Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian ha dimostrato che la regione non è più lo stesso “giardino di casa” della Federazione Russa. (L’intellettuale dissidente 15.06.21)

Il Caucaso, affacciato sul Mar Nero e sul Caspio, confine naturale tra l’Europa e l’Asia, è stato nella storia uno degli unici due punti di contatto tra l’Unione Sovietica e un Paese Nato, oltre a ricoprire il ruolo di serbatoio petrolifero di Mosca. Il collasso dell’Urss di inizio anni ’90 ha portato alla separazione politica della regione: i territori settentrionali, tra cui spiccano Cecenia e Daghestan, sono rimasti sotto il controllo della nascente Federazione Russa, mentre le ex-repubbliche sovietiche di Georgia, Armenia e Azerbaigian hanno dichiarato la propria indipendenza. Perno cruciale della politica estera sovietica, il Caucaso si è trasformato in una polveriera all’inizio degli anni ’90. Le tensioni etniche e religiose, appianate dalle autorità sovietiche, sono esplose in concomitanza con la creazione degli Stati-nazione, vista anche l’impossibilità di tracciare confini statali che soddisfacessero i vari attori in causa. Il processo di indipendenza da Mosca delle ex-repubbliche satelliti è stato segnato da numerosi conflitti interetnici, come dimostra oggi l’esistenza di entità parastatali in Georgia, le repubbliche di Abcasia e dell’Ossezia del Sud, e in Azerbaigian, la repubblica di Artsakh. Alla fine degli anni ’90 e nei primi anni 2000, Mosca ha inoltre ripetutamente inviato l’esercito a combattere e sopprimere i movimenti separatisti di matrice islamista ceceni e daghestani, nell’estremo sud del Caucaso rimasto sotto il controllo della Russia. Le turbolenze regionali rendono dunque il Caucaso fortemente soggetto a ingerenze straniere. La Russia ha sempre considerato la regione come il proprio «giardino di casa». Nell’impellenza di evitare un eccessivo consolidamento dell’Alleanza atlantica a ridosso delle proprie frontiere, le ex-repubbliche caucasiche fungono da cordone di sicurezza, uno degli ultimi rimasti all’interno di un quadro che ha visto molti Stati, un tempo membri del Patto di Varsavia, cambiare bandiera. A differenza di quanto successo in Europa orientale infatti, Mosca ricopre un ruolo centrale nell’area, esercitando ancora oggi una forte influenza.

A seguito del disfacimento dell’Urss, la Russia è stata in grado di sfruttare a proprio vantaggio l’esplosione delle tensioni regionali, garantendosi un ruolo preminente per quello che riguarda la mediazione tra gli attori in causa e la protezione dei propri interessi. Nel Caucaso, il Cremlino punta al mantenimento dello status quo, intervenendo chirurgicamente quando necessario. Questo è avvenuto in Georgia nel 2008, quando il presidente Saakashvili aveva dichiarato di voler portare il Paese nell’orbita della Nato, così come nel corso del conflitto tra Armenia ed Azerbaigian. Se in Georgia si è trattato di un intervento militare, nel Nagorno-Karabakh la Russia si è imposta come mediatore diplomatico, portando alla firma di un cessate il fuoco. L’elemento comune che ha guidato gli interventi russi è stata la volontà di mantenere inalterata la propria centralità regionale a fronte diingerenze straniere, americane in Georgia e turche in Azerbaigian. Tra settembre e novembre 2020, l’ormai quasi trentennale conflitto tra Armenia ed Azerbaigian ha assunto una nuova dimensione, cambiando definitivamente gli equilibri regionali risalenti alla firma di un cessate il fuoco del 1994. Il conflitto, che si è protratto per quasi cinquanta giorni, è stato caratterizzato dall’avanzata azera all’interno dei territori della Repubblica di Artsakh, l’entità parastatale armena nel Nagorno-Karabakh. La fine delle ostilità, mediata dall’intervento russo, ha permesso all’Azerbaigian di uscire fortemente rafforzato dallo scontro, sia da un punto di vista militare che territoriale. Baku ha infatti mantenuto il controllo dei territori conquistati durante l’avanzata, insieme alla riconsegna, da parte dell’esercito armeno, di sette distretti occupati nel corso del conflitto degli anni ‘90. L’accordo ridimensiona inoltre i confini della Repubblica di Artsakh e garantisce al governo di Baku la possibilità di costruire un collegamento stradale che connetta il territorio azero con l’exclave di Naxçivan. La tregua, per cui si è speso in prima persona il presidente russo Vladimir Putin, assegna ai berretti verdi del Cremlino il ruolo di peacekeeper nell’area, a garanzia degli accordi di pace.

La vittoria militare azera rappresenta un vero e proprio cambiamento dello status quo regionale, e le motivazioni vanno ricercate nei cambiamenti che hanno caratterizzato entrambi i Paesi dalla firma degli accordi del 1994. Ilham Aliyev, presidente azero succeduto a suo padre Gaydar, ha dichiarato in occasione della parata della vittoria:

«Abbiamo accresciuto la nostra forza negli ultimi anni, potenziato l’economia, accresciuto il nostro ruolo nell’arena internazionale (…) L’Azerbaigian ha sostenuto un grande sviluppo negli anni recenti e, passo dopo passo, la nostra superiorità si è manifestata in maniera sempre più evidente».

