Papa Francesco, “le Chiese ortodosse orientali hanno sigillato nel sangue la fede” (Acistampa 21.02.20)

Le Chiese ortodosse orientali “hanno sigillato nel sangue la fede in Cristo e che continuano a essere semi di fede e di speranza anche in regioni spesso segnate, purtroppo, dalla violenza e dalla guerra”. Lo sottolinea Papa Francesco, incontrando una delegazione di Chiese ortodosse orientali in viaggio studio a Roma.

È la prima volta che una delegazione di giovani sacerdoti e monaci proveniente dalle Chiese Ortodosse Orientali è invitata ad una visita di studio per approfondire la conoscenza della Chiesa cattolica. Iniziative del genere sono già state fatte con gli scambi di studenti tra Chiesa Cattolica e Patriarcato di Mosca.

La delegazione, che ha cominciato la visita il 15 febbraio, è composta da diciotto partecipanti, tre membri di ogni Chiesa ortodossa orientale: Chiesa ortodossa copta, Chiesa apostolica armena – sede di Etchmiadzin e sede di Cilicia -, Chiesa siro-ortodossa di Antiochia, Chiesa ortodossa etiopica e Chiesa ortodossa sira malankarese.

Incontrandoli, Papa Francesco sottolinea che “una visita è sempre uno scambio di doni”, e che le Chiese “portano in sé vari doni dello Spirito, da condividere per la gioia e il bene reciproci. Così, quando noi cristiani di diverse Chiese ci facciamo visita, incontrandoci nell’amore del Signore, abbiamo la grazia di scambiarci questi doni”.

Papa Francesco afferma che “possiamo accogliere quello che lo Spirito ha seminato nell’altro come un dono per noi”, e per questo la loro visita “non è solo un’occasione per approfondire la conoscenza della Chiesa cattolica, ma è anche per noi cattolici un’opportunità per accogliere il dono dello Spirito che è in voi”.

Papa Francesco è grato perché in questo incontro si riconosce “l’opera gratuita di Dio, dal credere che lui è il protagonista del bene che c’è in voi”, ed è questa “la bellezza dello sguardo cristiano sulla vita” ed è anche “la prospettiva dell’accogliere il fratello”.

Una gratitudine che il Papa estende alla testimonianza “data dalle vostre Chiese ortodosse orientali, Chiese che hanno sigillato nel sangue la fede in Cristo e che continuano a essere semi di fede e di speranza anche in regioni spesso segnate, purtroppo, dalla violenza e dalla guerra”.

Papa Francesco auspica infine “che la vostra presenza diventi un piccolo seme fecondo per far germogliare la comunione visibile tra di noi, quell’unità piena che Gesù ardentemente desidera”.

l tema dei sacramenti è centrale per un dialogo cattolico – ortodosso che è tra i dialoghi ecumenici più promettenti. Lo scisma con le Chiese ortodosse orientali aveva infatti avuto luogo per un problema di terminologia: al Concilio di Calcedonia, nel V secolo, si era arrivati a stabilire che Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, era una persona in due nature, “senza confusione, senza cambiamento, senza divisione e senza separazione”.

Ma le Chiese ortodosse orientali, da allora dette pre-calcedoniche, non avevano compreso che la formula “due nature” parlava di due soggetti di Cristo e aveva pensato fosse presentata una dottrina che identificava due figli, e per questo sono rimaste distaccate dalla Chiesa cattolica.

Il dialogo comunque è ripreso con successo, anche grazie a Paolo VI che promosse una serie di incontri con i patriarchi ortodossi orientali.

L’ultimo tavolo congiunto di dialogo tra Chiesa Cattolica e Chiese ortodosse orientali si è tenuto a inizio febbraio, sul tema della teologia sacramentale.

Molto forte, in particolare, il dialogo sviluppato con la Chiesa Apostolica Armena: il catholicos Karekin II è stato più volte in visita in Vaticanomentre Papa Francesco è stato in viaggio in Armenia nel 2016.

Insegnanti armeni ospiti nella città di Lecco (Resegoneonline 21.02.20)

Una delegazione di insegnanti armeni di Vanadzor, sarà ospite nella nostra città, nelle giornate di Martedi 25 e Mercoledì 26 febbraio.

