La Siria è il primo paese arabo che riconosce ufficialmente il genocidio armeno (Ilmessaggero 14.02.20)

Città del Vaticano – Il Parlamento siriano, nella seduta del 13 febbraio, ha approvato all’unanimità una risoluzione che riconosce come “Genocidio” il piano di sterminio dei cristiani armeni pianificato in Turchia negli anni 1915-1916. «Il Parlamento – riferisce l’agenzia vaticana Fides – riconosce e condanna il Genocidio commesso contro gli Armeni dallo Stato ottomano all’inizio del XX secolo».

Con il voto di ieri, la Siria diventa il primo Paese arabo a riconoscere ufficialmente, e ai massimi livelli istituzionali, la natura genocidaria delle persecuzioni pianificate costate la vita a un milione e mezzo di cristiani. La risoluzione dell’Assemblea del popolo siriano arriva dopo settimane di tensioni tra Ankara e Damasco, seguite agli scontri tra le forze militari dei due Paesi consumatesi nella provincia siriana nord-occidentale di Idlib, dove l’esercito governativo siriano sta assediando le ultime aree controllate da milizie islamiste.

Naturalmente il governo di Erdogan che porta avanti una politica di totale negazionismo ha subito reagito con una dichiarazione durissima, in cui la risoluzione siriana viene definita «l’immagine dell’ipocrisia di un regime che da anni ha assecondato ogni tipo di carneficina nei confronti del proprio popolo, comprese quelle contro i bambini; un regime che ha causato la fuga di milioni di propri connazionali ed è rinomato per la sua spregiudicatezza nell’uso di armi chimiche».

Il 4 marzo 2015, l’Assemblea del popolo siriano aveva già dedicato al Genocidio armeno una “sessione commemorativa”. L’iniziativa, promossa in particolare dalla parlamentare siriana cristiana Maria Saadeh, aveva visto il coinvolgimento dei membri dei Comitati parlamentari per le relazioni estere e la partecipazione dell’Ambasciatore della Repubblica di Armenia in Siria, Arshak Poladyan, che nel suo intervento aveva ricordato l’accoglienza ricevuta cento anni prima, proprio in Siria, dagli armeni che fuggivano dai massacri pianificati dal governo dei Giovani Turchi.

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Genocidio armeno: Siria, il Parlamento riconosce e condanna i massacri. È il primo Paese arabo a farlo ufficialmente (SIR 14.02.20)

L’Assemblea del popolo siriano, nella seduta di giovedì 13 febbraio, ha approvato all’unanimità una risoluzione che riconosce come “Genocidio” la tragedia storica dei massacri di armeni perpetrati nella Penisola anatolica negli anni 1915-1916. “Il Parlamento”, riferisce un comunicato diffuso dai media ufficiali siriani e ripreso da Fides, “riconosce e condanna il Genocidio commesso contro gli armeni dallo Stato ottomano all’inizio del XX secolo”. Con il voto di ieri, la Siria diventa il primo Paese arabo a riconoscere ufficialmente, e ai massimi livelli istituzionali, la natura genocidaria delle persecuzioni pianificate scatenate 105 anni fa contro le popolazioni armene dei territori dell’attuale Turchia. La risoluzione dell’Assemblea del popolo siriano arriva dopo settimane di tensioni tra Ankara e Damasco, seguite agli scontri tra le forze militari dei due Paesi consumatesi nella provincia siriana nord-occidentale di Idlib, dove l’esercito governativo siriano sta assediando le ultime aree controllate da milizie islamiste. Il riconoscimento del Genocidio armeno da parte della Siria ha provocato l’immediata reazione ufficiale della Turchia: Hamy Aksoy, portavoce del ministero degli Esteri turco, ha pubblicato una dichiarazione durissima, in cui la risoluzione siriana di condanna del “cosiddetto genocidio” armeno viene bollata come “l’immagine dell’ipocrisia di un regime che da anni ha assecondato ogni tipo di carneficina nei confronti del proprio popolo, comprese quelle contro i bambini; un regime che ha causato la fuga di milioni di propri connazionali ed è rinomato per la sua spregiudicatezza nell’uso di armi chimiche”. Di recente un appello a ritornare in Siria e a ricostruire le proprie case devastate dal conflitto è stato rivolto dal presidente Bashar Assad agli armeni siriani che negli anni del conflitto sono fuggiti dal Paese, trovando rifugio in Libano, in Armenia o in altri Paesi del Medio Oriente e dell’Occidente. L’esplicita richiesta di rimpatrio rivolta ai profughi armeni è stata espressa dal leader siriano in occasione del suo incontro con Aram I, il Catholicos armeno apostolico della Gran Casa di Cilicia, ricevuto a Damasco dal presidente Assad martedì 14 maggio.

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Ritorno a Gutenberg: Gianni Basso, Maestro Stampatore (frizzifrizzi.it 13.02.20)

ella Laguna di Venezia c’è una piccola isola completamente occupata da un monastero: San Lazzaro degli Armeni. Si chiama così perché nel XII secolo venne usata come lebbrosario, ricevendo il nome del patrono dei lebbrosi San Lazzaro mendicante e, successivamente nel 1717, fu data dalla Repubblica di Venezia a un gruppo di monaci armeni in fuga dall’invasione turca. E proprio la confraternita dei padri Mekhitaristi trasformò l’isola in un centro di cultura e scienza destinato a mantenere in vita la lingua, la letteratura, le tradizioni e i costumi del popolo armeno. Mancava una sola cosa per rendersi autonomi: delle macchine da stampa.

Nel 1789 finalmente venne aggiunto al monastero un nuovo padiglione in cui sorse la prima piccola stamperia, così i monaci non dovettero più ricorrere alle tipografie veneziane e poterono diffondere autonomamente la lingua e la cultura armena, con una macchina da stampa che produsse lavori in 38 lingue e dieci alfabeti.
Perizia, rigore, volontà ferrea e qualità artistica hanno contraddistinto la bottega armena dell’isola da allora fino ai giorni nostri, dove nel tempo si sono formati stampatori d’arte, calligrafi, miniaturisti e tipografi di prima qualità. E proprio sull’isola, intorno al sessantotto, dove fu spedito dal nonno per far imparare un mestiere a un giovane adolescente più intento a occupare le scuole che a studiare sui libri, ha imparato la nobile arte della stampa a caratteri mobili il veneziano Gianni Basso.

