L’Assemblea dei Rabbini d’Italia interviene sul Genocidio Armeno (Mosaico-cem 23.04.21)

di Rav Alfonso Arbib

Il 24 aprile occorre l’anniversario del Metz Yeghern, il Genocidio Armeno, perpetrato dall’Impero Ottomano contro un milione di armeni -come pure di centinaia di migliaia di cristiani greci del Ponto e di cristiani assiri.
La Germania fu il principale complice del genocidio, ma vi furono le connivenze, più o meno estese, anche di altri Stati occidentali.
Alcuni ebrei scelsero di testimoniare per l’affermazione e la difesa della verità: sapevano che senza verità non può esservi giustizia.

Le false narrazioni rendono impossibile la giustizia. Questo processo scellerato si chiama negazionismo: esso mira all’occultamento e alla soppressione della verità al fine di rendere impossibile il ristabilimento della giustizia, negando la dignità delle vittime e delle loro comunità di appartenenza, nonché impedendo il risanamento delle società.
Tra questi ebrei ricordiamo il giurista Raphael Lemkin, che, riflettendo sulla Shoà e sullo sterminio di massa patito dagli armeni, coniò il neologismo “genocidio”.
La Memoria armena non può lasciarci indifferenti.
Ogni Memoria è sempre specifica e inerente a fatti, processi e contesti precisi che vanno ben conosciuti, assunti e compresi, e, proprio perché si possano trarre lezioni morali e politiche più universali, è necessario adoperarsi per fugare il rischio di generalizzazioni indebite.
Il Genocidio Armeno, la cui memoria è fondamentale e preziosa, esige l’impegno di noi tutti, con fermezza e chiarezza.
Questo 24 aprile, come il 27 gennaio per la Memoria della Shoà, noi ricordiamo e chiediamo a tutti di unirsi a noi, nell’assumere la responsabilità di combattere vecchi e nuovi negazionismi, rendendo testimonianza di questo atroce crimine.

Rav Alfonso P. Arbib
Presidente ARI

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Assadakah non dimentica il genocidio armeno contro il tradimento della politica italiana (Assadakah 23.04.21)

Talal Khrais/Letizia Leonardi (Roma) – Proclamare una campagna europea di solidarietà per la causa del popolo armeno è l’iniziativa dell’Associazione Italo Araba Assadakah, nata nel 1994. Una decisione saggia e coraggiosa, non solo per non dimenticare il genocidio ma soprattutto per agire affinché l’Europa sia solidale con un popolo che ha subito una terribile ingiustizia. La nostra Associazione si è sempre schierata a difesa dei diritti dell’uomo ed è convinta che esista una complicità e un vergognoso silenzio internazionale sulla questione armena anche se ci sono stati progressi e molti Stati, nel corso degli anni, hanno ricostruito questo massacro.

Talal Khrais al Mausoleo del Genocidio a Yerevan

Il popolo armeno reclama il diritto alla memoria, alla verità storica e non si può non essere a fianco di questa rivendicazione. L’Armenia e le sue numerose comunità sparse nel mondo, conducono con orgoglio una battaglia culturale, religiosa, etnica e di civiltà contro la prepotenza e il negazionismo. La questione armena fa parte del patrimonio culturale della nostra Associazione. È dunque nostra responsabilità portare avanti questa battaglia fino a quando non verrà fatta giustizia e non ci sarà, oltre al riconoscimento internazionale su questo olocausto che ancori oggi pochi conoscono, anche il riconoscimento da parte della Turchia, Paese che ha commesso questo crimine. Una pagina nera del secolo scorso che va ricordata per costruire una coscienza collettiva a difesa dei diritti di tutte le minoranze.

Quel genocidio, il primo del XX secolo, a nostro avviso è il simbolo di tutte le persecuzioni che ci sono state negli anni a seguire. Non si può accettare che la Turchia e l’Azerbaijan neghino lo sterminio del popolo armeno a colpi di minacce e ricatti economici. Ricorderemo sempre che tra il dicembre del 1914 e il febbraio del 1915, il Comitato Centrale del partito “Unione e Progresso”, diretto dai medici Nazim e Behaeddine Chakir, decise la soppressione totale degli armeni dell’Impero Ottomano.

Il Mausoleo del Genocidio a Yerevan

Continueremo questa nostra battaglia, insieme al popolo armeno, per non dimenticare, contro la negazione della memoria e in nome delle vittime. E se ci sono sempre più Consigli Comunali e Regionali che riconoscono all’unanimità il genocidio armeno si assiste, a livello governativo, a sempre più stretti rapporti con la Turchia e soprattutto con l’Azerbaijan. Ci sono state delegazioni di parlamentari, rappresentanti di tutte le forze politiche, che si sono recate a Baku a congratularsi con il presidente Aliyev dopo la recente guerra della fine del 2020. L’attacco azero del 27 settembre dello scorso anno, nei confronti degli armeni del Nagorno Karabakh, con l’appoggio ufficiale del sultano di Ankara, rischiava di diventare un altro genocidio, di nuovo nella totale indifferenza del mondo. Sia Erdogan che Aliyev hanno dichiarato chiaramente e ufficialmente la loro ostilità nei confronti degli armeni e l’Azerbaijan ha minacciato nuovi attacchi, non solo in quei pochi territori del Nagorno Karabakh rimasti agli armeni, ma anche parte dell’Armenia stessa. Erdogan ha addirittura affermato che vuole completare lo sterminio degli armeni iniziato dai suoi avi. Non è quindi accettabile che un Paese come l’Italia, che ha sempre avuto legami molto stretti con gli armeni, possa dimenticarsi del primo popolo cristiano del mondo, da sempre martoriato, per stringere rapporti commerciali con i loro carnefici.

