adivar, una nazionalista turca, nota per i suoi atteggiamenti sadici, incaricata di turchizzare e costringere alla religione islamica gli orfani armeni. Nel 1915 la scuola ospitava 800 orfani e 30 soldati di guardia. I maschi furono circoncisi e furono imposti loro nomi turchi, conservando solo le iniziali armene: ad esempio, il nome Haroutiun Najarian, divenne Hamid Nazim, Boghos Merdanian divenne Bekim Mohammed, e Sarkis Sarafian Safwad Suleyman. Lavoro forzato, condizioni sanitarie pessime, tifo e malattie, scarsità di cibo fecero molte vittime.

Quattrocento nuovi orfani dai 3 ai 15anni vennero portati dallo stesso Gemal Pascià nel 1916, deportati dall’orfanotrofio armeno di Aleppo diretto dalla missionaria svizzera Beatrice Rohner, una ‘Giusta per gli armeni’, onorata al Giardino di Monte Stella a Milano nel 2014, che li aveva salvati dalla morte strappandoli dalle carovane nel deserto di Deir es Zor. Assieme a Gemal Pascià arrivarono 15 giovani donne turche nazionaliste, esponenti di famiglie elitarie di Costantinopoli che dovevano aiutare Halide nel sovvertimento culturale degli orfani cristiani. Nell’orfanotrofio si doveva parlare solo turco, il mullah chiamava alla preghiera 5 volte al giorno, le punizioni erano severissime, si arrivava fino alla ‘bastonade’, sferzate sulle piante dei piedi. Ogni sera la banda suonava un inno: ‘Lunga vita a Gemal Pascià’. Nell’estate del 1918 Halide Hanum e il suo staff abbandonarono la scuola a causa della ritirata dell’esercito turco e i ragazzi armeni turchizzati iniziarono a combattersi fra loro; una ribellione sedata dai soldati turchi ancora presenti. C’erano ancora 1.200 orfani armeni quando gli ottomani nel 1918 sono stati sconfitti e i francesi e gli inglesi hanno invaso la regione e hanno trovato la scuola in una condizione caotica.

Quando il padre lazarista Sarlout ritornò ad Antoura si rese conto che la situazione era ingovernabile. Vi erano ancora 670 bambini armeni. Furono radunati e per prima cosa furono restituiti loro, a fatica, i nomi armeni. Furono chiamati insegnanti armeni e lentamente i bambini si riappropriarono della cultura armena e della religione cristiana. Più tardi fu la Near East Relief Society americana dell’ambasciatore Henry Morgenthau che assunse la direzione della scuola fino al 1919, quando i maschi superstiti furono inviati ad Aleppo e le femmine all’orfanotrofio femminile di Ghazir diretto dai coniugi Kunzler, altri missionari ‘giusti’ per gli armeni. Nel periodo della turchizzazione erano morti migliaia di orfani per maltrattamenti, malattie e uccisioni. Poco tempo fa furono accidentalmente scoperti nel giardino annesso alla scuola 300 cadaveri in una fossa comune. Oggi sul luogo del ritrovamento vi è un monumento a ricordo dei bambini morti a causa del ‘genocidio’, un crimine contro l’umanità, un genocidio culturale, ideologico e materiale subito dagli armeni, nel primo Novecento.

La turchizzazione forzata di migliaia di bambini e di donne non fu altro che un capitolo del piano generale di annichilimento della nazione armena. Ho deposto un fiore ai piedi del monumento eretto a ricordo dei 300 bambini e ho continuato il mio viaggio sulle strade del Libano alla ricerca di giusti per gli armeni, ma insieme pensando all’importanza del lavoro di Gariwo che onora i giusti e cerca di formare le nuove generazioni a cogliere, oggi, i segni del male al loro sorgere per prevenire altri crimini contro l’umanità e altre cancellazioni di gruppi umani e della loro cultura, che costituiscono una perdita per tutta l’umanità.

Cofondatore di Gariwo La Foresta dei Giusti

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“Fare affari non vuol dire svendere i nostri princìpi democratici” Appello alle imprese italiane (Politicamentecorretto 16.07.21)

Il “Consiglio per la comunità armena di Roma” ha inviato ad alcune importanti aziende italiane, che sono coinvolte in progetti industriali in Azerbaigian o potrebbero esserlo a breve, una nota con la quale rimarca la necessità di separare gli aspetti economici da quelli politici.

Come cittadini italiani di origine armena, siamo contenti che le imprese italiane facciano affari in giro per il mondo e aumentino il PIL del nostro Paese.

Sappiamo che l’interesse economico prevale spesso su questioni di principio e infatti scambi commerciali avvengono con molti Paesi anche a basso profilo democratico” si legge nella missiva.

La nota invita tuttavia le imprese italiane a lasciare distinti affari e politica evitando così di fare da cassa di risonanza alla propaganda del regime azero che spesso utilizza le partnership commerciali per presentarsi agli occhi dell’opinione pubblica internazionale come soggetto “affidabile”.

Il “Consiglio per la comunità armena di Roma” sottolinea come il livello di democrazia in Italia sia tra i più alti al mondo e sia quindi necessario che determinati princìpi e valori non vengano svenduti in cambio di qualche commessa avendo cura le imprese italiane di mantenere sempre un profilo superiore rispetto al regime di Aliyev.

Alla nota è allegato un breve documento (vedi allegato) che sintetizza l’attuale situazione nel Caucaso meridionale.

CONSIGLIO PER LA COMUNITA’ ARMENA DI ROMA

               www.comunitaarmena.it

NOTA sintetica sull’attuale situazione nel Caucaso meridionale

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Il 27 settembre 2020 l’Azerbaigian, con l’aperto sostegno politico e militare della Turchia e con l’ausilio di terroristi jihadisti provenienti dal Medio Oriente, ha scatenato una guerra su larga scala contro la pacifica popolazione del Nagorno Karabakh (Artsakh), che è costata 5.000 vittime da parte armena, sia civili sia militari, migliaia di invalidi permanenti e 50.000 sfollati le cui case sono ora sotto il controllo dell’Azerbaigian. In seguito alla guerra, anche i territori intorno al Nagorno Karabakh, che servivano come cuscinetto di sicurezza, sono passati sotto il controllo dell’Azerbaigian.

