SIRIA. Ankara sposterebbe miliziani siriani in Azerbaijan contro l’Armenia (Agcnews.eu 26.09.20)

Sono emersi rapporti credibili secondo cui la Turchia sta trasferendo militanti siriani dal nord della Siria in Azerbaijian, mentre aumentano rapidamente le tensioni e le schermaglie con l’Armenia.

Il quotidiano Greek City Times rimporta le affermazioni della giornalista Lindsey Snell che su Twitter denuncia che i combattenti della Divisione Hamza sono arrivati a Baku attraverso la Turchia. All’inizio di quest’anno, la divisione Hamza è stata denunciata per aver tenuto in prigione donne, dopo averle denudare e averle usato violenza. Il gruppo è composto per lo più da arabi e turkmeni, e sono diventate una “forza mobile” del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan.

Con l’intensificarsi della guerra di Libia all’inizio di quest’anno, la Divisione Hamza è stata uno dei principali gruppi di combattenti trasferiti dalla Turchia per combattere nel Paese nordafricano con il Gna. La promessa di uno stipendio mensile di 2.000 dollari era una tentazione per molti dei jihadisti siriani, tuttavia, come affermano a The National a giugno, leader della divisione di Hamza: «Ora rimpiangiamo di essere venuti. Il prezzo che abbiamo pagato è alto».

Alla domanda su Twitter se la maggior parte dei combattenti che si recano in Azerbaigian provenga dalla Siria o dalla Libia, Snell ha rivelato che la maggior parte di essi proviene dalla Siria, ma che circa 70 militanti sono stati anche in Libia. Snell ha anche caricato una registrazione vocale di un militante secondo cui fino a 1.000 combattenti saranno trasferiti in Azerbaigian.

Secondo Syriana Analysis, che cita fonti dell’opposizione siriana, ai jihadisti verrebbe offerto un ingaggio di 600 dollari al mese per combattere con l’Azerbaigian contro l’Armenia.

L’Azerbaijan ha smentito la notizia: «Le accuse sono infondate e completamente fuorvianti. Recentemente, abbiamo osservato in alcuni media stranieri una campagna calunniosa contro l’Azerbaigian, diffondendo informazioni assolutamente infondate e false a questo proposito», ha dichiarato un portavoce azero al Greek City Times.

Per l’Armenia, la minaccia va presa in considerazione: «Come ha dichiarato il ministro degli Esteri Zohrab Mnatsakanyan durante la sua visita ufficiale in Egitto, stiamo ricevendo rapporti sull’uso di combattenti terroristi stranieri da trasferire in Azerbaigian o forse sono già stati trasferiti. Dati i precedenti dell’uso di estremisti da parte dell’Azerbaigian nel 1992-93 e l’esportazione di elementi terroristici in diverse regioni da parte della Turchia, prendiamo molto seriamente questa minaccia», ha aggiunto un portavoce degli Esteri armeni.

I portavoce dell’Armenia e dell’Azerbaigian hanno sottolineato al Greek City Times che vogliono risolvere le loro controversie in modo pacifico e attraverso negoziati.

Maddalena Ingrao

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Papa Francesco, un incontro con il catholicos armeno Karekin II lunedì prossimo? (AciStampa 24.09.20)

Il sesto incontro tra Papa Francesco e il Catholicos della Chiesa Apostolica Armena Karekin II dovrebbe avere luogo il prossimo 28 settembre, in privato. Non è stato ancora dato annuncio ufficiale dell’incontro, confermato da fonti della Chiesa apostolica armena, ma questo si inserisce nell’ambito di un viaggio che il Catholicos farà in Italia dalla fine di questa settimana.

Prima a Milano per una visita all’unica parrocchia della Chiesa apostolica armena di Italia (un’altra ci sarà presto a Roma) che quest’anno fa 65 anni e per degli incontri, il Catholicos sarà a Roma lunedì, con una agenda che prevede anche una visita al Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.

Tra i temi di conversazione tra Papa Francesco e il Catholicos Karekin II, probabile si parli anche di come rafforzare la collaborazione in Europa tra Chiesa Cattolica e Chiese ortodosse orientali, che starebbero lavorando per sviluppare un loro Consiglio nel vecchio continente.

Quello di lunedì sarebbe il sesto incontro tra Papa Francesco e Karekin II. Il primo incontro era avvenuto nel 2014, quindi il 12 aprile 2015 Karekin II era stato a San Pietroalla commemorazione del genocidio armeno. Papa Francesco aveva poi visitato l’Armenia nel 2016, partecipando anche ad una celebrazione ad Etchmiadzin e diffondendo una dichiarazione comune con il Catholicos.

Nel 2018, Karekin e Papa Francesco ebbero un incontro privato il 5 aprile, prima che il Papa si recasse nel giardino tra il governatorato e la caserma della Gendarmeria a inaugurare la Statua di San Gregorio di Narek donata dalla presidenza della Repubblica di Armenia. Quindi, il 24 ottobre 2018, c’è stato un altro incontro tra i due a Santa Marta, in cui hanno reiterato la loro amicizia.

Il Catholicos è anche stato a Firenze lo scorso anno, per un intervento al festival delle religioni in un panel che comprendeva il segretario di Stato vaticano, il Cardinale Pietro Parolin, ed ha incontrato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, durante il viaggio di quest’ultimo in Armenia nel novembre 2019.

Sono segnali di amicizia rafforzati dal fatto che la Chiesa Apostolica Armena ha, dal 2018, un suo rappresentante a Roma con lo scopo di rafforzare i rapporti tra Chiesa Cattolica e Catholicossato. Tra le attività in programma o in svolgimento, anche lo scambio di studenti tra seminari di Etchmiadzin e seminari romani, per sviluppare una vera e propria amicizia ecumenica.

La Chiesa Apostolica armena, tra le più antiche della cristianità, è parte delle Chiese Ortodosse Orientali e conta 9 milioni di membri. Sanate da tempo le differenze dottrinali, tanto che la Chiesa Apostolica non differisce in niente con quella Cattolica tranne che nell’unione con Roma, la Chiesa apostolica armena è una Chiesa fortemente connaturata con la storia nazionale.

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Speciale energia: governo armeno ringrazia Agenzia internazionale dell’energia atomica per sostegno durante pandemia (Agenzianova 23.09.20)

Erevan, 23 set 14:00 – (Agenzia Nova) – Il ministro del Territorio e delle Infrastrutture armeno, Suren Papikyan, ha ringraziato l’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Iaea) per il sostegno dimostrato nel corso della pandemia. La dichiarazione arriva nel corso della 64ma conferenza generale dell’agenzia a Vienna, dal 21 al 25 settembre, come riportato dall’agenzia di stampa “Armenpress”. “Voglio sottolineare il sostegno offerto agli Stati membri per assicurare il funzionamento continuo e sicuro degli impianti nucleari. Siamo grati al direttore generale e alla dirigenza per la fornitura di disinfettanti e dispositivi di diagnosi forniti a più di 120 paesi tra cui l’Armenia, che ha rafforzato la capacità di risposta al Covid-19”, ha detto Papikyan, sottolineando come il settore del nucleare abbia un’importanza fondamentale nel programma energetico del paese caucasico. (Res)

Covid-19 in Caucaso: tra conflitti e teorie del complotto (Osservatorio Balcani e Caucaso 23.09.20)

In Caucaso, nonostante il Covid-19, lo spettro di conflittualità si èampliato e, quest’anno più che mai, ha coinvolto anche i social.