(foto dell’autore)
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L’ho conosciuto a Palazzo Ducale a Venezia, per caso. Io ero lì per lavoro, lui per ricevere dalle mani del Sindaco della città lagunare l’Osella d’oro, una moneta-medaglia che veniva coniata ogni anno dalla zecca di Venezia e che il doge donava alle personalità della Repubblica, usanza che prosegue anche oggi.

«Veneziano, per la dedizione e l’impegno di lavoro nel settore del tradizionale ed antichissimo mestiere di Maestro Stampatore, appreso nella manifattura del Collegio dei Padri Armeni nell’Isola di San Lazzaro, divenuto dopo la chiusura della stamperia con realizzazione dello storico museo, unico testimone del mestiere artigiano dell’arte della stampa a caratteri mobili che fu di Aldo Manuzio, capace di dare corpo nella propria bottega con abilità manuale a creazioni preziose di raffinato gusto artistico, salvaguardando tecniche e conoscenze di questa antica arte per le future generazioni». Nella motivazione letta al pubblico durante il conferimento del prestigioso riconoscimento, c’è la sintesi dell’importanza del lavoro di Basso, che confessa: «sento il peso della responsabilità di proseguire la stampa a caratteri mobili a Venezia, dove ormai sono rimasto l’unico». E per sentirla meno questa responsabilità, ha già trovato a chi passare il testimone: con lui infatti nel laboratorio di Calle del Fumo in Cannaregio, lavora anche il figlio, con il quale stampa biglietti da visita, carta da lettere, buste e segnalibri che sistema in pacchi eleganti per poi spedirli in tutti gli angoli del pianeta.

(foto dell’autore)
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«Il 99% dei miei clienti viene dall’estero, dove la cultura del letterpress sembra avere attecchito maggiormente» si affretta a dire appena varcata la soglia del suo laboratorio, non prima di aver ricordato con un pizzico di malcelato orgoglio «ma oggi io i clienti me li scelgo, non come quando ho iniziato e facevo la fame».
E in effetti nel piccolo laboratorio dove sono posizionate in fila indiana le macchine tipografiche rigorosamente manuali, sono appese alle pareti pagine di giornali e riviste americane, francesi e tedesche che hanno celebrato il lavoro dei Basso; negli scaffali o sugli sgabelli si ammucchiano lettere e pacchi di biglietti da visita con indirizzi vergati in inglese, destinati a una clientela anglofona, raffinata e facoltosa. Di ritorno, lettere chiuse con la ceralacca spedite dalla Russia. Sono gli ordini dei clienti che sono passati da Gianni durante un soggiorno a Venezia e gli spediscono, insieme a un ordine, foto ricordo scattate al momento dell’incontro.

Dai Basso nel 2017 è arrivata anche una troupe della casa di produzione inglese Seventh Art Production per filmarlo mentre mette in pratica il processo di stampa inventato nel XVI secolo; immagini che furono utilizzate nel programma Exhibition on Screen: Canaletto in occasione della mostra Canaletto and the Art of Venice nella Queen’s Gallery di Buckingham Palace.

(foto dell’autore)
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Entrando nel laboratorio l’odore tipico di inchiostro e solventi delle tipografie si mescola all’aria densa e umida tipica delle stanze al piano terra dei fondamenti di Venezia: «a 1,37 vado sotto, purtroppo è successo anche con l’ultima acqua alta». I caratteri di piombo e legno sono comunque al sicuro, curati come si curano le materie prime preziose. Cliché in piombo di Venezia stampati su carta Tintoretto, ex libris composti a mano e stampati su carta avorio esposta sopra la marginiera in legno, una serie di acquaforti della prima edizione di Pinocchio che Gianni ha ristampato in tre copie per i figli di Angelina Jolie: ovunque si posi lo sguardo all’interno della stamperia dei Basso trova una sorpresa o una meraviglia. Come la stanza accanto, dove è stato allestito il piccolo museo “vivo”, una wunderkammer per appassionati di stampa tipografica.

«Quando è stato venduto lo spazio vicino al laboratorio — ha detto Gianni Basso — ho temuto che arrivasse il solito negozio di cineserie. Mi sono detto che forse era l’occasione per fare un sacrificio ed esporre un pezzo di storia di Venezia». Una stanza piena di mobili antichi, pietre litografiche preziose, polizze del settecento e anche conquiste recenti, come una serie di caratteri con i simboli degli scacchi. Ancora riviste internazionali, stampe di fotografi famosi che hanno fermato il tempo con scatti artistici dentro il laboratorio.

Non molti italiani varcano la soglia di Museo e laboratorio, dove il tempo si ferma e rallenta: «ho dovuto dotarmi di un alfabeto con il simbolo della chiocciola per la e-mail, i clienti americani non si accontentavano più di una a corsivo inglese; per fortuna ne ho trovato una serie corpo 6, 8 e 12 da una tipografia che ha chiuso qui in Laguna».
I suoi clienti più affezionati sono gli stranieri, fra i quali sceicchi, star, il Premio Nobel Joseph Brodsky, lord inglesi e magnati russi. Nemo propheta in patria, si direbbe. E Gianni Basso contraccambia, definendosi “erede di Gutenberg” nella patria di Aldo Manuzio. Festina lente, comunque, è un motto fissato dall’inchiostro su molta carta esposta nel laboratorio di Calle del Fumo.

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San Gregorio Armeno, a Nardò via ai festeggiamenti religiosi e civili per il Santo Patrono (Corrieresalentino 13.02.20)

NARDO’ (Lecce) – Con il consueto prologo di questa sera in cattedrale – che prevede l’inizio del settenario, la recita del rosario e la messa delle ore 18:30 – viene inaugurato il programma dei riti religiosi in onore di San Gregorio Armeno, il patrono della città. Il programma proseguirà mercoledì 19 febbraio alle ore 18 nella basilica cattedrale con la messa pontificale presieduta dall’arcivescovo di Lecce monsignor Michele Seccia, cui seguirà la processione per le vie della città, secondo il solito itinerario: piazza Pio XI, corso Garibaldi, piazza Umberto I, via Regina Elena, via Roma, piazza Diaz, corso Galliano, piazza Mazzini, via Grassi, piazza Osanna (dove è in programma la benedizione della città), piazza della Repubblica, corso Vittorio Emanuele II, piazza Salandra, via Duomo e piazza Pio XI. La processione sarà accompagnata dal Nuovo Concerto Bandistico Terra d’Arneo Città di Nardò. Giovedì 20 febbraio, San Gregorio Armeno, sono previste in cattedrale le messe alle 7:30, 9, 10:30 e 18:30. Durante la mattinata la banda della Cittadella dei Ragazzi si esibirà per le vie della città.

