Cultura italiana nel mondo – Armenia – I Maestri del vedutismo veneziano a Erevan (Italiannetwork 07.09.20)

Quattro maestri veneziani ambasciatori d’Italia in Armenia. Quattro vedute veneziane del Canaletto, di Bernardo Bellotto, di Michele Marieschi e di Francesco Guardi  in mostra a Erevan, dal 3 settembre al 4 ottobre, per festeggiare l’Italia all’inizio dell’anno di guida della Rete degli Istituti di Cultura dell’Unione Europea (Eunic), che ha sede nella capitale armena.

I dipinti, di proprietà della collezione della Casa Museo della Fondazione Paolo e Carolina Zani per l’arte e la cultura, sono esposti in una sala centrale del Palazzo presidenziale

Quattro capolavori settecenteschi del vedutismo. Opere di Giovanni Antonio Canal ”il Canaletto”, Bernardo Belotto, Michele Marieschi e Francesco Guardi. I dipinti, sono parte del  patrimonio della collezione della Casa Museo della Fondazione Paolo e Carolina Zani per l’ arte e la cultura, sono  esposti in una sala centrale del Palazzo presidenziale.

Il progetto – sotto l’ Alto Patronato congiunto dei Presidenti della Repubblica dei due Paesi – si inserisce tra le iniziative promosse dall’ ambasciatore italiano a Erevan Vincenzo Del Monaco in occasione dell’ insediamento dell’ Italia alla presidenza dell’Eunic.

”Canaletto, Bellotto, Marieschi e Guardi – spiegano i curatori – erano consci, attraverso le loro vedute di Venezia, di offrire l’ultimo frammento di una memoria e, al contempo, il principio di una contemporaneità fatta di ‘ritratti’ ogni volta differenti: nelle acque delle calli e in marmi e pietre incrostate di salmastro, nelle ombre e riflessi, nell’aria particolarissima di una città che generazioni d’artisti hanno saputo rendere tramite colori leggeri o intensi, trasparenti e mutevoli”. La città, dunque, come opera d’arte ”che salda in piazza San Marco ogni memoria. Una piazza che incarna Venezia stessa, rappresentandone il fulcro degli interessi politici e cerimoniali, sociali, religiosi, sede del potere dogale e simbolo della ricchezza della Repubblica”.

Obiettivo dell’EUNIC – sede a Bruxelles da 2007 – è creare una rete di collegamento e di partenariato tra le istituzioni culturali degli stati dell’ Unione Europea per promuovere lo scambio e la comprensione, il dialogo internazionale e la collaborazione con i paesi al di fuori dell’ Europa.(07/09/2020-ITL/ITNET)

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Nota dal Consiglio per la Comunità Armena di Roma in merito al ‘Nagorno-Karabakh’ (Ivl24.it 07.09.20)

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO la lettera inviataci dal Consiglio per la Comunità Armena di Roma in merito al nostro articolo pubblicato lo scorso 2 settembre a firma del nostro Professore carmine Cassino e dal titolo “Un plebiscito di tutti i giorni”: breve viaggio nell’Europa delle insolite identità nazionali

ROMA – Spett. Redazione,

ci sia consentita una precisazione in merito all’articolo a firma di Carmine Cassino pubblicato lo scorso 2 settembre e dedicato a un saggio di Graziano Graziani sulle micronazioni.

Fra queste viene anche citata la repubblica del Nagorno Karabakh (Artsakh)  che nel testo viene definita “una regione geopoliticamente da sempre appartenuta all’Azerbaijan”.

Nulla di più sbagliato.

Negli anni Venti, dopo la progressiva sovietizzazione di tutta l’area caucasica, più volte i Congressi del popolo regionali chiesero l’unificazione con il soviet dell’Armenia giacchè il 95% della popolazione era di tale etnia. Invano. Stalin, per una sua strategia politica, decise di concederla al pari del Nakhchivan all’Azerbaigian di cui mai aveva fatto parte.

I monasteri, i katchkar, le chiese armene disseminate tra le valli del piccolo Nagorno Karabakh attestano una storia incontrovertibile; tra le mura del monastero di Amaras nacque l’alfabeto armeno nel quinto secolo d.C. e nonostante occupazioni da parte di popolazioni limitrofe la lingua armena e la fede cristiana sono rimaste elemento peculiare della popolazione.

Oggi la propaganda azera tenta di riscrivere la storia puntando su un’appartenenza durata solo nei settanta anni di Unione sovietica e cerca di trasformare il regalo di Stalin in un diritto acquisito nei secoli.

Grazie per l’attenzione che vorrete dedicare a questa precisazione

Cordiali saluti e buon lavoro.