Armenia-Azerbaijan

A luglio sul confine armeno-azerbaigiano si è combattuto, ed è stato dopo quelli del 2014 e del 2016 il peggior episodio di violazione del coprifuoco dal 1994.

Un conflitto che torna sempre più militare, oltre che diplomatico e territoriale, quindi, e che impiega sempre più nuove armi. Gli scontri di luglio sono stati preceduti da una guerra combattuta nel cyberspazio, attraverso i social.

Il 21 maggio era stato diffuso ed era diventato virale un video che sarebbe stato girato a Yerevan. Il numero sorgente che aveva immesso il video nel circuito di WhatsApp creando un apposito gruppo con diversi numeri armeni risultava di un abbonato ucraino di nome Alex, mentre l’utente “Armen Tigranian” lo aveva fatto circolare su Youtube. Nel video cittadini presumibilmente azerbaijani passeggiano liberamente e indisturbati per Yerevan, in piena crisi Covid-19. Le relazioni diplomatiche fra i due paesi sono inesistenti, e lo scopo del video sarebbe stato di dimostrare l’ignavia e l’inefficacia dei sistemi di controllo – anche epidemiologico – armeno. Le autorità armene hanno denunciato  il video come un fake volto a fiaccare il morale degli armeni.

A giugno su Facebook sono comparse liste di cittadini armeni morti e malati di Covid-19. La pista seguita è quella di hackers azerbaijani che avrebbero trovato una falla nel sistema di sicurezza del ministero della Salute e in due sessioni di accesso illegale a mail e database sarebbero riusciti ad impossessarsi di dati personali  prima di 3500 e poi di 950 fra malati e deceduti, e disseminarli. È stata lanciata un’indagine  ma come sempre la questione dell’attribuzione rimane spinosa.

Sempre su Facebook – a pochi giorni dall’inizio degli scontri lungo il confine – stando agli organi di sicurezza armeni  , finti account di sedicenti armeni residenti all’estero che si presentavano come ex soldati o filantropi si mettevano in contatto con i soldati armeni con lo scopo di ottenere informazioni sul dispiegamento militare e sulle attività in corso. È stata pertanto emessa una notifica di diffida ad accettare contatti di questo tipo e a condividere informazioni anche non sensibili con sedicenti connazionali all’estero.

Tra il 14 ed il 15 luglio inoltre sono stati riportati reciproci attacchi hacker tra Azerbaijan e Armenia  .

Il Centro Lugar

Fra Georgia, Russia e Ossezia del Sud vi è una nuova mela della discordia: il Centro Lugar. Il centro, intitolato a un senatore americano  , si trova vicino a Tbilisi, è stato inaugurato nel 2011 ed è un centro di ricerca della rete dell’Agenzia nazionale per le malattie e sanità pubblica. È un laboratorio chiave nei campi di ricerca biomedica e di biosicurezza, aperta a studenti e medici. La sua biblioteca è divenuta quella di riferimento del sistema sanitario pubblico.

Dal 2017 la Russia ha cominciato a sollevare accuse riguardo alle attività del centro, sostenendo che sia una base di diffusione di malattie in mano agli americani. Queste accuse sono state più volte riprese dai separatisti ossetini  che sostengono che Tbilisi stia usando il centro per fare bioterrorismo.

Con la diffusione del covid-19 le accuse si sono inasprite. I servizi di sicurezza ossetini hanno accusato il centro di creare armi biologiche finalizzate alla distruzione mirata della popolazione dell’Ossezia meridionale e di aver creato un sistema di monitoraggio della situazione sanitaria ed epidemiologica locale. Da parte ossetina si è anche affermato che il centro sarebbe stato incaricato di condurre operazioni di sabotaggio volte a distruggere bovini e piccoli animali, creazione artificiale di epizoozie, nonché di condizionare uno sviluppo agricolo dipendente dalla disponibilità di vaccini prodotti nel laboratorio Lugar.

Si afferma inoltre che il centro vorrebbe far aumentare la dipendenza della popolazione dell’Ossezia meridionale dai farmaci georgiani e occidentali e screditare gli sforzi delle autorità dell’Ossezia meridionale per garantire la sicurezza sanitaria-epidemiologica della Repubblica. I servizi di sicurezza hanno esortato la popolazione  a evitare contatti con georgiani e ridurre la comunicazione con quanti – inclusi i parenti – mostrano un chiaro interesse per la situazione sanitaria ed epidemiologica dell’Ossezia del Sud.

Pipistrelli

È in questo contesto che il 3 luglio scorso un georgiano, Khvicha Mgebrishvili, è stato arrestato per essere entrato illegalmente nel territorio separatista ed accusato di essere un cacciatore di frodo di pipistrelli che avrebbe poi venduto al Centro per 5000 dollari. Secondo i Servizi di sicurezza ossetini  sarebbe dal 2018 che il Centro fa ricerca su Coronavirus e pipistrelli locali ossetini.

Smentisce energicamente queste accuse la parte georgiana  che ricorda l’importanza del laboratorio per garantire la salute pubblica e che quest’ultimo dal 2018 opera sotto esclusivo controllo del governo georgiano. Assoluta la smentita  anche dell’ambasciatrice americana a Tbilisi.

A settembre il ministero degli Interni georgiano ha poi avvisato  che i sistemi informatici del ministero degli Sfollati, dei Territori occupati, del Lavoro, della Salute e degli Affari Sociali georgiani erano stati oggetto di attacchi informatici ed assieme a questi anche alcune unità strutturali del ministero della Salute, tra cui il Centro Lugar. Attacchi “finalizzati all’appropriazione illegale e all’uso di importanti cartelle cliniche e informazioni sulla gestione delle pandemie… Una parte dei documenti autentici ottenuti a seguito di questo accesso illegale al sistema informatico sono attualmente in fase di caricamento su dei siti web stranieri e sono disponibili per gli utenti. Inoltre, il sito web carica documenti palesemente falsificati, che vengono deliberatamente falsificati per intimidire, confondere e creare diffidenza nel pubblico.”

Per la vecchia tattica della guerra psicologica con lo scopo di condizionare e disorientare le opinioni pubbliche, minare la coesione sociale e fomentare la diffidenza verso governo e amministrazione, nel Caucaso del sud ci si sta quindi cinicamente servendo della pandemia. E il campo di battaglia è rappresentato sempre più dai social.