Le parole di Aliyev dicono molto di quanto sia cambiato l’Azerbaigian negli ultimi venticinque anni. Lo sfruttamento delle risorse di gas naturale, di cui il Paese abbonda, ha permesso il rilancio dell’economia nazionale e, soprattutto, la creazione di un esercito moderno dotato di un arsenale all’avanguardia. Nel corso del recente conflitto infatti, l’Azerbaigian ha potuto contare su una serie di armamenti di moderna generazione, contro il quale poco ha potuto l’esercito armeno, ancora dotato di armi dell’era sovietica. Il fattore decisivo si è dimostrato essere l’utilizzo dei droni da combattimento, di provenienza turca e israeliana, grazie ai quali Baku ha potuto ottenere rapide conquiste. Il giorno della parata per la vittoria tra le strade di Baku, al fianco di Aliyev era presente anche Recep Tayyip Erdogan, ringraziato per aver dimostrato la sua vicinanza e il suo sostegno alla causa azerbaigiana sin dallo scoppio del conflitto. I due Paesi, entrambi turcofoni, si considerano parte della stessa nazione, accumunati dall’inimicizia nei confronti dell’Armenia. Per la Turchia, il conflitto che ha opposto Baku ad Erevan rappresentava una vetrina importante. Da un lato, le posizioni filo-azerbaigiane rappresentano un elemento di notevole attrazione per l’elettorato conservatore di Erdogan, da sempre attento alla questione armena. Dall’altro, il conflitto ha permesso la messa all’opera dei droni prodotti dalle aziende militari hi-tech turche, in un momento in cui il settore è in forte espansione e Ankara si candida al ruolo di leader produttore in Africa e Medio Oriente.

In Armenia invece, la sconfitta e la conseguente perdita dei territori occupati rappresenta una ferita nazionale. La retorica nazionalista ruotante attorno alla questione dell’Artsakh ha condizionato la politica armena degli ultimi trent’anni, motivo per cui la popolazione ha accolto la firma del cessate il fuoco come un tradimento. Nikol Pashinyan, eletto primo ministro in seguito alla “rivoluzione di velluto” del 2015, è riuscito a sopravvivere a un tentativo di colpo di stato da parte dell’esercito e si è candidato alle elezioni in programma per il prossimo 20 giugno. Tuttavia, la sconfitta militare non sarà facilmente superabile. L’esercito armeno è apparso completamente impreparato a fronteggiare le truppe di Baku, perdendo facilmente il controllo delle posizioni occupate. Gli stretti legami politici, commerciali e militari che legano Erevan con la Russia, esiste tra i due Stati anche un trattato di cooperazione militare (il Ctso), hanno portato gli armeni a credere che mai il Cremlino avrebbe permesso un ridimensionamento del loro controllo sui territori del Nagorno-Karabakh e dintorni. Tuttavia, la «rivoluzione di velluto» del 2015 e la conseguente elezione di Nikol Pashinyan ha quantomeno alterato i rapporti con Mosca. Eletto grazie a una piattaforma politica innovativa, democratica e critica nei confronti del sistema politico precedente, dominato dalla corruzione endemica e dai legami con Mosca, Pashinyan ha cercato di dare inizio a un processo che guardasse anche a Ovest. Chiaramente, il Cremlino non è rimasto entusiasta di questi tentativi. Allo scoppio del conflitto, la Russia ha fatto sapere che il Ctso non era attivabile al momento, visto che i combattimenti non avvenivano in territori de iure armeni. L’accusa nei confronti di Mosca è di essere intervenuta troppo tardi, permettendo agli azeri di compiere importanti conquiste territoriali e imporre un cessate il fuoco solo al momento ritenuto più opportuno per i propri interessi. Il fatto che sia Aliyev che Pashinyan abbiano accettato che siano le truppe del Cremlino a gestire le operazioni di peacekeeping è un segnale importante, dal momento che era dal 1992 che i soldati di Mosca non stazionavano in Azerbaigian. Va inoltre sottolineato come la Russia abbia sempre cercato di mantenere un ruolo super partes, mantenendo un certo equilibrio tra i due contendenti e intrattenendo ottimi rapporti commerciali non solo con Erevan, ma anche con Baku, a cui ha fornito circa il 30% degli armamenti che compongono il suo arsenale.

Rimanendo alla finestra, la Russia ha saputo sfruttare gli scontri tra gli eserciti di Baku ed Erevan per rinforzare la propria posizione. I berretti verdi di Mosca sono dislocati, sin dal 2008, nelle repubbliche separatiste georgiane, a sostegno della popolazione russofona che le abita. Da adesso, saranno presenti anche nei territori contesi del Nagorno-Karabakh, garantendo al Cremlino il controllo delle aree più turbolente della regione. Anche per questo motivo, Putin si è opposto alla richiesta del presidente Aliyev di assegnare compiti di peacekeeping anche alle truppe di Ankara. Il crescente attivismo turco, diventato ormai una costante nei territori un tempo sotto il controllo dell’impero ottomano, prende piede anche nel Caucaso, spingendo verso una nuova forma di collaborazione con Mosca, alla luce di quello che è un costante rimodellamento degli equilibri geopolitici internazionali.

Vai al sito

ARMIN T. WEGNER, ALBUM DEDICATO AL TESTIMONE DEL GENOCIDIO ARMENO (Gariwo 16.06.21)

Il genocidio armeno è il tema dell’album Armin T. Wegner (K. Records) composto dal musicista Gabriel Wegner in memoria del nonno Armin Theophil Wegner, scrittore, poeta, giornalista-attivista dei diritti umani tedesco (Wuppertal 1886 – Roma 1978), passato alla storia come testimone della deportazione degli armeni avvenuta nel primo quindicennio del XX secolo.

In qualità di militare paramedico distaccato nei territori dell’Impero ottomano durante la Prima guerra mondiale, Armin Wegner non rimase indifferente alle persecuzioni a cui assisteva, ma volle raccontarle e, a rischio della vita, anche documentarle con una serie di drammatiche fotografie, un vero reportage dell’orrore del primo genocidio del ‘900.

