Il consiglio di sorveglianza di Facebook ha dato un parere importante sul diritto di satira (Wired.it 24.05.21)

L’Oversight Board, il comitato di sorveglianza super partes con il compito di rivedere – ed eventualmente ribaltare – alcune decisioni sulla moderazione dei contenuti prese da Facebook, si è espresso su un altro caso dopo lo sforzo intrapreso sul caso Trump.

La questione esaminata fa riferimento alla sospensione di un post in cui, prendendo a prestito un celebre meme, l’utente esprimeva una critica dissacrante verso il genocidio armeno in Turchia. L’enorme scoglio incontrato dall’Oversight Board durante la revisione di questo caso è stato l’intento evidentemente satirico con il quale l’utente ha utilizzato l’immagine.

Il meme in questione è una variante del meme dei due pulsantinel quale al protagonista della vignetta vengono mostrati due interruttori e una scelta impossibile, o surreale, da compiere scegliendone solo uno. Nell’immagine al centro del caso, sui due pulsanti troneggiavano le scritte – in inglese – “il genocidio armeno è una bugia” e “gli armeni erano terroristi che se lo meritavano”, mentre il viso sudante del protagonista dell’immagine era stato sostituito dalla bandiera turca.

In un primo momento un moderatore di Facebook aveva stabilito che l’immagine violava gli standard della comunità sui contenuti che incitano all’odio. Un secondo moderatore, invece, ha deciso che il contenuto violava le regole in relazione ai post che esprimono crudeltà e insensibilità, e l’immagine è stata rimossa per questo motivo dal social network.

L’utente responsabile del post ha però presentato ricorso per cercare di far ripristinare l’immagine. Facebook ha tuttavia stabilito, senza informare l’utente, che il post sarebbe rimasto oscurato per via delle motivazioni legate all’hate speech segnalate dal primo moderatore.

È a questo punto che è intervenuto l’Oversight Board: l’organismo ha stabilito che il post rientra in quelle eccezioni che permettono agli utenti di condividere dei contenuti controversi allo scopo di condannarli o creare consapevolezza. La maggioranza dei membri che hanno analizzato il caso ha ritenuto che il contenuto dovesse essere inserito anche nelle eccezioni da considerare per il loro tono satirico, strappi alla regola che ancora non rientrano negli standard della community di Facebook.

Il comitato ha quindi ribaltato la decisione del social network ripristinando il contenuto, e ha suggerito a Facebook di includere l’eccezione per satira e di adattare le procedure per moderare adeguatamente i contenuti satirici tenendo conto del contesto in cui sono collocati.

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Facebook ha deciso di affrontare il tema del diritto di satira (Giornalettismo)

Calcio: Mkhitaryan non convocato dall’Armenia, ‘sorpreso, motivazioni non mi convincono’ (Adnkronos 24.05.21)

Roma, 24 mag. – (Adnkronos) – L’attaccante della Roma Henrikh Mkhitaryan, non è stato convocato a sorpresa dalla nazionale dell’Armenia in vista delle prossime partite contro Croazia e Svezia. Il 32enne, stella indiscussa del calcio armeno, ha commentato l’esclusione su Twitter. “Con mia grande sorpresa, sono stato informato dallo staff della Nazionale armena che non sono stato convocato per le prossime gare. Le ragioni che mi hanno fornito non mi convincono. Auguro comunque buona fortuna ai nostri ragazzi per le prossime partite”.

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Armenia, Mkhitaryan escluso dai convocati: “Le spiegazioni ufficiali non mi convincono” (Goal.com)

L’Armenia non lo convoca, Mkhitaryan polemizza: “La motivazione ufficiale non mi convince” (Il Romanista)

Alla scoperta dei riti e delle tradizioni del lavash, il pane armeno Patrimonio dell’UNESCO (City Roma 24.05.21)

Parlare di cucina armena non è fatto semplice. Nel corso della storia, infatti, la diaspora dopo il genocidio, il succedersi di migrazioni, le invasioni e le lotte hanno fatto sì che questo popolo si unisse e contaminasse ad altri nel mondo, rendendo pressoché impossibile stabilire un confine netto tra piatti armeni e non. “Quello che mangi a casa mia non lo mangi in Armenia!” ci dice Shaké Pambakian, cuoca armena alla terza generazione, con nonni sfollati in Austria e Svizzera e genitori cresciuti tra Italia e Grecia. Sono loro, infatti, ad averle trasmesso queste ricette (che infatti sono diversissime da quelle che ad esempio ho provato in un ristorante armeno a Gerusalemme). Perché la cucina armena oggi è proprio questa: quella trasmessa in ogni famiglia, di generazione in generazione, anche non in Armenia.