Si parla dei territori, che:

  • sono stati presi dagli azeri con l’aiuto di migliaia di terroristi, che bruciavano le foreste con fosforo bianco, mutilavano, tagliavano le teste, giravano i video e li mostravano sulla rete;
  • sono oggetto di attività di distruzione e dissacrazione dell’eredità culturale e religiosa cristiana armena col fine di eliminare ogni traccia della prima nazione cristiana da quelle terre[i];
  • sono stati oggetto di intense attività di minamento da entrambi le parte. Per oltre trenta anni, il rifiuto dell’Azerbaigian di cooperare nello sminamento si è tradotto in 747 incidenti derivanti dall’esplosione di mine in quei territori durante questi anni;
  • da cui militari e civili armeni sono stati presi in ostaggio, sono ancora trattenuti e torturati nelle prigioni dell’Azerbaijan le cui autorità hanno messo in piedi procedimenti penali fasulli contro di loro, usandoli come merce di scambio[ii].

Terminata la guerra, purtroppo la situazione non è migliorata.

Il 16 giugno, è divenuto virale sui social media un video che riprendeva una discussione tra il presidente turco e quello azero. I sottotitoli tradotti riportano il presidente dell’Azerbaigian Aliyev che conferma di trattenere ancora prigionieri armeni, mentre la moglie di Erdogan gli consiglia di non rilasciarli e di riconsegnarli solo in cambio delle mappe dei campi minati.[iii]

L’Azerbaigian e la Turchia agiscono di mutuo accordo, come “due stati, ma una nazione” (come dichiarano sempre). La loro unione finora ha avuto solo scopi deplorevoli e ha prodotto “progetti” disumani.

A tutto ciò si aggiungano le dichiarazioni di Aliyev sulla possibilità di fare ricorso nuovamente all’uso della forza nel caso le sue richieste non dovessero essere soddisfatte. Ogni ulteriore passo fatto dall’Azerbaijan getta solo altra benzina sul  fuoco in una situazione già esplosiva, tenendo in considerazione il fatto che unità militari dell’Azerbaigian si sono infiltarte nel territorio sovrano dell’Armenia dal 12 maggio u.s., continuando le loro azioni provocatorie su più fronti.

Aldilà di questo, grazie al regno indiscusso della famiglia Aliyev che continua dagli anni ’60, l’Azerbaigian oggi si attesta nelle posizioni finali dei ranking internazionali per i livelli di tutela delle libertà fondamentali e di democrazia, essendo solo poco sopra la Corea del Nord. Non dimentichiamo che per anni l’Azerbaigian ha speso miliardi di dollari non solo per armarsi, ma anche per “comprare” una buona reputazione nel mondo occidentale.

Basterebbe menzionare il danno alla reputazione del parlamentare italiano Luca Volonté[iv], dei suoi colleghi tedeschi Karin Strenz, Eduard Lintner, Danske Bank e di altri coinvolti nelle investigazioni e nel riciclaggio azero.

Più recentemente, la reputazione di due aziende italiane è stata posta in gioco dopo che l’Azerbaigian ha annunciato che queste erano coinvolte nel vergognoso “parco dei trofei” a Baku, che è altro non è che un’aberrazione di stampo fascista. Il coinvolgimento delle aziende italiane si è scoperto essere in realtà nient’altro che un altro bluff e una manipolazione azera[v].

Sarebbe stato davvero imbarazzante se, come riportato dall’agenzia azera “Trend”, due aziende italiane, la G Group e la 120lab avessero partecipato alla progettazione e/o alla realizzazione del parco dell’orrore, voluto dal dittatore Aliyev per celebrare la vittoria nella guerra contro l’Artsakh. E le risposte di queste due aziende alle nostre domande hanno in effetti negato ufficialmente in maniera decisa qualsiasi loro coinvolgimento sia nell’ideazione, sia nella realizzazione di questo vergognoso progetto.  Come sempre, una manipolazione degli azeri, che però ha intaccato la reputazione delle aziende.

Se gli interessi economici dell’Italia sono compresi e rispettati, alla luce delle realtà sopra rappresentate, l’eccitamento delle aziende italiane rispetto alla prospettiva di fare business con l’Azerbaigian viene percepito come un riconoscimento del regime criminale di Aliyev.

Che userà la cooperazione con esse per ripulire la sua reputazione alle spese della vostra.

L’altro lato della medaglia del profitto.

 

[i] https://www.youtube.com/watch?v=MJc8LFxVtUE

[ii] https://www.amnesty.org/en/latest/news/2020/12/armenia-azerbaijan-decapitation-and-war-crimes-in-gruesome-videos-must-be-urgently-investigated/

[iii]  https://www.facebook.com/Armenianombudsman/videos/140398018071794

[iv] – https://www.ilmessaggero.it/italia/luca_volonte_corruzione_condannato_azerbaijan-5699280.html

https://www.transparency.org/en/press/transparency-germany-welcomes-investigation-into-karin-strenz-and-eduard-li

https://www.vice.com/en/article/m7ejgq/azerbaijan-affair-germany-bundestag-interns?utm_source=VICEWorldNews_twitter&utm_medium=social&fbclid=IwAR0FmGrTLYenvVrHKaHIyiv0I56wrCHn9vfrtoyvSveQcl6w51Ppd32Fc8c

[v] https://jam-news.net/war-trophies-park-in-baku-sparks-controversy-domestically-and-abroad/

 

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In Armenia, con i volontari di Solid Onlus al fronte – Reportage (Il primato nazionale 15.07.21)

In Armenia, al confine con l’Azerbaigian. Prima parte del nostro reportage

Erevan, 15 luglio – Nonostante l’interesse dei media internazionali sulla questione armena sembra si sia dissolto con la tregua di novembre, dopo 40 giorni di conflitto tra Armenia e Azerbaigian per l’eterna contesa del Nagorno Karabakh, in questi ultimi giorni è tornata la tensione lungo il confine dei due stati. Arrivando alcuni giorni fa nella capitale Erevan con i volontari della missione umanitaria franco-italiana guidata da Solid Onlus e Solidarité Arménie, parlando con la gente e seguendo i media locali, abbiamo potuto apprendere fin da subito che la situazione tra Armenia e Azerbaijan è tutt’altro che tranquilla. Mentre il Nagorno Karabakh è ormai una sempre più ridotta e isolata enclave armena, completamente circondata dalle milizie azere che ne stanno devastando siti sacri e archeologici e con i soldati russi a tutelare uno stretto corridoio umanitario per gli armeni, salendo il confine verso nord, il conflitto non sembra terminare.