La visita è finalizzata sia alla conoscenza della nostra città, ma anche per alimentare i contatti ed i rapporti con alcune strutture scolastiche del territorio lecchese.

L’origine di questi contatti iniziarono dal tragico terremoto del 7 Dicembre 1988, in quella circostanza, furono oltre 50.000 le vittime, la comunità lecchese si distinse per una raccolta volontaria di fondi promossa da CGIL CISL e UIL condivisa da tutte le Associazioni imprenditoriali, coordinate dalla città Capoluogo e dall’allora Comprensorio Lecchese oggi Provincia di Lecco.

A distanza di un anno, nel Dicembre 1989, venne inaugurata da una delegazione lecchese, una scuola elementare nella città di Kirovacan, oggi Vanadzor, a seguito della caduta del muro di Berlino, del dissolvimento della U.R.S.S. del campo socialista, oggi la Repubblica Armena è parte della Confederazione degli Stati Indipendenti, con rapporti diretti con l’Unione Europea.

Durante il 2018, a trent’anni da quel drammatico evento, in momenti differenziati, ben tre gruppi di lecchesi hanno avuto l’opportunità di visitare questa città Armena di ben 105 mila abitanti e conoscere oltre al corpo insegnante, le Autorità locali, ma anche i bambini con le loro famiglie.

La visita della delegazione armena si colloca in questo contesto di amicizia e fratellanza, nella continuità e consolidamento delle nostre relazioni.

Allo scopo abbiamo predisposto e concordato un programma di accoglienza che vivrà diversi e articolati momenti, tutti saranno ospitati nelle famiglie lecchesi che ringraziamo;

Martedì 25 nel pomeriggio, un primo saluto di accoglienza alla CGIL di Lecco, successivamente a Bellano saranno ricevuti dai responsabili del Distretto scolastico e dalla comunità bellanese.

Il giorno Mercoledì 26, sono in programma incontri con il Sindaco della città, Virginio Brivio, con il Direttore scolastico Luca Volontè, una visita guidata ai Musei di Villa Manzoni, una visita alla Scuola Civica di Musica G. Zelioli, una passeggiata sul nostro lungo lago con una visita al Centro città, alla sera una cena di commiato alla Cooperativa Libero Pensiero di Rancio.

E’ già in cantiere un viaggio di amicizia e conoscenza aperto a tutti, che nel mese di Maggio offrirà l’opportunità di ricambiare questa visita a Vanadzor e nelle Repubbliche Caucasiche cerniera di rapporti, scambi e relazioni, tra l’Europa e l’Asia.

L’auspicio è che da questa visita si sviluppi un impegno a mantenere una continuità di relazioni a partire dalle Istituzioni e dalle Associazioni lecchesi, con azioni positive alla conoscenza reciproca nella pari dignità e reciprocità di interessi convergenti.

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A ritmo di danza, per ricordare con il cuore (Quibrianzanews.com 20.2.20)

La danza coordina il movimento, dà ritmo ai nostri gesti, mette in relazione anima e corpo ma, soprattutto, fa battere all’unisono i nostri cuori.

Quando poi la danza è messa a disposizione di una buona causa, i cuori palpitano al ritmo delle emozioni e tutto diventa ancora più magico.

È proprio quello che avverrà venerdì 24 gennaio, presso la Sala Deledda di via Italia a Carnate, quando l’associazione Iridanza, metterà a disposizione musica, ritmo, passi danzanti e tanti tanti cuori, per il ricordo e la commemorazione del primo genocidio del XX secolo.

A ritmo di danza, per ricordare con il cuore

Medz Yeghern, ovvero il Grande Male, è il termine con cui gli Armeni definiscono lo sterminio e la deportazione della propria gente, perpetuata dagli Ottomani nel 1915. Ancor prima dello scoppio della Grande Guerra che sconvolse il mondo intero, il popolo armeno già viveva e subiva le peggiori atrocità di cui l’umanità si possa macchiare.

Forse temendo un’alleanza armena con la Russia, il popolo ottomano si macchiò del sangue di 1,5 milioni di Armeni. Umiliati, sequestrati dalle proprie abitazioni e portati allo stremo delle forze e della sopportazione nelle cosiddette “marce della morte”, cioè veri e propri cammini di patimento, sofferenza e soprusi che si sarebbero conclusi solo tramite l’uccisione.