La sua battaglia umanitaria continuò anche dopo il rientro in Germania, dove osò esprimere un’opposizione al regime nazista, indirizzando a Hitler un‘appassionata lettera di protesta contro i comportamenti del regime nei confronti degli ebrei. Fu arrestato e torturato dalle SS. Rilasciato nella primavera del 1934, andò in esilio in Inghilterra, poi in Palestina e infine in Italia.

Una figura che ha ispirato il nipote Gabriel, cantautore emergente che ha fatto parte di varie rock-band dell’Underground romano affrontando stili e generi musicali diversi, proposti anche in questo album, uscito nel 2020 e composto assieme a Giovanni Luca Scaglione ed eseguito anche con il contributo di Valerio Giovanardi. Il disco contiene brani come Genocide Poet in Dead Town, evocativi della vicenda che ebbe il suo culmine nel 1915 con la deportazione degli armeni nel deserto della Mesopotamia.

Molti i riconoscimenti attribuiti ad Armin Wegner, a partire dal titolo di Giusto fra le Nazioni di Yad Vashem conferitogli nel 1967.

La sua vita e il suo pensiero sono stati raccontati nel libro La lettera a Hitler. Storia di Armin. T. Wegner, combattente solitario contro i genocidi del ‘900 (Mondadori, 2015) scritto da Gabriele Nissim – saggista e giornalista, presidente della Fondazione Gariwo, la foresta dei Giusti -, e pubblicato in occasione del centenario del genocidio.

Dal 7 aprile 2011 ad Armin Wegner sono dedicati un albero e un cippo nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano, il primo della rete degli oltre cento Giardini dei Giusti creati in Italia e all’estero su iniziativa di Gariwo per onorare i Giusti di tutti i genocidi e tutte le persecuzioni.
La sua figura è ricordata anche nei Giardini di Bergamo, Padova, Perugia, Roma – parco di Villa Pamphilj, Venezia e altre città minori italiane. All’estero nei Giardini dei Giusti di Kfarnabrakh (Libano), Varsavia, Yerevan.

Vai al sito

Il Parlamento armeno si scioglie per aprire la strada alle elezioni di Giugno (Rassegna Stampa 16, 17 , 18 e 19 06.21)

Il 10 maggio, il Parlamento dell’Armenia è stato sciolto dopo aver formalmente omesso di nominare un primo ministro, aprendo la strada a nuove elezioni in Giugno.

I rappresentanti hanno tenuto il secondo e ultimo turno di voti per eleggere un primo ministro dopo che Nikol Pashinyan si è dimesso il 25 aprile. Le dimissioni del Primo Ministro e la mancata nomina di un successore da parte del Parlamento sono state le formalità necessarie per lo svolgimento di elezioni anticipate.

Pashinyan ha accettato di tenere elezioni anticipate dopo aver raggiunto un accordo con i due partiti di opposizione di rappresentanza in Parlamento, Armenia Prospera e Armenia Luminosa.

L’opposizione, sia all’interno che all’esterno del parlamento, ha accusato Pashinyan di un fallimento del governo prima, durante e dopo la sconfitta del paese nella seconda guerra di Nagorno-Karabakh. In seguito all’accordo mediato dai russi che ha portato alla fine della guerra, migliaia di manifestanti [it] sono scesi in piazza chiedendo a Pashinyan di fare un passo indietro.

La popolarità post-rivoluzionaria di Pashinyan ha visto un declino dopo la guerra, con i tour del Primo Ministro nelle regioni che sono stati spesso accolti con proteste e disapprovazione.

Tuttavia, i sondaggi suggeriscono che Pashinyan e il suo blocco My Step rimangono di gran lunga la forza politica più popolare del paese.

In un sondaggio condotto da Gallup International Armenia alla fine di Aprile, il 27% ha detto che avrebbe votato per My Step, in calo rispetto al 32% di un mese prima. Il punteggio più alto successivo è andato al secondo presidente dell’Armenia, Robert Kocharyan, il cui sostegno è salito all’8%. Nessun altro partito è andato al di sopra della soglia del 5% valida per entrare in parlamento, mentre quasi la metà ha detto che non avrebbe votato per nessun partito.

Alcuni esponenti dell’opposizione hanno avvertito che le elezioni anticipate non si terranno in un ambiente libero ed equo.

Durante la sessione parlamentare speciale del 10 maggio, Pashinyan, rimasto come primo ministro ad interim, ha dichiarato che sarebbe impossibile truccare le nuove elezioni in quanto il “pubblico non permetterà a nessuno di falsificare i risultati.”

Le elezioni lampo tenutesi nel 2018, le prime dopo che Pashinyan è stato portato al potere durante la pacifica rivoluzione, sono state ampiamente considerate le elezioni più trasparenti ed eque nella storia del paese dopo l’indipendenza.

Kocharyan tiene una manifestazione a favore di un suo ritorno

Il 9 Maggio, diverse migliaia di sostenitori di Robert Kocharyan si sono riuniti a Erevan, dove l’ex presidente ha promesso di “stabilire una pace dignitosa in Armenia”.

La manifestazione si è svolta in concomitanza alla cerimonia di dichiarazione dell’Alleanza Armena di Kocharyan, insieme alla Federazione Rivoluzionaria Armena (ARF) e al partito Rebirth Armenia.

Kocharyan ha parlato per l’ultima volta ad una manifestazione pre-elettorale nel 2003. Durante il discorso ai suoi sostenitori del 9 maggio, ha affermato che dopo aver lasciato il potere non pensava sarebbe mai ritornato in politica.

La sconfitta dell’Armenia nella guerra, i problemi di sicurezza nella provincia meridionale dell’Armenia, Syunik, il destino del Nagorno-Karabakh e il declino economico dell’Armenia lo hanno portato a ritornare sui suoi passi.