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AZERBAIGIAN: La dura vita dell’opposizione. Il caso di Tofig Yagublu (East journal 22.09.20)

l 3 settembre Tofig Yagublu, uno dei principali esponenti dell’opposizione azera, è stato condannato a quattro anni e tre mesi di detenzione e, da quel momento, ha intrapreso un ostinato sciopero della fame che ha portato avanti per diciotto giorni, anche nella terapia intensiva in cui era stato ricoverato, sino a quando il 18 settembre scorso ha ottenuto il trasferimento agli arresti domiciliari.

Le circostanze dell’arresto

Le versioni dei fatti che hanno portato all’arresto dell’oppositore divergono notevolmente a seconda che si dia ascolto alla versione governativa o a quella dell’interessato.

Stando alla sentenza della corte distrettuale di Nizami a Baku, Yagublu avrebbe causato un incidente automobilistico e poi aggredito una coppia con un cacciavite. Yagublu, dal canto suo, sostiene invece di essere stato tamponato mentre si trovava tranquillamente alla guida della propria auto e di essere poi stato vittima, e non responsabile, di un’aggressione. Stranamente, non esistono filmati dell’accaduto.

Le reazioni

L’arresto e la condanna dell’oppositore azero sono stati apertamente contestati da numerose organizzazioni internazionali, prime fra tutte Human Rights WatchFreedom House e  Amnesty International, che accusano le autorità azere di aver creato ad arte i presupposti per un arresto prettamente politico.

D’altronde, il presidente Ilham Alyev, solo tre giorni prima dell’arresto, aveva accusato l’opposizione di essere una quinta colonna in grado di minare la stabilità del paese e si era detto intenzionato a reprimere ogni tentativo di sommovimento.

Sin dal momento in cui Yagublu ha iniziato il suo sciopero, in Azerbaigian  sono stati organizzati numerosi eventi di protesta, ma anche qui le autorità hanno optato per le maniere forti. In particolare, durante una manifestazione a sostegno dell’attivista, oltre trenta dimostranti, tra cui la stessa figlia dell’oppositore, sono stati arrestati, per poi venire rilasciati poco dopo.

Non un oppositore qualsiasi

In Azerbaigian gli oppositori politici non hanno vita facile, ma Tofig Yagublu pare godere di una particolare attenzione da parte del potere politico. Nel 2013 fu condannato a cinque anni di detenzione, dopo aver partecipato a proteste antigovernative; nel 2019 ha trascorso 30 giorni in carcere con l’accusa di non aver obbedito agli ordini delle forze di polizia durante una manifestazione pacifica.

I motivi di un simile accanimento? Quest’uomo, ai più sconosciuto fuori dal paese non è un oppositore qualsiasi. Già attivo nel movimento popolare che avrebbe portato all’indipendenza della repubblica azera dall’Unione Sovietica, Tofig Yagublu combatté in Nagorno-Karabakh e, nei primi anni Novanta, dopo essersi unito al partito panturco “Musavat”, ebbe una rapida carriera politica che, durante la presidenza di Abulfaz Elchibey, lo portò a divenire capo del potere esecutivo nel distretto di Binagadi.

Caduto Elchibey, tuttavia, con l’arrivo al potere della famiglia Aliyev, la sua attività politica è divenuta scomoda; basti pensare che il partito Musavat, seppur con soli cinque seggi in parlamento, è ad oggi il secondo partito azero.

Lo sciopero della fame  e la decisione della Corte 

La figlia di Yagublu, che a sua volta ha già subito un arresto ed è sposata con un giornalista di opposizione, è stata la prima a prendere posizione e ha costantemente trasmesso aggiornamenti sulle condizioni del padre. Il 12 settembre, dopo dieci giorni di sciopero della fame, il noto attivista era stato trasferito in terapia intensiva e, nei giorni successivi, dall’ospedale erano giunte notizie preoccupanti sulla sua salute. Yagublu, infatti, rifiutava non solo il cibo, ma anche qualsiasi iniezione di sostanze nutritive e  il suo medico temeva che l’uomo entrasse in coma.

A metà della settimana scorsa, con l’aggravarsi delle proprie condizioni, l’uomo ha affidato a una commovente telefonata con la figlia quello che rischiava di divenire il suo testamento politico: “Figlia mia, sto morendo. Dedico la mia lotta a M. E. Rasulzade – il fondatore del partito Musavat – voglio anche esprimere il mio supporto al popolo bielorusso, che sta combattendo per la democrazia”. Al termine della conversazione, l’uomo ha aggiunto che, qualora il governo non avesse preso una decisione in tempi rapidi, avrebbe rifiutato anche l’acqua.

Per fortuna, qualcosa si è mosso e sabato la Corte di Appello ha stabilito che Tofig Yagublu dovesse essere trasferito agli arresti domiciliari. Non appena è venuto a conoscenza della notizia positiva, l’oppositore ha interrotto lo sciopero della fame e sta ora recuperando le forze a casa propria.

La figlia ha annunciato il lieto fine della battaglia del padre sul proprio profilo Facebook, con una frase che, volutamente o meno, ricorda le parole dell’anarchico Kropotkin, ma che risulta particolarmente adeguata alla vicenda del padre: “La libertà non viene data, si prende“.

Non è la prima volta   

Non è la prima volta che in Azerbaigian un oppositore ricorre allo sciopero della fame come strumento di protesta. Nel gennaio del 2019, almeno venti persone hanno protestato in questo modo contro le persecuzioni politiche nel paese, dopo che il giovane attivista Mehmad Huseynov, già precedentemente arrestato, aveva ricevuto nuove accuse. Come nel caso di Tofig Yagublu e di molti altri oppositori che coraggiosamente si scontrano con il potere, Huseynov era stato accusato di un reato difficilmente verificabile, nella fattispecie, di aver insultato un ufficiale della polizia carceraria. Secondo la giornalista investigativa Khadija Ismayilova, nel momento in cui gli attivisti scioperavano, ben dieci giornalisti si trovavano in carcere e due caporedattori avevano ricevuto capi di imputazione falsificati.

In una lettera inviata dalla prigione, gli oppositori avevano denunciato le condizioni dello stato di diritto azero spiegando di aver fatto ricorso allo sciopero della fame poiché privi di mezzi giuridici per far valere le proprie ragioni. Infatti, Elman Fattah, membro dello stesso partito Musavat in cui è impegnato Yagublu, all’epoca dei fatti spiegava ad OC Media che in passato gli oppositori politici venivano rilasciati in breve tempo grazie alle pressioni internazionali, mentre ora la repressione si è fatta più ferrea e incontrastata.