Il programma delle manifestazioni civili prevede, invece, nella giornata di giovedì 20 febbraio, alle ore 9 presso la Sala Roma di piazza Pio XI, un convegno sul tema La pace, un cammino di speranza. Interverranno il sindaco Pippi Mellone, don Salvatore Leopizzi (già consigliere nazionale di Pax Christi), il presidente del Comitato Feste Patronali Cosimo Caputo. Sono previsti i contributi degli studenti degli istituti di istruzione secondaria “Galilei”, “Moccia” e “Vanoni”.

A seguire (alle ore 11:30, sempre presso la Sala Roma) è in programma in collaborazione con il Rotary Club Nardò un incontro per spiegare alla città modalità e significato del restauro della statua di San Gregorio, posta sul sedile di piazza Salandra, su un progetto dello stesso Rotary neretino. Interverranno il presidente del Rotary Club Nardò Pantaleo Daniele, l’architetto Giancarlo De Pascalis, il presidente del Comitato Feste Patronali Cosimo Caputo. Nel pomeriggio è previsto in piazza Salandra un momento sempre molto atteso ed emozionante, cioè l’evento commemorativo delle vittime del terremoto del 1743 e di celebrazione della grande opera di solidarietà che molte comunità vicine prestarono alla popolazione neretina subito dopo il sisma. Alle ore 17 ci sarà la lettura di alcune testimonianze dell’epoca del terremoto da parte di Antonio Settanni, accompagnata dalla musica del violino di Angelo Baccassino, con i 100 rintocchi della campana della piazza. In serata, alle ore 20 sempre in piazza Salandra, il concerto Hit Parade con Demo Morselli e Marcello Cirillo.

Il programma degli eventi religiosi e civili è stato messo a punto dal Comitato Feste Patronali in collaborazione con la Diocesi di Nardò Gallipoli e il Comune di Nardò.
San Gregorio Illuminatore nacque in Armenia nel 257 circa, giovanissimo si rifugiò in Cappadocia per sfuggire a una persecuzione e in quella terra venne educato al cristianesimo. Rientrato in patria e divenuto monaco, visse la persecuzione di Tiridate nei confronti dei cristiani in Armenia, che nel frattempo Gregorio aveva conquistato con l’efficace campagna di predicazione. Fu imprigionato nella fortezza di Artashat, dove restò tredici anni. Una lunga malattia del re si risolse con l’intervento di Gregorio, che da quel momento ottenne la conversione di Tiridate e il riconoscimento della religione cristiana in Armenia. Nel 302 Gregorio ricevette la consacrazione a Patriarca d’Armenia, divenendo riferimento principale per la comunità cristiana. Dopo un’intensa campagna di evangelizzazione decise di ritirarsi a vita anacoretica. Morì in un eremo sul monte Sepouh all’incirca nell’anno 328. I resti vennero portati nel villaggio armeno di Tharotan e alcune sue reliquie sono sparse in vari luoghi del mondo. A Nardò si trovava una parte dell’avambraccio con la mano benedicente (secondo la tradizione trasportata da monaci armeni in fuga da una persecuzione iconoclasta), contenuta in un reliquario in argento trafugato negli anni ’70. Fu sostituito con una copia contenente un metacarpo, donata alla città dal cardinale Corrado Ursi, già vescovo della città.

La tradizione vuole che la statua del santo, posta sul Sedile, si sia miracolosamente spostata, quasi a rivolgersi verso l’epicentro del sisma che alle ore 16:30 del 20 febbraio 1743 aveva colpito Nardò, con ingenti danni a persone e cose. Per i fedeli il numero dei morti e la devastazione sarebbero stati più ingenti senza l’intercessione del santo. Risulta da vari documenti che già prima di questo episodio la comunità neretina era intimamente legata alla figura del vescovo venuto dall’Oriente e lo aveva “eletto” a patrono

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Il giallo dell’agenzia del Vaticano che racconta con enfasi i passi in avanti della Turchia di Erdogan (Ilmessaggero 13.02.20)

Città del Vaticano – Il giallo dell’agenzia vaticana Fides platealmente filo-turca. Ormai sono in molti – dentro e fuori al piccolo stato pontificio – a chiedersi perchè dal Vaticano non arrivi nessuna parola che possa mettere in ombra la politica di Ankara, e perchè Fides da un po’ di tempo in qua pubblica sempre e solo dispacci con esposizioni positive e costruttive. Con buona pace per i diritti umani. E pazienza se persino il neo-eletto patriarca armeno in Turchia per non finire dritto in galera, è ormai costretto ad evitare la parola genocidio (costato la vita a un milione e mezzo di cristiani nel 1915), visto che è in vigore l’articolo 301 del codice penale che prevede l’arresto per attentato “alla turchicità” dello stato. Ma di tutto questo, nelle dettagliate cronache di Fides, l’agenzia della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, uno degli organi d’informazione ufficiali del Vaticano, non si tiene conto.

Piuttosto nei resoconti pubblicati viene dato spazio ai passi positivi che sta facendo Erdogan, come è successo anche in questi giorni con la firma di un apposito decreto presidenziale per confermare che Sahak II Masalyan, nuovo Patriarca armeno di Costantinopoli, ha il «diritto di indossare la sua veste da religioso anche quando esce dai luoghi di culto e si trova all’aperto o in ambienti pubblici». Per il Vaticano equivale a un buon segnale, un passo in avantil

Da tempo l’agenzia Fides mette in risalto i discorsi a favore del regime di Erdogan che il patriarca armeno Masalyan è obbligato a pronunciare, pur di non mettere a repentaglio la piccola comunità cattolica presente in Turchia, perennemente sotto schiaffo dal potere di Ankara. Non è un mistero per nessuno. Nonostante il patriarca armeno sia evidentemente sotto presssione, costretto a censurarsi persino su fatti storici come il genocidio, l’agenzia Fides informa dei passi in avanti raccontando persino della benedizione alla operazione militare in Siria che il patriarca è stato costretto a pronunciare. Un episodio che è stato riportato senza essere affiancato ad alcun giudizio critico, dubbioso o negativo, ma semplicemente mettendo in luce i fatti, come se fosse un evento normale o qualunque.