CONSIGLIO PER LA COMUNITA’ ARMENA DI ROMA

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Hotel Gagarin: Amendola e Argentero insieme in Armenia. Ecco le location del film (Donnaglamour.ir 06.09.20)

Nel 2018 il regista Simone Spada ha portato nelle sale cinematografiche Hotel Gagarin: il film è stato girato in Armenia, ecco le location.

Hotel Gagarin è una delle opere più celebri del regista Simone Spada: uscito nelle sale cinematografiche nel 2018, il film ha incassato in Italia 390 mila euro, meno di quanto avrebbe probabilmente meritato. La trama della commedia è basata sulla storia di un’improvvisata compagnia cinematografica italiana che si ritrova costretta a restare in Armenia all’interno dell’hotel Gagarin che dà il titolo alla pellicola: vediamo ora quali sono le affascinanti location di questa pellicola.

Hotel Gagarin: le location del film

Quello che nel film viene presentato come l’Hotel Gagarin, che dà il titolo alla pellicola, è in realtà l’Akhtamar Hotel, che si trova nella città di Sevan a pochi passi dal lago di Sevan.

Le riprese della commedia si sono svolte tra il mese di gennaio e quello di febbraio del 2018: oltre che nelle già citata di Sevan, il regista, gli attori, le attrici e tutti gli addetti ai lavori hanno lavorato anche nella capitale Erevan, dove si trova anche l’aeroporto nel quale arrivano dopo il viaggio dall’Italia.

Hotel Gagarin: il cast del film

I principali protagonisti di Hotel Gagarin sono Elio, l’elettricista ingaggiato come tecnico delle luci, che è interpretato da Claudio Amendola, Sergio, il fotografo assunto come operatore, che è impersonato da Luca Argentero, Nicola, l’autore del racconto Il viaggio di Marta da cui dovrebbe essere ispirato il film che l’improvvisata troupe deve girare in Armenia. A vestire i panni di quest’ultimo personaggio è Giuseppe Battiston.

Tra le protagoniste femminili troviamo invece Silvia D’Amico e Barbora Boulova. Nel cast del film ci sono anche Philippe Leroy, Caterina Shulha, Tommaso Ragno e Paolo De Vita, quest’ultimo interpreta Conversano, un presagio creato per rendere omaggio al film Mediterraneo di Gabriele Salvatores.

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Giacomo Ciamician: un armeno “triestino” profeta dell’energia solare (triesteallnews 05.09.20)

05.09.2020 – 09.45 – Nello scenario della convention di ESOF2020, accanto all'(obbligato) argomento del Covid-19, largo spazio è stato dedicato al cambiamento climatico e alla necessità di un Green New Deal ormai accettato negli Stati Uniti, ma raramente dibattuto in Europa.
In quest’ambito la tecnologia solare svolge un ruolo rilevante, continuando a essere attrattore di investimenti e progetti. Trieste giocò in quest’ambito un ruolo preciso, perchè fu proprio un triestino uno tra i primi scienziati a profetizzare l’uso dell’energia solare contrapponendosi all’abuso dei combustibili fossili.
Giacomo Luigi Ciamician (1857-1922) era infatti un triestino dalle origini armene, passato alla storia per essere stato il primo chimico italiano ad essere stato candidato al Premio Nobel. I suoi studi nel campo della chimica organica lo condussero a ideare la nuova disciplina della fotochimica, della quale è considerato il “padre”. Quando sintetizzò per la prima volta questa nuova disciplina, nel 1912, in un discorso a New York, profetizzò l’avvento dell’energia solare. Un insight notevole, specie considerando come Ciamician fosse cresciuto nell’era del vapore e del carbone; a quell’epoca l’industria del petrolio muoveva ancora i suoi primi passi (o meglio, le sue prime ruote gommate).
“E anche se in un futuro distante – disse Ciamician – le scorte di carbone verranno completamente esaurite, la civiltà non sarà messa in scacco, perché vita e civilizzazione continueranno finché il sole continuerà a splendere!”.

Ma chi era Giacomo Ciamician? E come giunse a queste conclusioni?
I conseguimenti degli armeni nel campo linguistico, scientifico e generalmente culturale si riverberano nella vita di Ciamician, il quale nacque ai tempi della Trieste asburgica il 27 agosto 1857. La famiglia era nota nell’ambiente armeno triestino a causa dello zio paterno che era stato un padre Mechitarista; e Giacomo stesso vantava quale antenato Padre Michele Ciamician, un esule di Costantinopoli trapiantato a Venezia, famosissimo nella “nazione” per aver scritto il monumentale “Storia degli armeni“. Oltre tremila pagine dove si narrava l’epopea e le sventure del popolo armeno conferendogli una chiara identità nazionale finora limitata all’eredità religiosa.