In Armenia, nella regione del Tavush

Nella regione del Tavush, confinante a nord con la Georgia e a est con l’Azerbaijan, ospitati nella caserma dell’esercito armeno a Ijevan, i vertici militari ci hanno spiegato i continui torti subiti in questa guerra mai spenta e le grandi difficoltà nel difendere un confine sempre più debole. Come a ovest il leggendario monte Ararat divide Armenia e Turchia, con quest’ultima che lo ha occupato militarmente ormai per intero, tutto il confine ad est, verso nord, è una lunga muraglia naturale di monti che si stagliano imponenti a separare le due diverse culture caucasiche di armeni e azeri.

Qua e là sono ben visibili ovunque le rovine moderne dell’Unione Sovietica e le tracce di povertà di una zona altamente depressa che accusa una grande crisi economica e lavorativa. In questo scenario di fabbriche dismesse e ruggine, i volontari della missione internazionale di solidarietà al popolo armeno hanno consegnato diversi quintali di aiuti alla caserma di Ijevan tra la curiosità e i ringraziamenti dei soldati.

Incontrando il comandante e il vicecomandante del Battaglione Ijevan nel corso di un accogliente colloquio riservatoci dai militari, sono emerse le più gravi problematiche legate a questo conflitto mai del tutto cessato. Tra le domande che abbiamo posto agli ufficiali, due in particolare hanno scosso l’animo degli armeni. La prima riguarda l’impiego di droni israeliani da parte del fronte azero, in grado di infliggere migliaia di perdite umane tra le trincee cristiane. La seconda, invece, dipinge sui volti dei combattenti un velo di rabbia mista a rassegnazione… Dalle parole dei soldati percepiamo infatti la momentanea sconfitta armena nella contesa del Nagorno Karabakh. Per la regione armena dell’Artsakh, da anni intrappolata all’interno dei confini azeri, le speranze di riconquistare l’indipendenza politica e ricongiungersi alla propria patria perduta, sono ormai nelle mani delle grandi potenze politiche militari.

Quel tremendo senso di impotenza

Mentre Turchia e Israele sostengono militarmente l’Azerbaigianla Russia difende l’Armenia, ex colonia Urss. All’esercito di Putin si deve oggi, infatti, una tregua nella zona che, seppur operando di prepotenza con entrambi i fronti, tutela la popolazione armena consentendo il passaggio di viveri e rifugiati rimasti privi delle proprie case, confiscate e bombardate dall’esercito dell’Azerbaigian. I militari ci spiegano che per quanto ringrazino l’operato dei soldati di Mosca, riconoscendo loro l’importante ruolo di mediatori in questo continuo “gioco di forza” orientale, rimane però all’Armenia un tremendo senso di impotenza per essere stata mutilata del proprio territorio dell’Artsakh. 

Consegnando farmaci e diverso materiale utile alle zone del Tavush,  confinanti a nord con la Georgia e ad est con il pericoloso Azerbaijan, i volontari di Sol.Id hanno raccolto il ringraziamento dei soldati. “Per quanto i governi europei siano politicamente lontani dal sentimento nazionale armeno, predicando pace e umanità ma facendo morire migliaia di armeni nel più completo disinteresse – ci dice il comandante di Battaglione – riconosciamo la millenaria fratellanza che lega la nostra cultura al popolo francese e italiano. E voi, qui, oggi, ne siete la prova più incoraggiante”.

Un popolo in guerra

Arrivati al grande lago Sevan, nella regione orientale del Gegharkunik, costeggiandone le rive per oltre un’ora tra antichi monasteri e paesini rurali, saliamo notevolmente di altitudine raggiungendo i duemila metri della città di Vardenis. Qui, in periferia, incontriamo la famiglia di Vadim (nome di fantasia), il giovane soldato armeno che ci accompagna dall’inizio del nostro viaggio. Il padre e molti suoi amici fanno parte delle milizie volontarie armene. Cittadini, alcuni dei quali riservisti dell’esercito o militanti dei movimenti nazionalisti armeni, perennemente impegnati nella difesa del confine. Nonostante la località di frontiera disti solo pochi chilometri dal ricco e turistico lago Sevan, qui la vita scorre molto più lenta tra il lavoro nei campi e la pastorizia di mucche, capre e montoni che invadono le strade dissestate.

Una madre patria ferita 

Nella periferia di Vardenis incontriamo famiglie di rifugiati alle quali il governo armeno ha concesso una casa in seguito alla fuga dai territori dell’Artsakh occupati dagli azeri. Piccoli profughi che giocano spensierati lungo la strada insieme ai bambini locali, figli di una madre patria comune ferita da innumerevoli battaglie e genocidi. C’è chi indossa la maglietta da calcio della Roma, con il numero del giocatore armeno Mkhitaryan, e palleggia con un pallone insieme a un coetaneo che indossa i colori del Paris St. Germain. Tra la comitiva dei volontari italo-francesi si azzardano inevitabilmente pronostici e toto-scommesse sulla competizione degli ignari giovanissimi calciatori. Anche a Vardenis riscontriamo problematiche legate a una situazione di povertà lavorativa in cui vige l’antica arte dell’arrangiarsi con ciò che il territorio offre a questa altitudine. Se il riscaldamento qui è un bene non da poco, lo è ancora di più l’energia elettrica che, dalle case alle piazze, genera lunghi blackout durante i quali gli abitanti si arrangiano con generatori di corrente a gasolio.

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In Armenia, al confine con l’Azerbaigian. Seconda parte del nostro reportage

Leggi anche: In Armenia, con i volontari di Solid Onlus al fronte – Reportage/1

Erevan, 16 lug – Salendo ancora sui monti dell’altipiano carsico, zigzagando lungo le strade serrate che si diramano tra i ruderi delle guerre degli anni Novanta, giungiamo in uno sperduto villaggio del comune di Ayrk. Distante solo una manciata di chilometri dal confine, anche questo villaggio, continuamente minacciato dall’invasione azera, vive unicamente di coltivazione ad alta quota e allevamenti di bestiame. Ad Ayrk oggi abitano sessanta famiglie in umilissime case e baracche improvvisate, sorte tra le rovine del vecchio abitato distrutto dalla guerra del 1990/1992. In passato il comune contava oltre 400 abitanti, ridotti oggi a meno della metà.

