Cina-Armenia: accordo esenzione visti entrerà in vigore dal 19 gennaio (Agenzia Nova 31.12.19)

Pechino, 31 dic 2019 10:01 – (Agenzia Nova) – Un accordo sull’esenzione dei visti tra Cina e Armenia entrerà in vigore il 19 gennaio 2020, secondo una nota ufficiale diffusa dal ministero degli Esteri armeno. La nota afferma che a partire dal 19 gennaio, i cittadini armeni e cinesi saranno in grado di viaggiare o transitare nel territorio del paese ospitante senza bisogno di un visto per un massimo di 90 giorni. Per soggiorni superiori a 90 giorni e per motivi di lavoro e di studio rimarrà necessario richiedere un visto in anticipo. Nel maggio di quest’anno, la Cina e l’Armenia hanno firmato un accordo di esenzione dall’obbligo dei visti per i cittadini dei due paesi. Circa 8.500 cittadini cinesi hanno visitato l’Armenia nel 2018, secondo il Comitato statistico nazionale dell’Armenia.

San Mercuriale era armeno. Arrivati proprio sul finire dell’anno i risultati delle reliquie (4Live.it 31.12.2019)

San Mercuriale, primo vescovo di Forlì è armeno. Sono infatti arrivati gli ultimi risultati sullo studio delle reliquie. Il progetto, che ha preso avvio con la ricognizione scientifica del 19 settembre 2018, nasce grazie ad una proficua collaborazione tra ricercatori ed istituzioni. Protagonisti dell’iniziativa sono Mirko Traversari, antropologo fisico e responsabile del progetto, il gruppo Ausl Romagna Cultura e la Diocesi di Forlì-Bertinoro, con il contributo del Lions Club Forlì-Cesena Terre di Romagna, particolarmente attivo su attività di valorizzazione e tutela della città di Forlì, che si è dimostrato immediatamente sensibile all’importante iniziativa.

Pochi mesi fa gli studi avevano accertato che San Mercuriale è vissuto tra il II e il III secolo d.C, e’ morto in un’età compresa tra i 40 e i 50 anni, era alto 1 metro e 60 e soffriva di osteoporosi. “Lo studio sulle reliquie di San Mercuriale – spiega Mirko Traversari – è proseguito, dopo le prime fasi, necessariamente dedicate all’acquisizione di informazioni strumentali e fisiche, ricavate dalle numerose indagini laboratoristiche messe in campo, è ora giunto il momento di interrogare questi dati, interpretandoli sulla scorta di ciò che le fonti storiche ci hanno consegnato relativamente alla figura del Santo. È il caso ad esempio della sua provenienza, è noto che la cronachisticha cittadina del XV secolo, affermi che Mercuriale provenisse dalla nativa Armenia, il Cobelli infatti nelle sue Cronache ci dice che “[…] il beato Mercuriale se partì dalle parti d’Armenia […]”, e solo in seguito ad un pellegrinaggio a Gerusalemme e Roma, giunse a Forlì. Di qualche secolo posteriore al Cobelli, Giuseppe Mazzatinti attraverso i suoi Annales Forolivienses afferma che il “[…] gloriosus Mercurialis sanctus et episcopus civitatis Forlivij, natione Albanie, ad ipsam civitatem applicult […]”. Non è noto da quali fonti questi nostri illustri concittadini abbiano tratto queste informazioni, e ben conosciamo la necessaria prudenza che è necessario tenere nel voler trarre verità dalle loro opere, che non sempre brillano per rigore storiografico; vero è che comunque la notizia della provenienza orientale del Santo, incuriosisce e pone dei quesiti“.