Kocharyan ha incolpato il governo pashiniano di tutti i problemi che il paese sta affrontando, e ha detto che cacciarlo era fondamentale per tutti i partiti dell’opposizione.

Kocharyan ha anche fatto riferimento ad un’offerta che ha rifiutato dal primo presidente Levon Ter-Petrosyan affinché tutti e tre gli ex presidenti si unissero contro Pashinyan. Ha detto che era pronto a collaborare con loro per cacciare Pashinyan ma ciò non implicava di allearsi con loro.

“Suggerisco, sì, che sia il primo che il terzo presidente lottino insieme contro questo governo se intendono combatterlo, solo in questo modo avremo successo. Questo sarà il successo di tutti; la metterò in questo modo: formare un’alleanza è solo una delle tecniche di quella lotta”, ha dichiarato Kocharyan.

Da quando Pashinyan è salito al potere, Kocharyan ha dovuto affrontare diverse accuse penali.

A fine Marzo, la Corte Costituzionale ha stabilito che le accuse di “rovesciamento dell’ordine costituzionale” sollevate contro di lui erano incostituzionali, chiudendo così il caso.

È stato accusato del suo ruolo nella repressione mortale delle proteste post-elettorali nel marzo 2008. La dispersione dei manifestanti, che ha visto il dispiegamento dell’esercito per le strade di Erevan, ha causato la morte di dieci persone.

Kocharyan è stato anche accusato di aver accettato una tangente di circa 3 milioni di dollari; il processo è ancora in corso.

Vai al sito


L’Armenia verso le elezioni. Dopo la guerra per il Karabakh, mentre la Cina si avvicina (di M. Vezzosi) (Faro di Roma 17.06.21)

Missione di monitoraggio Elettorale in Armenia Delegazioni Consiliari Sammarinesi OSCE PA e PACE (Sanmarinotv 16.06.21)

Armenia, epilogo della crisi politica e nuove elezioni (Unimondo.org 18.06.21)

ARMENIA. IL PROSSIMO 20 GIUGNO È FAVORITA LA COALIZIONE MY STEP ALLIANCE DI ASHINYAN (Notiziegeopolitiche 17.06.21)

L’Armenia si prepara ad andare alle urne: “rischio violenze post-voto” (Euronews 18.06.21)

Armenia: 20 mila in piazza a sostegno dell’opposizione (Ansa 18.06.21)

Armenia, al voto dopo la guerra (Euronews 19.06.21)

Le violazioni del diritto umanitario nella seconda guerra del Nagorno Karabakh (Osservatorio Balcani e Caucaso 16.06.21)

Un report pubblicato da IPHR/Truth Hound  s ha evidenziato numerose violazioni del diritto internazionale umanitario compiute dalle forze armene e azere durante la seconda guerra del Nagorno Karabakh, inclusi bombardamenti illegali, omicidi extragiudiziali e torture

Il dettagliato report di più di 100 pagine ha verificato autonomamente 46 presunti bombardamenti sui civili e contro infrastrutture civili. Di questi, vi si attesta che 32 incidenti sono da classificare come “attacchi indiscriminati e non proporzionati contro i civili” e sono in netta violazione del diritto internazionale umanitario.

Il report riporta sette esecuzioni extragiudiziali, almeno un rapimento da parte delle forze azere, la morte di un civile imprigionato in Azerbaijan “a causa delle condizioni della sua detenzione” e ciò che sembrano essere state due esecuzioni extragiudiziali di due soldati azeri feriti da parte delle forze armene.

Il partenariato internazionale per i diritti umani (IPHR) è un’organizzazione non governativa indipendente per la tutela dei diritti umani, con sede a Bruxelles. Truth Hounds è un’organizzazione per i diritti umani con sede a Kiev che documenta crimini di guerra e crimini contro l’umanità durante una guerra.

Bombardamenti

Secondo il report, le forze azere hanno usato “armi implicitamente indiscriminate, comprese le armi a grappolo” ed intrapreso “ bombardamenti indiscriminati e non proporzionali” su tutto il territorio del Nagorno Karabakh, soprattutto, ma non solo, contro le città di Stepanakert (Khankandi), Martakert (Agdere) e Martuni (Khojavend).

Gli attacchi presi in considerazione hanno provocato la morte di 20 civili insieme a “numerosi feriti e l’estesa distruzione di abitazioni civili, attività commerciali e altre infrastrutture”.

A Stepanakert, la capitale del Nagorno Karabakh, l’investigazione condotta da IPHR e Truth Hounds ha scoperto che c’era solamente un “potenziale target militare”, un edificio che “viene utilizzato come quartier generale della leadership civile e militare” del Nagorno Karabakh. Gli attacchi effettuati mediante “armi implicitamente indiscriminate” contro infrastrutture con un duplice uso civile e militare come per esempio la sottostazione elettrica e le apparecchiature per le telecomunicazioni di Stepanakert, sono stati considerati come “non proporzionati al potenziale vantaggio militare ricercato” a causa “dell’esteso danno nei confronti dei civili e dell’eccessiva distruzione alle infrastrutture civili”.

Inoltre, l’investigazione ha scoperto che se non fosse stato per “i molti rifugi antiaerei” presenti a Stepanakert “ci sarebbero state molte più vittime fra i civili”.

A Martakert, il report evidenzia come fosse presente un solo target militare, una base militare, localizzata all’interno della città, ed “è stata pesantemente danneggiata e quasi abbandonata dopo la prima settimana di scontri”. Di conseguenza, gli attacchi sulla città “mediante l’utilizzo di artiglieria non guidata implicitamente indiscriminata e di bombe aeree” effettuati tra settembre e ottobre, non sono giustificati secondo il diritto internazionale umanitario.