Armenia, studenti e soldati tra le rovine

Facciamo subito visita a un edificio scolastico diroccato e veniamo ospitati da un piccolo contingente di militari in riserva per il fronte. Ad accoglierci è Tharek (nome di fantasia), un giovane ufficiale che parla perfettamente l’inglese e che, con mia grande sorpresa, conosce la città di Bolzano in quanto alcuni suoi amici studiano nell’università internazionale altoatesina. Il militare ci spiega che in questa scuola elementare, attualmente chiusa per le festività estive, studiano 40 studenti con mezzi poverissimi. Oltre alle lavagne e ai banchi semi-nuovi, infatti, l’intero edificio versa in condizioni degradate con bagni e pavimentazione completamente da ristrutturare, e le vetrate e gli infissi da sostituire con nuove finestre. I volontari di Sol.Id Onlus e Solidarité Arménie si appuntano quindi parte dell’occorrente per portare, nelle future missioni, il proprio contributo al rifacimento di questa unica e importantissima scuola di confine.

A pochi metri dalla scuola veniamo accolti nella fattoria di Vasilii (nome di fantasia), un contadino delle milizie popolari. Con estrema tranquillità l’uomo ci spiega che, su queste montagne, gli scontri a fuoco con gli azeri sono abbastanza frequenti e ci fa vedere alcune foto di cadaveri in uniforme, sia azeri che armeni, orribilmente gonfiati dalla morte e in cui può capitare di imbattersi tra le rocce di questo altipiano controllato dai cecchini dei due fronti. Oltre alle insidie belliche, Vasilii ci spiega le difficoltà tecniche con le quali i rurali del luogo si scontrano quotidianamente.

Guardandoci intorno e seguendo i discorsi del contadino tradotti in francese, comprendiamo immediatamente l’urgenza di implementare il numero di animali per il fabbisogno alimentare. Quassù, infatti, le temperature rigide dell’inverno caucasico impediscono la cova delle uova di galline, oche, tacchini e faraone. Seppur in forma minore, lo stesso vale anche per l’allevamento di bovini e ovini essenziali per la vita a queste quote. Anche in questo caso i volontari italiani e francesi programmano, direttamente sul campo, il sostegno che verrà portato nei prossimi giorni a questo villaggio.

Le anime degli antenati

Dopo averci offerto un ricco pranzo a base di formaggi e verdure, di produzione orgogliosamente propria, e aver brindato diverse volte alle rispettive nazioni, Vasilii ci invita a seguirlo alla scoperta delle due antichissime chiesette che da secoli proteggono questo alpeggio. Con fierezza devota il contadino ci racconta come la gente del posto ha risistemato questi piccoli edifici al termine di ogni guerra. Fin da tempi immemori in cui l’iconoclastia profanava nel nome di Dio. Circondate dai meravigliosi khachkar, le pietre tombali finemente incise con croci e intrecci in stile celtico di cui l’intera Armenia è disseminata, queste chiesette hanno ancora oggi il pregio di raccogliere le preghiere dei fedeli e mantenere un forte contatto spirituale con i propri antenati. Sono proprio i khachkar infatti, a rievocare le anime degli antenati di questo popolo eternamente in lotta. Qui, dall’alba dei tempi in cui la tradizione narra che l’arca di Noè si incagliò sul Monte Ararat dando origine a una nuova civiltà. Qui, dove gli spiriti dei padri rimangono a guardia perpetua del confine patrio.

“Combattiamo per la patria, da soli”

Accompagnati al fronte dal nostro nuovo amico di Ayrk, incontriamo i soldati qui accampati che ci squadrano con aria incuriosita. Giovanissime reclute e graduati veterani ci ospitano in un presidio militare della seconda linea, offrendoci caffè e cognac quasi increduli che, dalla lontana e ricca Europa, ci sia qualcuno venuto qui a interessarsi di loro. I volontari di Sol.Id spiegano ai presenti la nostra vicinanza culturale e ideale in questo conflitto come anche nelle origini indoeuropee dei nostri popoli. I due ufficiali al comando, un colonnello e un maggiore, confermano sottolineando però, giustamente, il vergognoso disinteresse dei governi europei per le sorti dell’Armenia. “Tutti tacciono sui crimini turchi o azeri. Tutti temono la prepotente Turchia… Noi invece la combattiamo da soli. Come da soli combattiamo gli azeri e ogni nemico della patria. I vostri governi sono purtroppo schiavi dei grandi potenti della terra. Siamo felici di vedere italiani e francesi venuti a sostenere la causa armena. Per noi è un onore avere oggi qui la parte sana dell’Europa“. Parole indubbiamente forti. Parole che gratificano e lasciano il segno, rafforzando lo spirito dei volontari in questa missione.

Al fronte, tra cecchini azeri e droni israeliani

I soldati ci fanno vedere le postazioni azere distanti pochi chilometri e, sparsi qua e là tra le rocce e la steppa che arrampica sulle montagne, i cecchini azeri sono sempre pronti a mietere vittime, laddove fino a pochi mesi fa era ancora territorio armeno. Negli ultimi mesi le milizie azere sono avanzate infatti di 4/5 chilometri conquistando terreno nel silenzio internazionale e, lo stesso, si è verificato anche in altri settori di confine tra i due stati. Muovendoci con cautela tra le barricate, ci spiegano che qui, tra i cecchini azeri e i droni di Israele, il pericolo è sempre in agguato e il livello di sicurezza muta ogni giorno assieme alla situazione bellica.

Se gli azeri oggi hanno a disposizione droni israeliani, armi automatiche moderne e visori notturni, le milizie armene impugnano ancora i vecchi Kalashnikov e altre armi di fabbricazione sovietica, chiarissimo segno del poco sostegno internazionale di cui questi cristiani di oriente godono. In questa zona agli estremi margini della società armena, a oltre 2.000 m.s.l.m., una delle maggiori difficoltà è sicuramente quella legata alle risorse energetiche. Destinati alla prima e alla seconda linea del fronte, i volontari di Sol.Id Onlus e Solidarité Arménie scaricano cinque generatori di corrente, acquistati a Erevan con i soldi raccolti nelle campagne solidali effettuate in Italia e in Francia, in modo che i soldati riescano a ricaricare apparecchiature militari e smartphone personali per rimanere in contatto con le proprie famiglie.

