ARMENIA: Il governo contro la Chiesa Apostolica (East Journal 09.07.25)

I rapporti tra il governo armeno e la Chiesa Apostolica Armena hanno toccato il punto più basso nell’ultimo mese

Lo scorso maggio, il Primo Ministro, Nikol Pashinyan e sua moglie, Anna Hakobyan, hanno accusato pubblicamente il clero di pedofilia, nonché di non rispettare il voto di celibato. Nei giorni seguenti, in un post su Facebook, Pashinyan ha affermato che il Catholicos armeno, Karekin II, avesse una figlia e avrebbe dunque dovuto dimettersi. A tal proposito, il primo ministro ha proposto di creare un consiglio — da lui personalmente nominato — incaricato di eleggere un nuovo Catholicos della Chiesa Apostolica Armena.

In risposta a tali accuse, il portavoce di Karekin II, padre Zareh Ashuryan, ha accusato Pashinyan – in un post – di essere circonciso, paragonandolo a Giuda e suggerendo che egli non fosse cristiano. Quest’ultimo ha ribattuto proponendo di (di)mostrare che l’insinuazione fosse falsa, richiamando nuovamente il Catholicos a dichiarare se egli avesse infatti o meno una figlia.

Questo botta e risposta è stato visto da molti in Armenia come un atto deliberato di mancanza di rispetto nei confronti della Chiesa. Per una nazione in cui la religione è profondamente intrecciata con l’identità e la memoria nazionale, le parole – e insulti – di Pashinyan hanno più peso di un teatrino politico: hanno alimentato una situazione già instabile tra Chiesa e governo, andando ad infangare la professionalità e serietà della classe politica, nonché ad inficiarne la fiducia.

Galstanyan e Tavush for the Motherland

Lo scontro tra Chiesa e Stato non è un fenomeno nuovo, soprattutto non è il primo caso di interferenze tra le due sfere. La Chiesa Apostolica Armena si è infatti sempre schierata dalla parte del governo pre-rivoluzione di velluto del 2018. Inoltre, durante il periodo autoritario, ha spesso evitato di condannare corruzione e violazioni dei diritti umani da parte del governo di Sargsyan.

Successivamente alle sconfitte inflitte dall’Azerbaigian nel 2020 e 2023, il Catholicos aveva richiesto le dimissioni del primo ministro Pashinyan. La Chiesa ha sempre condannato le attuali politiche di normalizzazione dei rapporti con la Turchia e l’Azerbaigian, nonché relative alla firma di un accordo di pace con quest’ultimo.

Inoltre, in risposta al processo di delimitazione territoriale nella part nord-orientale dell’Armenia (regione di Tavush) che ha avuto luogo a partire dalla primavera scorsa, era emerso l’arcivescono Bagrat Galstanyan a guida del movimento “Tavush for the Motherland” – poi divenuto “The Holy Struggle”. Ciò che era iniziato come una serie di proteste locali nella provincia di Tavush contro piani controversi di delimitazione dei confini si è evoluto in un movimento di protesta a livello nazionale. L’arcivescovo si era inoltre dichiarato pronto a candidarsi in opposizione all’attuale primo ministro. Sebbene Galstanyan non possa candidarsi a cariche politiche a causa della sua doppia cittadinanza armeno-canadese, egli ha rinunciato ai voti ed è diventato un simbolo dell’opposizione al governo di Pashinyan.

Dopo mesi di silenzio – l’ultima protesta in strada è avvenuta nell’ottobre 2024 – le autorità armene hanno perquisito, nelle scorse settimane, le abitazioni di decine di esponenti dell’opposizione e dell’arcivescovo Bagrat Galstanyan, arrestato insieme ad altri 13 individui con accuse gravi di “attentati terroristici” e “tentato colpo di Stato”.

Secondo il Comitato d’Investigazione armeno, l’organizzazione guidata da Galstanyan aveva reclutato circa 1.000 persone, tra cui molte ex-militari o poliziotti, per formare “squadre d’assalto” finalizzate a bloccare strade, danneggiare infrastrutture, compiere atti violenti e costringere il governo alle dimissioni.