Dopo essere rimasto orfano del padre in tenera età, Giacomo frequentò l’Accademia di Commercio e Nautica di Trieste, vero “crocevia” di passaggio di tanti scienziati triestini a cavallo tra ottocento e novecento.
Giacomo nell’occasione rimase a tal punto impressionato dagli studi di chimica applicata di Augusto Vierthaler da sceglierla come materia di studio all’Università di Vienna, dove si trasferì nel 1874. Ciamician alternò nei suoi primi anni universitari l’impegno presso la sezione di chimica del Politecnico e gli studi presso la Stazione Zoologica di Trieste. Quello stesso istituto che vedeva partecipe, peraltro nello stesso decennio, un giovanissimo Sigmund Freud intento a studiare la vita sessuale delle anguille. Dopo aver conseguito il titolo al Politecnico di Vienna per l’insegnamento della chimica nelle Scuole Reali, passò a laurearsi in filosofia all’Università di Giessen (aprile 1880). Nello stesso anno Ciamician abbandonò gli ambienti austro-tedeschi a favore di Roma, dove continuò a studiare il “pirrolo“, proseguendo con l’Istituto di Chimica romano gli studi intrapresi già a Vienna nel 1879. Il pirrolo è una materia che si trova nel catrame e nei residui animali; lo studio di Ciamician, tra i primi su questa sostanza, rappresentò un passo fondamentale per la chimica organica, permettendo di scoprire che il gruppo del pirrolo componeva il nucleo centrale del verde delle foglie e “colorava” di rosso il sangue. Le ricerche di Ciamician in quest’ambito proseguirono per 25 anni, concretizzandosi in due gigantesche monografie, che gli fruttarono il Premio Reale dell’Accademia dei Lincei (1887).
Il riconoscimento gli permise di vincere il concorso per la cattedra di Chimica Generale all’Università di Padova a cui seguì, dopo solo due anni, quella di Bologna (1889), dove sarebbe rimasto a insegnare e a far ricerca fino alla morte (1922).

Da Cellatica alla capitale dell’Armenia (Bresciaoggi 04.09.20)

Quattro tele della Fondazione Zani di Cellatica sono volate a Erevan per la mostra «Venezia e Piazza San Marco. Il Settecento in quattro capolavori», allestita alla sede della Presidenza della Repubblica di Armenia. Dipinte nel ‘700 da Canaletto, Bellotto, Marieschi e Guardi, le opere saranno esposte nella capitale armena fino al 4 ottobre, celebrando da un lato il mito storico della Serenissima e il suo più noto simbolo artistico immortalato dai quattro vedutisti, dall’altro il nostro Paese, da qualche giorno tra l’altro alla guida di Eunic, la Rete degli Istituti Europei di Cultura. È questa solo l’ultima delle iniziative che vede come protagonista la prestigiosa collezione d’arte della Casa Museo di via Fantasina, intitolata a Paolo e Carolina Zani. IMPRENDITORE di successo nei settori combustibili e immobiliare (era a capo di Liquigas, di ReteItalia e del Gruppo Brixia), straordinario sostenitore del ciclismo professionistico, Paolo Zani (Brescia 1945-2018) fu anche un geniale e raffinato collezionista d’arte. In oltre 30 anni di intensa e appassionata attività, ha raccolto oltre un migliaio di opere nella casa di famiglia di Cellatica, dove con la moglie Patrizia e la figlia Carolina per molti anni ha letteralmente «abitato l’arte». Artefice del rilancio di questa singolare presenza culturale è il direttore Massimiliano Capella, professore di Storia del Costume e della Moda all’Università degli Studi di Bergamo. «I visitatori possono qui ammirare oltre 850 opere, soprattutto di arte barocca veneziana, romana e francese – sottolinea – Oltre a questi capolavori di Canaletto, Guardi, Bellotto e Marieschi, ci sono dipinti di Tiepolo, Longhi, Boucher e sculture del genovese Filippo Parodi e romane dei Della Porta, preziosi arredi barocchi e rococò, principalmente francesi e veneziani, e straordinari oggetti d’arte applicata del XVII e XVIII secolo. La Casa Museo – racconta – conserva il gusto e le scelte estetiche di Zani, le sue predilezioni stilistiche, cromatiche e le sue esigenze abitative quotidiane». Nelle sue forme principali la villa conserva il disegno originario dell’architetto Bruno Fedrigolli (1921-1995), noto per aver progettato il Crystal Palace, la Camera di Commercio e il celebre Cordusio. Fino al 25 ottobre inoltre la Casa Museo ospita «La Cleopatra Barberini», capolavoro del Seicento di Giovanni Lanfranco. Nello stesso periodo altre due opere saranno ospiti della Casa Museo della Fondazione: «Capriccio con rovine di tempio e chiesa» e «Capriccio con veduta della laguna di Venezia» di Francesco Guardi. Il 19 alle 18 verrà eseguita in prima assoluta in tempi moderni la cantata composta nel XVII secolo da Marco Marazzoli e ispirata al dipinto, con il controtenore Raffaele Pe. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Comunità Armena di Roma: “L’Armenia sarà anche un Paese in via di sviluppo e ancora povero. Ma meglio poveri e dignitosi che ricchi e guerrafondai”. (Sardegnagol 03.09.20)

Continua in modo incessante lo scambio di vedute a mezzo stampa sulla nostra testata giornalistica tra l’Ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian in Italia, Mammad Ahmadzada, e la Comunità Armena di Roma.