Dallo studio isotopico a cui sono state sottoposte le reliquie – chiarisce finalmente Traversari – si deduce che San Mercuriale non sia cresciuto e vissuto nello stesso luogo in età infantile ed in età adulta. Probabilmente proveniva da una località posta in una zona mediamente più calda rispetto alla città in cui egli ha trascorso gli ultimi anni dalla sua vita, Forlì. I valori tendono infatti a diminuire con l’aumentare dell’età: questo indica uno spostamento del Santo in età giovanile verso un luogo con valori isotopici meno radiogenici rispetto al luogo in cui è nato; grazie ad un ulteriore approfondimento è stato inoltre possibile escludere alcune regioni europee, poste a latitudini incompatibili con i risultati ottenuti (la Spagna ad esempio, che mostrava una certa compatibilità con alcuni indici isotopici). Un’ulteriore inferenza è stata possibile grazie all’incrocio di questi risultati con il cosiddetto indice cefalico, che grazie ad un calcolo matematico serve ad esprimere in termini statistici, la conformazione del cranio. La stessa conformazione del volto, metricamente studiato grazie a standard antropologici internazionali, ha fornito ulteriori indizi. Incrociando quindi i risultati dedotti dall’analisi degli isotopi stabili, con i caratteri e gli indici antropometrici che caratterizzano il cranio e il volto del Santo, è stato possibile orientare lo sguardo, con una ragionevole certezza, verso una direzione piuttosto chiara. Va comunque detto che attualmente nessuna indagine laboratoristica può fornire una certezza assoluta circa la provenienza da un dato territorio e che gli indici più sopra ricordati non possono certo essere assunti a marcatori etnici, quanto piuttosto indicatori di un areale geografico ampio che può abbracciare popolazioni e paesi diversi“.

L’incrocio di queste numerose analisi – conclude – allo stato attuale sembrano essere concordi nel farci guardare ad est, verso il continente asiatico, proprio verso l’Armenia“.

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Gli indiani d’Armenia (Osservatorio Balcani e Caucaso 30.12.19)

l numero di stranieri che immigrano in Armenia per lavoro è in costante crescita. Tra questi anche cittadini indiani. Migliaia sono arrivati nel paese nei primi nove mesi del 2019

30/12/2019 –  Armine Avetysian

Dipika Guhil ha 43 anni. La sua famiglia è immigrata in Armenia un anno fa dallo stato indiano del Gujarat. Suo marito è dipendente di un’azienda privata ed ha un buon stipendio. Lei si dispiace solo di non riuscire ancora a parlare armeno. “In patria lavoravo come insegnante di inglese. Non sono ancora in grado di fare l’insegnante interagendo in armeno: per comunicare con gli studenti è fondamentale sapere l’armeno, una volta che imparerò bene la lingua, mi saprò adattare bene. L’Armenia è un paese sicuro. Ed è questo che mi attrae”.

La famiglia di Guhil è arrivata in Armenia grazie ad alcuni provvedimenti del governo armeno  del novembre 2017 che hanno facilitato l’ottenimento di visti di ingresso e di conseguenza favorito il flusso migratorio dall’India verso l’Armenia.

Grazie a questo regime di visti semplificato sono in molti ora che decidono di trasferirsi in Armenia per mantenere la propria famiglia. Per ora questi immigrati si muovono non singolarmente ma in gruppi, spesso appoggiandosi a compatrioti già residenti nel paese.

Spesso si occupano di professioni che non richiedono la conoscenza dell’armeno.

Chaman Kumar, 33 anni, è arrivato in Armenia un anno fa. Lavora nel ristornate di un compatriota. È un cuoco. Come il resto dello staff che lavora in cucina conosce solo l’hindi. Con l’aiuto di un traduttore, ci parla delle condizioni di lavoro: 10 ore al giorno, riposo per 2-3 giorni al mese, circa 550 dollari di salario, metà dei quali li spende per cibo e alloggio ed il resto lo spedisce alla propria famiglia.

Rahul, 25 anni, ha invece difficoltà a trovare un posto fisso. Non è contento della scelta fatta e si lamenta di chi lo ha convinto a trasferirsi in Armenia. “Nella mia città natale (Rahul non vuole fornire informazioni personali) guadagnavo al massimo due dollari al giorno. Un mio amico mi ha convinto del fatto che se mi fossi trasferito in Armenia avrei guadagnato almeno 15 dollari al giorno, e che 5 ne avrei spesi per vitto e alloggio ed i restanti 10 li avrei risparmiati. Ho calcolato che così potevo inviare ogni mese a mia moglie ed al mio bambino di due anni in India almeno 250 dollari. Così avrebbero potuto vivere bene e mi sarei potuto poi col tempo sistemare in Armenia facendo arrivare anche loro qui. Ma qui mi sono reso conto che la promessa di un lavoro stabile non era vera”.