Le perquisizioni, svolte in circa 90 abitazioni, avrebbero portato al sequestro di armi, munizioni, documenti operativi, piani di azione e dispositivi esplosivi, ma gli arrestati respingono le accuse, bollandole come “persecuzione politica”. È poi seguito l’arresto dell’arcivescovo Mikael Ajapahyan, accusato di incitare alla presa illegale del potere.

L’importanza della Chiesa Armena  

Per gran parte della popolazione, la Chiesa Apostolica Armena è stata – ed è tutt’ora – il principale garante dell’identità nazionale armena. Essa è infatti molto più di un’istituzione religiosa: è un pilastro storico, culturale e identitario per il popolo armeno. Fondata nel I secolo d.C. e riconosciuta come religione di Stato nel 301 d.C., la Chiesa ha giocato un ruolo fondamentale nella preservazione della lingua, della cultura e della memoria collettiva armena, soprattutto nei momenti più critici, come quello del genocidio armeno del 1915.

Per milioni di armeni in patria e nella diaspora, la Chiesa rappresenta un legame profondo con le proprie radici storiche e spirituali. Anche tra chi non è particolarmente praticante, essa gode di grande rispetto simbolico, ed è considerata custode della nazione e della sua continuità nel tempo. Nella diaspora, in particolare, la Chiesa è spesso il centro attorno a cui ruotano scuole, attività culturali e commemorazioni, come quelle legate al genocidio.

“Io sono armena e sto con la Chiesa Armena oggi e tutti i giorni, perché è una parte integrante della mia identità – indipendentemente dalla mia religiosità. È l’ultima istituzione che difende la mia identità nazionale, valori e storia. È l’istituzione che è stata al fianco della nostra nazione durante i giorni più bui della nostra storia”. (Citazione presa da un post di una ragazza armena a seguito delle vicende sopra citate)

Le elezioni del 2026

Dunque, questi ultimi avvenimenti avranno delle conseguenze importanti per l’attuale governo di Nikol Pashinyan. Prima di tutto, il linguaggio e i modi utilizzati – benché da entrambe le parti – hanno portato ad una perdita di professionalità e legittimità soprattutto del primo ministro. In secondo luogo, l’attacco alla Chiesa ha dato nuova energia a una base crescente di cittadini che vedono l’attuale governo come debole, irresponsabile e scollegato dai valori storici del Paese. In conclusione, questi sviluppi sollevano interrogativi urgenti sul restringimento dello spazio democratico e sull’utilizzo strumentale del sistema giudiziario. Le autorità sostengono che la sicurezza nazionale sia a rischio, ma il popolo percepisce queste misure come un tentativo di mettere a tacere il dissenso alla luce delle elezioni del prossimo anno – il cui risultato non è poi più così scontato.

Vai al sito

Marcella Stumpo partecipa alla Settimana della Cultura Armena di Chieti (Termolionline 09.07.25)

TERMOLI. Domani, giovedì 10 luglio, un pezzetto di Termoli sarà a Chieti, nell’ambito della Settimana di Cultura Armena.

Tra le altre iniziative, infatti, si parlerà di un armeno famosissimo e molto amato, Charles Aznavour: con la guida di Marcella Stumpo si cercherà di ricostruire una vita incredibile e una personalità piena di sfaccettature, mentre i lettori del Teatro Marrucino  leggeranno brani della sua autobiografia, e risuonerà  la sua musica, attraverso una carrellata delle canzoni più belle.

Si definì sempre un istrione, un uomo del popolo, e scrisse in tarda età che voleva arrivare ad essere vecchio, ma molto vecchio, sempre però tenendo stretta quella vita che, fino a prova contraria, “è ancora il meglio che abbiamo”.

Verrà ricordato poi il ruolo sociale importantissimo che Aznavour ebbe nel tener viva la memoria del genocidio da cui scamparono fortunosamente i suoi genitori, tragedia immane da lui mai dimenticata: aiutò il suo popolo ininterrottamente, fu ambasciatore di Armenia in Svizzera, ma soprattutto riuscì a non far prevalere mai l’odio dentro di sé e a mantenere quell’umanità così evidente nei testi delle sue canzoni.