Il vicino turco

“Una nazione con due stati”, affermava Heydar Aliyev celebrando la vicinanza culturale e politica di Turchia e Azerbaigian. Ebbene, questa formula non pare smentita nel trattamento riservato agli oppositori. La scorsa primavera, infatti, in un ospedale di Istanbul, İbrahim Gökçek e Helin Bölek, sono stati lasciati morire dopo uno sciopero della fame tramutatosi in una lunga agonia di quasi un anno. I due musicisti erano parte della band musicale “Grup Yorum”, accusata di essere in qualche modo collegata al partito marxista rivoluzionario della liberazione popolare, una formazione politica illegale e accusata di terrorismo. Ciò che è certo è che la band, cantando in turco e in curdo, aveva più volte preso di mira l’operato di Erdogan.

Il lieto fine della vicenda legata a Tofiq Yagublu non era affatto scontato, basti pensare che sino a giovedì la Corte di Appello ha continuato a sostenere che la sentenza, fissata per il 28 settembre, non potesse essere anticipata.  Se il potere di Erdogan non ha esitato a lasciar morire in carcere due giovani oppositori, quello di Aliyev si è fermato appena in tempo, ma non si può abbassare la guardia, specie laddove la morsa della repressione pare farsi via via più impietosa.

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Risposta a Comunicato dell’Ambasciata della Repubblica dell’Azerbaigian in relazione alle note di fantomatiche “entità” inesistenti (Politicamentecorretto 20.09.20)

gr Dott. Salvatore Viglia,

innanzitutto ci permetta di ringraziarla per aver voluto dare voce alle nostre istanze. Abbiamo veramente apprezzato il Suo approccio libero e indipendente che mirava a fornire più informazioni possibili su una vicenda poco conosciuta in Italia.  I Suoi lettori si saranno fatti sicuramente una idea chiara di come a volte si tenta di mistificare e manipolare la realtà, anche se fortunatamente, la verità  trionfa sempre.

Siamo spiacenti comunque rilevare ancora una volta come la rappresentanza diplomatica azera in Italia (che ancora non ha risposto al nostro quesito sulla presenza dei soldati azeri nella buffer zone al confine armeno azero), cerchi di manipolare l’informazione e non soddisfatta del tentativo di voler riscrivere a proprio piacimento la storia dell’Armenia e del Caucaso faccia ora ricorso a un estremo tentativo che e’ quello di negare addirittura l’esistenza di una storica comunità armena in Italia,  definendo alcuni suoi membri e specificatamente  lo scrivente Consiglio, “entità fantomatica” e attribuendo (perfino con convinzione, sic!) le nostre missive all’Ambasciata Armena.

Sfugge difatti al nostro interlocutore  che l’Italia e l’Armenia sono legati da una millenaria storia di amicizia e rispetto. Prove di questo legame si evincono dai vari insediamenti storici sul territorio italiano, basti citare, a titolo di mero esempio, la chiesa di San Gregorio Armeno a Napoli, quella di Sant’ Andrea degli armeni a Taranto, l’Isola di San Lazzaro a Venezia e la chiesa di San Biagio armeno a Roma. Definire pertanto “entità fantomatica“ il “Consiglio per la comunità armena”, che è parte integrante della diaspora armena, ha del ridicolo e non fa altro che rafforzare l’idea che le istanze rappresentate dalla ambasciata azera non corrispondano quasi mai alla verità, e sono il frutto di una politica di disinformazione e manipolazione, che fortunatamente non trova eco nel nostro Paese, l’Italia.

A riprova di quanto sopra e a precisazione delle asserzioni riportate nell’ultimo comunicato diffuso dalla Ambasciata Azera lo scorso 19 settembre, alleghiamo la riproduzione di un pannello marmoreo collocato lungo la Via dei Fori Imperiali a Roma. Rappresenta il dominio dell’Impero Romano sotto Traiano (115). Non  e’ certo opera di qualche istituzione armena.  Chiediamo all’ambasciatore azero e ai suoi addetti se riesce a scorgere da qualche parte il nome del suo paese.  Non c’è vero?  Potremmo definire l’Azerbaigian “fantomatico”?.

Sorvoliamo volutamente sul resto delle insinuazioni e invitiamo ancora una volta la rappresentanza diplomatica azera a cercare vie di pace e di convivenza, vie di dialogo e di comprensione, rinunciando alla retorica e alle falsità che non fanno altro che alimentare tensione e incomprensione.

Non volendo abusare dell’ospitalità concessa da codesta testata, ci auguriamo di non dover dare più alcun seguito ad ulteriori interventi della controparte e di non essere costretti a smentire ancora una volta asserzioni prive di ogni fondamento storico e giuridico.

Egr. Dott Viglia, non ci rimane che ringraziarLa nuovamente per la cortese ospitalità augurandoLe un proficuo lavoro.

Con i nostri migliori saluti.

Consiglio per la comunità armena di Roma

(in allegato articolo e 2 foto cartina geografica)

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La storia (dimenticata) della prima pasticceria armena di Trieste (Triesteallnews 19.09.20)

19.09.2020 – 08.00 – La Prima Guerra Mondiale sorprese la nazione armena intrappolata tra la (relativa) tolleranza dello Zar e l’intransigente politica di “turchizzazione” dell’Impero Ottomano. Massacri, persecuzioni e conversioni forzate erano già in atto dall’Ottocento, nel disinteresse della maggioranza delle potenze occidentali; ma la Grande Guerra accelerò questo processo.
Il nazionalismo del partito al potere, “Unione e Progresso“, connesso al movimento nascente dei “Giovani Turchi“, permise uno sterminio programmato, il quale culturalmente prosegue tutt’ora nella distruzione delle chiese e degli artefatti storici armeni nei territori turchi e azerii. La scintilla che diede inizio al genocidio fu l’arresto, eseguito il 24 aprile 1915, di 600 tra notabili e intellettuali armeni di Istanbul; presto la persecuzione si allargò metodica a ogni provincia dell’impero, eliminando dapprima burocrati e militari e infine estendendosi al massacro di ogni uomo adulto.

Fu sull’onda di queste deportazioni che negli anni Venti diverse famiglie armene si unirono alla piccola comunità che sopravviveva a Trieste dai tempi di Maria Teresa d’Austria.
Garabed Bahschian era un armeno nato a Costantinopoli; dopo essere sfuggito con la sua famiglia al genocidio si rifugiò dapprima in Grecia, a Salonicco, dove lavorò come esperto di tabacchi. Si trasferì poi a Trieste trovando impiego nel Porto Nuovo (oggi Porto Vecchio) offrendo le proprie competenze specialistiche nella miscelatura dei tabacchi della locale Manifattura.
Aveva già alle spalle, però, un forte interesse per l’attività pasticciera; e decise così, nel 1924, di aprire una propria “Fabbrica di dolci orientali” in via Mazzini 5.
Il locale che era un po’ una pasticceria, un po’ un bar, un po’ un luogo di ritrovo per gli armeni di passaggio, fu un’immediato successo; e Garabed richiamò dalla Turchia i fratelli della moglie, Onnig (1887-1965) e Kevork Hovhanessian (1897-1950), entrambi pasticcieri di professione originari di Izmit, che da tempo avevano vita difficile in Turchia.