A ritmo di danza, per ricordare con il cuore

Così, precedendo il più noto, il più citato ma ugualmente barbaro genocidio ebraico, con lo sterminio armeno l’umanità dava già prova della selvaggia brutalità di cui l’uomo può essere fautore.

Non esiste crudeltà più grave e inspiegabile di quella umana. Soprattutto quando a versare il sangue degli esseri umani sono altri uomini, adducendo allo sterminio giustificazioni inaccettabili, che di umano non hanno proprio nulla.

Perché il sangue versato non ha distinzione di razza, di popolo o di appartenenza, ma è solo sangue. Sangue di persone sacrificate ingiustamente, crudelmente e barbaramente in nome di una superiorità che nessuno dovrebbe mai e poi mai avere il diritto di arrogarsi.

E non esiste mezzo di comunicazione migliore della danza per ricordarci l’importanza dell’appartenenza a un unico genere: quello umano, in cui non esistono distinzioni alcune.

A ritmo di danza, per ricordare con il cuore

Nella serata di venerdì, le danze armene messe in scena da Iridanza, ci rammenteranno la bellezza e l’armonia di anime e piedi distinti che ballano come fossero una sola e unica entità. Tutti guidati dalla stessa canzone, destati dallo stesso ritmo e incalzati dalla medesima voglia di sorridere insieme.

Sorridere e danzare per non dimenticare. Per ricordarci costantemente a cosa possa condurre la violenza umana. Per rammentarci che una cosa del genere non dovrà mai e poi mai più ripetersi.

Perché richiamare alla memoria e ripercorrere le atrocità dei genocidi è come imparare e memorizzare i passi di un ballo. Imprimerli nella nostra mente per non muoversi più fuori tempo, per non commettere più gli stessi errori.

È imperdibile, dunque, l’appuntamento di questo venerdì alle ore 21 con Iridanza. Per ricordare con la mente e con il cuore, a ritmo di danza.

A ritmo di danza, per ricordare con il cuore

Filo conduttore della serata, la figura femminileLa condizione e il ruolo della donna, infatti, accompagnerà il racconto della storia armena, dai tempi crudeli del genocidio fino ai giorni nostri.

La riproduzione costante di video e, ovviamente, la messa in scena delle tipiche danze armene, renderanno unico questo appuntamento.

Una piacevole e…danzante dimostrazione che gli usi e i costumi di una popolazione che altri esseri umani volevano distrutti e persi per sempre, sono invece ancora parte, per fortuna, del nostro mondiale patrimonio culturale.

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Il Parlamento siriano riconosce il genocidio armeno (Romasette.it 17.02.20)

La Siria è il primo Paese arabo a riconoscere come genocidio le persecuzioni pianificate ai danni degli Armeni, perpetrate nella penisola anatolica tra il 1915 e il 1916. È di giovedì 13 febbraio la risoluzione approvata all’unanimità dall’Assemblea del popolo siriano: «Il Parlamento – si legge in un comunicato diffuso dai media ufficiali siriani – riconosce e condanna il genocidio commesso contro gli Armeni dallo Stato ottomano all’inizio del XX secolo». Una risoluzione che arriva dopo settimane di tensioni tra Ankara e Damasco, seguite agli scontri tra le forze militari dei due Paesinella provincia siriana nord-occidentale di Idlib, dove l’esercito governativo siriano sta assediando le ultime aree controllate da milizie islamiste.

Immediata la reazione ufficiale della Turchia: Hamy Aksoy, portavoce del ministero degli Esteri turco, ha pubblicato una dichiarazione durissima, riferisce l’Agenzia Fides, in cui la risoluzione siriana di condanna del «cosiddetto genocidio» armeno viene bollata come «l’immagine dell’ipocrisia di un regime che da anni ha assecondato ogni tipo di carneficina nei confronti del proprio popolo, comprese quelle contro i bambini; un regime che ha causato la fuga di milioni di propri connazionali ed è rinomato per la sua spregiudicatezza nell’uso di armi chimiche».