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Biden sfiderà Erdogan riconoscendo (davvero) il genocidio armeno? (policymakermag.it 23.04.21)

Domani è il Giorno della Memoria del genocidio armeno e Biden potrebbe essere il primo presidente degli Stati Uniti a riconoscerlo. La Turchia ha avvertito: “danneggerebbe le nostre relazioni”

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha deciso di riconoscere come genocidio l’uccisione di 1,5 milioni di armeni durante il periodo della Prima guerra mondiale da parte dell’impero ottomano. L’annuncio è atteso per domani, nel corso del 106esimo anniversario dell’eccidio di massa.

Sarà il primo Presidente americano a farlo, allungando la lista di circa 30 Paesi che nel mondo hanno riconosciuto il genocidio – tra cui l’Italia nel 2019. Più di 100 legislatori statunitensi hanno spinto Biden per questa mossa di public diplomacy.

LE RELAZIONI USA-TURCHIA E LA NATO

Il riconoscimento, promesso da Biden durante la campagna presidenziale per le elezioni di novembre, sarebbe in gran parte simbolico – scrive Reuters – ma è probabile che faccia arrabbiare la Turchia e aumentare le tensioni già alte tra i due alleati della Nato.

Ci si aspetta che Biden usi la parola “genocidio” durante un discorso per le commemorazioni annuali nel Giorno della Memoria del genocidio armeno che si terranno in tutto il mondo domani, sabato 24 aprile. Anche se non è escluso che ci rinunci all’ultimo minuto dato che il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha avvertito la Casa Bianca che il riconoscimento “danneggerebbe” i legami tra Stati Uniti e Turchia.

“Il vergognoso silenzio del governo degli Stati Uniti sul fatto storico del genocidio armeno è durato troppo a lungo e deve finire”, hanno scritto i legislatori per convincere Biden. “La esortiamo a rispettare i suoi impegni e a dire la verità”.

Biden come candidato ha promesso nell’aprile dello scorso anno che, se eletto, avrebbe riconosciuto il genocidio armeno, dicendo che “il silenzio è complicità”, ma non ha dato una scadenza per mantenere la promessa.

IL GENOCIDIO

Durante e subito dopo la Prima guerra mondiale, i turchi ottomani hanno ucciso o deportato ben 1,5 milioni di armeni, una minoranza cristiana nell’impero prevalentemente musulmano. Molti storici e alcuni altri Paesi considerano quelle uccisioni un genocidio.

La Turchia, invece, si oppone all’uso della parola “genocidio”. Ankara sostiene che le morti furono il risultato di un conflitto civile piuttosto che uno sforzo pianificato dal governo ottomano per annientare gli armeni. La Turchia sostiene anche che morirono meno armeni di quanto sia stato riportato.

I tentativi di riconoscere il genocidio armeno si sono arenati nel Congresso degli Stati Uniti per decenni e i Presidenti americani si sono astenuti dall’utilizzare formalmente il termine tra le preoccupazioni per le relazioni con la Turchia e le intense pressioni di Ankara.

Dopo aver chiamato Putin “killer” e dopo aver sentito Draghi chiamare Erdogan “dittatore”, Biden potrebbe proseguire nella sua azione di rispolverare la questione dei diritti umani per compattare il fronte delle democrazie liberali.

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Biden riconoscerà genocidio armeno, primo presidente Usa a farlo (Rassegna Stampa 22.04.1)

(ANSA) – WASHINGTON, APR 21 – Joe Biden ha deciso di riconoscere come genocidio l’uccisione di 1,5 milioni di armeni durante il periodo della Prima guerra mondiale da parte dell’impero ottomano. Lo scrive il New York Times, precisando che l’annuncio e’ atteso per sabato, 106/mo anniversario dell’eccidio di massa.

Sara’ il primo presidente Usa a farlo, dopo che almeno una trentina di Paesi ha fatto passi analoghi. La mossa e’ destinata a infiammare le tensioni con la Turchia, alleato Nato, ma Biden ha anteposto il suo impegno verso i diritti umani. (ANSA).