A Martuni, gli investigatori hanno scoperto che durante la maggior parte della guerra, il “target militare legittimo più vicino” era a circa 1 km di distanza dal confine della città, e che non c’erano target all’interno della stessa Martuni fino “agli ultimi giorni del conflitto – da quel momento Martuni è diventata una parte della prima linea, e le forze armene e del Nagorno Karabakh si sono spostate al suo interno”.

Di conseguenza, il report sostiene che i ripetuti e indiscriminati attacchi di artiglieria contro Matuni/Khojavend tra la fine di settembre e lungo tutto ottobre 2020, sono stati una chiara violazione al diritto internazionale umanitario.

IPHR e Truth Hounds hanno verificato 13 attacchi contro civili azeri effettuati dalle forze armene durante la guerra, che hanno provocato 80 vittime fra i civili. Secondo il report, 9 fra gli incidenti sono stati “attacchi indiscriminati e/o sproporzionati” che hanno violato il diritto internazionale umanitario. Il report si è concentrato, fra le altre, sulle città di Ganja, Barda, e Terter.

A Ganja, gli investigatori hanno rilevato tre diversi attacchi contro la città, due dei quali caratterizzati dall’uso di missili SCUD. Gli attacchi hanno ucciso civili, distrutto abitazioni, e, secondo gli investigatori, sono stati “una flagrante violazione” del diritto internazionale umanitario. Gli investigatori hanno appurato che in tutti e tre i casi, non c’erano legittimi target militari nelle aree che sono state colpite. L’unico target militare legittimo, l’aeroporto cittadino di Ganja, si trova “al di fuori dell’area urbana che è stata sotto attacco”. Ulteriori prove raccolte dagli investigatori sembrano mostrare che uno degli attacchi su Ganja è stato lanciato dalla cittadina di Vardenis nella Repubblica d’Armenia.

Gli investigatori hanno anche verificato un attacco di bombe a grappolo e una bomba a frammentazione sulla città di Barda il 28 ottobre da parte delle forze armene. L’attacco ha ucciso 24 civili – il più grave bilancio giornaliero di vittime civili durante l’intero conflitto. Secondo gli investigatori, “non c’erano target militari nelle vicinanze, e non si sono verificate perdite di soldati o danni militari”.

Nella città di Terter e nei villaggi circostanti, il report ha verificato “vittime fra i civili, una moltitudine di civili feriti e la totale o parziale distruzione di abitazioni civili, attività commerciali e una scuola” a causa “del prolungato fuoco” da parte delle forze armene. Secondo gli investigatori, “non c’erano obiettivi militari legittimi situati nelle aree colpite dagli attacchi”.

Omicidi extragiudiziali

L’investigazione da parte di IPHR e Truth Hounds ha raccolto un numero di violazioni al diritto internazionale umanitario commesse dalla forze azere inclusa l’esecuzione di tre combattenti armeni che erano stati catturati; l’esecuzione di tre civili armeni e “la sparizione forzata di altri due civili armeni”. Inoltre, un civile armeno è morto durante la prigionia azera “a causa delle condizioni della sua detenzione”. Gli omicidi extragiudiziali sia dei prigionieri di guerra sia dei civili sono stati documentati attraverso alcuni video e sembra siano stati eseguiti dall’unità delle forze speciali dei marines azeri.

Secondo il report gli omicidi non presentano “alcuna giustificazione” secondo il diritto internazionale umanitario e sono una grave violazione del diritto alla vita. Gli investigatori non hanno trovato “alcuna indicazione” riguardo “ad indagini” su questi incidenti, “che fossero indipendenti, tempestive, pubbliche, ed effettive o sfocianti in qualche tipo di incriminazione penale”.

L’investigazione ha anche tenuto conto di “prove non verificate” di due casi di esecuzione di soldati azeri feriti da parte delle forze armene. Se questi omicidi fossero confermati, sarebbero una chiara violazione del diritto internazionale umanitario. Il governo armeno è obbligato secondo il diritto internazionale umanitario a condurre indagini “indipendenti, immediate, pubbliche ed efficaci” riguardo a questi incidenti, ma ad oggi “non ci sono prove che il governo dell’Armenia stia rispettando questi obblighi”.

Altre violazioni del diritto umanitario

IPHR e Truth Hounds hanno documentato la diffusione della pratica della tortura contro i prigionieri di guerra armeni catturati dall’Azerbaijan, insieme a tre casi di “maltrattamenti e violenze contro i civili armeni” da parte delle forze azere. Hanno anche documentato sette casi di “maltrattamenti di prigionieri di guerra azeri commessi dalle forze armene che “raggiungono la soglia della tortura”. Altri tre casi, immortalati da un video – fra i quali uno “potrebbe aver causato la morte della vittima” – richiedono secondo gli autori dell’immagine “maggiori investigazioni”.

Gli investigatori trattano anche di episodi di spogliazione del morto da parte delle forza armene ed azere, il targeting mirato contro luoghi di “interesse religioso/culturale” da parte delle forze azere, fra cui la Cattedrale di Ġazančec’oc’ situata nella città di Shusha (Shushi), e cinque episodi di “attacchi intenzionali da parte delle forze armate azere contro ospedali e personale medico”.

“Le forze armate di entrambe le parti hanno attaccato deliberatamente e indiscriminatamente i civili mediante l’utilizzo di artiglieria pesante o supporto aereo, alcune volte uccidendo o ferendo intere famiglie” sostiene Roman Avramenko, direttore di Truth Hounds, all’interno di una dichiarazione rilasciata insieme al report. “La comunità internazionale non può permettere che tutto ciò avvenga senza sanzioni, poiché renderebbe senza significato il diritto bellico”.