Il 4 marzo 2015, ricorda ancora Fides, l’Assemblea del popolo siriano aveva già dedicato al genocidio armeno una “sessione commemorativa”. L’iniziativa, promossa in particolare dalla parlamentare siriana cristiana Maria Saadeh, aveva visto il coinvolgimento dei membri dei Comitati parlamentari per le relazioni estere e la partecipazione dell’ambasciatore della Repubblica di Armenia in Siria Arshak Poladyan, che nel suo intervento aveva ricordato l’accoglienza ricevuta cento anni prima, proprio in Siria, dagli Armeni che fuggivano dai massacri pianificati dal governo dei Giovani Turchi.

Di recente, dal presidente siriano Bashar Assad è arrivato anche un appello agli armeni siriani che negli anni del conflitto sono fuggiti dal Paese a ritornare in Siria e a ricostruire le proprie case devastate dal conflitto. L’occasione: l’incontro con Aram I, il Catholicos armeno apostolico della Gran Casa di Cilicia, ricevuto a Damasco da Assad nel maggio scorso.

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Eventi a Verona „L’Orchestra di Padova e del Veneto e Sonig Tchakerian al Teatro Salieri“ (veronasera.it 17.02.20)

L’Orchestra di Padova e del Veneto e Sonig Tchakerian al Teatro Salieri il 20 febbraio 2020 Eventi a Verona

Giovedì 20 febbraio 2020 alle 20.45, quarto appuntamento della rassegna di Musica della Stagione 2019-2020 del Teatro Salieri di Legnago (VR), con l’Orchestra di Padova e del Veneto e Sonig Tchakerian violino concertatore e solista che allieteranno il pubblico del Salieri con una serata tutta dedicata alle musiche di Mozart:

  • Rondò per violino e orchestra in do maggiore K 373
  • Adagio per violino e orchestra in mi maggiore K 261
  • Concerto n. 3 per violino e orchestra in sol maggiore K 216
  • Sinfonia n. 29 in la maggiore K 201

Ore 20, al Ridotto del Teatro: conversazioni sul concerto con Sonig Tchakerian e Federico Pupo direttore

Ecco il secondo appuntamento del progetto triennale che prevede l’esecuzione di tutto il repertorio mozartiano per violino e orchestra. L’interpretazione dei concerti, impreziositi dalle cadenze scritte appositamente per questo progetto da Giovanni Sollima, e affidata alla magnifica violinista di origine armena Sonig Tchakerian, accompagnatadall’Orchestra di Padova e del Veneto.

In questa ‘puntata’, ecco il più eseguito dei 5 concerti per violino e orchestra, il K 216 in sol maggiore, dove Mozart punta più sulla cantabilità che alle possibilità virtuosistiche dello strumento che ‘canta’ emulando la voce umana in un susseguirsi di idee e temi musicali secondo una tradizione squisitamente italiana.

La sinfonia k 201, caratterizzata da temi raffinati ed espressivi, rappresenta un felice momento creativo dell’appena diciottenne salisburghese che abbandona la struttura tripartita dello stile italiano che da piccolo, costituiva il suo punto di riferimento, per avvicinarsi ai modelli di Haydn in quattro movimenti.

A completare il programma due breve pagine – il Rondo K 373 e l’Adagio K 261 – dedicate ad Antonio Brunetti, celebre violinista napoletano assunto nel 1776 come Hofmusikdirektor e primo violino alla corte di Salisburgo.

Informazioni e contatti

Biglietti: da 14 a 25 euro; per gli under 18, prezzo speciale di 8 euro per ogni categoria di posto. I biglietti sono in vendita anche al telefono, con carta di credito; online: www.teatrosalieri.it

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“E dal cielo caddero tre mele” di Narine Abgarjan: l’importanza della memoria ed il culto dei morti (oubliettemagazine 17.02.20)

Ma non è di questo che volevo scrivere; volevo scrivere di come esattamente un anno e un mese prima, un venerdì, subito dopo mezzogiorno, con il sole che aveva scavalcato lo zenit e scivolava composto verso l’estremità a ponente della vallata, Sevojants Anatolija si era coricata per prepararsi a morire senza immaginarsi la felicità che l’attendeva, una felicità che era poi arrivata, che ora respirava soave e piena d’amore accanto a lei, e che così avrebbe fatto a lungo e magari anche per sempre, mentre la notte-maga avrebbe difeso la sua gioia facendole rotolare le mele che, come vuole la leggenda di Maran, avrebbe fatto cadere per lei dal cielo: una per chi ha visto, una per chi ha saputo raccontare e una per chi ha ascoltato e ha creduto nel bene del mondo”.