Il giubilo dei soldati per l’importante donazione effettuata dai volontari delle associazioni umanitarie, viene però interrotto dall’ennesima triste notizia ricevuta via radio. Un soldato armeno è rimasto ucciso in uno scontro a fuoco con i cecchini azeri nel Nakhchivan, al confine meridionale del paese. Con l’ultimo brindisi in onore ai caduti, stretti in un caloroso abbraccio di reciproco ringraziamento, salutiamo i patrioti armeni augurandogli, ancora una volta, di vedere presto la vittoria per la libertà di questa antica terra forgiata nel sangue dei suoi martiri.

Andrea Bonazza 

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Laura Ephrikian a Comano presenta “Una famiglia armena” (Cittadellaspezia 15.07.21)

Lunigiana – Dopo la seguita ospitata della sua autrice sugli schermi di RaiUno, sabato 17 luglio farà tappa a Comano il tour di presentazione del nuovo libro di Laura Ephrikian, intitolato “Una famiglia armena”, che si avvale della prefazione di Walter Veltroni. Un grande evento patrocinato dal Comune lunigianese di Comano, che avrà come primo ospite Laura Ephrikian in occasione dell’inaugurazione dell’anfiteatro naturale in piazza G. Marconi. Infatti, la presentazione del libro sarà preceduta, alle ore 19, dall’inaugurazione di questo nuovo spazio, con il taglio del nastro e i saluti delle autorità: il sindaco di Comano, Antonio Maffei; il parroco della valle del Taverone, don Tommaso Forni; il presidente della polisportiva San Giorgio Comano, Federico Bestazzoni; il presidente della Croce Azzurra Comano, Mario Strano; il presidente della Pro Loco Castello di Comano, Andrea Toracca.

Un’idea, quella dell’anfiteatro naturale a Comano, che nasce nei primi mesi del 2015 proprio grazie alla conformità naturale del luogo e con l’ambizione di poter ospitare ed organizzare eventi culturali di un certo rilievo. Dopo anni di lavori, finalmente il battesimo ufficiale sabato 17 luglio con Laura Ephrikian, che illustrerà la sua nuova fatica letteraria subito dopo l’inaugurazione. Ad introdurre la presentazione sarà il vice sindaco di Comano, Francesco Fedele, mentre a
conversare con l’autrice sarà il critico letterario e presidente del Cenacolo internazionale Le nove muse, Marina Pratici, e a moderare l’evento la presidente dell’associazione Culturalmente Toscana e dintorni, Gaia Greco; il tutto con le suggestioni musicali di Monica Granai. “Una famiglia armena” racconta, con passione e amore, delle origini armene di Laura Ephrikian. Nel libro troviamo, infatti, la storia della sua famiglia dalle origini: la travagliata e meravigliosa storia d’amore dei nonni Akop e Laura, vissuta attraverso le poetiche lettere che si scrivevano; il rapporto di Laura con il padre, con la madre, con il fratello e con le zie. E poi la partenza di Laura dalla sua Treviso per amore dell’arte, il suo matrimonio con Gianni Morandi e la favola a cui tutti e due hanno dato vita, il grande amore, la dolorosa separazione, i
figli, i nipoti e la Laura di oggi, donna generosa, sempre presente e “mamma amorevole” per i suoi adorati bimbi che vivono in Kenya, in Africa, dove si trova il suo cuore. Da anni si batte per far costruire pozzi, per creare piccoli ospedali – nelle zone più isolate –, per far curare i bambini che, grazie a lei, non muoiono di fame. Anche loro amano ‘mama Laura’ e non vedono l’ora di riabbracciarla forte.

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L’anfiteatro inaugura con Laura Ephrikian (Il Tirreno 16.07.21)

Dopo la seguita partecipazione della sua autrice sugli schermi di RaiUno, domani farà tappa a Comano il tour di presentazione del nuovo libro di Laura Ephrikian, intitolato “Una famiglia armena”, che si avvale della prefazione di Walter Veltroni.

Un grande evento patrocinato dal Comune lunigianese di Comano, che avrà come primo ospite Laura Ephrikian in occasione dell’inaugurazione dell’anfiteatro naturale in piazza Marconi. Infatti, la presentazione del libro sarà preceduta, alle ore 19, dall’inaugurazione di questo nuovo spazio, con il taglio del nastro e i saluti delle autorità: il sindaco di Comano, Antonio Maffei; il parroco della valle del Taverone, don Tommaso Forni; il presidente della polisportiva San Giorgio Comano, Federico Bestazzoni; il presidente della Croce Azzurra Comano, Mario Strano; il presidente della Pro Loco Castello di Comano, Andrea Toracca. Un’idea, quella dell’anfiteatro naturale a Comano, che nasce nei primi mesi del 2015 proprio grazie alla conformità naturale del luogo e con l’ambizione di poter ospitare ed organizzare eventi culturali di un certo rilievo.

Dopo anni di lavori, finalmente il battesimo ufficiale domani con Laura Ephrikian, che illustrerà la sua nuova fatica letteraria subito dopo l’inaugurazione. Ad introdurre la presentazione sarà il vice sindaco di Comano, Francesco Fedele, mentre a conversare con l’autrice sarà la critica letterario e presidente del Cenacolo internazionale Le nove muse, Marina Pratici, e a moderare l’evento la presidente dell’associazione Culturalmente Toscana e dintorni, Gaia Greco; il tutto con le suggestioni musicali di Monica Granai. “Una famiglia armena” racconta, con passione e amore, delle origini armene di Laura Ephrikian. Nel libro troviamo, infatti, la storia della sua famiglia dalle origini: la travagliata e meravigliosa storia d’amore dei nonni Akop e Laura, vissuta attraverso le poetiche lettere che si scrivevano; il rapporto di Laura con il padre, con la madre, con il fratello e con le zie. —

Cooperazione militare Italia-Armenia: 11 attività congiunte nel secondo semestre 2021 (Sputnik15.07.21)

Italia e Armenia hanno firmato un’intesa per la cooperazione militare. Lo riporta il servizio stampa del ministero della Difesa armeno.
Secondo un comunicato del dicastero, le consultazioni politico-militari si sono svolte a Yerevan con la partecipazione di delegazioni dei due paesi guidati da:

Levon Ayvazyan (Armenia), il capo della Direzione generale delle politiche difensive e della cooperazione internazionale del ministero della Difesa;

Colonnello David Morpurgo (Italia), il capo del Dipartimento per la cooperazione internazionale dello Stato Maggiore della Difesa.