Vai al sito

La Russia aumenta la presenza militare in Armenia, secondo l’intelligence ucraina (Euronews 08.07.25)

Erevan ha negato, ma Kiev ha pubblicato quello che sostiene essere un ordine dell’esercito russo di aumentare la propria presenza militare nella più grande base russa in Armenia, vicino al confine con la Turchia

L’intelligence militare ucraina (Hur) ritiene che la Russia stia aumentando e rafforzando la propria presenza militare in Armenia. I servizi segreti di Kiev hanno pubblicato quello che sostengono essere un ordine dell’esercito russo di aumentare gli effettivi in una base in Armenia. La notizia giunge a due giorni di distanza dalla prima indicazione di questo tipo giunta dall’Ucraina, che però il governo di Erevan ha negato con fermezza.

“Vogliono destabilizzare il quadro della sicurezza globale”

Il 5 luglio, infatti, la stessa Hur aveva affermato che Mosca vorrebbe incrementare la propria presenza nella base di Gyumri per esercitare una maggiore influenza nel Caucaso meridionale e “destabilizzare il quadro della sicurezza globale”. Ora arriva il documento attribuito a Mosca, che nello specifico sarebbe un “ordine del comandante delle truppe del Distretto militare meridionale delle Forze armate russe sul ‘rifornimento’ della base militare russa in Armenia”.

“Il messaggio elenca una lista di misure, compreso la necessità di selezionare personale tra i militari dell’8°, 18°, 49° e 58° armata”, ha precisato l’Hur.

Il documento istruisce i comandanti al fine di facilitare il processo di selezione, delineando criteri specifici per l’idoneità professionale, la resistenza psicologica e la prontezza al combattimento. L’ordine vieta esplicitamente il reclutamento di individui coinvolti nel traffico di droga o nella distribuzione di sostanze psicotrope.

“Oltre a fomentare il conflitto interetnico, Mosca sta rafforzando la sua presenza militare nel Caucaso. È probabile che il deterioramento delle relazioni tra Azerbaigian e Russia sia stato preparato in anticipo”, sostengono i servizi ucraini.

Perché la base militare di Gyumri è importante

Gyumri è la seconda città più grande dell’Armenia, con una popolazione di oltre 100mila abitanti. Situata a circa 100 km a nord-ovest della capitale Erevan, si trova in posizione strategica a soli 3,5 km dal confine con la Turchia, il più stretto alleato dell’Azerbaigian.

L’Armenia e la Russia vi stabilirono la 102a base militare negli anni Novanta con l’idea che i soldati russi sarebbero stati in grado di proteggere il confine, ma anche di dispiegarsi rapidamente nella regione del Karabakh in caso di movimenti militari azeri. Non è andata così nel 2023, quando Baku ha recuperato il pieno controllo della regione dopo una campagna militare improvvisa.

Nel 2024, l’Armenia ha quindi congelato la sua partecipazione all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (Csto), guidata dal Cremlino: la risposta di Mosca alla Nato.

La parata militare a Mosca del 9 maggio 2025
La parata militare a Mosca del 9 maggio 2025AP Photo

Il sito può ospitare cinquemila soldati e mezzi aerei

Il primo ministro Nikol Pashinyan ha dichiarato l’anno scorso di non vedere “alcun vantaggio” nella presenza di truppe russe in Armenia, ma la base di Gyumri è rimasta intatta poiché nel 2010 i due Paesi hanno concordato di estendere il contratto di locazione fino al 2044. Si tratta della più grande struttura militare russa nel Caucaso meridionale. Ospita fino a cinquemila persone, jet da combattimento MiG-29 e sistemi di difesa aerea S-300.

Poiché l’Armenia sta spingendo per normalizzare le relazioni con l’Azerbaigian e la Turchia, si ritiene che la base russa non serva più gli interessi del governo di Erevan. Quest’ultimo sta addirittura cercando di riaprire il confine comune con la Turchia, che migliorerebbe le relazioni e contribuirebbe ad alleviare l’isolamento del Paese.

La Turchia, stretta alleata dell’Azerbaigian, ha chiuso il valico di frontiera nel 1993 in segno di solidarietà con Baku per il conflitto in corso nella regione del Karabakh. Con un’escalation senza precedenti tra Azerbaigian e Russia, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato che sosterrà gli sforzi di pace dell’Armenia con l’Azerbaigian.