E dal cielo caddero tre mele
E dal cielo caddero tre mele

È questo il passaggio conclusivo del bellissimo romanzo E dal cielo caddero tre mele” della scrittrice armena Narine Abgarjan e pubblicato in Italia da Francesco Brioschi Editore per la collana “Gli Altri”.

La storia, sospesa fra realtà e fantasia, si svolge a Maran, minuscolo villaggio arroccato sui monti armeni, difficile da raggiungere e ormai destinato all’abbandono.

Non ci sono giovani a Maran, sono tutti andati via, chi alla ricerca di un “mondo altro” chi all’altro mondo, vittime di guerre e carestie.

Sono rimasti solo i vecchi, guardiani di tradizioni secolari, che ne scandiscono le vite fra lavori nei campi, allevamento delle bestie e ricordi di un passato che ormai è sparito per sempre.

A Maran erano rimasti solo i vecchi che non avevano voluto lasciare la terra in cui riposavano i loro avi”.

E il culto dei morti, il rispetto per le anime dei cari accompagna il lettore pagina dopo pagina. L’importanza della memoria che però a Maran non aveva destinatari, mancando quelle giovani generazioni a cui tramandare il passato.

Anatolija ha raggiunto quasi sessant’anni, la sua vita è stata un susseguirsi di lutti, di dolori, di lacrime. Non ha avuto la gioia di un figlio, ma solo la sofferenza di un matrimonio con un uomo violento e crudele. Ha solo voglia di morire, e perciò si mette a letto in attesa che la morte venga a prendersela.

Nel ripercorrere la sua vita Anatolija si rende conto che l’unica gioia che ha avuto è stata la lettura, lei che era stata per anni la bibliotecaria del villaggio, aveva dedicato a quel luogo la sua esistenza, curando quei libri come fossero bambini.

L’unico rifugio in quella sua vita buia diventò leggere. I primi anni, con la biblioteca sempre deserta, Anatolija consacrò alla lettura ogni istante che trascorreva al lavoro. Piano piano, grazie a un gusto innato e a un ottimo fiuto, imparò a distinguere i bei libri da quelli brutti e si innamorò dei classici russi e francesi; non del conte Tolstoj, però, che dopo Anna Karenina prese in un odio tenace e senza appello. Siccome trattava i personaggi femminili con insopportabile supponenza e freddezza, Anatolija decise che era un despota e un tiranno e, per non arrabbiarsi ogni momento trovandoselo davanti, nascose tutti i suoi libri là dove non arriva a vederli. Sfiancata dalle vessazioni del marito, non aveva alcuna intenzione di rassegnarsi ad analoghi soprusi nelle pagine dei libri”.

I libri diventano per Anatolija rifugio e redenzione, riparo da un marito violento e rinascita alla vita che troppo le aveva tolto.

Dopo le avversità naturali che, oltre a uccidere molti compaesani, hanno distrutto la biblioteca, ad Anatolija non resta che mettersi in attesa della morte. Nemmeno Jasaman e Ovanes, i suoi più cari amici, riescono a distoglierla da questo intento. La donna è determinata a morire.

A Maran nessuno osava cullare la speranza di vedere giorni migliori. Il paese si limitava a vivere mestamente come una condanna, il tempo che gli restava e Anatolija con lui”.

Ma questo suo piano verrà mandato in aria da Vasilij, un uomo del paese destinato ad una vecchiaia di solitudine se non fosse per le trame degli altri vecchi del villaggio.

Vasilij ha vissuto una vita costellata di dolori, la morte della madre, le sofferenze del fratello Akop che prevedeva le sciagure e le morti e ne soffriva terribili crisi, la morte dei tre figli in guerra e poi quella della moglie, impazzita di dolore. Vorrebbe solo dedicarsi al suo lavoro e alle sue bestie, ma i suoi compaesani lo convincono a prendere in moglie Anatolija, ormai rimasta sola anche lei.

All’inizio la donna non comprende la ragione per cui Vasilij ha iniziato a gironzolare intorno a casa sua, in paese si conoscono tutti, “erano tanti libri aperti… e se si interessavano gli uni degli altri era per affetto, per buon vicinato e niente più”.