Vai al sito

Il Parlamento Europeo chiede la liberazione ‘immediata’ e ‘incondizionata’ dei prigionieri armeni (Globalvoices.org 15.06.21)

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione] sul sito web di OC Media. Una versione modificata è ripubblicata qui tramite un content partnership agreement.

Il 20 maggio il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione [it] chiedendo al governo azero di liberare tutti i prigionieri di guerra e i prigionieri civili armeni.

La maggioranza dei membri del Parlamento Europeo, 607 su 688, ha votato a favore della risoluzione.

Il testo della risoluzione [it] si riferiva a ‘notizie preoccupanti’ secondo le quali ‘circa 200 armeni’ sono detenuti in cattività in Azerbaigian – l’Azerbaigian ha solo riconosciuto di avere 72 armeni in cattività, che i funzionari affermano non siano prigionieri di guerra ma sospetti di terrorismo.

‘Il rilascio di tutti i detenuti armeni è essenziale per costruire fiducia e costituirebbe un importante gesto politico , ha affermato Josep Borrell l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, in un discorso pronunciato a suo nome durante il procedimento.

Secondo la risoluzione, il Parlamento Europeo ‘chiede la liberazione immediata e incondizionata di tutti i prigionieri armeni, sia militari che civili, detenuti durante e dopo il conflitto, e che l’Azerbaigian si astenga in futuro da detenzioni arbitrarie’.

La risoluzione ha inoltre sottolineato la necessità di nuovi sforzi per costruire la fiducia tra i due paesi e fare progressi verso una pace sostenibile.

La risoluzione menzionava anche il ‘Parco dei Trofei Militari’, aperto a Baku in aprile, che mostra equipaggiamenti militari armeni accanto a manichini in cera ‘raffiguranti soldati armeni morti e morenti e modelli di prigionieri di guerra armeni’.

Il parco è stato condannato sulla base del fatto che può essere percepito come ‘un’esaltazione della violenza’ e che ‘sta perpetrando l’atmosfera di odio e contraddicendo qualsiasi dichiarazione ufficiale sulla riconciliazione’.

Dalla fine delle ostilità il 9 novembre, 73 prigionieri armeni sono stati rimpatriati mentre l’Armenia ha liberato tutti i prigionieri di guerra catturati durante la guerra.

Due cittadini siriani catturati dall’Armenia durante la guerra rimangono nel paese e sono stati condannati per diverse accuse, tra cui terrorismo – i due uomini hanno ammesso di essere mercenari, ma hanno negato tutte le altre accuse contro di loro

Vai al sito

Nagorno-Karabakh: ex presidente armeno Kocharyan, trovare accordo con Baku è possibile (Agenzianova 15.06.21)

Erevan, 15 giu 10:17 – (Agenzia Nova) – I negoziati tra Armenia e Azerbaigian sul Nagorno-Karabakh sono possibili e potrebbero raggiungere un accordo. Lo ha detto l’ex presidente e candidato alle elezioni parlamentari anticipate armene Robert Kocharyan in un’intervista a “Ria Novosti”, “Sputnik Armenia” e “Rt”. “La formula è la seguente. Se vogliamo una pace duratura e sostenibile, allora dobbiamo prendere delle decisioni che non siano troppo ingiuste. Mi sembra che comunque si possa arrivare ad un accordo durante i negoziati sul territorio della (autoproclamata) repubblica del Nagorno-Karabakh e sui confini. Almeno, in questo caso, abbiamo un’argomentazione abbastanza forte, ed è legata al diritto della nazione all’autodeterminazione “, ha detto Kocharyan. Secondo l’ex presidente, in questo senso ci sono alcune prospettive di negoziato. “In quale formato potrebbero svolgersi i negoziati? Sinora, il formato è quello del Gruppo di Minsk dell’Osce. Gli eventi dello scorso anno, tuttavia, hanno determinato che il ruolo della Russia diventasse più dominante. Ha sempre svolto un ruolo molto attivo nel processo negoziale, ma ora la funzione della Russia in questo processo è delineata in modo più vivido. Questa è la realtà”, ha detto Kocharyan. “La presenza delle forze di pace russe, la responsabilità per la sicurezza in Nagorno-Karabakh… Questo determina una posizione di leadership all’interno del gruppo di Minsk “, ha affermato l’ex presidente armeno. (Rum)

Conflitto con Baku: liberati 15 prigionieri armeni. L’aiuto di Tbilisi (Asianews 15.06.21)

In cambio gli azeri hanno ottenuto le carte dei campi minati nella provincia di Agdam. In Azerbaijan rimangono almeno altri 200 soldati di Erevan. Con la sponda di Usa, Unione europea e Turchia, i georgiani si offrono come mediatori nei conflitti del Caucaso.

Mosca (AsiaNews) – Il premier facente funzioni dell’Armenia Nikol Pašinyan ha annunciato ieri che “15 nostri fratelli tornano a casa”, dopo la detenzione in Azerbaijan seguita al conflitto in Nagorno Karabakh. Con la mediazione della Georgia, gli azeri hanno deciso di liberare gli ostaggi: in cambio hanno ottenuto le carte dei campi minati nella provincia di Agdam. Il primo ministro georgiano Iraklij Garibašvili avrebbe avuto un ruolo di primo piano nel chiudere l’accordo.

Gli Stati Uniti avrebbero ispirato l’intervento della Georgia, proprio nei giorni della visita del presidente Joe Biden in Europa, e alla vigilia del suo incontro con Vladimir Putin; figura chiave nella vicenda è Philip Reeker, vice segretario di Stato Usa per le questioni europee ed eurasiatiche. I giochi nel Caucaso fanno quindi da sponda agli equilibri internazionali, in una fase molto rovente per le imminenti elezioni a Tbilisi e a Erevan.