La recente morte di due persone di etnia azera arrestate dalla polizia per omicidi in Russia e l’incidente a un aereo passeggeri della Azerbaijan Airlines a dicembre, di cui Baku incolpa Mosca, hanno fortemente teso le relazioni.

Vai al sito

Nagorno Karabakh. Accordo di Azerbaijan e Armenia per il corridoio di Zangezur (Notiziegeopolitiche 08.07.25)

Nelle pieghe geopolitiche del Caucaso si consuma un nuovo capitolo di quella che appare sempre più come una guerra d’accerchiamento contro Mosca. Con l’accordo siglato tra Armenia, Turchia e Azerbaigian sul corridoio di Zangezur, prende forma un asse che non si limita a facilitare i collegamenti regionali, ma che porta con sé l’odore acre della strategia NATO. La prospettiva di una base dell’Alleanza sul Mar Caspio, combinata con la crescente influenza del corridoio TRACECA (TRAnsport Corridor Europe-Caucasus-Asia), ridisegna la mappa delle alleanze e crea un potenziale fronte meridionale che completa quello già attivo in Ucraina.
L’intento è palese: isolare la Russia, indebolire l’Iran e minare la stabilità dell’Asia centrale, lasciando come unici vincitori gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. L’Unione Europea, invece, si conferma un attore ambiguo, oscillante tra la sudditanza atlantica e una fragile ricerca di autonomia strategica.
Al centro di questo scacchiere c’è l’Armenia di Nikol Pašinyan, il cui operato è ormai percepito da Mosca come una vera e propria sfida. Mentre Erevan flirta con Washington e Ankara, il progetto panturco del “Grande Turan” prende corpo, offrendo a Erdogan la possibilità di trasformare la Turchia in un hub strategico tra Europa e Asia centrale. La perdita di Syunik (Zangezur), che oggi separa la Turchia dall’Azerbaigian, aprirebbe un corridoio logistico e militare senza precedenti per Ankara.
In questo contesto l’Armenia sembra sacrificare la propria sovranità sull’altare di un’illusoria integrazione euro-atlantica, mentre cresce il rischio che Mosca sia costretta a ritirare la sua presenza militare da Gyumri, sancendo la fine dell’influenza russa nel Caucaso meridionale.
A muovere i fili di questo complesso mosaico ci sono le intelligence turca e britannica, impegnate a soffiare sul fuoco delle tensioni tra Baku e Mosca. L’Azerbaigian, sempre più sotto l’ombrello di Ankara, viene presentato come il prossimo candidato a diventare un avamposto NATO. Le proposte per ospitare armi nucleari sul suo territorio non sono più mere speculazioni, ma parte di un discorso strategico che richiama le drammatiche premesse della crisi ucraina.
E mentre Erdogan gioca a fare il mediatore tra Aliev e Putin, il vero obiettivo è evidente: spingere il Caucaso meridionale nell’orbita occidentale e completare la recinzione della Russia.
Israele osserva e incassa dividendi, grazie al ridimensionamento dell’Iran e alla crescente collaborazione con Baku. Intanto, l’asse USA-Regno Unito-Turchia-Israele prende consistenza, presentandosi come un blocco capace di riscrivere le regole nel Mar Nero, nel Caspio e oltre. La Russia, impantanata in Ucraina, rischia di subire un arretramento strategico anche in Medio Oriente e Asia centrale.
Le dinamiche che oggi si osservano a Baku richiamano quelle di Kiev nel 2014: una progressiva erosione dell’influenza russa e un’accelerazione verso strutture occidentali che sembravano impensabili solo pochi anni fa. La narrativa panturca e le manovre dell’Organizzazione degli Stati Turchi (OST) con la creazione di una brigata di “mantenimento della pace” rappresentano i segnali di una militarizzazione regionale con cui la Russia dovrà fare i conti.
Se l’Armenia diventerà davvero un protettorato turco e l’Azerbaigian ospiterà basi NATO, la mappa della Transcaucasia e dell’Asia centrale cambierà radicalmente. Per Mosca significherebbe non solo perdere un tradizionale alleato, ma anche subire un colpo mortale alla sua strategia di profondità difensiva.