Un punto fermo però c’è, un richiamo comune, un simbolo di appartenenza che lega e unisce tutti gli armeni del mondo: è il pane, in particolare il lavash. Ve ne parliamo grazie all’incontro con lo chef Sedrak Mamulyan con cui abbiamo fatto una videochiamata direttamente dal suo ristorante Megeryan Carpet di Yerevan; e poi grazie al primo e unico panificio che prepara il lavash in Italia, Urartu Group, aperto proprio negli ultimi mesi a Milano, che ci ha fatto scoprire Shaké. Infine vi daremo anche la ricetta del lavash, presa dal grandissimo libro di Verjin Manoukian, che non può mancare nella vostra libreria se siete interessati alle tradizioni gastronomiche armene. Insomma, un articolo a più voci, anche perché, come scoprirete, gli armeni hanno sempre qualcosa da dire sul lavash.

La centralità del pane nella cultura armena: il forno tonir, i riti e le tradizioni 

Ancora oggi nella cultura armena c’è una fortissima ritualità legata al grano, in particolare al pane. “In Armenia il pane è il simbolo più comune e antico del nutrimento quotidiano, quello che scandisce e accompagna la vita dell’uomo e assume forme e aspetti diversi, per corrispondere alle varie esigenze poste dalle condizioni del lavoro e del costume sociale” ci racconta lo chef Sedrak.

tonir forno

Daniel Tadevosyan/shutterstock.com

La preparazione del pane è un evento centrale nella vita domestica. Si cuoce nel tonir, il focolare scavato al centro del pavimento delle tipiche case armene, soprattutto in campagna: si tratta di una sorta di fossa cilindrica con le pareti rivestite in terracotta, che spesso funge anche da riscaldamento. Nel tonir il fuoco inizia ad ardere fin dal primo mattino, sprigionando il fumo che esce dal foro centrale del tetto e che simboleggia la durata e la continuità della vita familiare e comunitaria. Ancora oggi, non è cambiato molto dai tempi in cui le donne si riunivano attorno al tonir per preparare il pane, processo molto importante che inizia sempre con una benedizione, dove ci sono vari compiti, divieti e significati ben precisi, a seconda dell’età e del ruolo in famiglia. “Ad esempio” ci racconta Sedrak, “c’è chi si occupa di toccare la farina e preparare l’impasto, chi di stendere la pasta, chi di infornare… Si tratta di un mondo antico, di cui non conosciamo precisamente tutto, anche perché non è stato scritto molto, ma sappiamo che è particolarmente legato alle energie femminili”. Un’altra regola, infatti, riguarda il divieto di fare il lavash per le donne vedove, senza figli o impossibilitate ad averne, perché il pane è molto connesso alla fertilità. “Il forno, ossia il tonir, è tondo in quanto rappresenta il grembo materno, per questo in passato spesso toccava alle donne anche montarlo, mentre invece oggi lo fanno quasi sempre gli uomini”.

Nel ristorante Megeryan Carpet di Sedrak Mamulyan è presente il tonir e un reparto dedicato al lavash, “La casa del lavash”, dove spesso lo chef mostra ai suoi clienti la preparazione del pane e dei vari riti connessi. Una di queste è la tradizione cerimoniale dell’hatz-yev-agh, cioè di “pane e sale” che è il simbolo di apertura e accoglienza verso l’ospite che varca la porta di casa: “si spezza il pane e si offre con il sale, proprio come segno di disponibilità”, continua Sedrak. Pensate che il pane è ritenuto talmente sacro che in armeno “io mangio pane” significa e indica “io mi nutro” in generale, così come il verbo “nutrirsi” si traduce letteralmente in “mangiar pane”. Anche la parola “generoso” in armeno si dice “persona con il pane”, o “uno per bene” è “uno con il pane”. Insomma, tutto a conferma di quanto questo cibo sia un elemento centrale. Per questo c’è un’infinità di tipologie di pani nella tradizione armena, con semi, noci, e c’è anche una pagnotta di forma allungata che si chiama proprio pan. Ma ce n’è uno sempre al primo posto, che più di tutti fa da richiamo nello spirito per il popolo armeno nel mondo e quel pane è il lavash.

Il lavash, il tipico pane armeno Patrimonio dell’UNESCO

Il lavash è il pane armeno per eccellenza, quello di cui gli armeni vanno fieri in tutto il mondo, per vari motivi. In primis perché tra i più antichi pani che ci sia nel Caucaso, fatto con acqua, sale e lievito madre che spesso si tramanda da generazioni in ogni famiglia. Poi perché è tra i pochi pani al mondo che dura a lungo, anche fino a un anno. “Siamo orgogliosi del lavash perché racconta l’abilità sviluppata nei secoli dal popolo armeno di conservare a lungo il pane senza che perda il sapore, la fragranza e tutte le altre caratteristiche originarie. Anzi, basta solo un po’ d’acqua per farlo rinvenire e sembra davvero appena sfornato!” Il lavash, infatti, ha una consistenza unica, elastica ma non gommosa, che lo rende davvero imparagonabile a qualsiasi altra tipologia presente altrove. A molti, infatti, ricorda il carasau, poiché si presenta in forma di dischi o rettangoli sottili, ma in realtà è diverso dal collega sardo, soprattutto per la morbidezza e la fragranza che lo contraddistinguono una volta bagnato.