Rahul attualmente lavora in un autolavaggio a Yerevan, per 8 dollari al giorno. Il suo amico continua a promettergli che presto troverà un lavoro stabile. “Non so nemmeno perché mi ha detto queste bugie e mi ha spinto a partire. Il problema è che non posso aspettare per sempre. Presto il mio permesso di soggiorno temporaneo scadrà”.

Il permesso di soggiorno temporaneo in Armenia è garantito per un anno, mentre quello permanente per cinque. In testa tra i paesi di provenienza di chi è in possesso di un permesso di soggiorno c’è l’India. Dal 2017 al 2018 sono raddoppiati i cittadini indiani residenti in Armenia e sono stati 1907. Il 98% di questi hanno permessi di soggiorno temporanei  .

“Sono in possesso solo di un permesso di soggiorno temporaneo. Scadrà tra due mesi e devo fare in modo assolutamente che venga rinnovato perché non ho né i soldi per tornare indietro e neppure, in India, un posto dove stare”, dichiara Priyansh (nome di invenzione), arrivato in Armenia con l’inganno. Salendo sull’aereo Priyansh era convinto infatti di recarsi in Albania, ma è atterrato in Armenia. “Ho venduto la mia casa in India ed ho consegnato la maggior parte dei soldi ad un intermediario che mi avrebbe portato in Europa, mi avrebbe aiutato a suo dire ad imparare la lingua ed a trovare lavoro… quando sono arrivato non sapevo nemmeno l’Armenia esistesse”.

Priyansh attualmente lavora nel settore agricolo. Dice che nonostante sia stato vittima di un inganno non si lamenta per come le cose stanno andando: ha un lavoro stabile, anche se non un salario molto alto, ma non è di certo affamato e non deve dormire all’aperto. Purtroppo non è ancora nelle condizioni di risparmiare parte del salario.

Priyansh non è l’unica vittima di frodi.

Nei primi mesi del 2019 il quotidiano indiano “Hindustan times” ha pubblicato un articolo  dal titolo “Non hanno mangiato nulla per 5 giorni”. Vi si raccontava la storia di alcuni cittadini indiani in Armenia che, in grande difficoltà, avevano postato un video in internet dove denunciavano di non aver mangiato nulla da 5 giorni e che il loro proprietario di casa minacciava di spedirli per strada. Nel video i cittadini indiani si appellavano ai parlamentari indiani affinché prendessero provvedimenti nei confronti delle agenzie di viaggio truffaldine.

Altri media indiani hanno sottolineato che nonostante i cittadini indiani siano arrivati in Armenia grazie ad un visto temporaneo per lavoro, una volta giunti nel paese, si trovavano disoccupati.

Nei giorni successivi l’Ambasciata indiana in Armenia ha reso noto via Twitter che i 4 cittadini indiani che erano in indigenza dopo essere stati frodati da un’agenzia di viaggio indiana erano stati rimpatriati. La questione è stata affrontata anche dal governatore del Punjub Amarinder Singh che ha dato mandato alla polizia locale di indagare la questione e si è arrivati all’incriminazione di 5 persone, di cui 2 sono state poi arrestate.

Per contribuire ad evitare frodi gli indiani residenti in Armenia stanno creando vari gruppi sui social media, grazie ai quali condividono il loro vissuto e tentano di aiutare i compatrioti.