Recentemente l’ambasciatore azero in Italia era intervenuto sulla recente recrudescenza dell’ostilità tra l’Armenia e lo Stato azero, ribadendo che “La soluzione del conflitto passa dal ripristino dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian”. Posizione criticata dalla Comunità Armena di Roma che ha tacciato di negazionismo l’intervento del rappresentante della Repubblica dell’Azerbaigian in Italia.

Ambasciatore Mammad Ahmadzada
Ambasciatore Mammad Ahmadzada

L’Ambasciatore Ahmadzada, pochi giorni fa, è tornato sulla questione attribuendo al Consiglio della Comunità Armena di Roma, l’assenza di argomenti per nascondere la natura aggressiva dell’Armenia contro l’Azerbaigian.

Oggi, invece, la Comunità Armena di Roma ha fatto recapitare una nuova controreplica, alle dichiarazioni dell’Ambasciatore azero, alla nostra testata.

Egr. direttore,
i Suoi lettori hanno avuto modo di leggere nei giorni scorsi il confronto a distanza sulla irrisolta questione del conflitto del Nagorno Karabakh e La ringraziamo per lo spazio che ha voluto dedicare a tale tema.

L’ambasciatore Ahmadzada – che ringraziamo per aver accettato il confronto con la nostra piccola realtà – ha dunque ritenuto opportuno controreplicare tempestivamente alla nostra precedente risposta. Dobbiamo rilevare però che lo stesso elude ancora una volta le nostre domande sugli scontri dello scorso luglio e sulla responsabilità degli stessi preferendo accusare la parte armena di non avere argomenti.

Ribadiamo le domande: “Cosa ci faceva il 12 luglio scorso un veicolo militare azero nella zona cuscinetto sul confine azero armeno? Cosa ci facevano i soldati azeri nella stessa buffer zone?”.

Baykar Sivazliyan
Baykar Sivazliyan

Sua Eccellenza Ahmadzada definisce “campagna diffamatoria contro l’Azerbaigian” l’evidenza delle organizzazioni internazionali che collocano il suo Paese tra gli ultimi al mondo per libertà di informazione (Freedom press index) e tra i più corrotti (Corruption perception index) utilizzando un linguaggio tipico dei regimi totalitari. A titolo esemplificativo facciamo presente che la classifica mondiale sulla libertà di informazione (Freedom press index) colloca l’Armenia al 61° posto (venti gradini sotto l’Italia, 41a) mentre l’Azerbaigian è al 167° posto e la Turchia al 154°. Con tutti i limiti e le difficoltà di sviluppo della società civile e politica armena, il paragone evidenzia posizioni ben differenti. Non lo diciamo noi, ma le organizzazioni internazionali che chiedono la liberazione di giornalisti e attivisti azeri imprigionati a centinaia nelle carceri di Aliyev la cui famiglia – altro dato significativo – da oltre trenta anni governa il Paese.

Il diplomatico di Aliyev piuttosto che analizzare (come potremmo d’altronde dargli torto…) i problemi di casa propria preferisce divagare sulla storia politica dell’Armenia che al pari dell’Azerbaigian nel 1991 concluse la propria esperienza nell’Unione sovietica e che in questi trenta anni di storia, senza dubbio politicamente ed economicamente travagliata, ha saputo però progressivamente disegnarsi un ruolo di Paese sempre più democratico e partner fidato dell’Unione europea.

Yerevan, Foto di Makalu da Pixabay
Yerevan, Foto di Makalu da Pixabay

Conveniamo tuttavia con il nostro interlocutore allorché individua nell’obiettivo della Diaspora lo sviluppo e la prosperità della propria patria; se non che, ritiene che questo risultato sia perseguibile solo attraverso linee da lui dettate L’Ambasciatore chiede la normalizzazione delle relazioni dell’Armenia con i suoi vicini che sono, oltre a Georgia e Iran, la Turchia che continua a negare il genocidio armeno e il cui presidente anche recentemente ha minacciato di “proseguire l’opera dei padri” (ovvero lo sterminio degli armeni) e l’Azerbaigian che da decenni ha fatto dell’armenofobia il cardine della propria politica estera.