Secondo attivisti per i diritti umani, in Azerbaijan rimangono almeno altri 200 prigionieri armeni. Si spera che il successo di questi giorni non rimanga un evento isolato. La restituzione ha avuto luogo la sera del 12 giugno, e il governo armeno ha consegnato le carte di dislocazione di 97mila mine anti-carro e anti-uomo.

Secondo quanto raccontato dallo stesso Garibašvili, “la trattativa era iniziata un mese fa, dopo alcune telefonate con il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliev e Pašinyan. Penso che sia una occasione senza precedenti per la Georgia, che può mediare fra i partner strategici del Caucaso meridionale”. Per raggiungere la stabilità nella regione, Garibašvili ha promesso altri sforzi da parte del suo Paese.

Secondo il politologo Gelja Vasadze del Centro di analisi strategiche di Tbilisi, sullo sfondo di queste trattative non va sottovalutato il ruolo della Turchia: “Garibašvili ha visitato anche Ankara, non solo Baku e Erevan. Come ha comunicato il ministro degli Esteri georgiano David Zalkaliani, dopo un recente colloquio con Erdogan la Georgia ha assunto un ruolo più attivo nella soluzione dei conflitti caucasici”. In questo caso i turchi avrebbero agito in sintonia con Usa e Unione Europea.

I prigionieri restituiti non avevano ricevuto condanne da parte azera, ma erano rimasti nelle mani del nemico dopo le fasi più accese del conflitto in Nagorno Karabakh. La crisi tra Armenia e Azerbaijan rimane piuttosto acuta sui confini meridionali dei due Paesi, e l’esito finale è ancora molto incerto. La Georgia potrà continuare a giocare un ruolo da protagonista, anche a seconda degli interessi dei candidati e dei gruppi politici in lizza alle prossime elezioni, con il sostegno delle grandi potenze.

Vai al sito

Erdogan e’ in visita ufficiale in Azerbaigian (Rassegna stampa 15, 16 e 17.06.21)

l presidente Recep Tayyip Erdogan e il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev hanno firmato la “Dichiarazione di Shusha sull’alleanza”.

Erdogan e’ stato accolto dal presidente di Azerbaigian, Ilham Aliyev a Shusha, la citta’ simbolica di Nagorno Karabakh, liberata dall’occupazione armena dopo 28 anni.

Al termine della cerimonia di benvenuto, i due leader hanno avuto un faccia faccia e hanno firmato la dichiarazione di Shusha.

“Abbiamo determinato il roadmap dei rapporti tra due paesi firmando la Dichiarazione di Shusha. Mi congratulo ancora con tutti i miei fratelli azerbaigiani per la loro vittoria nel Nagorno-Karabakh” ha detto Erdogan, durante la conferenza stampa congiunta.

“La Turchia sostiene l’Azerbaigian nel “processo di ricostruzione del Karabakh”, e continuerà a farlo”. Erdogan, dal canto suo, ha inviato l’Armenia a cogliere le opportunità di cooperazione regionale sorte dall’accordo di cessate il fuoco. “La piattaforma tra sei paesi (Russia, Turchia-Azerbaigian, Armenia, Georgia e Iran) vuole che Karabakh diventi una regione in cui si vive in pace. Insieme al mio fratello Aliyev, siamo pronti a qualsiasi solidarieta’” ha detto Erdogan.

Erdogan inoltre ha annunciato che la riunione  di cooperazione strategica di alto livello si svolgera’ in Turchia nei prossimi mesi.

“La Turchia sta progettando di aprire “il prima possibile” un consolato generale turco “nell’antica città di Shusha”, in Azerbaigian”.

Dal canto suo Aliyev ha precisato che la Dichiarazione Shusha rappresenta una futura collaborazione tra due paesi.

“Abbiamo visto la solidarieta’ del popolo turco durante la guerra. Non dimenticheremo mai il sostegno della Turchia” ha detto Aliyev.

Vai al sito


Azerbaigian-Armenia: Aliyev, durante conflitto Turchia ha compiuto sua missione storica (Agenzia nova 15.06.21)


Erdoğan in Azerbaigian: ecco cosa incassa la Turchia per il sostegno nella guerra contro l’Armenia (Euronews 16.06.21)


Erdogan si rivolge all’Assemblea nazionale di Azerbaigian (Trt 16.06.21)


Erdogan: ribadito a Biden che la posizione turca su lanciamissili russi S-400 è invariata (Sputnik 17.06.21)


AZERBAIJAN. Erdogan visita il Nagorno-Karabakh: alleanza militare forte con Baku (Agcnews 17.06.21)

Chi è Henrikh Mkhitaryan? Età, stipendio, carriera, patrimonio, vita privata (Calciomercatolive 14.06.21)

Henrikh Mkhitaryan dopo un tira e molla che ha tenuto con il fiato sospeso la tifoseria giallorossa, ha deciso di proseguire anche il prossimo anno il suo rapporto, sinora estremamente felice con la Roma. Stavolta sotto l’egida di quel Josè Mourinho che naturalmente si aspetta molto dal forte attaccante armeno.

Chi è Henrikh Mkhitaryan

Henrikh Mkhitaryan, nato a Erevan il 21 gennaio 1989, è un attaccante esterno dotato di straordinaria tecnica di base, velocità e tiro con entrambi i piedi. Doti dimostrate lungo l’intero arco della sua carriera e che ne fanno tuttora uno dei migliori giocatori offensivi della Serie A.