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Il caso dei 30 neonati armeni «Ipotesi trafficanti di organi» (Ilgazzettino 29.12.19)

ROMA Non solo adozioni illegali. Potrebbe esserci la vendita di organi dietro al traffico di neonati tra l’Armenia e l’Italia su cui sta indagando il Servizio Nazionale di Sicurezza del Paese caucasico. Stando alle autorità di Yerevan dall’inizio del 2019 almeno 30 bambini sono stati sottratti alle famiglie e poi venduti in diversi Paesi, tra cui l’Italia. Lo schema ipotizzato è semplice quanto drammatico: medici e infermieri di alcuni ospedali avrebbero fatto credere ai neo genitori, in genere molto poveri e socialmente deboli, che il loro piccolo era affetto da una grave malformazione per spingerli a darlo in adozione. A quel punto, attraverso degli escamotage burocratici, un’organizzazione con regia armena sarebbe riuscita prima a far sparire i neonati e poi ad affidarli a degli orfanotrofi per favorire l’adozione legale da parte di genitori stranieri. Tuttavia è stata la polizia di Yerevan, in una nota diffusa pochi giorni fa, a lasciare aperti inquietanti interrogativi sulle ragioni di questo orrendo commercio. «Per la mia esperienza il fatto che ci siano dietro delle strutture ospedaliere non mi fa ben sperare. I 30 bambini potrebbero davvero essere finiti nelle mani di trafficanti di organi». A parlare è Antonio Mazzarotto, fino all’inizio di novembre all’interno della Commissione Adozioni Internazionali (Cai) – organo presieduto dal ministro della Famiglia Elena Bonetti – e dirigente dell’area famiglie, minori e persone fragili della Regione Lazio. «In genere – spiega – queste situazioni drammatiche seguono due direttrici diverse». La prima, che però non corrisponde alla vicenda armena, è «quella dei bambini nati in casa». Piccoli provenienti da famiglie povere che alla nascita «non sono registrati e in certi Paesi sono soggetti a un vero e proprio mercato».
I NUMERI
La seconda, più assimilabile a quella descritta dalle autorità di Yerevan, è che degli orfanotrofi in contatto con enti esteri li acquistino da trafficanti che hanno trovato il modo di sottrarli a genitori disperati. Quella del passaggio per orfanotrofi è la situazione in cui in assoluto c’è «maggior pericolo» dice Mazzarotto, tant’è che probabilmente non è un caso se tra i 1.130 bambini adottati dall’estero in Italia nel 2018, secondo i dati ufficiali del Cai, solo l’1% lo è stato in quanto orfano. Tuttavia qualcosa non torna. «L’Armenia è parte della convenzione internazionale dell’Aja» ed «i 3 enti ufficiali del Paese» sono controllati anche da organi internazionali. Per questo «mi stupirebbe se gli orfanotrofi fossero coinvolti e, sarei altrettanto stupito se, come dice la polizia armena, le adozioni legali fossero avvenute da parte di cittadini della Repubblica Italiana».
Non solo per le tutele stringenti garantite ai bambini e i controlli fatti in Italia da organi come il Cai, ma anche per il fatto che «per i trafficanti» indirizzare i neonati verso i Paesi della Convenzione «è l’ipotesi più rischiosa». Sarebbe molto più semplice se i piccoli andassero, ad esempio, negli Stati Uniti dove «si fanno più adozioni, non c’è un ente centralizzato e non sono parte della Convenzione».
Nel rapporto del Cai gli 11 bambini armeni adottati nel 2018 da famiglie della Penisola hanno un’età media di 1,4 anni. «Il campione è piccolo – dice il dirigente della Regione Lazio – ma significativo»: in assoluto è l’età più bassa tra tutte (molto meno dei circa 12 anni dei bielorussi o dei 6 anni dei russi) ed è in controtendenza con la crescita dell’età media iniziata nel 2000. In attesa che la vicenda diventi più chiara, le autorità caucasiche hanno però arrestato due cittadini armeni che avrebbero avuto un ruolo determinate nel traffico di neonati.
Francesco Malfetano

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Neonati venduti, traffico Armenia-Italia: 30 bimbi sottratti alle famiglie con l’inganno e dati in adozione (Ilmessaggero 28.12.19)

ROMA La feroce scelta avveniva immediatamente fuori dalla sala parto. «Signora, il suo bambino è nato con una gravissima malformazione e necessita di cure costose e continue». È così che una trentina di donne armene sono state costrette – attraverso la menzogna e il raggiro – ad abbandonare in ospedale il proprio figlio per darlo in adozione. Medici e infermieri compiacenti, anelli di collegamento di una rete internazionale molto ampia che porta fino in Italia, certificavano alle mamme disperate che il loro piccolo era nato malformato, con gravi patologie invalidanti.