Vai al sito

Armenia: vicepresidente Parlamento, non c’è posto nel Paese per terrorismo e colpi di Stato (Agenzia Nova 08.07.25)

Erevan, 08 lug 10:41 – (Agenzia Nova) – Il vicepresidente dell’Assemblea nazionale armena, Ruben Rubinyan, ha dichiarato che il terrorismo, le intimidazioni e i tentativi di colpo di Stato non hanno spazio in Armenia, ribadendo che il governo del Paese può essere formato solo tramite elezioni democratiche. Le sue dichiarazioni arrivano nel contesto della mozione parlamentare per la revoca dell’immunità al deputato dell’opposizione Artur Sargsyan, accusato nell’ambito di un procedimento penale legato a ipotesi di terrorismo e tentato rovesciamento dell’ordine costituzionale. “Qualsiasi tentativo di prendere il potere o di raggiungere obiettivi politici con la violenza è da condannare. L’unico obiettivo nobile è il rispetto della legalità e della volontà popolare”, ha affermato Rubinyan. Il vicepresidente ha inoltre criticato il movimento guidato dall’arcivescovo Bagrat Galstanyan, accusandolo di aver abbandonato i metodi pacifici della Rivoluzione di velluto del 2018 per assumere toni più violenti e “terroristici”. Rubinyan ha ricordato l’assalto all’Assemblea nazionale e ha denunciato una “retorica estremista” emersa in alcune registrazioni audio attribuite ai leader del movimento. (segue) (Rum) © Agenzia Nova – Riproduzione riservata

Scandali in Armenia: il conflitto tra politica e religione (Notizie.it 08.07.25)

Non crederai mai a ciò che sta accadendo in Armenia: il Primo Ministro accusa la Chiesa di cospirazione e scandali. Leggi per scoprire i dettagli!

 

Non crederai mai a quello che sta succedendo in Armenia! Un vero e proprio dramma si sta consumando in questo angolo del mondo, dove il Primo Ministro Nikol Pashinyan ha scatenato una guerra aperta contro la Chiesa Apostolica Armena. Le accuse di tradimento e scandali personali coinvolgono il capo della Chiesa, Karekin II, creando una situazione che minaccia di polarizzare ulteriormente una nazione già profondamente religiosa.

Ma come siamo arrivati a questo punto? Scopriamo insieme i dettagli di questa vicenda che sembra uscita da una soap opera politica.

1. Un conflitto che svela il marcio

Il conflitto tra Pashinyan e Karekin II non è solo una battaglia di potere; è il riflesso di una società divisa. Il Primo Ministro ha affermato che la Chiesa è stata “presa in ostaggio” da un gruppo “anti-cristiano” e ha promesso di liberarla. Ma perché questa dichiarazione ha scatenato un tale putiferio? Gli osservatori avvertono che non si tratta di una semplice disputa tra autorità laiche e religiose, ma di un conflitto personale che affonda le radici in anni di tensioni. Ti sei mai chiesto quali siano le vere motivazioni dietro questo scontro?

Dopo la guerra del Nagorno-Karabakh, le responsabilità per la sconfitta sono state attribuite da Karekin a Pashinyan, mentre il Primo Ministro accusa il clero di essere coinvolto in una “cospirazione criminale”. Un clima di tensione che ha portato a un’escalation di accuse e scontri tra le due parti. Ma chi ha davvero ragione? I cittadini sono divisi, con molti che vedono la Chiesa come un pilastro della loro identità nazionale. E tu, da che parte stai?

2. Scandali e segreti: la vita personale di Karekin II

Le cose si complicano ulteriormente quando Pashinyan ha rivelato che Karekin II potrebbe aver infranto il suo voto di celibato, avendo avuto una figlia. Questa affermazione ha scatenato un terremoto mediatico, con i sostenitori del Primo Ministro che accusano il clero di ipocrisia. Ma Karekin non è rimasto a guardare: ha risposto alle accuse definendo questa campagna come una minaccia per l’unità nazionale. Non ti sembra incredibile come la vita personale possa influenzare la politica?

La rivelazione di Pashinyan ha sollevato interrogativi su cosa significhi davvero “essere al servizio di Dio” in un contesto politico così carico. La numero 4 di questa vicenda ti sconvolgerà: la presunta figlia di Karekin è un medico affermato a Yerevan, e le sue implicazioni potrebbero cambiare il corso della storia armena. Immagina le ripercussioni che una simile scoperta potrebbe avere sulla percezione pubblica della Chiesa!