Alle consultazioni sono stati discussi i temi di sicurezza regionale e sviluppi internazionali, nonché la cooperazione tra i ministeri della Difesa di Armenia e Italia. Le parti hanno convenuto, a prescindere dalla pandemia del coronavirus, sul riavvio delle attività nell’ambito di contatti bilaterali interrotte l’anno scorso.
“Sulla base degli accordi raggiunti è stato firmato il piano di cooperazione militare bilaterale tra Armenia e Italia per il 2021. Secondo il piano, sono previsti 11 attività che si terranno in due paesi nella seconda metà dell’anno”, afferma un comunicato a disposizione di Sputnik.
L’ufficio stampa del ministero armeno fa notare che le attività riguardano lo scambio di esperienze in ambiti di reciproco interesse, la formazione del personale e il proseguimento delle consultazioni politico-militari.
Al momento Roma non ha fornito dettagli sulla visita del colonnello Morpurgo a Yerevan. I colloqui della delegazione italiana seguono la visita del ministro della Difesa Lorenzo Guerini in Grecia e Turchia di due giorni terminata mercoledì. Il ministro ha avuto incontri con i colleghi greco, Nikolaos Panagiotopoulos, e turco, Hulusi Akar, con cui oltre alla cooperazione nell’ambito della NATO ha discusso della situazione nel Mediterraneo, del ritiro delle truppe dall’Afghanistan e della strategia per la Libia.

L’Armenia riparte con il fondo sovrano (Milanofinanza 15.07.21)

L’Armenia sembra correre veloce nella ripartenza dopo la conclusione delle recenti ostilità con l’Azerbaigian: il suo fondo sovrano Armenian National Interests Fund (ANIF) ha annunciato la conclusione di due importanti operazioni, una nel settore della transizione energetica e l’altra in quello dei trasporti aerei.

Il primo riguarda la costruzione del più grande impianto fotovoltaico del Caucaso, 400 megawatt su una superficie di 500 ettari con un investimento di oltre 300 milioni di dollari. L’investitore è Masdar, filiale di Mubadala, fondo sovrano di  Abu Dhabi, uno dei più grandi operatori globali nel settore delle energie rinnovabili. Masdar e ANIF hanno costituito una joint venture, controllata all’85% dalla società degli emirati e al 15% da fondo sovrano armeno, per lo sviluppo del progetto in Armenia su base “design, finance, build, own, and operate”.

Masdar sta tra l’altro sviluppando a 30 km dalla capitale di Abu Dhabi una nuova città, Masdar City o “città sorgente”, che punta ad essere lo sviluppo urbano più sostenibile al mondo. Un investimento di 22 miliardi di dollari per una città in cui le normali auto non potranno circolare, sostituite da circa 2.500 navette in continuo movimento a emissioni zero.

L’energia sufficiente a mantenere la città sarà garantita da impianti fotovoltaici, eolici e termali che faranno risparmiare, nei prossimi 25 anni, oltre 2 miliardi di dollari di petrolio. La città ospiterà all’inizio 50 mila persone e 1.500 imprese in un campus, in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology, dedicato esclusivamente allo studio e alla ricerca nel campo delle energie rinnovabili. ANIF ha operato come promotore e sviluppatore, per un progetto di grande scala e rilevanza strategica per il suo paese. In Italia non c’è  attualmente uno sviluppatore in grado di sostenere i previsti 8 gigawatt di investimenti fotovoltaici all’anno previsti dal PNRR (oggi il livello è di circa 1 gigawatt all’anno).

La seconda operazione conclusa è la creazione del nuovo vettore nazionale armeno (oggi non ne ha uno) in joint venture tra Air Arabia, il vettore saudita leader nel Medio Oriente e nel Nord Africa nel settore low cost, con base operativa nell’aeroporto internazionale di Yerevan. Il nuovo vettore, il cui nome sarà annunciato a metà agosto, opererà una flotta di nuovi A320/A321 Airbus e contribuirà allo sviluppo delle relazioni internazionali e del turismo nel paese che vale circa l’11% del PIL armeno e impiega circa il 12% della forza lavoro. Nonostante la pandemia, da gennaio 2020 sono nati 42 nuovi vettori low cost e altri 36 saranno lanciati nei prossimi mesi, sotto la spinta di un eccesso di offerta di aerei. ANIF ha intercettato un macrotrend, offerto l’assistenza per l’avvio dell’iniziativa e catturato l’interesse di un investitore internazionale. L’Italia ancora non ha ancora trovato un modello sostenibile per Alitalia.

Sono due esempi da cui poter trarre qualche ispirazione. L’Armenia è una piccola nazione del Caucaso, la prima al mondo ad adottare il cristianesimo come religione di Stato. La comunità armena, molto coesa e generalmente ricca e influente, conta oltre 12 milioni di persone di cui solo 3 milioni residenti nei confini dello Sato. Sotto la guida del Presidente, Armen Sarkissian, e del primo ministro Nikol Pashinyan, il paese ha superato pacificamente una rivoluzione culturale e politica, e con la cosiddetta rivoluzione di velluto ha avviato un ambizioso programma di modernizzazione e sviluppo economico, solo sospeso ma non interrotto dalle ostilità del 2020.

Tra le novità appunto l’istituzione di ANIF, responsabile anche del processo di privatizzazione di settori dell’economia a proprietà statale, e la inusuale nomina di un consiglio di amministrazione composto da 3 membri in prevalenza straniera. Compongono infatti il board di ANIF, che ha valutato e approvato le prime operazioni descritte e che ne sta valutando numerose altre, Tigran Avinyanhas, 32 anni, tecnocrate vice primo ministro dell’Armenia, Dominique de Villepin, diplomatico ed ex primo ministro francese, e Isidoro Lucciola, investment banker italiano con una lunga esperienza internazionale. In pochi mesi la struttura diretta da David Papazian, investment banker con esperienza in banche armene e internazionali e composta da oltre 30 persone, sta dando vita a progetti importanti per la nuova fase di sviluppo del paese, che prevede anche sostegni finanziari ad investitori PMI estere che vogliono fare base in uno dei cinque paesi fondatori della Comunità Economica Eurasiatica, che azzera barriere doganali in un mercato di 180 milioni di persone con un PIL di 1.600 miliardi di dollari. Il tutto, con l’aiuto di un francese e di un italiano.