LA SCOPERTA
Il Servizio Nazionale di Sicurezza armeno ha aperto a Yerevan, la capitale della Repubblica Armena, una inchiesta articolata (della quale è stato avvertito anche il governo italiano) che ha portato alla devastante scoperta di una rete che facilitava l’adozione internazionale di bambini. Un orribile traffico di neonati provenienti dal paese caucasico e diretti in Italia. Almeno trenta i piccoli che finora sarebbero stati sottratti alle famiglie di origine con l’inganno.

IL RAGGIRO
In pratica alle mamme e ai papà, in genere nuclei familiari estremamente poveri e socialmente deboli, veniva diagnosticata la grave malformazione al neonato. Di fatto la comunicazione di avere partorito un bambino handicappato incentivava le coppie disperate a darlo in adozione. Le pressioni psicologiche venivano esercitate con la complicità di diverse figure tra personale medico e infermieristico. Nel frattempo c’era chi provvedeva a spianare la strada per i passaggi burocratici successivi, in totale violazione alle leggi in vigore che in Armenia sono piuttosto restrittive. Alcuni giorni fa la polizia armena ha diffuso un comunicato in cui non solo confermava l’esistenza di un traffico di bambini ma lasciava aperti inquietanti interrogativi sulle ragioni di questo orrendo commercio.

«Lo scopo per cui i bambini sono stati adottati o sono caduti nelle mani di trafficanti di organi non è ancora chiaro. Per questo caso è stata già attivata una Commissione apposita e incaricata di ulteriori investigazioni». Il primo caso accertato risale al gennaio di quest’anno. La polizia ha confermato che finora sono finiti agli arresti due cittadini armeni che usavano i loro contatti in ambito ospedaliero e sociale: erano loro che favorivano l’ingresso dei neonati negli orfanotrofi da dove poi si organizzavano le adozioni legali «da parte di cittadini della Repubblica Italiana che di fatto prendevano in custodia i piccoli».

LE PRESSIONI
L’inchiesta appena aperta sta facendo affiorare uno spaccato fatto di povertà estrema e di pressioni psicologiche sulle mamme che si persuadevano a non essere in grado di provvedere materialmente al loro bambino. Ad alcune ragazze, subito dopo il parto, è stato detto che il loro piccolo era segnato per tutta la vita, malato senza speranza, affetto da patologie invalidanti. Le condizioni economiche delle famiglie determinavano una scelta quasi obbligata e le mamme hanno finito per abbandonare il figlio e firmare subito i documenti necessari per l’adozione. A questo punto entrava in funzione una rete ben collaudata di complici dei medici e delle infermiere. Un sentiero che porta all’Italia.

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Almeno 30 bambini sarebbero stati adottati (o comprati) da cittadini italiani attraverso questa rete criminale

«Una mafia più ricca e potente di quella della droga». È così che Marat Kostanyan – avvocato di Syuzan Patvakanyan, una donna armena alla ricerca da vent’anni della figlia sottratta subito dopo il parto – ha commentato l’inchiesta-scandalo sul raggiro subito da decine di madri in Armenia. Donne che sarebbero state costrette a portare a termine la gravidanza nonostante la loro contrarietà.

Come funzionava il traffico criminale

Alle donne incinte veniva detto che la figlia o il figlio appena dato alla luce presentava gravissime malformazioni e che necessitava di cure continue e costose.

In seguito, attraverso pesanti pressione psicologiche che facevano leva sull’impossibilità di potersi prendere cura adeguatamente dei neonati gravemente malati, con la complicità di medici e personale sanitario, i genitori dei piccoli venivano raggirati a tal punto che venivano costretti a firmare documenti per dare i propri figli in adozione.

Una volta firmata la documentazione, i neonati venivano trasferiti negli orfanotrofi in cui si organizzavano adozioni legali anche «da parte di cittadini della Repubblica italiana, che di fatto prendevano in custodia i piccoli», secondo quanto riferito dalla polizia.