Ma le visite di Vasilij presto rivelano un altro fine e senza andare troppo per le lunghe l’uomo chiede ad Anatolija se vuole sposarlo. E con sua sorpresa, Anatolija accetta, tramando in segreto di rimangiarsi presto la parola data.

Ma non ce la fa e sebbene contrariata – “Questi non mi fanno morire in pace” è il suo pensiero ricorrente – si sposa con Vasilij, scoprendo giorno dopo giorno un rapporto del tutto diverso da quello che aveva avuto con il precedente marito.

Narine Abgarjan
Narine Abgarjan

La premura, le attenzioni, la gentilezza di Vasilij le provocano smarrimento, Anatolija non era preparata alla bellezza, alla cura, in altre parole all’amore. E la sua vita sembra rinascere. Due vite destinate alla solitudine, si trovano, si prendono per mano e si accompagnano sul viale del tramonto.

Intorno alle figure principali di Anatolija e Vasilij, ruotano molti altri protagonisti del romanzo, parenti e amici che popolano con le loro storie personali la vita del villaggio. Ognuno di loro porta un pezzo di storia sulle spalle, in un intreccio interpersonale che ricompone il mosaico della pacifica e coesa convivenza del piccolo paese sulle montagne armene.

La penna di Narine Abgarjan ci cattura con la sua leggerezza, sospendendo la trama fra la cronaca dura e spietata di queste vite estreme, e la magia dei sogni, delle visite dei cari defunti, di notti stellate che parlano di passato e di futuro insieme.

È un libro che ci insegna molto sulla capacità di rinascita, di una resurrezione continua di cui la vita ci fa dono. Come la popolazione di Maran, e più in generale dell’Armenia, vessata da guerre sanguinose, carestie, cataclismi, ogni volta in grado di rialzarsi e ricominciare da capo.

Come Anatolija e Vasilij, provati dai lutti, dalle sofferenze e insieme capaci di guardare al futuro, con il più bel dono che la vita può fare. Un dono che scopriremo nel finale del libro come una grande sorpresa, che ci lascerà increduli e fiduciosi, vibranti di vita e di speranza.

 

Written by Beatrice Tauro

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Armenia: al via campagna elettorale per il referendum del 5 aprile (Agenzianova 17.02.20)

Erevan, 17 feb 11:14 – (Agenzia Nova) – È iniziata oggi in Armenia la campagna elettorale in vista del referendum costituzionale programmato il 5 aprile. Il partito del Contratto civile, la forza di governo che ha promosso il referendum, ha già costituito il gruppo elettorale a favore del “Si” guidato da Suren Papikyan, ministro della Pubblica amministrazione e delle Infrastrutture territoriali. Quella odierna è anche l’ultima giornata per la registrazione di gruppi di iniziativa e al momento non è stato ancora formato un gruppo di campagna a favore del “No”. Il partito parlamentare all’opposizione, Armenia prospera, ha annunciato in precedenza di aver rinunciato a partecipare al processo referendario. Anche Armenia luminosa, altro schieramento all’opposizione, ha annunciato che non sarà impegnata in una campagna a favore del “No” nonostante abbia votato in giù la decisione in parlamento. I partiti che non hanno rappresentanza in parlamento, fra cui l’ex forza al governo Partito repubblicano al potere e la Federazione rivoluzionaria armena (Fra), hanno entrambi annunciato di non partecipare al processo e hanno invitato i loro elettori a ignorare il referendum. Il 5 aprile i cittadini armeni saranno chiamati a esprimersi sulla permanenza in carica del presidente della Corte costituzionale Hrayr Tovmasyan, così come della maggior parte degli altri giudici nominati in base al precedente ordinamento costituzionale.
(Res)

Eurovision 2020: l’Armenia sceglie Athena Manoukian con “Chains on you” (Eurofestivalnews 15.02.20)

Sarà Athena Manoukian a rappresentare l’Armenia all’Eurovision Song Contest 2020. 25 anni, nata ad Atene, ma di sangue armeno, l’artista sarà in gara all’Ahoy di Rotterdam con la canzone “Chains of you”, vincitrice della finale nazionale del Paese, il Depi Evratesil.