Stavolta Fides ha reso noto il decreto presidenziale n°1838 del 16 dicembre 2019 con il quale viene fatta una eccezione al patriarca indossare la veste da prete. Aggiungendo che l’arcivescovo Masalyan, eletto l’11 dicembre 2019 come 85esimo Patriarca armeno di Costantinopoli, ha iniziato il suo ministero inviando diversi segnali di ossequiosa benevolenza nei confronti della leadership politica turca: «sotto il potere del Partito Akp (il Partito del Presidente Erdogan, ndr) stiamo vivendo il periodo più pacifico e felice dai tempi della fondazione della Repubblica turca».

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Lo sfregio di Assad alla Turchia di Erdogan: la Siria riconosce il genocidio armeno (Globalist 13.02.20)

“Il Parlamento ha approvato il disegno di legge che riconosce e condanna il genocidio armeno nell’Impero Ottomano all’inizio del 20° secolo … e ha stabilito che armeni, assiri ed altri popoli che compongono la nazione siriana sono stati vittima di pulizia etnica, massacri mirati e genocidio”, si legge nel comunicato. I deputati siriani hanno inoltre esortato i Parlamenti di altri Paesi ad approvare risoluzioni simili.

Il Parlamento ha anche “condannato i tentativi di negare questo crimine e distorcere la verità storica al riguardo”.

A loro volta i deputati hanno osservato che la decisione adottata contribuirà ad evitare il ripetersi di tali crimini in futuro ed hanno affermato che gli eventi in Siria hanno mostrato “il vero volto dell’aggressivo regime turco”.

La dura reazione di Ankara al processo di riconoscimento internazionale del genocidio armeno del 1915 nell’Impero Ottomano è una delle ragioni principali delle complicate relazioni tra Turchia e Armenia.

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Parlamento siriano riconosce il genocidio armeno (Sputnik 13.20.20)

Il Parlamento siriano ha approvato una risoluzione relativa al riconoscimento e alla condanna del genocidio del popolo armeno perpetrato negli ultimi anni dell’Impero Ottomano.

Lo ha comunicato l’ufficio stampa dell’organo legislativo dello Stato siriano, segnala l’agenzia di stampa locale Sana.

“Il Parlamento ha approvato il disegno di legge che riconosce e condanna il genocidio armeno nell’Impero Ottomano all’inizio del 20° secolo … e ha stabilito che armeni, assiri ed altri popoli che compongono la nazione siriana sono stati vittima di pulizia etnica, massacri mirati e genocidio”, si legge nel comunicato. I deputati siriani hanno inoltre esortato i Parlamenti di altri Paesi ad approvare risoluzioni simili.

Il Parlamento ha anche “condannato i tentativi di negare questo crimine e distorcere la verità storica al riguardo”.

“Ora vediamo l’aggressione turca, basata sull’ideologia razzista ottomana”, ha dichiarato il presidente del Parlamento siriano Hammouda Sabbagh, osservando che gli “antenati di Erdogan” hanno commesso il genocidio armeno.

A loro volta i d eputati hanno osservato che la decisione adottata contribuirà ad evitare il ripetersi di tali crimini in futuro ed hanno affermato che gli eventi in Siria hanno mostrato “il vero volto dell’aggressivo regime turco“.

Rapporti tesi tra Siria e Turchia

Damasco ha ripetutamente accusato la Turchia di occupare territori siriani. Il presidente siriano Bashar Assad ha affermato che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è un ladro impegnato nel saccheggio dei territori e delle risorse siriane.

Genocidio armeno

Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, l’Impero Ottomano attuò la persecuzione degli armeni, raggiungendo il culmine nel 1915. L’Armenia insiste sul riconoscimento da parte della comunità internazionale del genocidio armeno nell’Impero ottomano. La Turchia respinge le accuse, sostenendo che sia gli armeni che i turchi furono vittime della tragedia del 1915.

La dura reazione di Ankara al processo di riconoscimento internazionale del genocidio armeno del 1915 nell’Impero Ottomano è una delle ragioni principali delle complicate relazioni tra Turchia e Armenia.

Scoperti in Armenia i resti di un’Antica Guerriera fra le ispiratrici del Mito delle Amazzoni (Vanillamagazine 12.02.20)

L’Armenia è una regione montuosa di origine vulcanica a sud del Caucaso, nell’alta valle del Tigri, tra i laghi di Sevan e di Urmia. La civiltà armena è fra le più antiche al mondo essendo contemporanea delle civiltà babilonese, assira ed egizia. Tracce di vita neolitica nella regione anatolica sono testimoniate da documenti storici già verso il 3000 a.C.

Armenia antica. Immagine di pubblico dominio condivisa via Wikipedia

La regione tra l’Ararat e i laghi di Van e Urmia risulta occupata a partire dal XIII secolo a.C. da una federazione di tribù che col tempo diede luogo alla civiltà di Urartu, basata su un’economia prevalentemente agricola e pastorale.

Il primo a scoprire l’esistenza della civiltà di Urartu fu lo studioso tedesco Friedrich Eduard Schulz, filosofo e orientalista tedesco, che viaggiò nell’area del lago di Van intorno al 1827 sulle tracce della regina Šamiram, la cui storia è contenuta nell’opera di Mosè di Corene, storiografo armeno del V secolo.

Estensione regno Urartu. Immagine di pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Schultz scoprì le rovine di una città e una serie di iscrizioni, parzialmente scritte in lingua assira e parzialmente scritte in una lingua del tutto sconosciuta. Lo studioso scoprì anche la stele bilingue chiamata Kelišin, trovata sul’omonimo passo al confine tra il moderno Iran e Iraq. Quando venne ucciso dai Curdi nel 1829 i suoi appunti finirono perduti per sempre.