Via Mazzini, desertificata dalla crisi

La pasticceria, accanto ai locali di lavoro, aveva due vetrine in Via Mazzini dove esponeva le sue varietà di dolci; all’interno ci si poteva accomodare presso dei tavolini di marmo e assaporare le specialità della casa appena sfornate, magari accompagnate da un amarissimo caffè turco. Il successo dell’attività permise poi di aprire una succursale in via Carducci 13, all’angolo con via Reti. Quest’ultima, tra gli anni Venti e Trenta, divenne un punto di ritrovo per greci, ebrei e armeni di passaggio; e non era raro vedere il saio e la barba bianca di un padre mechitarista in viaggio tra i due monasteri rispettivamente di Vienna e di Venezia. Il fiore all’occhiello della pasticceria erano tutti i tipici dolci orientali (halvà, rahat lokum, paklava) la cui preparazione si estendeva anche alla confezione con speciali scatole di latta con l’emblema della pasticceria. Un’altra specialità era lo yogurt orientale preparato nei vasetti di terracotta che ne conservavano la freschezza.

lokum sono dei dolcetti piccoli e zuccherosi, dalla consistenza della gelatina; chiamati anche “turkish delights” vennero introdotti in Europa grazie all’Austria, perchè comparvero nel continente per la prima volta all’Esposizione Universale di Vienna (1873).
La strega bianca, ne Le Cronache di Narnia, corrompe il giovane Edmund Pevensie proprio con delle “prelibatezze turche”; sono i lokum, la cui origine turca non era sfuggita a un fervente cristiano come C. S. Lewis. Proprio la preparazione di queste delizie richiedeva nel retrobottega della pasticceria triestina la presenza di due grandi contenitori di rame, posti su un fuoco a legna. La figura del pasticciere che mescolava con una pala la melassa nei paioli divenne così il simbolo di una pasticceria che era anche, come da tradizione di Trieste, un punto di scambio culturale. La si può notare ad esempio sul cartone dell’immagine qui sotto, con tre piccoli clienti che sbirciano dal bancone.

La “fabbrica di dolci” partecipò alla Fiera di Padova e alcuni anni dopo a quella di Milano, vincendo in entrambi i casi la medaglia d’oro.
Probabilmente il maggior prestigio per la pasticceria armena fu nell’occasione del carnevale del 1936, quando il Circolo Marina Mercantile (via Rossini) vi ordinò i dolci. Il personale armeno si vestì con abiti levantini per servirli; e ci è rimasta una delle poche fotografie (vedi l’immagine di copertina) dove si può notare i due fratelli Hovhanessian, rispettivamente Onnig con il fez a destra e Kevork con il turbante a sinistra.

Scatola di una fabbrica di dolci della pasticceria armena, 1920, proprietà di Giacomo Hovhanessian, tratta dal catalogo della mostra “Armeni a Trieste”

La Seconda Guerra Mondiale e la crisi – economica e non solo – che ne conseguì causò il fallimento della storica pasticceria che chiuse verso la fine del 1945. Al di là delle difficoltà finanziarie, occorre chiedersi se era anche scomparsa la clientela e quel via vai pittoresco di greci, israeliti e ortodossi che aveva caratterizzato la città nei decenni precedenti.

Fonti: Anna Krekic e Michela Messina, Armeni a Trieste tra Settecento e Novecento: l’impronta di una nazione, Trieste, Civico Museo del Castello di San Giusto, 2008

Zeno Saracino, La nascita della comunità armena di Trieste: un difficile inizio (1770-1810), Trieste All News, 15 agosto 2020

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Il cardinale armeno che stava per diventare il primo Papa straniero. 125 anni fa nasceva Agagianian (Farodiroma 18.09.20)

Centoventicinque anni fa nasceva ad Akhatzikhe, in Georgia, il futuro patriarca armeno, e cardinale di Santa Romana Chiesa, Gregorio Pietro Agagianian, un ecclesiastico che godeva negli anni ’50 di una straordinaria popolarità a Roma e nel mondo, tanto da aver seriamente rischiato di essere Papa nel Conclave del 1958. L’eletto fu invece il patriarca di Venezia, Angelo Roncalli, Giovanni XXIII, che il 1º febbraio 1959, in un discorso al Pontificio Collegio armeno a Roma, disse: “Sapete che il vostro cardinale ed io eravamo come appaiati nel conclave dello scorso ottobre? I nostri nomi si avvicendavano or su, or giù, come i ceci nell’acqua bollente”.

Centoventicinque anni sono molti sul calendario degli uomini, ma secondo il computo di Dio, per il quale mille anni sono come la giornata di ieri e come una veglia notturna (II Pietro 3,8), si tratta di poco più dell’attimo necessario a un respiro. Se guardiamo ai nostri giorni terreni con gli occhi di Dio, sentiamo solo di essere grati di poter celebrare, ancora oggi, la vita straordinaria del nostro amato Cardinale Agagianian, ripercorrendola sin da bambino, intrepido fanciullo armeno, argilla nelle mani del Vasaio, che per tutta la sua vita incarnerà le parole di San Paolo: “non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore, essendo noi stessi vostri servitori per Cristo Gesù (II Cor.4,5)”.

Ancora in tenera età, lasciò la sua terra, la città di Akhatzikhe, in Georgia, per raggiungere Roma.
Lontano dai suoi affetti più cari, dall’amore materno.
Una mancanza che lui stesso convertirà nel suo essere padre e madre, attraverso la sua anima sacerdotale mite e schiva, la Chiesa diventerà sua Madre; dirà Mons. Garofalo nel discorso pronunciato in occasione dell’Accademia solenne per la celebrazione del Giubileo nel 1958 : Eminenza, con giusta fierezza: noi, dico, a nome del mondo di Propaganda: dai più intimi ed autorevoli collaboratori, al più oscuro missionario, all’ultimo fedele degli estremi confini del mondo; da chi ha avuto con Vostra Eminenza assidua consuetudine di vita a chi non ha mai conosciuto di persona; tutti però obbligati alla dedizione, alla mitezza, alla serena autorità di Vostra Eminenza… L’anima sacerdotale di Vostra Eminenza ha motivo di Soddisfazione Santa, per aver avuto in sorte un ministero direttamente e autorevolmente impegnato a dare compimento al più esplicito desiderio di nostro Signore:
“ Io sono il buon Pastore… e do la vita per le mie pecore”. (Gv.15,18-21)