Joe Biden verso il riconoscimento del genocidio armeno. Consiglio mondiale delle Chiese: “Passo essenziale” (SIR)


Biden riconosce il genocidio degli armeni. Ira di Erdogan Sabato la dichiarazione, uno schiaffo a Erdogan.(Rainews.it 22.04.21)

Cinque mesi fa Trump bloccò una risoluzione bipartisan del Congresso Usa. Come sono cambiate le priorità della politica estera americana Tweet Il Congresso degli Stati Uniti riconosce genocidio del popolo armeno. Dopo la Camera ok del Senato Genocidio armeno, ira di Erdogan dopo la risoluzione USA. La Turchia convoca ambasciatore americano Usa, Camera vota risoluzione che riconosce genocidio armeno Mozione sul genocidio armeno, Turchia convoca ambasciatore italiano Il Papa al Memoriale della “fortezza delle rondini” per rendere omaggio a vittime genocidio armeno Crisi diplomatica tra Germania e Turchia, dopo il riconoscimento del genocidio armeno 22 aprile 2021 Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan avrà presto un nuovo motivo di infuriarsi con l’amministrazione Biden.

Il presidente americano ha deciso di riconoscere come genocidio l’uccisione di 1,5 milioni di armeni durante il periodo della prima guerra mondiale da parte dell’impero ottomano. Lo scrive il New York Times, precisando che l’annuncio è atteso per sabato, 106/mo anniversario dell’eccidio di massa. Biden sarà il primo presidente a farlo, dopo che almeno una trentina di paesi lo ha già fatto.  Appena pochi mesi fa, a fine Ottobre, il Congresso americano controllato dai democratici, approvò a larghissima maggioranza una mozione che riconobbe il primo genocidio del ventesimo secolo. Poche settimane dopo, a metà Novembre fu il turno del Senato americano, che era ancora a maggioranza repubblicana, a votare all’unanimità il riconoscimento del genocidio armeno. Una scelta bipartisan che è stata anche il frutto di anni di sforzi politici della diaspora armena.  A conferma del largo consenso che gode la questione armena negli Stati Uniti, un articolo scritto da Samantha Powell, diplomatica che ha servito nella seconda amministrazione Obama e membro del Partito Democratico, celebra il riconoscimento come un atto dovuto e la fine del ricatto della Turchia, la cui “pressione autocratica” aveva spinto gli USA al silenzio “per troppo tempo”.

Pochi giorni e il governo turco, che nega il genocidio perpetrato dagli ottomani nel 1915 e sostiene che le vittime furono il normale risultato degli scontri della Prima guerra mondiale, convocò l’ambasciatore degli Stati Uniti sventolando la minaccia di chiudere la base militare di Incirlik, dove sono ospitate testate nucleari americane.   La mozione votata dal Congresso non era vincolante, l’Amministrazione Trump poté bloccare il processo di riconoscimento. Il presidente, a pochi giorni dal perdere le elezioni, non voleva infastidire la Turchia in un momento in cui bisognava tenersi buono Erdogan in Siria, in Libia e nella Nato. Soprattutto dopo che gli accordi di Abramo avevano riportato il baricentro dell’interesse americano sul rapporto tra Israele – Arabia Saudita, paesi avversari della Turchia. In cinque mesi molto è cambiato nella politica estera statunitense: riaprendo il dossier iraniano Biden non solo tenta di correggere gli accordi di Abramo, ma di fatto manda un chiaro segnale a Teheran di voler contenere l’influenza di Ankara proprio in Siria e contemporaneamente anche il Libia. Definire Erdogan come “dittatore” l’espressione usata dal nostro Presidente del Consiglio Mario Draghi risulta ancora più comprensibile oggi di quanto non lo fosse stata solo due


Biden riconosce il genocidio armeno, Turchia sempre più lontana (Il Giorno 22.04.21)

Washinghton – Inutile girarci attorno, è una bomba sulle relazioni tra gli Usa e il principale alleato orientale della Nato, che potrebbe compromettere i loro rapporti. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden riconoscera’ ufficialmente il genocidio armeno, ad opera della Turchia. Lo scoop esce dal New York Times e dal Wall Street Journal, secondo cui il presidente Usa dovrebbe fare l’annuncio sabato 24 aprile, la data che segna l’inizio dei massacri di armeni da parte dell’Impero Ottomano nel 1915 durante la prima guerra mondiale. Se la notizia fosse confermata si tratterebbe del primo presidente degli Stati Uniti a riconoscere il genocidio pepetrato dalla Turchia nei confronti del popolo armeno, il che porterebbe inevitabilmente a un deterioramento delle relazioni con Ankara. A Incirlik infatti, nella Turchia orientale, esiste la base aerea più importante dell’Alleanza Atlantica, strategica permil controllo dell’Iran e dell’area mesopotamica.

Secondo i due giornali comunque, Biden potrebbe ancora cambiare idea sulla decisione. Il genocidio armeno, definizione con cui si indicano le deportazioni ed eliminazioni di armeni perpetrate dall’Impero ottomano tra il 1915 e il 1916, e’ riconosciuto da una trentina di paesi e dalla comunita’ degli storici. Si stima che tra 1,2 milioni e 1,5 milioni di armeni furono uccisi durante la prima guerra mondiale dalle truppe dell’Impero Ottomano, poi alleato con la Germania e l’Austria-Ungheria. Ma Ankara rifiuta l’uso del termine “genocidio” e rifiuta ogni accenno di sterminio, evocando reciproci massacri in un contesto di guerra civile e carestia che hanno causato centinaia di migliaia di morti su entrambi i campi.