pane armeno lavash

Foto di Giulia Ubaldi

Oltre che dall’impasto, la lunga durata di questo pane dipende dalla cottura: “il lavash risponde all’esigenza di una rapida cottura che fa risparmiare combustibile e alla necessità di una lunga conservazione, requisito essenziale per l’uso che ne facevano pastori e carovanieri”. Il lavash viene cotto facendo aderire i dischi di pasta alle pareti verticali del tonir ed è pronto in pochissimi minuti; i dischi fragranti vengono poi accatastati sopra una base di legno e conservati in pile alte oltre un metro. Infine, al momento del consumo lo si ammorbidisce avvolgendolo per un quarto d’ora circa in un panno umido, che gli fa riacquistare flessibilità e freschezza. Per tutti questi motivi è stato riconosciuto come Patrimonio dall’UNESCO: anche altri pani simili hanno fatto poi richiesta, ma senza successo, perché il lavash è davvero unico. Ma il lavash perfetto non è solo una questione tecnica, anzi: attorno alla sua preparazione ruotano riti e credenze antiche. Ad esempio in occasione di un matrimonio, quando i genitori della sposa vanno a trovare quelli dello sposo, si mette il lavash sulle spalle dei giovani: se cade, è considerato un cattivo segno. Infatti, ci sono due divinità armene che non sono potute stare insieme perché era caduto il lavash prima del matrimonio. Lo chef Sedrak ci racconta un’altra tradizione ancora molto viva legata a questo cibo, soprattutto nelle campagne: “quando le donne preparano il lavash, i primi pani che sfornano vengono offerti a sette vicini di casa e ai passanti, quando e se passavano”. Insomma, il lavash è quanto c’è di più legato al popolo armeno, che si impara a fare fin da piccoli e si cerca di trasmettere e tramandare il più possibile. Ma oggi per fortuna c’è una grande novità, che abbiamo scoperto grazie a Shaké, grande cuoca della comunità armena di Milano.

Il primo ed unico panificio di lavash in Italia 

Qualche mese fa è successo un miracolo: finalmente il lavash è arrivato a Milano! È successo all’inizio del 2021 a Paderno Dugnano, grazie a Karen, di origine armene, che ha aperto il primo e unico panificio di lavash in Italia: Urartu Group, Pane Armeno Lavash, dal nome dell’antico regno Urartu che in Armenia durò dal 860 al 585 a.C. Così oggi è possibile gustare questa delizia! L’idea, infatti, gli è venuta proprio durante il lockdown, dopo mesi che non poteva far ritorno nel suo Paese: “facevo il montatore di mobili, poi ho capito che volevo fare qualcosa, come ad esempio diffondere, portare e far conoscere in Italia un prodotto così importante per noi armeni. Così ho cambiato completamente vita e mi sono buttato in questa avventura, dopo infinite prove, esperimenti, telefonate a signore in Armenia… Ma per fortuna sta andando tutto alla grande, sforniamo 800 fogli a settimana e stiamo facendo consegne in tutta Italia!”

panificio lavash

Foto di Francesco Lorusso

Qui il lavash, per ovvie ragioni tecniche, viene preparato in modo semi artigianale: “ma in Armenia anche il più industriale è semiartigianale!”. Gli ingredienti sono acqua, lievito madre e un mix di farina 0 e 00 di una piccola azienda piemontese selezionata da Karen, ed è in arrivo anche la versione completamente integrale. “Nessun grasso, conservante o lievito industriale” precisa. Ad aiutarlo ci sono Bruno, di origini calabresi e Melsida, una signora armena: “lei qui è fondamentale, perché sembra facile, ma fare il lavash è difficilissimo, soprattutto per quei dieci secondi in cui deve cuocere sul forno e poi far riposare su una sorta di cuscino”. Ma la qualità e la precisione sono state subito apprezzate: “continuano ad arrivare tante soddisfazioni, come tutte le volte che mi chiamano per dirmi che è buonissimo e per ringraziarmi di aver portato il lavash in Italia”. “È persino più buono di tanti che ci sono in Armenia!” ci dice Shaké. Ma oltre a far gioire gli armeni in Italia, Karen ha un altro obiettivo: “il mio scopo è riuscire a far entrare il lavash nel mercato italiano e nella preparazione di alcuni piatti; ad esempio alcuni lo stanno già prendendo per fare la piadina!” Ma se non doveste avere subito l’occasione di andare a trovare Urartu a Paderno Dugnano, potete provare a preparare il lavash anche a casa.