3. La lotta per il futuro dell’Armenia

Ma non finisce qui. La tensione non si limita solo alle accuse personali. Il governo di Pashinyan ha arrestato diversi critici, tra cui un alto prelato, e ha fatto emergere piani di un presunto colpo di stato. La situazione è diventata così critica che le campane della Chiesa di St Echmiadzin hanno suonato l’allerta, richiamando i fedeli a difendere la loro casa e la loro fede. Cosa accadrà se la lotta tra Pashinyan e Karekin dovesse portare a un’ulteriore instabilità in un paese già segnato da conflitti esterni e interni?

Con le elezioni parlamentari in arrivo nel 2026, molti si chiedono se Pashinyan possa mantenere il suo potere o se la Chiesa riuscirà a riconquistare l’influenza perduta. La lotta è solo all’inizio, e i colpi di scena sono dietro l’angolo. Rimanete sintonizzati, perché la vera storia è appena cominciata! Vuoi essere sempre aggiornato su questa vicenda esplosiva? Non dimenticare di condividere e commentare!

Vai al sito

L’ambasciatore in Armenia Ferranti riceve il vescovo di Viterbo (Ansa 08.07.25)

Ambasciatore d’Italia a Jerevan, Alessandro Ferranti, ha ricevuto il Vescovo di Viterbo, Mons.
Orazio Francesco Piazza, insieme a un gruppo di diciannove Sacerdoti e religiosi della Diocesi di Viterbo, per la prima volta in visita in Armenia per un viaggio di pellegrinaggio e conoscenza.

Durante l’incontro all’Ambasciata sono stati trattati argomenti relativi ai profondi legami storici, culturali e religiosi fra Roma e Jerevan.

 

Armenia – L’Ambasciatore italiano Ferranti ha ricevuto il Vescovo di Viterbo Piazza

I paralleli tra il genocidio armeno e Gaza: le lezioni degli armeni per la pace (Buonenotizie.it 08.07.25)

Il genocidio armeno è stato uno dei più grandi crimini contro l’umanità del XX secolo. Durante la prima guerra mondiale, il governo ottomano ha pianificato e attuato un massacro sistematico degli armeni che vivevano nel loro territorio. Si stima che circa 1,5 milioni di armeni siano stati uccisi e molti altri siano stati costretti a fuggire dalle loro case. Questo evento tragico ha segnato profondamente la storia e la cultura degli armeni e ha lasciato un’impronta indelebile nella loro memoria collettiva.

Oggi, mentre il mondo si concentra sulla crisi umanitaria nella Striscia di Gaza, gli armeni possono tracciare paralleli tra il loro passato e la situazione attuale a Gaza. Come hanno imparato dagli orrori del loro genocidio, gli armeni hanno importanti lezioni da condividere con coloro che lottano per la pace a Gaza.

Il genocidio è un processo, non un evento

Una delle lezioni più importanti che gli armeni hanno imparato dal loro genocidio è che il genocidio è un processo, non un evento singolo. Ciò significa che il massacro degli armeni non è iniziato e finito in un solo giorno, ma è stato pianificato e attuato in modo sistematico per un lungo periodo di tempo. Questo è un aspetto importante da tenere a mente quando si guarda alla situazione a Gaza.

Il conflitto tra Israele e Palestina non è iniziato con l’attuale crisi umanitaria a Gaza. È il risultato di decenni di tensioni, violenze e ingiustizie. Come nel caso del genocidio armeno, il massacro a Gaza è solo l’ultimo atto di un processo più ampio di oppressione e discriminazione.

Gli armeni sanno che il genocidio non si ferma con la fine delle uccisioni. Anche dopo il massacro, gli armeni sono stati costretti a vivere in condizioni precarie e a subire discriminazioni e persecuzioni. Allo stesso modo, anche se il massacro a Gaza dovesse finire domani, la popolazione palestinese continuerà a vivere in una situazione di oppressione e violenza.