Insomma, secondo Ahmadzada l’Armenia potrebbe stare tranquilla solo rinunciando alla propria dolorosa memoria e al proprio futuro, ovvero alla libera, indipendente e pacifica esistenza del popolo del Nagorno Karabakh-Artsakh.

L’Armenia sarà anche un paese in via di sviluppo e ancora povero. Ma meglio poveri e dignitosi che ricchi e guerrafondai.

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Mechitar, martedì 8 a Venezia riparte la causa per la beatificazione. Rito con il Patriarca in San Martino di Castello (Genteveneta 02.09.20)

Si riapre martedì 8 settembre, con un rito che si terrà a Venezia, la causa per la beatificazione e la canonizzazione del Servo di Dio Abate Mechitar di Sebaste, fondatore della congregazione armena mechitarista.

Il rito si terrà nella chiesa di San Martino di Castello, alle ore 16, e sarà presieduto dal Patriarca Francesco. Durante la cerimonia si terrà anche il giuramento degli ufficiali di causa, tra cui il Patriarca stesso, don Benedict Ejeh, Preside della Facoltà di Diritto canonico, e don Pierpaolo Dal Corso, notaio di Curia e docente presso la Facoltà di Diritto canonico.

Mechitar nacque con il nome di Petros Manuk a Sivas (l’antica Sebaste), in Anatolia, il 7 febbraio 1676 ed entrò nel monastero di “Surp Nshan” (della Santa Croce), assumendo il nome di Mechitar (ovvero “Consolatore”). Nel 1696, all’età di vent’anni, fu ordinato prete.

Fu ispirato dall’idea di creare un ordine dedicato alla pratica spirituale e alla ricostituzione spirituale del popolo armeno; a questo scopo diede vita a Costantinopoli nel 1701 all’ordine che da allora porta il suo nome.

Due anni dopo, insieme ai suoi confratelli, riuscì a mettersi in salvo dalle persecuzioni delle autorità Ottomane: l’ordine si trasferì verso Modon nel Peloponneso (conosciuta anche come Morea), allora possedimento della Repubblica di Venezia.

Nel 1715 costruì il monastero di San Lazzaro degli Armeni, in un’isola della laguna di Venezia. È ancora oggi considerato il pioniere della rinascita della letteratura armena in lingua classica, in particolare per aver composto un’edizione della Bibbia nel 1735, ed aver compilato un Dizionario di armeno nel 1749.

Si spense il 27 aprile 1749 nel convento dell’isola di San Lazzaro degli Armeni. La sua morte, sopraggiunta dopo una lunga malattia, mise in lutto, oltre che l’isola di San Lazzaro, l’intera Venezia.

«Mechitar – ha sottolineato qualche tempo fa il Patriarca Francesco – inaugura di fatto “una Scuola dei Lumi cristiana”, perché la sua fiducia nella ragione si rivela come reale fiducia in una ragione illuminata dalla fede, in una ragione che non può perciò essere limitata in una chiave e in una visione riduttiva o parziale, legata all’esperienza storica dell’Illuminismo. Da sempre il magistero della Chiesa ci insegna, infatti, ad operare uno sguardo sulla realtà che è, ad un tempo, di fede e di ragione; ci si occupa dell’uomo affermandone e promuovendone le differenti dimensioni. L’uomo è persona, identità propria, irripetibile e insieme è relazione; nell’uomo non è possibile disgiungere la dimensione e il senso verticale (Dio) dalla dimensione e dal senso orizzontale (la relazione con il prossimo)».

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Ode ad Armine, a cui non frega nulla di fare l’icona anti body shaming (Temoi 02.09.20)

Sognavano le palingenesi e hanno pestato una bovazza. Ora lei parla a Repubblica e scopriamo che per Gucci ha sfilato una volta sola, che mica è una modella professionista, che in questi giorni si sta facendo una padella di fatti propri ad Erevan, capitale dell’Armenia, e non ha la più pallida idea del perché in Italia si parli tanto di lei dal nulla e a caso, sottinteso: ce la fate voi italiani?

Lei è Armine Harutyunyan, quella che i bravi solipsisti ci hanno venduto per giorni come la “musa di Gucci”, “bellezza non convenzionale”, “vittima di body shaming”, “volto della diversity”, “simbolo dell’inclusione e della body positivity”, che “sfida gli standard”, “bersaglio degli haters” e della “cultura dello hate sharing”. Già lì doveva venirci il dubbio.

Comunque: grazie al solito perverso effetto social Armine è diventata il caso di fine estate, e dopo aver pagato pegno per il colonialismo dei padri, il razzismo sistemico, la fame del terzo mondo, l’immigrazione, i morti in mare, i femminicidi, la disparità di genere, l’omofobia, il fascismo, la xenofobia, il sessismo, l’islamofobia, la transfobia, il negazionismo climatico e pandemico, ora ci tocca la rieducazione a ciò che muove il mondo e cantori del mondo fin dai tempi di Omero, Elena e Briseide: donne e bellezza.