Athena Manoukian | Credits: Depi Evratesil YouTube

Athena Manoukian ha superato altri 11 artisti attraverso un sistema di votazione che comprendeva una giuria internazionale, una giuria nazionale armena e il televoto.

In particolare, la nuova rappresentante armena è risultata prima per la giuria internazionale (60 punti) e per quella armena (58), conseguendo poi un terzo posto al televoto (50 punti) più che sufficiente per volare nei Paesi Bassi con 168 punti complessivi.

Al secondo posto si è classificata Erna, con la sua “Life Faces” che ha ottenuto 120 punti, mentre al terzo si è collocato Vladimir Arzumanyan, vincitore dello Junior Eurovision nel 2010, con “What’s going on mama” a quota 118 punti.

Athena Manoukian, nata il 22 maggio 1994, non è nome nuovo per l’ambiente eurovisivo, dato che nel 2008 ha partecipato alla selezione greca per lo JESC con “To Fili Tis Aphroditis”, finendo settima.

Del 2011 è il suo primo grande successo, “Party like a freak”, che ha spopolato su YouTube e le è valso la nomination ai MAD Video Music Awards nel 2012. Altri suoi singoli celebri sono “Na les pos m’agapas”, sempre nel 2012, così come “I Surrender”, che è diventata hit estiva in tutto il Paese, e poi “XO”, del 2014.

Nel 2015, per quest’ultima canzone, ha vinto gli Armenian Pulse Music Awards nella categoria “Best English Song”. Si è scoperta anche autrice per Helena Paparizou, con “Palia mou agapi” del 2017. In passato ha espresso il desiderio di andare all’Eurovision per una tra Armenia, Grecia e Cipro.

L’Armenia sarà in gara nella seconda metà della seconda semifinale, in onda il 14 maggio alle ore 21 su Rai 4 e nella quale l’Italia non ha diritto di voto. Il Paese viene da due uscite in semifinale di fila, quella con Sevak Khanagyan (e il brano “Qami”) e con Srbuk (“Walking out”).

Il miglior risultato è il quarto posto di Sirusho nel 2008 con “Qele, qele” e di Aram MP3 nel 2014 con “Not alone”.

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Schiaffo di Assad a Erdogan: parlamento siriano riconosce il genocidio degli armeni (IL Giornale 14.02.20)

Il parlamento siriano ha approvato ieri una legge che riconosce il genocidio armeno, perpetrato dall’Impero ottomano a partire dal 1915 e che, in base alle stime degli storici, avrebbe causato la morte di un milione e mezzo di persone.

La mossa dell’organo legislativo di Damasco, sottolinea Euronews, sarebbe stata compiuta con il diretto sostegno del presidente Bashar al-Assad, che in passato si era già espresso sulla tragedia del popolo armeno parlando proprio di “genocidio”.

Con la recente presa di posizione, il Paese mediorientale, fa sapere l’emittente, entra a fare parte della trentina di Stati del mondo che hanno finora classificato ufficialmente in tale modo lo sterminio del gruppo etnico in questione. Ankara ha invece sempre rigettato ogni responsabilità per quel dramma del Novecento, minacciando ritorsioni nei riguardi di qualsiasi governo che si fosse azzardato ad attribuire la tragedia degli armeni all’Impero ottomano.

L’assemblea legislativa siriana ha reso nota la propria decisione diffondendo il seguente comunicato, citato da France24“Il parlamento condanna e riconosce il genocidio compiuto contro gli armeni dalle autorità ottomane nei primi anni del Ventesimo secolo”.

Il presidente del parlamento, Hammouda Sabbagh, ha quindi commentato l’iniziativa dei deputati della nazione araba facendo riferimenti polemici all’attuale politica estera turca e rivolgendo dure parole all’indirizzo di Ankara, riportate dall’emittente transalpina: “Noi siriani stiamo oggi subendo un’aggressione da parte della Turchia che è espressione della stessa ripugnante ideologia ottomana da cui sono scaturiti i crimini compiuti dagli antenati di Erdogan contro il popolo armeno”.

Quello che Sabbagh ha etichettato come “aggressione turca” sarebbe, spiega il network d’Oltralpe, il recente invio di militari di Ankara nel nord-ovest della Siria, incaricati formalmente di contrastare l’attività dei gruppi legati all’Isis e delle sigle terroristiche curde.