Nelle marce della morte, che coinvolsero un milione e 200mila persone, centinaia di migliaia tra loro morirono per fame, malattia o sfinimento. Queste marce furono organizzate con la supervisione di ufficiali dell’esercito tedesco in collegamento con l’esercito turco, secondo le alleanze tra Germania e Impero ottomano e si possono considerare come “prova generale” ante litteram delle più note marce della morte perpetrate dai nazisti ai danni dei deportati nei propri lager durante la Seconda guerra mondiale. Altre centinaia di migliaia furono massacrate dalla milizia curda e dall’esercito turco.

Chi si oppone all’associazione del termine “genocidio“ sostiene che non esistesse, da parte dello Stato turco, un progetto di sterminio nei confronti della popolazione armena; vi era piuttosto l’intento da parte degli Ottomani di impedire agli armeni di unirsi all’esercito russo, ricollocandoli in Siria, nel periodo in cui russi e battaglioni armeni stavano avanzando in Turchia. Viene anche fatto notare che gli Armeni commisero atrocità nei confronti delle popolazioni musulmane nei territori caduti sotto il loro controllo.

Dopo che gli Ottomani persero la guerra, l’Alta Commissione Britannica trasse in arresto 144 alti ufficiali turchi e li condusse a Malta per inquisirli riguardo al genocidio. Non vennero tuttavia trovate prove che vi fosse una volontà di sterminio da parte delle autorità o dell’esercito turco, e dunque tutti gli ufficiali vennero rilasciati. Vi sono tuttavia molte prove che l’élite ottomana volesse eliminare la popolazione armena: ad esempio, l’ambasciatore Morgenthau ricordò nelle sue memorie che il Ministro dell’Interno, Tallat Pascià, gli disse in un’occasione: «Ci siamo liberati di tre quarti degli armeni… L’odio tra armeni e turchi è così grande che dobbiamo farla finita con loro, altrimenti si vendicheranno su di noi».


USA riconoscono il genocidio degli armeni: schiaffo di Biden alla Turchia, Erdogan furioso (Ilriformista 22.04.21)

Una decisione storica, quella che avrebbe preso il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Riconoscere il genocidio degli armeni. Furono circa un milione e mezzo le vittime dell’Impero Ottomano tra il 1915 e il 1916. Una strage commemorata ogni anno il 24 aprile e da sempre fonte di grande imbarazzo e tensioni, soprattutto per la Turchia. Che quel massacro lo ha sempre negato e che adesso è furiosa, e con lei il Presidente Recep Tayyip Erdogan. A oggi sono una trentina i Paesi che in tutto il mondo hanno riconosciuto ufficialmente il genocidio. Scatenando sempre grandi polemiche e ritorsioni da parte di Ankara.

A dare la notizia il New York Times. L’annuncio è previsto per il 106esimo anniversario del massacro di massa. Biden sarò il primo Presidente USA a riconoscere lo sterminio. Tra Washington e Ankara si prevedono tensioni vista anche la loro influenza all’interno dello scacchiere Nato. La Turchia, fondamentale come avamposto eurasiatico dell’Organizzazione, ha minacciato di chiudere la base militare di Incirlik, dove sono ospitate testate nucleari americane. La posizione del Paese è quella di considerare il genocidio all’interno degli scontri della Prima Guerra Mondiale.

Il riconoscimento americano è comunque il risultato di anni di sforzi della diaspora armena negli Stati Uniti. A fine ottobre il Congresso americano, controllato dai democratici, ha approvato a larghissima maggioranza una mozione che ha riconosciuto il primo genocidio del ventesimo secolo. Poche settimane dopo, a metà Novembre, il turno del Senato americano, ancora a maggioranza repubblicana, a votare all’unanimità il riconoscimento del genocidio. Una scelta bipartisan dunque.

A confermare il largo consenso che ormai il tema gode presso la politica e l’opinione pubblica anche un editoriale da Samantha Powell, diplomatica che aveva servito anche nella seconda amministrazione del Presidente Barack Obama e membro del Partito Democratico, sul The New York Times. Nel articolo si faceva riferimento al riconoscimento come a un atto dovuto e anche alla fine delle pressioni della Turchia la cui “pressione autocratica” aveva spinto gli Stati Uniti al silenzio “per troppo tempo”. Pochi giorni dopo Ankara convocò l’ambasciatore degli Stati Uniti.

Dall’elezione di Biden molto è cambiato nell’atteggiamento nella politica estera a stelle e strisce. Il Presidente ha confermato il ritiro entro l’11 settembre delle truppe dall’Afghanistan ma ha anche riaperto il dossier sul nucleare iraniano e gli accordi di Abramo. Segnali per contenere l’influenza di Ankara sia in Siria che in Libia, dove la Turchia da battitore libero gioca un ruolo di leader regionale in un Medioriente allargato. Solo poche settimane fa, dopo il caso del Sofagate – della sedia mancante per la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen in un vertice in Turchia – il Presidente del Consiglio Mario Draghi aveva definito Erdogan “un dittatore”. Parole che avevano scatenato tensioni tra Roma e Ankara.