Per colpa dei @peppe75 della rete abbiamo così subìto articolesse e omelie su etica, estetica, Platone, Almodovar, il fenotipo armeno, la fashion semiology, il bungabunghismo berlusconiano, la scuola di Barthes, l’emancipazione, la Venere di Milo e sorelle, André Gide, la vitiligine, le curvy: ai disprezzatori della rete capaci solo di cinquantacinquemila sfumature volgarissime di un semplice “oddio che brutta questa Armine” è stato infatti risposto con lenzuolate di complessità – tutta logorrea democratica e sbronza giacobina – sulla relatività del bello e l’immancabile calata di ghigliottina sul maschio tossico da rieducare perché non è mica bello ciò che è bello ma è bello ciò che non piace a lui che non sa distinguere una accompagnatrice da un “puntello narrativo”: così Jonathan Bazzi sulla newsletter di Domani e su chi fa “coming out di ignoranza” e “la libido maschile misura di tutte le cose”. “Torna in mente Schopenhauer” scrive Flavia Piccinni sull’Huffington Post, dopo aver denunciato “l’imperante misoginia, e le dinamiche tossiche che continuano a essere alla base dei rapporti maschio/femmina ove tutto è filtrato attraverso l’apparenza” e parlando della “miseria stereotipata che ci meritiamo”.

LO SCIAME DEI PHILOSOPHES, IL MARKETING DI GUCCI

Lo sciame dei philosophes invade la rete per randellare @peppe75 ma anche le (poche) voci, vedi Elena Loewentahl o Marina Terragni, che dicono che Armine non è bella, che Gucci fa marketing. Il che è verissimo: di quel genio di Alessandro Michele, direttore creativo della maison italiana che secondo tutti sta “rivoluzionando l’idea di bellezza” ora sappiamo che sa fare benissimo il suo lavoro, che con una sconosciuta dell’Armenia ha ottenuto più di quanto sia riuscito a fare con la modella con la sindrome di down e insieme la collezione “my body my choice” e il ricamo “22.5.78” creata per rendere omaggio alla 194, più che con le ossute modelle taglia 34 in spregio ai codici antianoressia, più di tutte le donne non belle (no dico, le avete viste le eredi Gucci delle supertop degli anni Novanta scelte da quegli evidentemente libidinosi maschi tossici chiamati Versace, Armani o Valentino?) scelte da Michele perché nell’epoca queer e tuttifluidi sono le portatrici sane di un motivo per essere stigmatizzate a diventare “un caso”.

E così, mentre Gucci vende, con lo stesso meccanismo speculare a quei bifolchi che riducono la bellezza a un mero dato estetico formale, i nobili editorialisti ci hanno spiegato che la bellezza sarebbe in pratica come il dito medio di Cattelan, che è tanto bello ma va spiegato e le masse non lo capiranno mai. Poi, il colpo di scena. Dopo due settimane di nobilitazione del naso adunco e del monosopracciglio armeno, fermi tutti: Armine Harutyunyan, l’intensa, brillante, almodovariana Armine risponde a Repubblica.

«NON SONO SOLO UNA FACCIA», PRENDANO APPUNTI HATERS E SALOTTI

E che dice? Dice boh, che “onestamente” non sa perché si parla di lei, “davvero non me lo spiego, anche perché ho sfilato per Gucci un anno fa, non c’è nulla di nuovo di cui discutere”. Dice che lavora come designer, che dopo la sfilata di Gucci il programma di una tv turca aveva iniziato a fare la sua parodia, e chi ha un minimo di nozioni storiche sa che per una armena non è esattamente come essere bersagliata da @peppe75; che “non vale la pena preoccuparsi” del resto; a domanda della giornalista che le chiede perché “non ha ancora affrontato sui suoi social media tutto quello che è accaduto negli ultimi giorni” risponde semplicemente che “non mi sembra necessario”, che è “meglio essere diversi che omologati” e che quando si guarda allo specchio “vedo una persona che è più di una faccia, che ha tanti interessi, tante cose da dire e da fare. E che non ha tempo per chi la vuole abbattere”.

Prendano appunti gli haters, ma soprattutto l’internazionale conformista che a colpi di Schopenhauer e compagnia filosofante ha dissezionato la sua faccia armena fino all’ultimo pelo di sopracciglio per rivoluzionare l’idea di bellezza, tutto sulla pelle di una ragazza di 23 anni che in Armenia stava occupandosi allegramente di farsi la sua vita e non quella dell’icona anti body shaming, hate sharing, libera dalla libidine del salotto misura di tutte le cose.