La negazione del genocidio

Un altro parallelo tra il genocidio armeno e la situazione a Gaza è la negazione del genocidio da parte dei perpetratori. Dopo il massacro degli armeni, il governo ottomano ha cercato di nascondere e minimizzare il suo ruolo nel genocidio. Questa negazione è continuata per decenni, con la Turchia che ancora oggi rifiuta di riconoscere il genocidio armeno.

Allo stesso modo, Israele ha negato ripetutamente il suo coinvolgimento nella violenza a Gaza e ha cercato di giustificare le sue azioni come necessarie per la sicurezza nazionale. Questa negazione del genocidio e delle violenze perpetrate è un insulto alle vittime e alle loro famiglie e rende ancora più difficile per loro ottenere giustizia e riparazione.

La forza della resilienza e della memoria

Nonostante le atrocità subite, gli armeni hanno dimostrato una straordinaria resilienza e hanno continuato a lottare per la loro sopravvivenza e per la giustizia. La loro memoria collettiva è stata un fattore chiave nella loro capacità di resistere e di mantenere viva la loro cultura e la loro identità.

Anche a Gaza, la popolazione palestinese ha dimostrato una straordinaria forza e resilienza nonostante le difficoltà e le violenze subite. La loro memoria collettiva e la loro identità culturale sono stati fondamentali per la loro resistenza e per la loro lotta per la libertà e la giustizia.

Gli armeni sanno che la memoria è un’arma potente nella lotta contro l’oppressione e la negazione. Continuano a commemorare il loro genocidio ogni anno e a raccontare le loro storie per assicurarsi che il mondo non dimentichi mai ciò che è loro stato fatto. Anche a Gaza, la memoria e la narrazione delle loro esperienze sono fondamentali per la loro lotta per la verità e la giustizia.

Speriamo che queste lezioni possano essere utili per coloro che cercano di porre fine alla crisi umanitaria a Gaza e di costruire un futuro di pace e giustizia per tutti.

Vai al sito

Al via la Settimana della Cultura Armena al Teatro Marrucino di Chieti (Ilgiornalidichieti 08.07.25)

Prende ufficialmente il via questa sera, martedì 8 luglio, la Settimana della Cultura Armena al Teatro Marrucino di Chieti, un’intensa rassegna di appuntamenti dedicati alla storia, all’identità e alle tradizioni del popolo armeno. Organizzata dalla Deputazione Teatrale Teatro Marrucino in collaborazione con l’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara e la National University of Architecture and Construction of Armenia (NUACA) e con il patrocinio dell’Ambasciata della Repubblica d’Armenia in Italia, l’iniziativa si svolgerà fino a domenica 13 luglio proponendo un ricco calendario di eventi aperti al pubblico.
Gli allievi della Scuola di Recitazione del Teatro Marrucino, insieme ai docenti dell’Università “d’Annunzio” e ad una delegazione armena composta da dieci studenti e cinque docenti provenienti da Yerevan saranno protagonisti di numerose attività, offrendo uno sguardo autentico sulla cultura armena contemporanea.
La cerimonia di apertura è in programma questa sera alle ore 19.00, seguita da un concerto di musica folkloristica armena a cura degli studenti della NUACA e dall’inaugurazione di una mostra di bambole tradizionali armene. A concludere la serata, lo spettacolo teatrale “Il quaderno”, messo in scena dagli allievi della Scuola di Recitazione e tratto dall’opera della scrittrice Sonya Orfalian che sarà presente per l’occasione.
Durante l’intera settimana, il Teatro Marrucino ospiterà performance teatrali, concerti, letture bilingue, laboratori creativi, tra cui quelli dedicati alla realizzazione di bambole armene con la docente Irina Vanyan, e conferenze su temi storici e culturali, come il genocidio armeno o l’evoluzione dell’architettura armena, tenute da docenti della NUACA e dell’Università “d’Annunzio”.
Tra i momenti più attesi, l’omaggio a Charles Aznavour, cantautore armeno-francese che ha sempre tenuto viva la memoria del suo popolo attraverso parole e musica (10 luglio, ore 18.00), e l’omaggio a William Saroyan, celebre scrittore armeno-americano vincitore del Premio Pulitzer (11 luglio, ore 21.30).
A chiudere la manifestazione, sabato 13 luglio, sarà una performance teatrale inedita che vedrà in scena insieme gli studenti della Scuola di Recitazione e quelli della NUACA, in un simbolico abbraccio tra Italia e Armenia, frutto di un’intensa collaborazione artistica diretta da Giuliana Antenucci e dal Prof. Narek Minassian.