Biden pronto a riconoscere il genocidio armeno. Dopo Draghi, anche Joe contro Erdogan (Haffingtonpost 22.04.21)

Il presidente americano Joe Biden si prepara ad annunciare il riconoscimento del genocidio armeno, l’uccisione durante la prima guerra mondiale di circa 1,5 milioni di civili armeni da parte dell’Impero Ottomano. A scriverlo è il New York Times.

Biden dovrebbe fare l’annuncio sabato, nel 106° anniversario dell’inizio del sistematico sterminio del popolo armeno nei territori dell’Impero ottomano, nel 1915. Sarebbe il primo presidente americano in carica a farlo, anche se Ronald Reagan fece riferimento al genocidio armeno in una dichiarazione scritta del 1981 sull’Olocausto, e sia la Camera che il Senato hanno approvato misure nel 2019 per rendere il suo riconoscimento argomento formalmente riconosciuto come tale della politica estera degli Stati Uniti.

Fonti governative precisano che una decisione definitiva non è stata ancora assunta, e che il presidente potrebbe ancora cambiare idea. Ankara ha sempre negato che la deportazione e il massacro degli armeni all’inizio del XX secolo abbia costituito un genocidio, e afferma che tale tragico capitolo storico abbia avuto origine dalla sollevazione degli armeni contro la Turchia. Martedì 20 aprile il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha dichiarato nel corso di una intervista televisiva che il rimando al “genicidio” da parte del presidente Biden danneggerebbe le relazioni tra Turchia e Stati Uniti.


Biden riconoscerà il genocidio armeno, è il 1° presidente Usa a farlo (InTerris 22.04.21)

Joe Biden ha deciso di riconoscere come genocidio l’uccisione di 1,5 milioni di armeni avvenuto durante il periodo della Prima guerra mondiale da parte dell’impero ottomano. Lo scrive il New York Times, precisando che l’annuncio è atteso per sabato 24 aprile, 106esimo anniversario dell’eccidio di massa.

Una decisione storica questa del democratico Biden: è infatti il primo presidente Usa a farlo, dopo che almeno una trentina di Paesi ha già fatto passi analoghi. La mossa è destinata a infiammare le tensioni con la Turchia, alleato Nato, ma Biden ha anteposto il suo impegno verso i diritti umani ai rapporti diplomatici con il controverso presidente turcoRecep Tayyip Erdogan.

Gli armeni e il genocidio del 1915

Gli armeni sono un popolo storicamente stanziato nell’Anatolia orientale, una regione dell’Asia orientale nell’odierna Turchia. Una larga concentrazione di armeni si trova in Armenia, dove rappresentano il gruppo etnico di maggioranza, mentre molte altre comunità si trovano sparse per il globo, per un totale di circa 8 milioni di individui, di cui 1.130.491 in Russia. Gli armeni hanno popolato l’Anatolia e il sud del Caucaso per oltre 3.500 anni.

Con il termine “genocidio armeno” si indicano le deportazioni ed eliminazioni di armeni perpetrate dall’Impero ottomano tra il 1915 e il 1916, che causarono circa 1,5 milioni di morti. In turco questo periodo viene indicato come “deportazione degli armene”. Sul piano internazionale, ventinove Stati hanno già ufficialmente riconosciuto come “genocidio” gli eventi descritti, che vengono commemorati il 24 aprile. Gli Usa sono il trentesimo.


Erdogan, continueremo lotta a menzogna genocidio armeno (Ansa)

Le false narrazioni rendono impossibile la giustizia sul genocidio armeno (Tempi 22.04.21)

Articolo tratto da Mosaico – Il 24 aprile occorre l’anniversario del Metz Yeghern, il Genocidio Armeno, perpetrato dall’Impero Ottomano contro un milione di armeni – come pure di centinaia di migliaia di cristiani greci del Ponto e di cristiani assiri.

La Germania fu il principale complice del genocidio, ma vi furono le connivenze, più o meno estese, anche di altri Stati occidentali.

Alcuni ebrei scelsero di testimoniare per l’affermazione e la difesa della verità: sapevano che senza verità non può esservi giustizia.

Le false narrazioni rendono impossibile la giustizia. Questo processo scellerato si chiama negazionismo: esso mira all’occultamento e alla soppressione della verità al fine di rendere impossibile il ristabilimento della giustizia, negando la dignità delle vittime e delle loro comunità di appartenenza, nonché impedendo il risanamento delle società.

Tra questi ebrei ricordiamo il giurista Raphael Lemkin, che, riflettendo sulla Shoà e sullo sterminio di massa patito dagli armeni, coniò il neologismo “genocidio”.

La Memoria armena non può lasciarci indifferenti.

Ogni Memoria è sempre specifica e inerente a fatti, processi e contesti precisi che vanno ben conosciuti, assunti e compresi, e, proprio perché si possano trarre lezioni morali e politiche più universali, è necessario adoperarsi per fugare il rischio di generalizzazioni indebite.