La ricetta del lavash

Fare il lavash a casa è molto difficile, poiché come abbiamo visto è necessario avere un forno specifico, almeno simile – se non uguale – all’antico tonir. Ma in ogni caso potete comunque provarci in una padella o in un forno normale. La ricetta che segue viene da quel capolavoro “Cucina Armena” di Verjin Manoukian, un libro da avere assolutamente in casa se siete interessati al tema.

lavash ricetta

Foto di Francesco Lorusso

Ingredienti

  • 25 g di lievito di birra
  • 6 dl di acqua tiepida
  • 1300 g di farina 00
  • 1 cucchiaio di sale
  • 1 cucchiaino di zucchero

Procedimento 

  1. In una larga ciotola sciogliete il lievito, il sale e lo zucchero nell’acqua tiepida; fatevi poi cadere a pioggia la farina e impastate aggiungendo, se necessario, un altro po’ di acqua, sino a ottenere una pasta ben compatta e ben lavorata.
  2. Fatene una palla e lasciatela lievitare nella ciotola coperta da un panno per circa tre ore.
  3. Lavorate ancora energicamente la pasta per qualche minuto e lasciatela lievitare per un’altra mezz’ora.
  4. Su di un piano cosparso di farina, suddividete la pasta in tante piccole porzioni delle dimensioni di un uovo (se ne otterranno circa 25-30).
  5. Con un sottile e lungo mattarello stendete ciascun uovo di pasta in una sfoglia di 20-25 cm di diametro. La pasta deve essere spessa non più di 2 mm.
  6. Punzecchiate con una forchetta la superficie delle sfoglie per evitare che si formino bolle eccessivamente grandi durante la cottura.
  7. Preriscaldate il forno a 200 °C e infornate i dischi di pasta e lasciateli cuocere per circa 3 minuti finché saranno coloriti a vostro gusto.
  8. Man mano che i dischi di pane saranno cotti, metteteli in un cestino, coperti con un tovagliolo per tenerli in caldo fino al momento di servirli.

Se il lavash non viene consumato subito, può essere conservato, anche per mesi, in sacchetti di plastica tenuti in luogo asciutto o in freezer. Al momento poi di servirsene, se desiderate ammorbidirli, avvolgete i dischi di pane in un panno inumidito, oppure metteteli un attimo sotto l’acqua corrente.

Allora, vi abbiamo fatto venire voglia di lavash? Tanto ora sapete dove e come trovarlo!

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Armenia: ministero Esteri, porteremo autori crimini di guerra dinnanzi a giustizia internazionale (Agenzianova 22.05.21)

Erevan, 22 mag 17:50 – (Agenzia Nova) – L’Armenia intende chiedere la condanna dei colpevoli di crimini di guerra, puntando il dito contro l’Azerbaigian accusato di aver violato i diritti umanitari. Lo ha riferito oggi il ministero degli Esteri armeno in una nota. “Il Parlamento europeo nella sua risoluzione ha osservato che la violazione del diritto umanitario da parte dell’Azerbaigian equivale a crimini di guerra. L’Armenia cercherà di portare gli autori di questi crimini dinnanzi alla giustizia internazionale., Questa è una violazione del diritto internazionale e dell’integrità territoriale dell’Armenia”, si legge nella nota. Giovedì il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione che chiede all’Azerbaigian di liberare i prigionieri di guerra armeni e i civili detenuti dopo il conflitto dell’autunno dello scorso anno. Secondo il documento, il Parlamento europeo ha anche invitato le autorità di Armenia e Azerbaigian a indagare su possibili casi di violazione della Convenzione di Ginevra ed eventuali crimini di guerra. Uno dei punti della risoluzione si riferisce anche alla violazione dell’integrità territoriale dell’Armenia da parte dei militari azerbaigiani avvenuta il 12 maggio nei pressi del Lago Sevan.

Prete armeno ortodosso aggredito da gang di coloni a Gerusalemme (Infopal 21.05.21)

Gerusalemme/al-Quds-PIC. Alcuni coloni hanno aggredito il sacerdote ortodosso armeno, padre Arbak Sarukhanyan, mentre si recava alla chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme.

Gli hanno sputato addosso e sulla sua croce, hanno rubato il suo cellulare e hanno lanciato maledizioni come “Morte ai cristiani” e “Ti uccideremo come il tuo Yeshua”, ha dichiarato mercoledì padre Tiran Hakobyan, che accompagnava il sacerdote.

“Pregate per i nostri fratelli e sorelle cristiani in Terra Santa che in questo momento affrontano le persecuzioni dei coloni ebrei israeliani”, ha aggiunto.

Per maggiori dettagli, leggete il racconto completo di Padre Tiran sulla sua pagina Facebook al seguente link:

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=4628909310458444&id=100000182634491

Armenia-Azerbaijan, crisi post conflitto (Osservatorio Balcani e Caucaso 21.05.21)

La cosiddetta crisi di Syunik, provincia armena al confine con il Nagorno Karabakh, è iniziata nel più paradossale dei modi. Alle 8 del mattino del 12 maggio scorso un pastore stava portando a pascolare il proprio gregge in direzione del lago Sev (sul confine tra Armenia e Nagorno Karabakh). Invece di non incontrare nessuno, come sarebbe stato normale in un’area così scarsamente popolata, ha incontrato dei militari azeri che gli hanno detto di tornare indietro perché lì c’erano loro. Il pastore è quindi tornato al villaggio e ha dato l’allarme: era in atto un’incursione azera  .