Nel 1958 Mons. Reinold scriverà del giovane Agagianian, ricordando il suo arrivo nel 1906 al Collegio Urbano di Propaganda Fide, la mattina della festa di Ognissanti: Recandomi dal Rettore, con cuore palpitante, incontrai il giovanissimo e simpatico alunno dell’ultima camerata, Agagianian, di soli 11 anni, il quale colpì subito l’attenzione del Cardinale Gotti, Prefetto di Propaganda Fide.
E ancora: Il 2 febbraio 1907 fu per noi il giorno indimenticabile della Udienza dal Santo Padre Pio X. L’ultimo nella lunga fila, al lato del Rettore, era il Beniamino del Collegio: Agagianian e il Santo Padre prese il più piccolo alunno tra le sue braccia e gli domandò: – E dov’è rimasta la tua mamma?…- E aggiunse Papa Pio: – Oh, il piccolo Armeno avrà un giorno una grande missione nella Chiesa. Un vaticinio di un Santo! –

Sempre nel 1907 il fanciullo Agagianian, espresse un interesse singolare partecipando alla Prima Accademia Poliglotta e rivolgendosi al Cardinale Gotti prese la parola in lingua italiana: Anch’io, venuto dai monti algidi del Caucaso voglio dare il mio omaggio al venerabile Porporato della Chiesa missionaria. Un applauso di entusiasmo accolse questo saluto, che giungeva dal cuore e, più ancora, dai limiti dei due Continenti, pronunciato da questo giovane rappresentante della Chiesa Orientale.

L’ambasciatore tedesco, il Conte Rothenhan, volle intrattenersi con l’alunno armeno e nel corso della conversazione pronosticò per lui un avvenire di mediatore fra i popoli orientali e occidentali.
Che questa sua convinzione fosse profonda, lo denota il fatto che quando, dopo anni, Mons. Ludovico Reinold lo incontrò a Parigi egli gli chiese con rinnovato interesse aggiornamenti proprio su Agagianian: Che fa il giovane armeno?

Con grande fervore l’alunno Agagianian, dopo i corsi preliminari, compì gli studi filosofici e teologici con pieno successo, conseguendo a pieni voti le lauree in Filosofia, Teologia e Diritto Canonico.

L’opera e la missione che il Signore chiedeva al giovane sacerdote era estremamente difficile e impegnativa, ma lui stesso rivolgendosi agli operatori della Caritas Internazionale nel 1957 spiega e definisce che: La soluzione di tutte le difficoltà materiali e sociali è nell’amore di Dio e nella Sua bontà infinita. Una vita profondamente cristiana rafforzata dalla pratica delle virtù e della Eucarestia frequentemente ricevuta renderà più ardente e fruttuoso il loro apostolato; nel Santo Rosario, grande mezzo di battaglia, avranno l’aiuto e la protezione della Madonna, vincitrice di tutte le lotte e un accrescimento della loro vita religiosa.
Il suo pensiero nasceva da quella consapevolezza che la carità si estendeva sempre più nel campo internazionale, dove la Chiesa ha sempre lavorato per la dignità, per il bene degli uomini, per sanare le ferite, per sollevare e confortare.

Il Cardinale Agagianian dai monti algidi del Caucaso diventa allora il ponte di collegamento tra l’oriente e l’occidente, dove lui stesso parlando della vita missionaria dirà: Il Missionario diventa il figlio prediletto della Chiesa e lui stesso incarnando quel dinamismo missionario, attraverserà le terre e le isole fino ai confini del mondo, parlando e agendo con cuore missionario.

Ed anche nella sua veste di capo spirituale del suo popolo, dirige il suo sguardo verso i suoi figli della comunità armena, manifestando una responsabilità diretta e immediata … Si troverà di fronte ai detriti di un popolo radicato nelle sue province, che vive la dispersione… e il vigile pastore lì farà costruire chiese, seminari e orfanotrofi, organizzando assistenza ai poveri e agli ammalati.

Ma forse, a centoventicinque anni dalla nascita del Cardinale Agagianian, le parole che meglio custodiscono il segreto della sua linfa missionaria sono quelle che lo stesso espresse rivolgendosi ai giovani trepidanti sacerdoti: Il grado superlativo del sacerdozio è pregare, lavorare, sacrificare e sacrificarmi. Gesù sacramentale è il sole, tutto gravida attorno a Lui, il sole fisico illumina tutti i luoghi della terra, favorisce lo sviluppo della vita, riempie di gioia e di poesia i cuori degli uomini con i suoi dolci tepori e incalcolabili gradazioni di luce. Così, Gesù Sacramento può illuminare, riscaldare, vivificare la Chiesa, sviluppare la vita soprannaturale in tutti i suoi figli ed accrescerla fino a farne eroi di donazioni e di immolazione per i fratelli: eroi che si chiamano apostoli, che si chiamano santi. Prima santi poi missionari.
Ovvero prima immersi totalmente in Cristo, poi tutto il resto.

Alessandra Scotto
Ufficio Storico Pontificio Collegio Armeno

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L’isola di Padre Mechitar, in odore di santità (Metropolitano 16.09.20)

C’è un’isola, a Venezia, poco conosciuta agli stessi veneziani.
Al suo interno c’è un antico monastero e questo forse ha sempre portato a dare esclusivamente una dimensione spirituale a un luogo che accoglie chi lo raggiunge aprendogli in realtà le porte di diversi altri mondi.
Ricca di storia e di misteri, di arte, di cultura, di architetture, leggende e curiosità, l’isola è tornata alla ribalta di recente per il riavvio del processo di beatificazione del suo fondatore: l’Abate Mechitar, nato a Sebaste il 7 febbraio 1676 e ora, non per la prima volta, in odore di sanità.

L'Abate Mechitar
L’Abate Mechitar

Avrete capito che la straordinaria isola di cui scriviamo è l’Isola di San Lazzaro degli Armeni, che dal 1717 ospita l’Ordine dei Mechitaristi, fondato nel 1711.

L’isola degli Armeni, a Venezia

E’ l’unica, tra i luoghi sacri, ad aver passato indenne la furia saccheggiatrice di Napoleone Bonaparte nel 1797, quando l’imperatore distrusse tutti i monasteri e gli istituti religiosi.
Ed è qui che si incontra la prima leggenda. Cosa spinse Napoleone a risparmiare il monastero dei padri armeni dai saccheggi che avevano colpito tutti gli altri conventi?
Secondo la leggenda, quella che i veneziani chiamano una “furbata”.
Capito il rischio cui andavano incontro, i padri mechitaristi issarono a San Lazzaro la bandiera turca con la mezzaluna islamica, sostenendo di essere isola extraterritoriale.
Per non incorrere in un incidente con gli ottomani, Napoleone, quindi, soprassedette, lasciando ogni cosa come stava.
Secondo le fonti ufficiali, a salvare il monastero fu il fatto che lo stesso fu considerato un’accademia di scienze e studi.