Uno dei pochi appunti di Eduard Schulz rinvenutoci. Immagine di pubblico dominio condiviso via Wikipedia

Il nome Urartu venne dato al regno dai suoi più acerrimi nemici stanziati a sud, gli Assiri, e significa “paese di montagna”, gli Urartei invece chiamavano il proprio paese “terra di Biani”. Le prime notizie sugli Urartei sono legate alla documentazione delle guerre contro i re dell’Assiria Salmanassar I e Tiglatpileser I nel XIII-XII secolo a.C. Fu solo nel IX secolo a.C. che il re Aramu unificò sotto il suo potere le diverse tribù urartee della zona, dando così inizio a un vero e proprio regno di Urartu, che ebbe poi come capitale Tushpa, sita sul lago Van.

Iconografia re Uratei. Immagine di pubblico dominio condivisa via Wikipedia

La struttura della lingua mostra che gli Urartei non erano né Semiti, come gli Assiri e i Babilonesi, né Indoeuropei, come gli Ittiti. Il loro unico legame conosciuto di natura linguistica è con il popolo degli Hurriti, che vissero sparsi in numerosi centri urbani della Mezzaluna Fertile nell’epoca precedente. La prima raccolta sistematica di iscrizioni provenienti da Urartu fu quella del reverendo Archibald Henry Sayce, archeologo britannico, risalente al 1870.

Archibald Henry Sayce. Immagine di pubblico dominio condivisa via Wikipedia

La religione degli Urartei era politeista e la loro economia si basava sulla lavorazione del bronzo e del ferro, favorita dalle numerose miniere della regione, e dall’esportazione dei relativi manufatti metallici. I re di Urartu furono i primi ad assumere il titolo di Re dei Re e si impegnarono in lotte feroci con la potenza Assira e le tribù vicine, contraddistinguendosi come popolo bellicoso e socialmente improntato alla battaglia.

La loro stessa produzione metallurgica si indirizzava nella produzione, oltre che di gioielli, di armi, scudi e armature. Numerose ricchezze provenivano dal saccheggio e dalla conquista degli altri popoli e all’interno della comunità il guerriero deteneva un alto rango e rispetto tra la popolazione, una grande libertà e una considerazione quasi nobiliare.

Frammento di elmo decorato con scene di guerra. Fotografia di pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Nel 2017 un gruppo di ricercatori armeni guidati da Anahit Khudaverdyan dell’Accademia Nazionale delle Scienze della Repubblica di Armenia fece una scoperta archeologica sensazionale nella Necropoli di Dover I a Lorri, pubblicando i risultati nella Gazzetta Internazionale di Osteoarchaeology.

La tomba apparteneva a una donna di 20 anni che sembrava essere una guerriera professionista, sepolta infatti secondo i canoni degli individui di rango, datata con il radiocarbonio al VIII-VI secolo a.C.

Necropoli Dover I, Lorri. Fotografia di Pubblico dominio via Unsplash:

La defunta aveva una struttura muscolare pronunciata e tonica, caratteristica degli individui che quotidianamente sopportavano un intenso sforzo fisico. Con un’analisi dettagliata antropologica delle varie parti del corpo si è rilevato come i muscoli della parte superiore del corpo e i muscoli pettorali e deltoidi avessero una morfologia data dall’abitudine di flettere il braccio verso il petto:

Probabilmente era una arciere addestrata che usava regolarmente le forti corde dell’arco

Le ossa della coscia della donna hanno anche mostrato i muscoli glutei pronunciati, che i ricercatori credono essere il risultato di una formazione militare come cavallerizza.

Lo scheletro all’interno della sepoltura in fossa terragna con rinforzi e una copertura in lastre di pietra era posizionato su un fianco, e l’asse formato dalla testa e dai piedi indicava l’orientamento Nord-Ovest. Braccia e gambe erano state bloccate ai polsi da un laccio in ferro all’altezza del petto e le gambe erano ripiegate in posizione fetale.

Gli scienziati hanno rilevato numerose fratture provocate da armi. La ferita più grave è quella sul femore dove, incastrata nell’osso, è emersa una punta di metallo di freccia. Le ossa pelviche, il femore e la tibia presentano lesioni imputabili probabilmente a colpi di spada o di ascia.

Ricostruzione delle ferite della defunta. Immagine di Anahit Khudaverdyan:

La tibia presenta delle ferite di tipo indiretto, ovvero il risultato di violenti impatti di un’arma contro lo scudo imbracciato dalla donna. I colpi inferti in questo modo erano potenti e l’energia provocata da questi passava dallo scudo all’ulna e all’avambraccio, che si presentano ammaccati e scheggiati.

Questo connota che la donna venne attaccata da più di una persona, probabilmente durante una battaglia sul campo. Le lesioni da proiettile d’osso suggeriscono invece un’aggressione personale a media distanza.

La popolazione del Regno di Urartu usava frecce e cavalcava per cacciare abitualmente, ma usavano anche le stesse frecce come armi contro gli intrusi durante la battaglia.

Probabilmente i re combattevano i loro nemici a fianco delle loro mogli, dissipando il mito patriarcale che solo gli uomini guidavano e combattevano coraggiosamente gli scontri durante i tempi antichi

All’interno della sepoltura è stato ritrovato anche un ricco corredo, riservato solo alle persone appartenenti ad un alto rango, infatti una prima interpretazione aveva ricostruito l’identità della defunta come principessa armena. Il corredo comprendeva gioielli elaborati in argento, soprattutto bracciali e numerosi contenitori e vasi in ceramica della forma a Kylix senza manici.

Sepoltura e corredo. Immagine di Anahit Khudaverdyan:

La modalità con cui le donne venivano coinvolte completamente nelle guerre di Urartu ha portato i ricercatori a ipotizzare che le donne guerriere possano aver ispirato l’immaginario delle Amazzoni raffigurate in arte e letteratura greca antica. Gli storici più famosi greci come Erodoto e Strabone scrissero circa le donne amazzoni, descritte come abitanti delle montagne del Caucaso, un territorio non lontano dall’Armenia moderna.

Vaso con amazzomachia, Pittore di Berlino. Fotografia di pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Attraverso uno studio incrociato delle fonti della stessa epoca gli studiosi hanno trovato prove dell’esistenza di donne guerriere anche in altre culture antiche, non solo armene. Molti di questi incredibili risultati sono stati riscontrati soprattutto all’interno della cultura nordica vichinga.

Sotto, l’Amazzone ferita di Fidia, fotografia di pubblico dominio via Wikipedia:

Nel luglio 2018 gli archeologi hanno riesumato una tomba vichinga riccamente corredata da spade e asce, inizialmente attribuita ad un uomo guerriero. Dopo aver eseguito le analisi antropologiche si è invece attribuita a una donna guerriero, giovane e forte.