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Armenia: il sogno di una casa (Osservatorio Balcani e Caucaso 15.07.21)

Dopo un’iniziativa del 2003 dai risultati fallimentari, il governo armeno ha fornito ad alcune centinaia di orfani gli strumenti finanziari per realizzare un vero e proprio sogno: quello di poter comperare una casa di proprietà

15/07/2021 –  Armine Avetysian Yerevan

Nel dicembre del 2019 il governo armeno ha finalmente rispettato un impegno preso già nel 2003, stanziando 1,9 miliardi di dram (tre milioni 220mila euro circa) per un programma di edilizia residenziale a favore di 300 orfani che dopo la maggiore età avevano lasciato gli orfanotrofi.

“Nel 2005, quando ho compiuto 18 anni, ho lasciato l’orfanotrofio. Mi aspettava un nuovo mondo, una nuova vita, ma pur sempre piena di problemi”, racconta Karen, nome di fantasia. Afferma di non vergognarsi di essere un ragazzo che ha vissuto in un orfanotrofio, ma che per lui è difficile parlarne: si è appena chiusa una pagina crudele e difficile della sua vita.

“Ho fatto il servizio militare obbligatorio. Avevo 20 anni quando sono arrivato a Yerevan. Ero un ragazzo solo. Nonostante avessi molti amici e parenti, non avevo una famiglia e una casa e mi sentivo molto arrabbiato”.

Karen è arrivato in orfanotrofio quando aveva quattro anni. Sua madre era morta e suo padre era andato a lavorare all’estero senza più fare ritorno. All’inizio era convinto che sarebbe rimasto in orfanotrofio solo pochi giorni, salvo poi realizzare che nessuno sarebbe tornato a prenderlo. Si è così dovuto abituare alla sua nuova vita e alla sua nuova casa, ossia l’orfanotrofio.

“Avevo molti amici lì; sono una persona socievole. Ero anche molto vicino agli educatori. Ero un po’ disubbidiente, ma gli educatori mi perdonavano. Ci trattavano come se fossimo i loro figli. Ogni volta che si arrabbiavano con noi, poi ci accarezzavano e ci baciavano. Rientrato dal servizio militare, sono andato spesso a salutare i miei educatori. È grazie ai loro consigli che ho imparato un mestiere e trovato un lavoro. Vivevo in affitto, quindi dovevo pagare per l’affitto, il cibo e i vestiti”, ricorda Karen.

Inizialmente Karen non pensava di dover affittare una casa, in quanto secondo uno speciale programma statale, lui come altre persone che hanno precedentemente vissuto in orfanotrofio, avrebbero dovuto ricevere un alloggio, che però non gli è mai stato assegnato. Nel 2003, il governo aveva annunciato che agli orfani sarebbe stato offerto un alloggio nell’ambito di un programma di edilizia residenziale dedicato ai gruppi più vulnerabili: 503 orfani avrebbero così potuto ottenere una casa. Tuttavia, il programma si è rivelato fallimentare ed è stato poi sospeso nel 2008.

La corte dei conti armena ha successivamente verificato che il programma era stato implementato solamente per il 20% del suo potenziale e che erano andati perduti circa 3,5 milioni di euro. La maggior parte degli appartamenti offerti erano di fatto invivibili: erano nei fatti seminterrati, aree tecniche dove passavano tubature dell’acqua e impianti fognari. Il caso è finito in tribunale e a 166 orfani alla fine sono stati assegnati degli appartamenti in case popolari. Questi però sono gratuiti solo per dieci anni, passati i quali gli inquilini sono costretti a lasciarli.

Dal primo agosto del 2013 è stato inaugurato un altro programma per dare una casa ai gruppi più vulnerabili e fornire loro, se necessario, assistenza sanitaria. Erano previsti alloggi nella capitale Yerevan e in due città più piccole, Maralik e Spitak, ma in pochi volevano andare in queste ultime due, lamentando le condizioni di vita e soprattutto la difficoltà nel trovare lavoro.

“Non ho mai ottenuto una casa attraverso alcun tipo di programma. Il mio turno non è mai arrivato, ma non sono certo che mi sarei trasferito in uno degli alloggi che proponevano. Ho amici a cui hanno offerto una casa, ma erano semplicemente quattro mura inabitabili”, sottolinea Karen.

In questi anni Karen ha vissuto in affitto: è stato capace di guadagnare abbastanza per vivere normalmente, ma non per comprarsi una casa.

“Sfortunatamente non sono stato in grado di guadagnare abbastanza soldi per pagare l’affitto e allo stesso tempo risparmiare per comprare una casa. In Armenia, se compri una casa con un mutuo devi possedere beni immobili ipotecabili oppure pagare in anticipo dal 10 al 30 % del valore dell’immobile. Non c’era modo in cui avrei potuto risparmiare soldi e per questa ragione ho continuato a posticipare il mio matrimonio”.

Il matrimonio è stato celebrato infine quest’anno dopo tre anni di fidanzamento, e la coppia si è trasferita immediatamente presso l’appartamento dello sposo, comprato grazie a fondi statali.

Alla fine del 2019, il governo armeno ha infatti approvato un programma promosso dal ministero del Lavoro e degli Affari sociali, che prevedeva di elargire finanziamenti a circa 300 ragazzi che erano stati in orfanotrofio, portando a compimento un obbligo rimasto disatteso dal 2003.

“Negli ultimi 16 anni lo stato non ha rispettato o ha rispettato solamente in parte l’obbligo di offrire un alloggio agli orfani”, si sottolinea dal dipartimento delle relazioni pubbliche del ministero del Lavoro e degli Affari sociali.

“La maggior parte degli appartamenti venivano forniti attraverso il fondo sociale per l’edilizia, ma spesso gli assegnatari si rifiutavano di trasferirvisi o nascondevano che stavano vivendo proprio lì”.

I certificati d’acquisto assegnati agli orfani potevano essere utilizzati per appartamenti il cui costo non superava i 14mila euro circa. Nel caso però l’assegnatario avesse deciso di investire anche fondi propri, la cifra poteva essere superiore.

“Avevo a disposizione circa 12mila euro e allora quest’anno ho comprato una casa con tre stanze in un comune vicino a Yerevan. L’ho ristrutturata con l’aiuto dei miei amici. Sono diventato il proprietario di una casa normale!”, racconta Karen, che ha realizzato il suo sogno e ha portato la sua sposa direttamente dalla chiesa alla propria casa.