“Bepi del giasso”: un insolito ospite

Non è l’unica storia suggestiva questa sull’isola e suoi suoi religiosi.
Un’altra leggenda tira in ballo un personaggio particolare, il campanaro “Bepi del giasso” (Bepi del ghiaccio) che, in realtà, altri non fu se non Stalin.
Il segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica nel 1907 sarebbe stato infatti, sotto mentite spoglie, nell’Isola degli Armeni per qualche tempo prima di raggiungere Lenin, in esilio in Svizzera. La narrazione vuole che Stalin, molto abile nel camuffamento e nel distruggere le prove del suo passaggio, costretto a passare per l’Italia per oltrepassare i confini elvetici, abbia fatto tappa dapprima ad Ancona e poi, appunto, a Venezia.
La sua conoscenza dell’armeno lo avrebbe favorito nella selezione del nuovo campanaro. Che fu accolto con l’umorismo tipico dei veneziani.


Considerata la sua provenienza e ricordando le terre fredde del suo Paese, il nuovo venuto fu infatti battezzato “Bepi del giasso”.
Se la storia sia vera o meno non è chiaro. Volle crederci però anche Hugo Pratt che, nel suo fumetto “La casa dorata di Sarmancanda”, la riprende legandola per sempre al suo personaggio Corto Maltese.

La straordinaria ricchezza dell’isola

Quel che è certo è invece l’immenso patrimonio dell’isola.
Grande 7.000 mq, San Lazzaro degli Armeni ha al suo centro un complesso ecclesiastico con un grande chiostro, una chiesetta, una biblioteca che contiene 170.000 volumi e 4.500 manoscritti, una tipografia fondata nel 1789 che stampa ancor oggi in 36 lingue, un grande giardino dove accanto ai cipressi amava sostare Lord George Byron e un roseto dai cui petali di rosa i padri mechitaristi ottengono una delicata marmellata di rose che vendono ai visitatori.
I padri armeni, nei secoli, sono stati gli strenui custodi di ricchezze inestimabili, di cimeli preziosi, dipinti, oggetti provenienti da scavi egiziani e romani, ceramiche e porcellane del ‘700.
I “pezzi forti” restano la mummia e il sarcofago del principe egiziano Nehmekhet del X secolo avvolta in una splendida rete di perline. Ma non sono certo di meno la statua del “re di Roma” scolpita dal Canova e un trono indiano del XIII secolo con intarsi d’avorio donata da uno Scià di Persia.

mummia
La mummia a San Lazzaro degli Armeni

Biblioteca, Pinacoteca e Gabinetto di Fisica e Storia Naturale

L’anima “atea” dell’isola è però la grande biblioteca rotonda che raccoglie libri miniati, manoscritti, incunaboli, legature in argento e smalti.
Ancora la leggenda si insinua nella descrizione di questa straordinaria biblioteca aggiungendo nell’elenco anche libri esoterici o addirittura di magia nera, rivestiti di pelle umana.
Una pinacoteca raccoglie le opere di Guardi, Palma il Giovane, Del Sarto, Bassano, G.B. Tiepolo, Canaletto, Ricci e molti altri.
C’è anche un Gabinetto di Fisica e Storia Naturale che ospita collezioni di minerali, uccelli, pesci.

La storia antica dell’isola

Prima del 1717, quando padre Mechitar ottenne dalla Serenissima quel pezzo di terra in mezzo alla laguna, l’isola ospitava (XII sec) i pellegrini infermi e si chiamava San Leone. Successivamente passò ai monaci benedettini di Sant’Ilario diventando un lebbrosario e prendendo il nome di San Lazzaro, patrono dei lebbrosi.
Quando i monaci si trasferirono a San Giovanni e Paolo l’isola fu lasciata in abbandono.

L’Abate Mechitar da Sebaste

Rifabbricato convento e chiesa,  Padre Mechitar vi sviluppò le sue iniziative di carità e di cultura, raccogliendo giovani armeni, istruendoli e provvedendo anche alla diffusione del sapere  nel lontano Oriente con l’invio delle migliori opere ascetiche, letterarie e scientifiche, tradotte dalle varie lingue in armeno  poi stampate nella tipografia nata nel 1789.

Mechitar
L’Abate Mechitar di Sebaste

A San Lazzaro, Mechitar si prodigò per salvaguardare la lingua armena classica, con cui compose una Bibbia nel 1735 oltre a un dizionario di armeno nel 1749, nell’anno della sua scomparsa.
Successivamente la congregazione ricevette in dono alcune rendite da parte di un ricco armeno, Samuele Morath, con le quali fu possibile fondare il collegio per gli orfani armeni a Palazzo Zenobio ai Carmini.

I pellegrinaggi e le suppliche

La venerazione di padre Mechitar (che significa “il consolatore”) non è mai venuta meno dal 1749 fino ai giorni nostri.
Continui pellegrinaggi sono fatti alla sua tomba ai piedi dell’altare maggiore della chiesetta nell’isola di San Lazzaro da parte della comunità armena nel mondo e dagli stessi veneziani e isolani che gli hanno indirizzato suppliche, istanze e ottenuto grazie.
L’8 settembre 2020, nella ricorrenza del giorno in cui padre Mechitar, nel 1717,  fece il suo ingresso ufficiale nell’isola di San Lazzaro assieme ai confratelli della congrega che aveva fondato nel 1700 a Costantinopoli, è stato riavviato per lui il processo di beatificazione.

Come raggiungere San Lazzaro degli Armeni

L’isola è raggiungibile con il vaporetto della linea 20 dalla fermata di San Zaccaria con un solo orario di andata (S. Zaccaria – S. Lazzaro): 15.10 e uno di ritorno (S. Lazzaro – S. Zaccaria): 17.25.

C’è una visita guidata ogni giorno alle 15.25. Per prenotare contattare il numero 041 731490.

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Risposta ad articolo Ambasciata Azerbaigian del 14.09.2020 (Politicamentecorretto.com 15.09.20)

Spett.le Redazione,

ancora una volta il regime azero (che ha molti interessi economici con l’Italia ma rimane una dittatura a tutti gli effetti) rilancia la propria propaganda fondata su false asserzioni storiche e politiche come si evince dal pezzo del 14 settembre u.s. (sugli “insediamenti illegali degli armeni”) da voi pubblicato.

Dopo aver innescato violenti scontri al confine con l’Armenia nello scorso luglio (e l’ambasciatore azero in Italia ancora non ha risposto alle nostre domande sulla presenza di uomini e mezzi del suo Paese nella buffer zone…), dopo aver minacciato di bombardare la centrale armena di Metzamor (sic!), dopo aver sfidato le organizzazioni internazionali allestendo pericolose esercitazioni militari turco-azere a pochi chilometri dal confine con l’Armenia, l’Azerbaigian se la prende ora con una (una!) povera famiglia di sfollati armeni che ha dovuto lasciare Beirut avendo perso casa e averi nella terribile esplosione del porto.

Il concetto di solidarietà è davvero sconosciuto a questa dittatura che continua ad avere le carceri piene di oppositori politici e giornalisti.

Se l’Azerbaigian volesse veramente la pace, non farebbe continuo ricorso a campagne di retorica e di disinformazione e si metterebbe, insieme alle parti in causa, intorno al tavolo negoziale, così come auspicato dall’Armenia e dalla comunità internazionale, cercando di trovare senza precondizioni, la migliore soluzione di compromesso per il benessere del suo popolo e di quello dei suoi vicini.