Fino al mezzogiorno del 12 si sono inseguite informazioni e contro-informazioni, con il ministero della Difesa armeno che negava che vi fossero problemi di sconfinamento. Ma entro sera era diventato chiaro che ci si trovava davanti non ad un’incursione circoscritta ma ad un avanzamento di un contingente di circa 200 soldati azeri in quello che per l’Armenia è indisputabilmente territorio armeno. L’Azerbaijan, per determinare il tracciato del confine in quell’area, si baserebbe invece su una mappa del 1974, evidentemente difforme da quelle utilizzate da parte armena, nonché dal sapere consuetudinario locale.

L’episodio ha finora avuto come unica conseguenza lo spostamento di 3.5 km del confine a vantaggio dell’Azerbaijan. Su quanto accaduto si è attivata una negoziazione trilaterale armeno-russa-azera per evitare che la crisi degenerasse.

Analisi

L’episodio è sintomatico di vari fattori. Le modalità in cui è emersa la presenza militare azera in territorio armeno, per un incontro occasionale di un pastore, rivela che c’è ancora una grande disorganizzazione lungo i nuovi confini armeni, stabiliti dopo il recente conflitto per il Nagorno Karabakh.

In Armenia alcuni commentatori hanno puntato il dito contro l’esercito ma anche contro i Servizi di Sicurezza Nazionale che erano già stati oggetto di critiche durante la guerra  . Si chiedono come sia possibile che un’area che è considerata sensibile possa essere stata così trascurata sotto il profilo della sicurezza.

Effettivamente l’incidente si può ripetere in vari punti del nuovo confine in quanto effetto della nuova esigenza di delimitazione e demarcazione, ma Syunik era già nell’occhio del ciclone.

Il processo di delimitazione e demarcazione del confine è delicato ovunque: il Nagorno Karabakh ha circa 398 km di confine con Armenia e Iran e, fino al 2020, non era un problema il fatto che fra Armenia e Nagorno Karabakh non vi fossero controlli: era più che altro un limite amministrativo, le comunità erano contigue e integrate. Ora è un confine di stato fra paesi con rapporti ostili, con comunità che non si stanno integrando dopo la nuova demarcazione. Gli armeni hanno abbandonato i territori che sono passati a Baku. L’Azerbaijan una volta sminata e riqualificata l’area vi reinsedierà gli sfollati della prima guerra per il Nagorno Karabakh.

Il processo è complesso lungo tutto il confine, e richiede lo studio della vecchia cartografia sovietica, va negoziato fra le parti per evitare incidenti come questo. Ma a Syunik si aggiunge un fattore: vi potrebbe transitare una delle vie di comunicazione che secondo gli accordi del 9 novembre e dell’11 gennaio scorsi dovrebbero essere sbloccate. Il presidente azero Ilham Aliyev si riferisce a questa via come il corridoio di Zangezur, sulla cui realizzazione non ha alcun dubbio  e che riveste una particolare importanza per il paese perché connette l’Azerbaijan con l’exclave del Nakhchivan.

La via di comunicazione dovrebbe essere sia su ruota che su rotaia, e su questo punto Aliyev sostiene che non sia nemmeno necessario negoziare con gli armeni, perché le ferrovie in Armenia sono di proprietà russa, per cui si può procedere a concordare tracciati e realizzazione direttamente con la Russia. Di altro avviso gli armeni, che sostengono che negli accordi non vi sia alcun riferimento esplicito a questa infrastruttura.

Oltre al contesto micro-regionale in cui si inserisce l’incidente, l’area oggetto della disputa territoriale ha un’altra peculiarità, cioè quella di trovarsi vicino a un bacino d’acqua, il lago Sev. Sia durante  che dopo la guerra, l’Azerbaijan ha mirato a un accesso strategico alle risorse idriche. La cartografia sovietica riconosce il 30% del lago Sev all’Azerbaijan, e questo è noto e accettato da parte armena, ma la questione delle risorse idriche preoccupa soprattutto le autorità de facto del Nagorno Karabakh, che hanno scritto in merito al Gruppo di Minsk e all’OSCE  .

Con il trasferimento del Kalbajar (distretto del Nagorno Karabakh) all’Azerbaijan non è più assicurata la sicurezza dell’accesso all’acqua del Nagorno Karabakh. Il 98% dell’acqua che fluisce e viene utilizzata nella piccola regione secessionista ha origine infatti nel Kalbajar e lì ha origine anche buona parte delle acque che vanno a costituire l’80% del bacino idrico dell’Armenia. I fiumi Arpa e Vorotan che sono i principali immissari del lago Sevan, si originano in Kalbajar. Ogni bacino e ogni corso d’acqua che ha cambiato bandiera, per così dire, o che si trova in possibili aree di successive ripartizioni sono nuovi obiettivi sensibili. Fra questi ovviamente anche il lago Sev e l’area circostante.