Elmo cerimoniale Vichingo da combattimento per uomini e donne. Fotografia di Michel Wal condivisa con licenza Creative Commons 3.0 via Wikipedia

L’immagine del guerriero uomo in una società patriarcale è stata rafforzata da tradizioni di ricerca e preconcetti contemporanei. Di conseguenza, il sesso biologico dell’individuo è stato dato per scontato in numerosi ritrovamenti funerari, senza svolgere ulteriori analisi specifiche, scrivendo relazioni errate. Questa ulteriore scoperta può incrementare ed aprire una nuova linea di ricerca sulla vita delle donne antiche e riesaminare casi passati per portare alla luce un’interpretazione innovativa.

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Il centro di ricerca del monte Aragats: l’isolamento in nome della scienza (Focustech.it 11.02.20)

La stazione di ricerca sui raggi cosmici situata sul monte Aragats, in Armenia, si trova ad un’altitudine di 3.200 metri. Il sito fu costruito nel 1943 per condurre ricerche top-secret sulle reazioni atomiche per lo sviluppo di armi nucleari, ma ora la struttura studia fenomeni atmosferici come i temporali e l’irradiamento di raggi cosmici. L’unico modo in cui i visitatori possono raggiungere la base in inverno è attraverso una salita di oltre 20 chilometri, attraverso la neve.

Gli inverni sul monte Aragats sono molto duri e la vita nel centro di ricerca è davvero difficile

Arshak Mkrtchyan, una guida alpina, percorre il sentiero verso la stazione utilizzando le sue fidate racchette da neve, con temperature che si aggirano intorno ai -22 gradi. Arrivando alla stazione al tramonto, il vento ulula per tutto l’altopiano e la temperatura scende a livelli pericolosi. I tecnici della struttura iniziano a lavorare un mese dopo. L’interno della stazione, invece, è sorprendentemente accogliente. Edik Arshakian e Gurgen Jabaryan, entrambi tecnici, hanno il compito di monitorare le attrezzature scientifiche, mentre Gohar Hovhannisian è addetta alle cucine.

Aragats

Hovhannisian dirige un’enorme cucina costruita durante il periodo sovietico, quando furono necessari decine di tecnici per gestire le attrezzature rudimentali. In inverno, quando gli ospiti della stazione si riducono a tre persone, la cucina funziona solo per i due tecnici e la stessa cuoca. I raggi cosmici che vengono studiati in questa struttura sono protoni ad alta energia e nuclei atomici, che attraversano lo spazio quasi alla velocità della luce. Quando essi incontrano l’atmosfera terrestre, colpiscono gli atomi e li disperdono; queste particelle hanno infatti il potere di “tagliare” la materia, inclusi gli esseri umani, e talvolta causano danni agli strumenti digitali e numerosi crash dei computer.

 

L’isolamento prolungato permette di studiare in maniera più approfondita la natura dei raggi cosmici

Le particelle in questione sono inoltre uno dei principali ostacoli al viaggio interplanetario e i loro effetti su astronauti e piloti sono oggetto di studio continuo. Basi ad alta quota come quella di Aragats sono esposte a dosi molto più elevate di raggi cosmici rispetto a quelle poste più in basso, poiché l’atmosfera terrestre funge da protezione. La struttura di Aragats fa parte di una rete di siti dislocati in tutto il mondo che studiano i raggi cosmici ed è collegata ad altre stazioni di ricerca, situate in Costa Rica e Indonesia.

Aragats

Sebbene in estate Aragats sia un affollato centro di ricerca, periodo in cui peraltro i ricercatori possono arrivare in auto, durante i lunghi mesi invernali è un luogo solitario e inospitale, molto isolato dal resto del mondo. Jabaryan infine scherza, asserendo che la parte preferita del suo lavoro è il momento in cui la motoslitta lo porta a casa alla fine del mese, ma l’isolamento non è che un piccolo prezzo da pagare in nome della scienza.

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Decreto di Erdogan: il Patriarca armeno potrà indossare abiti religiosi anche fuori dai luoghi di culto (Agenziafides 10.02.20)

Istanbul (Agenzia Fides) – Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha firmato un apposito decreto presidenziale per confermare che Sahak II Masalyan, nuovo Patriarca armeno di Costantinopoli, ha il diritto di indossare la sua veste da religioso anche quando esce dai luoghi di culto e si trova all’aperto o in ambienti pubblici. La specifica disposizione è contenuta nel decreto presidenziale n°1838 del 16 dicembre 2019. I contenuti del decreto sono divenuti di pubblico dominio solo a inizio febbraio, e sono stati rilanciati soprattutto da Agos, la testata bilingue armeno-turca con sede a Istanbul.
Le regole che restringono in Turchia la possibilità di indossare abiti religiosi in luoghi pubblici sono un retaggio dell’impronta laicista impressa alle istituzioni turche da Mustafa Kemal Ataturk, fondatore e primo Presidente della Repubblica di Turchia. Ancora adesso, i membri consacrati delle diverse comunità di fede vestono solitamente in abiti civili quando escono dai luoghi di culto o dalle sedi di organismi e istituzioni religiose. Il privilegio di poter vestire anche in pubblico abiti religiosi è riservato solo ai capi delle diverse comunità, come il Patriarca ecumenico e il Patriarca armeno di Costantinopoli, il Gran Mufti e il Rabbino CapoRepubblica di Turchia.
L’arcivescovo Sahak Masalyan, eletto l’11 dicembre 2019 come 85esimo Patriarca armeno di Costantinopoli, ha iniziato il suo ministero inviando diversi segnali di ossequiosa benevolenza nei confronti della leadership politica turca: “Tutte le minoranze presenti in Turchia” ha dichiarato il Patriarca in un’intervista pubblicata giovedì 2 gennaio dal quotidiano nazionalista turco Akşam (vedi Fides 3/1/2020) condividono questo medesimo avviso: sotto il potere del Partito Akp (il Partito del Presidente Erdogan, ndr) stiamo vivendo il periodo più pacifico e felice dai tempi della fondazione della Repubblica turca”. (GV) Agenzia Fides 10/2/2020)

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Storie di coraggio e di resistenza, dal genocidio armeno al tempo presente scelte da Gariwo in collaborazione con Anteo Palazzo del Cinema (Agenziacomunica 10.02.20)

Milano, 10 febbraio 2020 – Con la rassegna cinematografica ”Il Cinema dei Giusti” organizzata in collaborazione con ANTEO Palazzo del Cinema, dal 16 al 20 febbraio, Gariwo propone al pubblico milanese cinque “Storie di coraggio e di resistenza, dal genocidio armeno al tempo presente” portando sul grande schermo la memoria di conflitti passati e recenti.