Il Genocidio Armeno, la cui memoria è fondamentale e preziosa, esige l’impegno di noi tutti, con fermezza e chiarezza.

Questo 24 aprile, come il 27 gennaio per la Memoria della Shoà, noi ricordiamo e chiediamo a tutti di unirsi a noi, nell’assumere la responsabilità di combattere vecchi e nuovi negazionismi, rendendo testimonianza di questo atroce crimine.

Rav Alfonso P. Arbib – Presidente ARI

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ANTONIA ARSLAN: RIFLESSIONI SUL GENOCIDIO ARMENO (Gagarin magazine 22.04.21)

La scrittrice e saggista italiana di origine armena Antonia Arslan sarà ospite a Ferrara, per una riflessione a più voci sul genocidio armeno. Nel giorno che ricorda il massacro degli armeni, il 24 aprile, la Fondazione Teatro Comunale di Ferrara intende porre l’attenzione su questa pagina di storia. Le deportazioni e le eliminazioni degli armeni furono perpetrate dall’Impero ottomano tra il 1915 e il 1916, e causarono circa 1,5 milioni di morti. Nella stima degli storici, perirono i due terzi degli armeni dell’Impero ottomano.

Laureata in archeologia, Antonia Arslan è stata per molti anni professoressa di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Padova.

Nel 2004 ha pubblicato il bestseller La masseria delle allodole, che ha vinto numerosissimi premi letterari (dal Berto Opera Prima al Fenice-Europa, dal Pen Club allo Stresa al Campiello), è stato tradotto in ventitré lingue e portato sullo schermo nel 2007 dai fratelli Taviani.

E’ con l’opera del poeta armeno Daniel Varujan, del quale ha pubblicato le raccolte II canto del pane e Mari di grano, che Arslan rivela la sua profonda identità armena, dandole voce e sostanza.

Dopo aver tradotto e curato un libretto divulgativo sul genocidio (Metz Yeghèrn. Breve storia del genocidio degli armeni, di Claude Mutafian) e una raccolta di testimonianze di sopravvissuti rifugiatisi in Italia (Hushèr. La memoria. Voci italiane di sopravvissuti armeni), ha seguito e curato l’edizione italiana di moltissimi libri sull’Armenia, la sua cultura, la tragedia del genocidio vista attraverso le voci dei superstiti.

Anche la sua produzione di romanzi ha avuto seguito e successo: dopo La masseria delle allodole, esce nel 2009 La strada di Smirne. Nel 2010, dopo una drammatica esperienza di malattia e di coma, scrive Ishtar 2. Cronache dal mio risveglio. Negli anni successivi, pubblica I racconti del Cortile dei girasoli parlanti e del Calendario dell’AvventoIl libro di Mush, sulla strage degli armeni di quella valle avvenuta nel 1915, esce nel 2012; Il rumore delle perle di legno, terzo libro della saga armena, nel 2015; Lettera a una ragazza in Turchia nel 2016; e infine La bellezza sia con te nel 2018.

Insieme ad Antonia Arslan, sul palco del Teatro ‘Claudio Abbado’, anche Moni Ovadia, direttore della Fondazione Teatro Comunale di Ferrara che ha fortemente voluto questo appuntamento, Vittorio Robiati Bendaud, saggista e coordinatore del Tribunale rabbinico del Centro Nord Italia. Con loro anche Claudio Fanton, suonatore di duduk, antico strumento musicale tradizionale armeno.

L’incontro sarà disponibile sabato 24 aprile sul canale Youtube del Teatro Comunale di Ferrara.

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Sabato 24 aprile la città di Pesaro commemora le vittime del genocidio armeno (Pesarourbinonotizie 22.04.21)

Sabato 24 aprile alle 19, in occasione della Giornata dedicata alla Memoria del Genocidio Armeno, il Comune di Pesaro promuove una piccola celebrazione sonora: ‘The Armenian Files 1915 – 2021’ di Roberto Paci Dalò. Il momento musicale verrà trasmesso in diretta Facebook sui canali social del Comune dal Parco Miralfiore, proprio accanto alla Croce Armena.

La giornata segna l’anniversario di un triste capitolo dell’umanità. Nel 1915 oltre 1.500.000 armeni vennero trucidati dal governo ottomano in ciò che ora si ricorda come il primo genocidio della storia, quello che Hitler imitò per sviluppare il suo piano contro gli ebrei.

La performance è un estratto di ‘1915 The Armenian Files’, progetto che Paci Dalò ha realizzato nel 2015 a cento anni da quello sterminio ancora non riconosciuto dal governo turco. A partire da testi del poeta Daniel Varoujan (1884 -1915) – torturato e ucciso a 31 anni nell’agosto del 1915 da un gruppo di ufficiali e ‘poliziotti’ turchi – viene creato un ambiente sonoro fatto di elettronica, voci, strumenti acustici, ritmi e trame sonore tratte da materiale d’archivio in una tessitura fatta di suggestioni e citazioni che sono ormai il tratto distintivo dell’artista. Il disco è stato pubblicato da Marsèll records in coproduzione con Giardini Pensili e l’Ambasciata della Repubblica d’Armenia in Italia.