La guerra in Nagorno Karabakh è stata per lo più catalogata come un conflitto di natura politica per questioni etnico-territoriali. Il post-guerra si sta evolvendo verso un nuovo scenario conflittuale in cui l’accesso alle risorse sia idriche, sia con un potenziale infrastrutturale, stanno divenendo nuova fonte di tensione.

Il primo status quo del 1994 aveva consegnato alle parti una situazione critica ma molto chiara: Armenia e Nagorno Karabakh erano spazi contigui, e con nessuna relazione con l’Azerbaijan. Questo ha comportato nei decenni una stabilità – nella accezione negativa del termine, come una stagnazione – del quadro politico militare intorno al conflitto e un progressivo allontanamento delle comunità.

Il secondo status quo che è emerso dopo il conflitto del 2020 non ha nemmeno il lusso della stagnazione. Ci sono paesi divisi in due, confini non chiari e da un lato una forte pressione di natura economica a integrare la regione attraverso le infrastrutture, pressione soprattutto di matrice russa. Sono progetti però che non poggiano su una corrispondente integrazione delle comunità nelle aree dove si dovrebbero realizzare i progetti.

Per trent’anni, in tutte le sedi, si è ripetuto alle parti che il conflitto per il Nagorno Karabakh non doveva, tassativamente, avere una soluzione militare. Si è insistito fino a suonare come un disco rotto, che l’unica soluzione era politica e doveva essere concordata pacificamente negoziando su tutti i complessi aspetti, lasciando sospese le questioni di principio fino che una nuova coesione pacifica delle comunità coinvolte non avesse reso possibile affrontare il cuore del conflitto: l’inquadramento politico della comunità armena del Nagorno Karabakh.

Il secondo status quo è la prova tangibile che queste parole non erano vuota retorica. La negoziazione per risolvere la crisi di Syunik continua con la mediazione russa, e l’esito non è al momento scontato.

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Il Friuli Venezia Giulia riconosce ufficialmente il genocidio degli armeni (Triestenews 20.05.21)

20.05.2021 – 07.30 – Mentre gli azeri nuovamente oltrepassano il confine armeno, violando la fragile tregua e consci della superiorità tecnologia conferita dai droni e dalle milizie turche di Erdogan, il Friuli Venezia Giulia si muove controcorrente e, nonostante i legami economici dell’Italia con l’Azerbaigian, riconosce ufficialmente il genocidio degli armeni perpetuato dalla nascente nazione turca durante la Prima Guerra Mondiale, quando 1,5 milioni di armeni furono trucidati in massa, causando la moderna diaspora, alla base di molte comunità in Europa e negli Stati Uniti.
Il Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia ha approvato la mozione 208 volta al riconoscimento del genocidio all’unanimità, trasversalmente alle diverse forze politiche; dapprima è stata sottoscritta da tutti i componenti del Gruppo consiliare della Lega, con primo firmatario Alberto Budai; seguiti dalla firma di Emanuele Zanon (Regione Futura), dei colleghi di Progetto Fvg/Ar, FdI, Cittadini e M5S.

Il provvedimento, illustrato dallo stesso Budai, esprimendo “solidarietà al popolo armeno nella sua lotta per il riconoscimento della verità storica e per la difesa dei suoi diritti inviolabili”, impegna il governatore della Regione e la sua Giunta “a intraprendere ogni azione necessaria per il riconoscimento del genocidio degli armeni sulla base delle risoluzioni già assunte da Onu e Parlamento europeo, dal Congresso e dal Senato degli Stati Uniti d’America, nonché dal Parlamento della Repubblica italiana”.

Particolarmente accorato, tra i diversi interventi, quello di Francesco Russo (PD) che ha evidenziato “l’atto di coraggio del Cr Fvg rispetto un tabù che il mondo ha fatto finta di non vedere fino agli anni Settanta. I giovani imparino dal primo dei grandi genocidi che hanno percorso il Novecento“.

Non rimane che osservare se, nel suo piccolo, il gesto della comunità regionale avrà ripercussioni sui legami economici di Trieste e il FVG con la Turchia, il cui giustificazionismo solitamente mal digerisce i riconoscimenti del massacro degli armeni.

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Relazioni UE-Turchia, tutto da rifare. (Sardegnagol 20.05.21)

In una risoluzione adottata mercoledì nel corso dei lavori della plenaria – con 480 voti favorevoli, 64 contrari e 150 astensioni – il Parlamento europeo ha ribadito il livello di estremo deterioramento delle relazioni tra UE e Turchia. Negli ultimi anni, il governo della Turchia si è allontanato sempre più dai valori e dagli standard europei. Come risultato, le relazioni hanno raggiunto un minimo storico e i deputati sono particolarmente preoccupati per la situazione relativa al rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali.