Attraverso i film in programma ripercorreremo l’esperienza di due genocidi del Novecento, il fenomeno del fondamentalismo religioso e la tragedia della guerra civile, mettendo in risalto i personaggi che in ogni vicenda reagiscono opponendosi alle persecuzioni e difendendo la propria o l’altrui libertà, l’autonomia di pensiero e la dignità umana: i Giusti.

A loro è ispirato l’impegno di Gariwo, che da vent’anni lavora con educatori, insegnanti e studenti nelle scuole e nelle università per diffondere il messaggio dei Giusti attraverso la didattica e le iniziative realizzate negli oltre 130 Giardini dei Giusti creati in Italia e nel mondo. Gariwo ogni anno celebra il Giorno della Memoria e la Giornata dei Giusti dei Giusti dell’umanità 6 marzo, divenuta solennità civile in Italia dal 2018.

I film in programma

Domenica 16 febbraio ore 10.30. La volontà di sopravvivere e fare nascere una figlia in una città sotto assedio è il tema del documentario “Alla mia piccola Sama, realizzato dalla giovane siriana Waad Al-Khateab assieme a Edward Watts, che apre la rassegna con la presentazione di Marta Serafini, della Redazione Esteri del Corriere della Sera.

Lunedì 17 febbraio ore 19.30. II contrasto tra un potere imposto dall’esterno e fine a se stesso (i jihadisti) e gli abitanti di un’antica città sahariana in Mali, che cercano di resistere e difendere la loro dignità, è al centro del film di Abderrahmane Sissako Timbuktu, introdotto da Anna Pozzi, giornalista di Mondo e Missione.

Martedì 18 febbraio ore 19.30. La ricerca delle proprie origini e dei propri familiari da parte di un sopravvissuto al genocidio armeno è il filo che guida il protagonista del film di Fatih Akin Il padre, in un viaggio dalla Mesopotamia agli Stati Uniti per rintracciare le sue due figlie, incontrando persone che lo aiutano e altre persone malvagie. Il film sarà presentato da Pietro Kuciukian, Console onorario della Repubblica d’Armenia.

Mercoledì 19 febbraio ore 19.30. Il coraggio di Jan Zabinski, direttore dello zoo di Varsavia dal 1929, e della moglie Antonina che salvarono oltre duecento ebrei facendoli segretamente uscire dal ghetto di Varsavia e nascondendoli nelle cantine retrostanti le gabbie degli animali, è narrato in La signora dello zoo di Varsavia, di Niki Caro, introdotto da Francesco Cataluccio, giornalista e scrittore.

Giovedì 20 febbraio ore 19.30. A concludere il ciclo sarà Gli Invisibili, di Claus Rafle: le vicende di quattro tra i circa 7.000 ebrei rimasti a Berlino dopo che la capitale tedesca era stata dichiarata “liberata dagli ebrei” il 19 Giugno del 1943, e che entrarono in clandestinità assumendo false identità e vivendo nel continuo timore di essere scoperti. Il film sarà presentato da Gabriele Nissim, Presidente di Gariwo.


Biglietto: 7,50€
Abbonamento ai 5 film: 20 €
I biglietti sono acquistabili presso la biglietteria ANTEO Palazzo del Cinema (Piazza Venticinque Aprile, 8 – Milano) oppure online a questo link.

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Film su genocidio armeno | 16-20 febbraio | Anteo Eventi a Milano (Milanotoday 10.02.20)
„All’Anteo arriva una rassegna di film sulle storie di coraggio e di resistenza“

Con la rassegna cinematografica ”Il Cinema dei Giusti” organizzata in collaborazione con Anteo Palazzo del Cinema, dal 16 al 20 febbraio, Gariwo propone al pubblico milanese cinque “Storie di coraggio e di resistenza, dal genocidio armeno al tempo presente” portando sul grande schermo la memoria di conflitti passati e recenti. Storie di coraggio e di resistenza, dal genocidio armeno al tempo presente.

Cinque film in difesa della libertà

Attraverso i film in programma ripercorreremo l’esperienza di due genocidi del Novecento, il fenomeno del fondamentalismo religioso e la tragedia della guerra civile, mettendo in risalto i personaggi che in ogni vicenda reagiscono opponendosi alle persecuzioni e difendendo la propria o l’altrui libertà, l’autonomia di pensiero e la dignità umana: i Giusti. A loro è ispirato l’impegno di Gariwo, che da vent’anni lavora con educatori, insegnanti e studenti nelle scuole e nelle università per diffondere il messaggio dei Giusti attraverso la didattica e le iniziative realizzate negli oltre 130 Giardini dei Giusti creati in Italia e nel mondo. Gariwo ogni anno celebra il Giorno della Memoria e la Giornata dei Giusti dei Giusti dell’umanità 6 marzo, divenuta solennità civile in Italia dal 2018.

I film in programma

– Domenica 16 febbraio ore 10:30. La volontà di sopravvivere e fare nascere una figlia in una città sotto assedio è il tema del documentario “Alla mia piccola Sama”, realizzato dalla giovane siriana Waad Al-Khateab assieme a Edward Watts, che apre la rassegna con la presentazione di Marta Serafini, della Redazione Esteri del Corriere della Sera.

– Lunedì 17 febbraio ore 19:30. II contrasto tra un potere imposto dall’esterno e fine a se stesso (i jihadisti) e gli abitanti di un’antica città sahariana in Mali, che cercano di resistere e difendere la loro dignità, è al centro del film di Abderrahmane Sissako Timbuktu, introdotto da Anna Pozzi, giornalista di Mondo e Missione.

– Martedì 18 febbraio ore 19:30. La ricerca delle proprie origini e dei propri familiari da parte di un sopravvissuto al genocidio armeno è il filo che guida il protagonista del film di Fatih Akin Il padre, in un viaggio dalla Mesopotamia agli Stati Uniti per rintracciare le sue due figlie, incontrando persone che lo aiutano e altre persone malvagie. Il film sarà presentato da Pietro Kuciukian, Console onorario della Repubblica d’Armenia.