Consiglio per la comunità armena di Roma

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Ambasciata della Repubblica dell’Azerbaigian. L’Azerbaigian contro i reinsediamenti illegali degli armeni nei territori occupati

Hikmat Hajiyev, Assistente del Presidente della Repubblica dell’Azerbaigian, e il Ministero degli Affari Esteri dell’Azerbaigian, sono intervenuti su un tema di grande importanza e preoccupazione.

Hikmat Hajiyev ha sottolineato come l’Armenia, che occupa da quasi tre decenni la regione azerbaigiana del Nagorno Karabakh e i sette distretti adiacenti “sta conducendo una politica di insediamento illegale nei territori occupati dell’Azerbaigian e recentemente ha lanciato una politica di reinsediamento lì degli armeni dal Libano”.

Hajiyev ha aggiunto che sono presenti online notizie su una famiglia del Libano reinsediata nella città azerbaigiana di Shusha – “destinazione di massimo significato storico e morale per l’Azerbaigian”.

“Mentre gli altri paesi del mondo, compreso l’Azerbaigian, stanno affrontando la questione dell’eliminazione delle conseguenze della tragedia che ha colpito il Libano e offrendo assistenza umanitaria, l’Armenia sta sfruttando questa tragedia e le difficoltà delle persone, per perseguire il suo sordido programma. In tal modo, l’Armenia ha dimostrato ancora una volta di non riconoscere valori morali ”, ha sottolineato Hajiyev.

“La popolazione reinsediata nei nostri territori occupati è diventata vittima della politica spericolata e avventurista dell’Armenia. La politica di insediamento illegale nei territori occupati dell’Azerbaigian non ha validità e l’Azerbaigian rifiuta categoricamente il suo esito “, ha sottolineato l’assistente del presidente.

Hajiyev ha affermato anche che l’Armenia sta usando come mercenari le persone del Libano e della Siria reinsediate nei territori occupati.

“L’Armenia mira ad alterare la situazione demografica nei territori occupati dell’Azerbaigian perseguendo la politica degli insediamenti illegali. La stessa politica è una flagrante violazione del diritto internazionale umanitario, inclusa la Convenzione di Ginevra del 1949. Secondo la Quarta Convenzione di Ginevra relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra, la potenza occupante non può trasferire la sua popolazione civile nel territorio che occupa “, ha detto l’assistente.

“Secondo il diritto internazionale, il perseguimento di una politica di insediamento illegale da parte della potenza occupante nei territori occupati, dovrebbe essere classificato come un crimine militare. A questo proposito, la politica degli insediamenti illegali dell’Armenia nei territori occupati dell’Azerbaigian è un crimine militare ”, ha osservato Hajiyev.

“Ironia della sorte, tali azioni sono considerate un crimine dalla stessa legislazione dell’Armenia. Nell’articolo 390 del codice penale armeno, la deportazione della popolazione locale da parte della potenza occupante e il trasferimento della sua popolazione nei territori occupati è una grave violazione del diritto internazionale umanitario, punibile con 8-12 anni di reclusione “, ha detto l’assistente del presidente.

Hajiyev ha sottolineato che l’atto di aggressione dell’Armenia perpetrato in direzione del distretto di Tovuz in Azerbaigian, lungo il confine di stato tra i due paesi questo luglio e un tentativo di effettuare un’operazione di sovversione attraverso la linea di contatto, rivela che l’Armenia si sta preparando per l’ennesima provocazione.

“Inoltre, negli ultimi giorni, l’Armenia ha ricominciato a dichiarare esplicitamente, attraverso il suo regime fantoccio in Karabakh, la sua intenzione di occupare altre aree dell’Azerbaigian e ha minacciato di lanciare un attacco missilistico sulla città di Ganja ”, ha affermato l’assistente.

“La retorica infiammatoria del Primo Ministro e Ministro della Difesa dell’Armenia e le loro azioni e altri passi di tale natura, confermano ancora una volta che l’obiettivo della leadership armena è di interrompere completamente il processo di negoziazione e assicurare l’annessione dei territori occupati dell’Azerbaigian”, ha aggiunto Hajiyev.

“L’Armenia deve ritirare le sue truppe dai territori occupati dell’Azerbaigian per ottenere progressi nella risoluzione del conflitto Armenia-Azerbaigian. Il conflitto deve essere risolto solo ed esclusivamente in linea con l’integrità territoriale, la sovranità e l’inviolabilità dell’Azerbaigian e dei suoi confini internazionalmente riconosciuti “, ha sottolineato Hajiyev.

Anche il Ministero degli Affari Esteri dell’Azerbaigian ha manifestato una forte protesta ai copresidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE, riguardo al reinsediamento degli armeni dal Libano verso la regione azerbaigiana del Nagorno-Karabakh.

Come Hikmat Hajiyev, anche il Ministero ha fatto riferimento a video presenti in internet.

“Dopo l’esplosione a Beirut, l’Armenia, utilizzando la tragedia in questo paese per i propri scopi nefasti, ha iniziato ad attuare piani per il reinsediamento degli armeni libanesi nel Nagorno-Karabakh e nelle aree circostanti, territori riconosciuti a livello internazionale dell’Azerbaigian e attualmente sotto occupazione militare dall’Armenia. Questo l’attività illegale è una grave violazione delle norme e dei principi del diritto internazionale da parte dell’Armenia, inclusa la Convenzione di Ginevra del 1949 e dei suoi protocolli aggiuntivi, nonché gli obblighi assunti dalla stessa Armenia “, ha osservato il MAE.

“Lo scopo dell’Armenia, che persegue una politica di insediamento illegale, è chiaro. In questo modo, sta cercando di rafforzare i risultati della pulizia etnica nei territori occupati, lo status quo basato sull’occupazione ”, ha detto il ministero.

“L’Armenia, che sta cercando di aumentare artificialmente il numero di armeni nelle terre occupate dell’Azerbaigian, reinsediando illegalmente gli armeni etnici che non hanno nulla a che fare con la regione, ha impedito il ritorno degli sfollati interni azerbaigiani espulsi con forza dal Nagorno- Karabakh e le aree circostanti e i cui diritti umani sono stati violati, alle loro case e proprietà da quasi 30 anni ”, ha sottolineato il Ministero degli Esteri.

La leadership armena, che cerca di intensificare le tensioni nella regione e lo ha recentemente dimostrato apertamente con le sue azioni e dichiarazioni provocatorie, sta minando la soluzione negoziata del conflitto con la sua politica di annessione.

Il MAE ha fatto appello alla comunità internazionale perché prenda provvedimenti concreti per identificare la responsabilità del governo dell’Armenia dell’occupazione dei territori azerbaigiani e delle attività illegali ivi condotte.