I deputati, in particolare, hanno chiesto alla Commissione di sospendere formalmente i negoziati di adesione nel caso la Turchia non inverta l’attuale tendenza negativa.

Tra i punti critici evidenziati dai rappresentanti dell’Eurocamera, le riforme istituzionali regressive della Turchia e l’allarmante consolidamento di “un’interpretazione autoritaria del sistema presidenziale”, nonché la mancanza di indipendenza del potere giudiziario e la “continua ipercentralizzazione del potere nella presidenza”. Senza contare le numerose detenzioni arbitrarie a danno dei difensori dei diritti umani, giornalisti, avvocati e accademici.

Parlamento europeo, foto Laurie Dieffembacq © European Union 2020 - Source : EP
Parlamento europeo, foto Laurie Dieffembacq © European Union 2020 – Source : EP

I deputati hanno anche espresso forti preoccupazioni per la politica estera della Turchia, in particolare nei confronti di Grecia e Cipro, e per il suo coinvolgimento in Siria, Libia e Nagorno-Karabakh. Proprio nei confronti dell’Armenia, il PE ha chiesto ancora una volta alla Turchia di riconoscere il genocidio armeno e aprire la strada a un’autentica riconciliazione tra il popolo turco e quello armeno.

LEGGI ANCHE:  L’agenda del Parlamento europeo. Giovani, Bielorussia e immigrazione.

Un rapporto diplomatico estremamente delicato, dal momento che la Turchia svolge ancora un ruolo importante all’interno della gestione dei flussi migratori verso l’UE, con quasi 4 milioni di rifugiati, di cui circa 3,6 milioni rifugiati siriani, attualmente situati nel Paese di Erdogan e utilizzati dal regime come strumento di ricatto verso l’UE.

Per il relatore Nacho Sánchez Amor del gruppo S&D: “Questa relazione è probabilmente la più dura in assoluto nei confronti della Turchia. Riflette tutto quello che, purtroppo, è successo nel Paese negli ultimi due anni, in particolare per quanto riguarda i diritti umani e lo Stato di diritto, che continuano a essere la principale preoccupazione del Parlamento europeo, e nelle relazioni con l’Unione e i suoi membri. Speriamo che la Turchia cambi definitivamente rotta e metta in pratica le recenti espressioni di buona volontà. Sollecitiamo le altre istituzioni UE a condizionare qualsiasi programma costruttivo che potrebbero perseguire con la Turchia alla riforma democratica”.

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Scontri a Gerusalemme: Patriarcato armeno ortodosso, aggredito sacerdote da giovani estremisti ebrei (SIR 20.05.21)

Dura condanna del Patriarcato armeno ortodosso di Gerusalemme dell’aggressione subita da padre Arbag Sarukhanyan ad opera di giovani estremisti ebrei che hanno attaccato il religioso mentre, la scorsa notte, si dirigeva verso la basilica del Santo Sepolcro. Il sacerdote è stato portato in ospedale per le cure mediche e successivamente dimesso. Alcune fonti locali hanno affermato che l’aggressione è stata interrotta dall’intervento provvidenziale di una persona che ha evitato il peggio al sacerdote. In una nota il Patriarcato armeno si è lamentato con la Polizia per questo grave attacco e chiesto indagini per individuare e punire i colpevoli, così da evitare che simili incidenti si ripetano in futuro. Tre persone sarebbero state fermate dalla polizia israeliana.

NAGORNO-KARABAKH: Passano i mesi, non le tensioni (East Journal 20.05.21)

Sei mesi sono trascorsi dalla fine del conflitto fra Azerbaigian e Armenia per il controllo del Nagorno-Karabakh. Cionostante, le tensioni fra i due paesi continuano a rimanere più alte che mai, specialmente dopo la penetrazione di soldati azeri in territorio armeno.

Guerra e pace in Nagorno-Karabakh. Tutti i nostri articoli

Continua la conta dei prigionieri di guerra

Nella giornata del 4 maggio, le autorità azere hanno liberato tre prigionieri di guerra, sale quindi a 67 il totale dei detenuti armeni rilasciati.

Il numero di prigionieri di guerra armeni ancora detenuti in Azerbaigian resta però questione di dibattito fra Erevan e Baku. Il 4 maggio, le autorità azere hanno riconosciuto di tenere in stato detentivo circa 72 persone arrestate nell’area di Hadrut dopo l’accordo di cessate il fuoco del 9 novembre. D’altro canto, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e il Parlamento europeo fanno pressione sul governo dell’Azerbaigian per la protezione dei diritti di circa 188 persone, ritenute essere al momento in stato di detenzione.