La sua carriera

Henrikh Mkhitaryan ha iniziato la sua carriera nelle giovanili del P’yownik, con il quale ha firmato il primo contratto da professionista.
Nel 2009 si è quindi trasferito al Metalurh Donec’k, nella massima divisione ucraina, ove ha confermato le ottime referenze già accumulate in patria. Tanto da spingere lo Shakhtar Donetsk a puntare su di lui nell’estate del 2010. Una fiducia ripagata nel successivo triennio da ben 38 reti, biglietto da visita eloquente per il trasferimento in Bundesliga, nelle file del Borussia Dortmund. Con cui l’armeno ha giocato un ottimo triennio condito da 90 gare e 23 reti.
Nell’estate del 2016 è stato quindi il Manchester United a bussare alla sede del club tedesco, versando 31,5 milioni di euro per assicurarsene le prestazioni. Dopo un biennio non esaltante, con appena 5 reti in 39 gare, un nuovo cambio di maglia, stavolta quella dell’Arsenal. Con la quale Mkhitaryan ha giocato per un biennio prima di passare alla Roma.
Dopo l’esordio in Serie A, avvenuto il 15 settembre 2019 contro il Sassuolo, ha giocato 56 gare in giallorosso, mettendo a segno 22 reti.
Nella sua carriera ha vestito anche la maglia della Nazionale armena per ben 88 volte, collezionando 33 reti in totale.

Quanto guadagna Henrikh Mkhitaryan?

Henrikh Mkhitaryan guadagna 4 milioni di euro netti all’anno più bonus. Uno stipendio quindi molto elevato, ammortizzato in parte dal particolare regime fiscale introdotto per coloro che optano per il pagamento delle tasse nel nostro Paese e giustificato dalla levatura del giocatore, oltre che da quanto dimostrato nel corso del biennio giocato a Roma.

La sua vita privata

Henrikh Mkhitaryan si è sposato con la connazionale Isabella Vardanyan. La cerimonia nuziale si è svolta nel giugno del 2019 a Venezia, con ospite d’onore Al Bano, di cui il giocatore è un dichiarato fan. La coppia ha avuto un figlio, Hamlet, nel marzo del 2020.

Vai al sito

Un album musicale in memoria di Armin Theophil Wegner, difensore del popolo armeno che visse a Positano (Positanonews 13.06.21)

Il fascino di una città come Positano è legato anche alle persone illustri che in passato, così come accade fortunatamente ancora oggi, la eleggono a loro buen retiro o addirittura a rifugio dai tomenti di una vita. Tra i personaggi che nella città di Pistrice hanno trovato l’accoglienza e la protezione negatagli in Patria per motivi politici, un posto di riguardo merita Armin Theophil Wegner, poeta, scrittore e giornalista tedesco, che prima e dopo il Secondo Conflitto mondiale soggiornò a lungo nella Città Verticale. A lui in questi anni il nipote, il cantautore tedesco Gabriel Wegner ha dedicato più di un’opera musicale. L’ultimo progetto in ordine di tempo, composto nel 2020, durante la pandemia, s’intitola proprio “A.T.W (Armin T. Wegner)” ed è edito dalla K Redords. Ma chi era Armin Wegner? Nel 2015 grazie a un incontro organizzato da Beniamino Cuomo, raffinato audiofilo e instancabile cercatore di storie indimenticabili, a Montechiaro (Vico Equense) conobbi lo storico Gabriele Nissim autore del saggio “La lettera a Hitler” (Mondadori), ebbi modo così, leggendo il testo e conversando con Nissim, di scoprire la grandezza morale di quest’uomo d’altri tempi. Armin Theophil Wegner è stato un militare paramedico tedesco nella Prima guerra mondiale, un autore prolifico e attivista per i diritti umani. Stanziato nell’Impero ottomano durante la Prima guerra mondiale, Wegner è stato testimone del Genocidio del popolo Armeno;  le fotografie da lui realizzate in quei giorni rappresentano un documento storico fondamentale di denuncia della drammatica situazione degli Armeni. Wegner è stato anche uno dei primi tedeschi a opporsi a Hitler e alla persecuzione degli ebrei, nonostante sapesse di rischiare la vita non rinunciò a scrivere una lettera a Hitler con la quale pubblicamente tentò di persuadere il Führer a rinunciare ai suoi propositi di sterminio. Questa è l’estrema sintesi di una vista spesa per i diritti umani, ma v’invito a leggere il testo di Gabriele Nissim per approfondire la conoscenza di un uomo che merita di non essere dimenticato; una persona che Anselmo Palini aggiungerebbe senza dubbio alla lista di quelli che sono definiti “Più forti delle armi” per levatura morale e intellettuale”. Il 21 aprile del 1996 Pietro Kuciukian e Mischa, il figlio, hanno trasportato le ceneri di Armin T. Wegner a Yerevan: il primo “giusto e testimone” per gli armeni, le cui ceneri sono state poi tumulate nel Muro della Memoria di Dzidzernagapert. Dal 7 aprile 2011 ad Armin Wegner sono dedicati un albero e un cippo al Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano. E’ indubbio che senza le foto e la cronaca di Wegner del genocidio degli armeni avremmo saputo ben poco per la gioia dei negazionisti turchi. A questa tristissima vicenda e a questa stupenda persona il nipote, Gabriel Wegner (nella foto in basso), grazie al contributo di Giovanni Luca Scaglione e Valerio Giovanardi, ha dedicato un progetto musicale dal titolo quanto mai emblematico “A.T.W (Armin T. Wegner)”, l’album si apre con i versi delle poesie di Wegner e le voci di chi è sopravvissuto al genocidio armeno. Seguono brani che grazie alla forza rivoluzionaria del rock e a quella raffinata del jazz riescono a dare un’anima musicale alle parole di protesta e alle richieste di giustizia di Armin Wegner. Il cantautore tedesco ha realizzato un’opera dal punto di vista musicale e lirico notevole che è un piacere ascoltare e che, a mio modesto parere, ha la forza degli album concettuali di autori come Joan Baez e Bob Dylan.  di Luigi De Rosa

Vai al sito