“È un’emozione incredibile. Ho la mia casa e la mia famiglia. Con mia moglie stiamo costruendo il nostro piccolo angolo di mondo. C’è anche un’area verde vicino alla casa che abbiamo trasformato in un giardino, mia moglie ama piantare fiori. Coltiviamo anche pomodori, cetrioli e altre verdure. Da questo piccolo appezzamento di terreno riusciremo a ricavare prodotti per noi”.

Tuttavia, la cosa per cui Karen è più emozionato è arredare la stanza più piccola nella casa. La coppia sta aspettando il primo figlio.

“Stiamo arredando una stanza molto colorata, perché voglio che mio figlio abbia un’infanzia spensierata. Ogni bambino dovrebbe avere una casa e l’amore dei propri genitori”.

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La Basilica di Santa Maria Maggiore di Siponto, punto d’incontro tra l’Oriente e l’Occidente (Ilsipontino 14.08.21)

A BASILICA DI SANTA MARIA MAGGIORE DI SIPONTO

Punto d’incontro  tra l’Oriente e l’Occidente

Di  Aldo Caroleo Archeoclub Siponto

Sull’importanza che la Puglia ha rappresentato,per la sua collocazione geografica, nel passato come ponte tra le culture d’Oriente e d’Occidente,tutti gli storici sono d’accordo.

Siponto è stata uno dei più importanti pilastri di questo ponte e la Basilica di Santa Maria Maggiore ne è la più bella e straordinaria testimonianza. E’ noto che sin dai primi tempi apostolici a Siponto fu attiva una comunità ebraica ,forse la più importante  e, intorno al X Secolo una  comunità Armena  attestata in una zona tra Manfredonia e Foggia :  Casale  Faziosi. Gli Armeni furono, secondo gli storici i primi veri costruttori di chiese Cristiane sia a volta che a cupola di cui furono i precursori. Tante  e bellissime le testimonianza di un  Popolo,quello Armeno, sfortunato e perseguitato, che seminò cultura e religiosità cristiana autentiche. Furono, gli armeni,  costruttori fortissimi di chiese e architetti e teologi insuperabili.

La chiesa di santa Maria Maggiore di Siponto, eretta  nella metà dell’XI Sec. ha infatti dei peculiari influssi architettonici armeni, impreziositi e completati dallo straordinario Romanico Pugliese.           

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Vicenza, opposizione presenta mozione a sostegno del popolo del Nagorno-Karabakh (Vicenzapiu 14.07.21)

A circa un mese dal conflitto tra Armenia e Azerbaigian i capigruppo consiliari delle liste di minoranza di Vicenza riportano all’ordine del giorno la questione del Nagorno-Karabakh presentando una mozione a sostegno della popolazione della zona. “Il 9 novembre 2020 i Presidenti Putin, Alyev e Pashinyan hanno sottoscritto una dichiarazione che prevede l’immediato cessate il fuoco, la restituzione all’Azerbaigian di territori occupati dall’Armenia e il dispiegamento lungo la nuova linea di contatto di una forza di interposizione russa; detta Dichiarazione ha consentito di far cessare il conflitto armato e di evitare ancor più gravi escalation militari, fermo restando che per normalizzare le relazioni tra Armenia e Azerbaigian e per definire lo status del Nagorno-Karabakh si richiederanno successivi negoziati; al fine di favorire una soluzione stabile e condivisa di pace, la presidenza del Gruppo di Minsk ha annunciato di voler riprendere la sua iniziativa di mediazione” scrivono i consiglieri comunali di opposizione di Vicenza, i quali con la loro mozione intendono sostenere “la Risoluzione n. 7-00575 sulla soluzione del conflitto nella Regione del Nagorno Karabakh approvata all’unanimità il 18 novembre 2020 dalla Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati” e chiedere “al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ed al Presidente del Consiglio dei Ministri: di sollecitare le Istituzioni europee e internazionali e le organizzazioni umanitarie e di peace building impegnate nella stabilizzazione e ricostruzione della regione a perseguire una strategia globale che integri l’assistenza umanitaria a breve termine all’assistenza allo sviluppo a lungo termine attraverso la costruzione di interdipendenze positive tra le diverse popolazioni ed etnie della regione; di avviare le opportune interlocuzioni con le Autorità internazionali per sostenere il formato della Co-presidenza del Gruppo di Minsk all’OSCE affinché si giunga a una soluzione del conflitto del Nagorno Karabakh attraverso la definizione dello status finale dell’Artsakh, il riconoscimento dei diritti del popolo dell’Artsakh e la garanzia di una adesione effettiva ai valori della democrazia, quali strumenti per garantire una pace stabile e duratura; di orientare, in tutte le sedi opportune, la ricostruzione postbellica al superamento delle barriere esistenti, tramite lo sviluppo reti infrastrutturali, produttive, commerciali e sociali interetniche e funzionali all’apertura e alla collaborazione delle diverse comunità, favorendo la creazione di legami sociali positivi in una prospettiva a lungo termine, volta a scongiurare conflitti armati futuri, qualunque sia la forma istituzionale che assumeranno in futuro i territori contesi; di promuovere la cessazione da parte dei Paesi coinvolti di ogni propaganda di animosità volta ad esacerbare le tensioni etniche nella regione”.

La mozione dell’opposizione invita il presidente del consiglio comunale “a farsi portavoce presso il Governo italiano di queste istanze”, il sindaco e la giunta “a chiedere alle nostre autorità nazionali il riconoscimento della Repubblica dell’Artsakh, quale atto di civiltà che può portare non solo all’attuazione di una azione giusta, ma soprattutto la fine di un silenzio che a lungo sta diventando un atto di complicità con i criminali; ad esprimere la solidarietà del Comune di Vicenza al popolo della Repubblica di Artsakh (Nagorno Karabakh); a condannare l’ennesima aggressione al popolo della Repubblica dell’Artsakh (Nagorno Karabakh); a proporre alla Regione Veneto un gemellaggio tra la nostra regione e il Nagorno-Karabakh; a promuovere iniziative di approfondimento storico sulle vicende del popolo armeno, sui motivi dell’attuale conflitto e sulle persecuzioni attuali e storiche nei confronti dell’Armenia, della Repubblica di Artsakh (Nagorno Karabakh) e, più in generale, nei confronti dei cristiani di ogni confessione, dei curdi e delle altre minoranze della regione; a chiedere al Ministro dell’Istruzione che, in tutte le scuole italiane, siano approfondite le questioni che affliggano la regione, a partire dal genocidio armeno dell’inizio del XX secolo”.

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