La Settimana della Cultura Armena è un viaggio condiviso tra arte, memoria e dialogo, un’occasione preziosa per costruire ponti culturali e approfondire il valore dell’incontro tra popoli attraverso la bellezza del teatro e della conoscenza. Tutta la cittadinanza è invitata a partecipare.

Tutti gli eventi della Rassegna sono a ingresso libero e gratuito fino ad esaurimento posti.

Per ulteriori informazioni è possibile contattare il numero 0871 321491.

Globalia. La partita del Caucaso e il ruolo dell’Azerbaigian (Barbadillo 08.07.25)

l Caucaso non è mai stata una area tranquilla e benché i riflettori mediatici siano concentrati su altre aree della terra, l’aria continua a essere calda fra i monti e le vallate di questa regione. Le ultime notizie segnalano rinnovati nervosismi fra l’Azerbaigian e la Russia a causa di alcune indagini russe che hanno portato all’arresto (e anche all’uccisione) di alcuni cittadini azeri (ma anche con cittadinanza russa) appartenenti alla malavita organizzata. In realtà le tensioni fra i due Paesi si accumulano da tempo: il conflitto nel Nagorno-Karabakh (o Artsakh in armeno) nel 2023, che si è concluso con la riconquista totale della regione a maggioranza armena nonostante la presenza di forze di peacekeeping russe a garanzia del rispetto dei precedenti accordi di cessate il fuoco; e l’aero azero abbattuto dalla contraerea russa nel dicembre scorso sono sicuramente i due passaggi più significativi per delineare un certo nervosismo fra i due Paesi.

Non c’è dubbio che la vittoria nel Nagorno-Karabakh abbia ringalluzzito le ambizioni del presidente azero Aliyev che adesso mira a ricongiungere l’enclave del Nakhchivan con il resto del Paese. Per completare il progetto e realizzare il cosiddetto “corridoio di Zangezur” che non solo riunirebbe l’intero Azerbaigian ma addirittura porrebbe il Paese come un ponte diretto fra la “madre” Turchia e i paesi dell’Asia centrale, anche questi di origine turcica. Progetto ambizioso ma che passa necessariamente dall’invasione e conquista della regione armena del Syunik, cosa che sarebbe provocherebbe la reazione negativa non solo da Russia e Iran ma anche da Cina e una parte del mondo occidentale (Usa e Francia su tutte che al loro interno ospitano una forte e influente comunità armena). 

Collegare la Turchia all’Asia centrale significa non solo cercare di portare gli “-stan” turchici in una sfera di influenza occidentale ma significa mortificare il corridoio commerciale “sud-nord” che dovrebbe collegare la Russia all’India, passando per l’Iran fino ad arrivare fino in Cina. Bisogna anche considerare che la maggior parte delle risorse energetiche azere sono gestite dalla British Petroleum e da altri investitori inglesi che hanno tutto l’interesse per deviare il traffico delle merci lungo un vettore “ovest-est” oltre che a destabilizzare in primis la Russia. 

In questo teatro geopolitico c’è un ulteriore attore protagonista, ovvero Israele la cui influenza pare crescere sempre di più sull’alleato azero. È ormai notizia certa che l’Azerbaigian abbia concesso il suo spazio aereo agli israeliani nei recenti attacchi all’Iran così come ormai sono conclamati gli accordi di condivisione di intelligence fra i due Paesi. Una posizione decisamente scomoda per l’Azerbaigian che, se da un lato ha deciso di emanciparsi definitivamente dall’influenza russa, rischia comunque di essere schiacciata fra il peso degli interessi turchi e quelli israeliani che certamente collidono fra di loro e che restano in contesa per l’egemonia sul Medioriente.

Il Caucaso continua a ribollire perché continua a trovarsi al centro di interessi contrastanti fra più imperi che vogliono sancire la loro potenza regionale e dove la più grande vittima potrebbe essere l’Armenia, nazione ancestrale e che già solo per cultura e storia dovrebbe suscitare l’interesse e la protezione di un’Europa che ancora una volta non trova voce in capitolo.

Vai al sito