Collocata al Parco Miralfiore dal 2017, l’imponente Croce Armena – kachkar nella lingua originale, cioè croce di pietra – è un’opera dell’artista e architetto Aslan Mkhitaryan (Yerevan, 1947), celebre per importanti interventi di arte monumentale urbana. La stele è stata donata a Pesaro da Yerevan, capitale dell’Armenia, per ricordare il genocidio armeno e come segno concreto di amicizia fra le due città, un legame reso possibile grazie anche alla Renco spa.

Roberto Paci Dalò

Musicista, compositore, artista visivo e sonoro, regista e autore, presenta proprie opere in giro per il mondo in festival, biennali, teatri, musei. Guida il gruppo ‘Giardini Pensili’, insegna a Unirsm Design dove ha fondato e dirige Usmaradio – Centro di ricerca per la radiofonia. Nel 2015 ha ricevuto il Premio Napoli per la lingua e la cultura italiana. Il suo ultimo libro è Ombre (Quodlibet 2019).

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Cerimonia per il 106° anniversario del Genocidio Armeno (Padovanet 22.04.21)

Nel quadro storico del primo conflitto mondiale (1914-1918) si compie, nell’area dell’ex Impero Ottomano in Turchia, il genocidio del popolo armeno (1915-1923), il primo del XX secolo. Con esso il governo dei Giovani Turchi, che ha preso il potere nel 1908, attua l’eliminazione dell’etnia armena presente nell’area anatolica fin dal VII secolo a.C.
Gli storici stimano che persero la vita circa i 2/3 degli armeni dell’Impero Ottomano, quindi circa un milione cinquecentomila persone.

Medz Yegern – il Grande Male – è l’espressione con la quale gli Armeni nel mondo designano il massacro subito in Anatolia dal loro popolo, tra il 1915 e il 1916.

In occasione del 106° anniversario del genocidio, l’associazione Italiarmenia e il Comune di Padova organizzano una cerimonia commemorativa che quest’anno, vista l’attuale situazione di emergenza sanitaria, si svolge in forma ridotta.

Cerimonia commemorativa

Sabato 24 aprile, ore 10:30
Cortile di Palazzo Moroni, via VIII Febbraio – mappa

Deposizione di una corona di alloro, presso il bassorilievo in bronzo, a ricordo dei martiri del genocidio armeno.
Interventi di:

  • Sergio Giordani, sindaco di Padova;
  • Flavia Randi, presidente dell’associazione Italiarmenia;
  • ​Vartan Giacomelli, dell’associazione Italiarmenia.

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I tre più spaventosi terremoti nella storia dell’Unione Sovietica (it.rbth.com/ 22.04.21)

L’ultimo, quello in Armenia del 1988, fu potente come dieci bombe atomiche di Hiroshima. Altri due precedenti cancellarono una capitale (Ashgabat) e una città di pescatori, travolta dalle onde dello tsunami

Distruzione di Ashgabat del 1948

Il 6 ottobre 1948, verso l’una di notte, la capitale della Repubblica Socialista Sovietica Turkmena, Ashgabat, fu colpita da potente scossa di terremoto di magnitudo 7,3 della scala Richter. Le fragili case di argilla a un piano, di cui era composta principalmente la città, crollarono, diventando tombe per decine di migliaia di persone.

“L’illuminazione elettrica è saltata… Nell’oscurità totale che ne è seguita, per diversi secondi, si è sentito il rombo di edifici che crollavano e lo schiocco delle travi che si spezzavano”, ricordò il tenente colonnello del servizio medico Tikhon Boldyrev: “Un rumore sordo, come un profondo sospiro, percorse la città e subito dopo ci fu un silenzio mortale. L’aria era piena di polvere densa e soffocante. Non un singolo suono, nessun grido di aiuto, nessun verso di animali; come se sotto le rovine tutti gli esseri viventi fossero morti. Solo dopo un po’ di tempo comparvero i primi segni di vita: grida di aiuto, gemiti dei feriti, pianto di bambini, lamenti”.

Scoppiarono vari incendi nelle fabbriche (ce n’erano più di duecento ad Ashgabat). I residenti cercarono di tirare fuori i loro parenti da sotto le macerie, spesso inutilmente. Come se non bastasse, i detenuti fuggirono dalla prigione locale, semidistrutta, e si impossessarono di armi della polizia. In breve in città iniziarono saccheggi, rapine e omicidi.

Per i soccorsi furono inviati ad Ashgabat soldati, poliziotti, personale medico, medicinali, cibo, vestiti, materiali da costruzione e attrezzature da scavo. Poiché tutti gli ospedali erano rimasti distrutti, ne vennero rapidamente organizzati alcuni da campo. A causa della minaccia di infezioni dovuta al caldo, i medici dovettero amputare ai feriti arti che sarebbero potuti essere facilmente salvati in condizioni normali.

Uno dei terremoti più distruttivi della storia costò la vita a un numero compreso tra le 30 e le 100 mila persone, tra Ashgabat e i suoi dintorni (a causa della censura le notizie furono molto scarse). Nel 1949, la capitale turkmena iniziò a essere ricostruita praticamente da zero.