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>>Oliviero Toscani contro tutti: «La modella armena? Bellezza rivoluzionaria»

Ambasciatrice armena: “L’amicizia fra i nostri Paesi è fondamentale” (Assadakah 01.09.20)

Letizia Leonardi – Il 6 luglio scorso S.Е. Tsovinar Hambardzumyan, Ambasciatrice della Repubblica d’Armenia in Italia, è stata ricevuta ufficialmente dal Presidente Sergio Mattarella che ha assicurato il proprio sostegno e ha espresso l’auspicio per un ulteriore rafforzamento delle relazioni italo-armene. Durante il colloquio l’Ambasciatrice Hambardzumyan ha illustrato al Capo di Stato italiano anche i più recenti sviluppi della politica interna in Armenia e le misure adottate dal governo armeno per il rafforzamento della democrazia e delle istituzioni democratiche convenendo, entrambi, sulla necessità di dare un nuovo impulso alle relazioni politiche ed economiche tra i due Stati.

Tsovinar Hambardzumyan, nata a Yerevan, ha un curriculum di tutto rispetto. Ha studiato presso il Dipartimento di Lingue e letterature orientali della Facoltà di Studi orientali dell’Università Statale di Yerevan e presso la School of Political Studies del Consiglio d’Europa. Nel 2008, ha studiato Sicurezza al Rome Defense College della NATO. Oltre ad aver insegnato lingue e letterature orientali, al Nersisyan College di Etchmiadzin, in Armenia, ha ricoperto il ruolo di esperta nel dipartimento di analisi dell’Ufficio del Presidente della Repubblica di Armenia. Nel 1998 è stata uno dei principali specialisti del servizio di analisi dell’Ufficio di Presidenza e poi, Capo Specialista dell’Ufficio del Portavoce del Presidente della Repubblica d’Armenia. Dal 2002 al 2018 è stata il Consigliere e Capo del Dipartimento per le relazioni estere dell’Ufficio del Presidente della Repubblica d’Armenia e, dal 2008, ha preso parte, come osservatrice internazionale, alle missioni OSCE/ODIHR, studiando e valutando i processi elettorali in diversi Paesi. Nel 2018 è stata nominata dall’attuale Primo Ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, Capo dell’Ufficio Relazioni con l’Estero con il grado di Consigliere di Stato di 2ª classe. Infine, il 1 giugno di quest’anno, con decreto del Presidente della Repubblica d’Armenia Armen Sarkissian, Tsovinar Hambardzumyan è stata nominata Ambasciatrice Straordinaria e Plenipotenziaria della Repubblica d’Armenia presso la Repubblica italiana. Abbiamo approfittato della sua disponibilità per rivolgerle alcune domande.

Si è trovata a svolgere il suo ruolo di Ambasciatrice in un momento di grande difficoltà per la nazione armena, tra l’emergenza Covid-19 e le minacce da parte degli azeri. Cosa può dirci dell’attività che sta portando avanti?

Sono passati meno di due mesi da quando ho assunto questo importante incarico di rappresentante dell’Armenia in Italia come Ambasciatrice. Ho iniziato il mio mandato in un periodo molto particolare, in piena pandemia da Covid-19, sia in Armenia che in Italia. Vorrei cogliere questa occasione per ringraziare, ancora una volta, le autorità italiane per l’invio in Armenia del team degli operatori sanitari della Protezione civile italiana che ringrazio perché, nonstante la stanchezza fisica e mentale dovuta alla situazione di duro lavoro vissuta nei mesi passati, si sono recati in Armenia per supportare i colleghi armeni nella lotta all’emergenza Coronavirus. E purtroppo, alla sfida contro il del virus si è aggiunta anche l’escalation al confine provocata dall’Azerbaijan, in piena violazione dell’appello del Segretario Generale dell’ONU per un cessate il fuoco globale durante la pandemia da coronavirus”.

Quale potrebbe essere il ruolo delle diplomazie e il suo in particolare?

Come ho detto prima, ho assunto il mio mandato in un periodo molto difficile. Ma operare in condizioni straordinarie fa parte del nostro lavoro, del lavoro di ogni diplomatico. È mia intenzione adoperarmi quotidianamente a favore dell’ulteriore sviluppo dei rapporti armeno-italiani che si fondano sulle strette relazioni tra i nostri Paesi e impegnarmi pienamente per rafforzare, ancora di più il rapporto d’amicizia tra i nostri due popoli le cui fondamenta furono gettate secoli fa. Il ruolo della diplomazia nella risoluzione del conflitto del Nagorno Karabakh è imprescindibile, poiché non esiste una soluzione militare al conflitto”.

E lei che può dire dell’atteggiamento dell’Italia? Cosa potrebbe fare l’Italia per stare a fianco all’Armenia?