Artak Zeynalyan, uno degli avvocati rappresentanti alla CEDU dei familiari dei prigionieri di guerra armeni, ha pubblicato una lista di 19 nomi di prigionieri la cui morte è stata confermata, tra cui risultano quattro donne. Secondo l’avvocato, molti di questi nomi non figurano tra i prigionieri riconosciuti dalle autorità azere.

Tra ricostruzioni e celebrazioni

Come è noto, Baku ha già avviato diversi progetti per la ricostruzione e riabilitazione delle infrastrutture nei territori riconquistati a seguito della guerra dello scorso autunno. Questo processo sembra voler portare cambiamenti anche al patrimonio architettonico e culturale dell’area. Non solo la ricostruzione delle moschee lasciate in rovina dopo il primo conflitto negli anni Novanta, ma anche interventi su chiese che apparentemente non necessiterebbero di alcun restyling. All’inizio di maggio, le autorità di Baku hanno annunciato il restauro della cattedrale armena di Ġazančec’oc’ a Shusha/Shushi per riportarla alla “sua forma originale.”

Dal punto di vista azero, la chiesa sarebbe stata alterata negli anni Novanta dagli armeni attraverso la costruzione di una cupola, che in epoca sovietica non era presente. L’idea di rimuovere la cupola per portare la chiesa al suo stato anteguerra appare però controversa: lo stesso elemento architettonico è, infatti, presente in numerose fotografie nei primi anni dalla sua costruzione, voluta da Alessandro II imperatore di Russia alla fine del 19esimo secolo, e sembra essere stata demolita nel 1920 durante il massacro armeno di Shusha/Shushi e mai più ricostruita. Rimane ancora un’incognita se la cattedrale verrà riconosciuta come un luogo di culto armeno o sotto la controversa denominazione di chiesa russo-ortodossa.

Il 13 maggio, sempre a Shusha/Shushi, si è svolto il festival musicale Xarıbülbül, un evento culturale in onore del cantante azero Seyid Shushinski tenutosi per la prima volta nel 1989. A trent’anni dall’ultima edizione  nel 1991, l’edizione di quest’anno si è svolta in quella che è considerata la capitale culturale del paese ed è stata presenziata dal presidente Ilham Aliyev e la sua famiglia. Con il motto “Multiculturalismo nella musica azerbaigiana”, l’evento ha ospitato numerosi artisti rappresentanti le diverse comunità etno-culturali del paese, come segno di voler mostrare al mondo l’armonia tra diversi popoli esistenti in Azerbaigian.

Un confine sempre più labile

È notizia degli ultimi giorni lo sconfinamento da parte di forze azere nel territorio dell’Armenia nelle regioni del Syunik e Gegharkunik iniziato il 13 maggio. Come affermato dal primo ministro armeno uscente Nikol Pashinyan, 250 soldati azeri sono tuttora presenti nelle due regioni armene. Il premier armeno ha fatto notare come lo stesso giorno il presidente Aliyev abbia annunciato esercitazioni militari di larga scala con 15 mila soldati e sottolineato l’intenzione di aprire il corridoio di Zangezur (che dovrebbe connettere l’Azerbaigian alla sua exclave del Nachicevan in base all’accordo trilaterale del 9 novembre) anche attraverso l’uso della forza, se necessario. In particolare, nella regione del Syunik le forze di Baku sono penetrate di circa 3,5 chilometri nei pressi della zona di confine del Lago Nero (Sev Lich) in un tentativo di circondare il bacino idrico.

Pashinyan si è appellato all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), un’alleanza difensiva composta da sei stati (tra cui Russia e Armenia) il cui documento istitutivo prevede un meccanismo  di misure  nel caso di minacce alla integrità territoriale di uno dei suoi membri.

Se da un lato l’Unione Europea tramite il suo Alto Rappresentante, Joseph Borrell, auspica la risoluzione della controversia attraverso i negoziati fra i due paesi, il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ha reso noto che la Russia è pronta a mediare per la risoluzione del problema, aiutando i due paesi nella demarcazione del proprio confine.

Come per molti paesi dell’ex spazio sovietico, la demarcazione dei confini dopo il collasso dell’URSS rappresenta ancora oggi un tema di tensioni, come quelle recentemente registratesi fra Tagikistan e Kirghizistan. Il portale EVN report dà un escoursus storico sulla controversia del confine armeno-azero, e di come il problema si ripresenti solo trent’anni dopo l’indipendenza dei due paesi con il ripristino dell’integrità territoriale de jure dell’Azerbaigian e una diversa lettura delle mappe sovietiche che demarcavano il confine delle due entità ex-sovietiche quasi mezzo secolo fa.

Dalle controversie sui monumenti culturali armeni in Nagorno-Karabakh a quelli legate alla demarcazione del confine, rimangono ancora molti i punti spinosi da risolvere nei rapporti fra Baku e Erevan. A sei mesi dal conflitto, una concreta normalizzazione dei rapporti fra i due paesi resta ancora un traguardo lontano da raggiungere.

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