– Mercoledì 19 febbraio ore 19:30. Il coraggio di Jan Zabinski, direttore dello zoo di Varsavia dal 1929, e della moglie Antonina che salvarono oltre duecento ebrei facendoli segretamente uscire dal ghetto di Varsavia e nascondendoli nelle cantine retrostanti le gabbie degli animali, è narrato in La signora dello zoo di Varsavia, di Niki Caro, introdotto da Francesco Cataluccio, giornalista e scrittore.

– Giovedì 20 febbraio ore 19:30. A concludere il ciclo sarà Gli Invisibili, di Claus Rafle: le vicende di quattro tra i circa 7.000 ebrei rimasti a Berlino dopo che la capitale tedesca era stata dichiarata “liberata dagli ebrei” il 19 Giugno del 1943, e che entrarono in clandestinità assumendo false identità e vivendo nel continuo timore di essere scoperti. Il film sarà presentato da Gabriele Nissim, Presidente di Gariwo.

Biglietti

I biglietti sono acquistabili presso la biglietteria Anteo Palazzo del Cinema oppure on-line.

Gariwo

Gariwo, la foresta dei Giusti è unʼassociazione nata per ricordare le figure esemplari che hanno salvato vite umane e si sono opposte a tutti i genocidi. Nel 2012 ha lanciato l’appello, accolto dal Parlamento europeo, per la Giornata europea dei Giusti il 6 marzo, giorno della scomparsa di Moshe Bejski, presidente della Commissione dei Giusti di Yad Vashem. Nel 2003 Gariwo ha creato con il Comune di Milano e l’UCEI il Giardino dei Giusti di tutto il mondo al Monte Stella di Milano. Molte altre città d’Italia e nel mondo hanno accolto l’invito a creare un Giardino dei Giusti.

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Chiudiamo la bocca ai negazionisti che infangano la memoria di infoibati, ebrei, armeni, ponti, ciprioti (Ilfattoquotidiano 10.2.20)

Cosa hanno in comune Infoibati, Ebrei, Armeni, Ponti, Ciprioti? C’è un male, silenzioso e invadente, che si è nuovamente insinuato in società e comunità cittadine. E’ quella sgradevole puzza di messaggi rancidi, che avvelenano i pozzi della civile convivenza, perché negano fatti e verità storiche in nome della cieca ideologia.

Il negazionismo striscia in città e borghi, sui social network trova la sua tragica benzina, rifiuta il confronto e si nutre di odio e prevaricazioni: per questa ragione va combattuto strenuamente. Il Giorno del Ricordo per i martiri delle Foibe e degli esuli giuliano-dalmati ci soccorre in questa battaglia, perché il virus di chi nega va debellato senza se e senza ma. Lo abbiamo purtroppo visto in azione contro l’Olocausto, anche da chi ha incarichi pubblici. O contro gli Armeni, i greci del Ponto, i Ciprioti che ancora oggi convivono con chi li ha invasi perché accecati dal neo ottomanesimo tanto caro a Erdogan (che punta adesso anche al gas sottomarino).

Il negazionismo, tutto, è pericoloso: porta rabbia, violenza e terrore.

In Germania, negli Usa e in Turchia c’è chi ancora nega l’Olocausto: lo scorso 28 dicembre l’attacco antisemita con un machete a New York si è verificato nel solco di un vento che spira (forte) contro gli ebrei in varie parti del pianeta, con il sindaco Bill de Blasio che lanciò l’allarme: “Gli ebrei hanno paura di mostrare la loro fede”.

Lo ha certificato una delle voci più autorevoli del settore, il direttore per l’Asia dell’Asia-Caucaso Institute e Silk Road Studies Program presso l’American Foreign Policy Council, Svante E. Cornell, secondo cui lo scivolamemento della Turchia nella direzione dell’ideologia islamista più pura è reale e va oltre la personalità di Erdoğan. Ma anche il candidato premier inglese Jeremy Corbyn ci ha messo del suo: aveva più volte espresso apertamente il proprio antisemitismo rendendo omaggio ai militanti del commando di Settembre nero, responsabili della morte degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco.

E che dire degli Armeni? Decenni di silenzio su quelle pulizie etniche, su cui a fine 2019 finalmente anche gli Usa hanno pronunciato una parola ufficiale votando il riconoscimento del “Genocidio”. Il massacro della popolazione armena perpetrato dall’Impero ottomano tra il 1915 e il 1916 provocò 1,5 milioni di morti ma Ankara rifiuta quella definizione prevista da una risoluzione dell’Onu. I Ciprioti ancora oggi, dopo che da anni sono entrati nell’Ue, sono costretti a vedere sulla montagna che sovrasta Nicosia, una grande bandiera turca con su scritto “noi siamo qui e non ce ne andiamo”, retaggio dell’invasione del 1974.

Ma il pensiero corre anche alla tragedia della Mikrì Asia, con i greci di Smirne spinti in mare dall’esercito turco che diede fuoco alle loro abitazioni e con i militari inglesi che per non raccogliere i greci sulle loro imbarcazioni, tagliavano le mani e i polsi di chi tentava di salire a bordo per fuggire dalle acque del porto incendiate dall’olio ottomano.

Oggi si celebra il 10 febbraio: due storie su tutte. Odda Carboni aveva 39 anni e un giorno del marzo 1944 scomparve da Albona: venne portata sulla foiba dei colombi, ma anziché attendere di essere gettata lì dai titini, spiccò da sola il volo gridando “viva l’Italia”, mentre i titini giocavano a palla con la testa di alcuni istriani. Il maestro istriano Giuseppe Tosi, direttore didattico di Abbazia a Fiume, fu costretto a bere il suo stesso sangue ma si disse pronto al perdono prima di spirare, come raccontato nel libro 10 febbraio, dalle foibe all’esodo da Roberto Menia, padre sulla legge del Giorno del Ricordo.

Un’occasione, quella delle celebrazioni unitarie e pacificatrici di oggi, per chiudere i conti con il passato. E soprattutto per chiudere la bocca ai negazionisti che infangano la memoria di Infoibati, Ebrei, Armeni, Ponti, Ciprioti. Non solo un auspicio, ma un dovere.

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