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Tsunami di Severo-Kurilsk del 1952

Il 5 novembre 1952, a 130 km dalla Penisola di Kamchatka, nell’Oceano Pacifico, ci fu un forte terremoto di magnitudo 8,3 della scala Richter. Gli abitanti delle regioni costiere dell’Unione Sovietica avvertirono le scosse alle 5 del mattino.

I danni negli insediamenti furono relativamente pochi: qualche crepa nel terreno e nelle pareti degli edifici. Tuttavia, il terremoto causò un fenomeno molto più terribile: lo tsunami. E per una delle città sovietiche, divenne fatale.

La prima ondata colpì la città di Severo-Kurilsk, sull’isola Paramushir, nell’Arcipelago delle Curili, 20 minuti dopo il terremoto. “Non abbiamo fatto in tempo ad arrivare alla sede del dipartimento regionale, che abbiamo sentito un forte rumore, poi uno scoppiettio dal mare”, ricordò il tenente della sicurezza statale Derjabin: “Guardando indietro, abbiamo visto un’onda altissima che avanzava dal mare verso l’isola… Io detti l’ordine di aprire il fuoco con tutte le armi a nostra disposizione per dare l’allarme, e intanto gridavamo: “Arriva l’acqua!”, e ci spostavamo verso le colline. Sentendo gli spari e le urla, la gente ha cominciato a correre fuori dagli appartamenti con indosso quello di cui era vestita (la maggior parte era in mutande, a piedi nudi) e a correre verso le colline”.

Mezz’ora dopo la prima onda è arrivata la seconda, ancora più distruttiva, fino a 20 metri di altezza. La gente, pensando che tutto fosse già finito, ormai era già scesa dalle colline ed era tornata alle proprie case. Il muro d’acqua che all’improvviso è caduto su di loro ha inferto il colpo più terribile. “I cadaveri erano sparsi ovunque…”, ha ricordato Lev Dombrovskij: “Un uomo era appeso all’albero dei una gru. Solo una casa, fatta di lastre di cemento, era rimasta intatta. Ma soltanto la sua struttura era sopravvissuta, mentre il tetto, le porte e le finestre erano stati tutti portati via”.

La terza ondata, che seguì poco dopo, portò via in mare tutto ciò che poteva ancora essere portato via. Intere case, tetti e detriti galleggiavano nelle acque costiere, mescolati a corpi senza vita. Secondo i dati ufficiali, a seguito del disastro di Severo-Kurilsk, sono morte 2.336 persone, più della metà della popolazione della città.

Terremoto armeno di Spitak del 1988

Il terremoto di Spitàk, con una magnitudo Richter di 7.0, durò mezzo minuto, e questi trenta secondi riuscirono a distruggere metà della Repubblica Socialista Sovietica Armena. L’energia rilasciata nella zona di rottura della crosta terrestre il 7 dicembre 1988 fu equivalente all’esplosione di dieci bombe atomiche come quella sganciata su Hiroshima.

L’epicentro del devastante terremoto armeno fu la città di Spitak, nel nord della repubblica. “All’inizio ci fu un rombo molto forte. Dopo un paio di secondi ha cominciato a tremare tutto. Sono stato sbalzato di lato di circa un metro e mezzo”, ha raccontato Gajk Margarjan. “Mi sono alzato, volevo saltare fuori, ma non ho fatto in tempo; dopo pochi secondi c’è stata una secondo scossa, e la terra cominciò a tremare tanto che era impossibile rimanere in piedi”.

La seconda scossa fu molto più forte della prima. Edifici a più piani si accartocciarono come castelli di carte, seppellendo sotto le macerie chi non aveva avuto il tempo di uscire. L’asfalto si accartocciò e si ruppe. Una crepa profonda 6 metri e lunga 37 km apparve nelle montagne vicine.

Non rimase praticamente nulla della città di Spitak. E un’altra ventina di città e circa 300 villaggi furono gravemente danneggiati dal terremoto. I morti furono tra i 25 e i 45 mila, 140 mila persone diventarono disabili, più di mezzo milione rimasero senza casa.

Tutte le risorse dell’Unione Sovietica furono convogliate per sostenere l’Armenia, e 111 Paesi del mondo inviarono aiuti umanitari nella zona colpita. Con l’aiuto di forze armate e volontari, 16 mila persone vennero salvate dalle macerie e più di 40 mila furono portate fuori dalle zone colpite.

“La cosa che faceva più effetto non erano i morti, coperti di tappeti, trapunte e lenzuola fiorite, che giacevano negli stadi, nelle piazze o semplicemente sui marciapiedi crepati”, ha ricordato la corrispondente Natalja Kozlova. “Quello che faceva più effetto erano i sopravvissuti. Camminavano lentamente, come fantasmi, nessuno di loro urlava o parlava ad alta voce… Queste persone, se gli si chiedeva qualcosa, rispondevano, e se venivano prese per mano e guidate, camminavano. Ma non appena si lasciava andare la loro mano mano, si voltavano e tornavano indietro”.

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