La mossa pro-armeni dell’assemblea legislativa di Damasco, evidenzia inoltre Euronews, è stata decisa mentre le truppe di Assad e quelle di Erdogan si affrontano per la conquista della città siriana di Idlib, roccaforte delle organizzazioni che si oppongono al leader del Paese arabo.

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ASIA/SIRIA – Il Parlamento siriano riconosce e condanna il Genocidio armeno (Agenziafides 14.02.20)

Damasco (Agenzia Fides) – L’Assemblea del popolo siriano, nella seduta di giovedì 13 febbraio, ha approvato all’unanimità una risoluzione che riconosce come “Genocidio” la tragedia storica dei massacri di armeni perpetrati nella Penisola anatolica negli anni 1915-1916. “Il Parlamento” riferisce un comunicato diffuso dai media ufficiali siriani, “riconosce e condanna il Genocidio commesso contro gli Armeni dallo Stato ottomano all’inizio del XX secolo”.
Con il voto di ieri, la Siria diventa il primo Paese arabo a riconoscere ufficialmente, e ai massimi livelli istituzionali, la natura genocidaria delle persecuzioni pianificate scatenate 105 anni fa contro le popolazioni armene dei territori dell’attuale Turchia. La risoluzione dell’Assemblea del popolo siriano arriva dopo settimane di tensioni tra Ankara e Damasco, seguite agli scontri tra le forze militari dei due Paesi consumatesi nella provincia siriana nord-occidentale di Idlib, dove l’esercito governativo siriano sta assediando le ultime aree controllate da milizie islamiste.
Il riconoscimento del Genocidio armeno da parte della Siria ha provocato l’immediata reazione ufficiale della Turchia: Hamy Aksoy, portavoce del Ministero degli Esteri turco, ha pubblicato una dichiarazione durissima, in cui la risoluzione siriana di condanna del “cosiddetto genocidio” armeno viene bollata come “l’immagine dell’ipocrisia di un regime che da anni ha assecondato ogni tipo di carneficina nei confronti del proprio popolo, comprese quelle contro i bambini; un regime che ha causato la fuga di milioni di propri connazionali ed è rinomato per la sua spregiudicatezza nell’uso di armi chimiche”.
Il 4 marzo 2015, l’Assemblea del popolo siriano aveva già dedicato al Genocidio armeno una “sessione commemorativa”. L’iniziativa, promossa in particolare dalla parlamentare siriana cristiana Maria Saadeh, aveva visto il coinvolgimento dei membri dei Comitati parlamentari per le relazioni estere e la partecipazione dell’Ambasciatore della Repubblica di Armenia in Siria, Arshak Poladyan, che nel suo intervento aveva ricordato l’accoglienza ricevuta cento anni prima, proprio in Siria, dagli armeni che fuggivano dai massacri pianificati dal governo dei Giovani Turchi.
Di recente (vedi Fides 18/5/2019), un appello a ritornare in Siria e a ricostruire le proprie case devastate dal conflitto è stato rivolto dal Presidente Bashar Assad agli armeni siriani che negli anni del conflitto sono fuggiti dal Paese, trovando rifugio in Libano, in Armenia o in altri Paesi del Medio Oriente e dell’Occidente. L’esplicita richiesta di rimpatrio rivolta ai profughi armeni è stata espressa dal leader siriano in occasione del suo incontro con Aram I, il Catholicos armeno apostolico della Gran Casa di Cilicia, ricevuto a Damasco dal Presidente Assad martedì 14 maggio. In quella occasione, i media governativi siriani avevano riportato anche gli elogi rivolti in quella circostanza da Assad allo “spirito patriottico” dei siriani armeni, da lui definiti “cittadini esemplari”: il Presidente siriano aveva esaltato il contributo da loro offerto alla difesa dell’unità nazionale di fronte al tentativo di smembramento del Paese messi in atto da quella che Assad aveva definito come “barbarie terrorista”. Assad aveva anche paragonato la brutalità da lui attribuita a tale “barbarie terrorista” con la ferocia dei massacri commessi dagli ottomani contro il popolo armeno. (GV) (Agenzia Fides 14/2/2020)

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