Apprezzo molto l’approccio prudente ed equilibrato dell’Italia nei giorni dell’escalation sul confine armeno-azerbaijano nella regione di Tavush. Per quanto riguarda il conflitto del Nagorno Karabakh in generale, la nostra aspettativa è che l’Italia continui a mostrare un approccio equilibrato e imparziale e a sostenere il processo negoziale nell’ambito della Co-presidenza del Gruppo di Minsk dell’OSCE, unica via negoziale avente il mandato della comunità internazionale”.

Cosa sta facendo e a chi si sta rivolgendo per contrastare le menzogne azere e far conoscere la verità sui recenti attacchi?

Non credo sia possibile manipolare la società italiana con menzogne e falsificazioni: non dimentichiamoci che abbiamo a che fare con un popolo che rappresenta una delle più antiche civiltà del mondo, a cui è impossibile propinare la storia rappresentata attraverso l’immaginazione di qualcuno. È pertanto molto importante che gli italiani abbiano la possibilità di accedere, tramite la stampa italiana e le analisi giornalistiche, a informazioni imparziali e argomentate su ciò che sta accadendo nella nostra regione”.

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Testo di risposta alla lettera dell’Ambasciatore dell’Azerbaigian pubblicata il 31 agosto 2020 da codesta spettabile testata. (Politicamentecorretto.com 01.09.20)

Egr. direttore,

i Suoi lettori hanno avuto modo di leggere nei giorni scorsi il confronto a distanza sulla irrisolta questione del conflitto del Nagorno Karabakh e La ringraziamo per lo spazio che ha voluto dedicare a tale tema.

L’ambasciatore Ahmadzada – che ringraziamo per aver accettato il confronto con la nostra piccola realtà – ha dunque ritenuto opportuno controreplicare tempestivamente alla nostra precedente risposta. Dobbiamo rilevare però che lo stesso elude ancora una volta le nostre domande sugli scontri dello scorso luglio e sulla responsabilità degli stessi preferendo accusare la parte armena di non avere argomenti.

Ribadiamo le domande: “Cosa ci faceva il 12 luglio scorso un veicolo militare azero nella zona cuscinetto sul confine azero armeno? Cosa ci facevano i soldati azeri nella stessa buffer zone?”.

Sua Eccellenza Ahmadzada definisce “campagna diffamatoria contro l’Azerbaigian” l’evidenza delle organizzazioni internazionali che collocano il suo Paese tra gli ultimi al mondo per libertà di informazione (Freedom press index) e tra i più corrotti (Corruption perception index) utilizzando un linguaggio tipico dei regimi totalitari.

A titolo esemplificativo facciamo presente che la classifica mondiale sulla libertà di informazione (Freedom press index) colloca l’Armenia al 61° posto (venti gradini sotto l’Italia, 41a) mentre l’Azerbaigian è al 167° posto e la Turchia al 154°. Con tutti i limiti e le difficoltà di sviluppo della società civile e politica armena, il paragone evidenzia posizioni ben differenti. Non lo diciamo noi, ma le organizzazioni internazionali che chiedono la liberazione di giornalisti e attivisti azeri imprigionati a centinaia nelle carceri di Aliyev la cui famiglia – altro dato significativo – da oltre trenta anni governa il Paese.

Il diplomatico di Aliyev piuttosto che analizzare (come potremmo d’altronde dargli torto…) i problemi di casa propria preferisce divagare sulla storia politica dell’Armenia che al pari dell’Azerbaigian nel 1991 concluse la propria esperienza nell’Unione sovietica e che in questi trenta anni di storia, senza dubbio politicamente ed economicamente travagliata, ha saputo però progressivamente disegnarsi un ruolo di Paese sempre più democratico e partner fidato dell’Unione europea.

Conveniamo tuttavia con il nostro interlocutore allorché individua nell’obiettivo della Diaspora lo sviluppo e la prosperità della propria patria; se non che, ritiene che questo risultato sia perseguibile solo attraverso linee da lui dettate L’Ambasciatore  chiede la normalizzazione delle relazioni dell’Armenia con i suoi vicini che sono, oltre a Georgia e Iran, la Turchia che continua a negare il genocidio armeno e il cui presidente anche recentemente ha minacciato di “proseguire l’opera dei padri” (ovvero lo sterminio degli armeni) e l’Azerbaigian che da decenni ha fatto dell’armenofobia il cardine della propria politica estera.

Insomma, secondo Ahmadzada l’Armenia potrebbe stare tranquilla solo rinunciando alla propria dolorosa memoria e al proprio futuro, ovvero alla libera, indipendente e pacifica esistenza del popolo del Nagorno Karabakh-Artsakh.

L’Armenia sarà anche un paese in via di sviluppo e ancora povero. Ma meglio poveri e dignitosi che ricchi e guerrafondai.

Distinti saluti.

CONSIGLIO PER LA COMUNITA’ ARMENA DI ROMA

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