A far scattare le indagini è stato il numero di adozioni dei bambini armeni all’estero, dopo che il ministero del lavoro armeno ha notato che in alcuni casi venivano preferite alle adozioni in patria, il che va contro le convenzioni internazionali.

«Lo scopo per cui i bambini sono stati adottati o sono caduti nelle mani di trafficanti di organi non è ancora chiaro – ha aggiunto la polizia armena -. Per questo caso è stata già attivata una Commissione apposita e incaricata di ulteriori investigazioni».

Secondo i servizi segreti armeni, almeno 30 bambini sarebbero stati adottati (o comprati) da cittadini italiani attraverso questa rete criminale.

La testimonianza di Syuzan Patvakanyan, alla ricerca della figlia sottratta 20 anni fa

Tra le vittime di questo raggiro ci sarebbe anche Syuzan Patvakanyan, una donna armena 35enne che, 20 anni dopo il parto, è ancora alla ricerca della propria figlia Stella.

«Partorii una bambina sana nell’Armenia medical center. Mi hanno imposto di abbandonarla, dicevano che aveva problemi di salute. Mi hanno dato un foglio bianco e mi hanno fatto scrivere che rinunciavo a lei», ha raccontato la donna ad Afp.

Poi le è stato dato l’indirizzo di un orfanotrofio nella città di Gyumri e le è stato detto che sua figlia si trovava lì, ma in realtà della bambina non vi era traccia e la donna è ancora alla ricerca dopo tanti anni. Andando a ritroso nella tempo, la donna in lacrime ricorda: «Ci siamo poi resi conto che la bambina ancora in fasce era stata venduta proprio fuori dall’ospedale».

L’avvocato di Patvakanyan, Marat Kostanyan, lancia durissime accuse verso questo sistema e verso chi ne faceva parte: «La rete criminale era vasta e coinvolgeva funzionari e poliziotti di alto rango, nonché personale dei reparti di maternità e orfanotrofi».«Questa mafia – chiosa Kostanyan – ha trasformato il Paese in un incubatore per la produzione di bambini».


Armenia, bambini tolti alle mamme e venduti per le adozioni. Un giro di affari gestito dalla criminalità organizzata.

Armenia, bambini tolti alle mamme e venduti per le adozioni – Universomamma.it

Il mercato illegale delle adozioni è purtroppo presente in tutto il mondo e molto più diffuso di quanto si creda. Bambini che vengono venduti da famiglie bisognose e letteralmente “acquistati” da famiglie benestanti ma senza figli è una pratica vietata ovunque ma ancora frequente, nonostante le collaborazioni tra le polizie di tutto il mondo per fermarla. La storia che stiamo per raccontarvi viene dall’Armenia ed è agghiacciante. La dimostrazione di come la fragilità economica e sociale possa sconvolgere le vite di mamme e bambini.

Armenia, bambini tolti alle mamme e venduti

In Armenia la criminalità organizzata è riuscita a creare un lucroso giro d’affari sulla pelle di tante donne e dei loro bambini, che venivano loro sottratti per darli illegalmente in adozione a coppie senza figli, disposte a tutto pur di diventare genitori. Molte donne si sono viste togliere i figli con l’inganno, altre sono state costrette a portare a termine la gravidanza, anche quando non volevano proseguirla, al solo scopo di prendere i loro figli e  venderli ad altri. Quest’ultima circostanza pare si sia verificata in particolare negli ultimi anni. Ma quella di togliere i figli a madri giovani, povere o in condizioni di fragilità non sarebbe una novità in Armenia. Succedeva anche vent’anni fa.

Stanno emergendo, infatti, storie di donne a cui in passato sono stati sottratti i figli con l’inganno. Nonostante le enormi difficoltà nel fare luce su una vicenda così oscura, alcuni casi stanno venendo allo scoperto, grazie alla testimonianza e al coraggio di mamme che non si sono arrese. Come nel caso di Syuzan Patvakanyan, una donna di 35 anni che vent’anni fa, quando era ancora giovanissima, diede alla luce una bambinaStella, che purtroppo lo è stata tolta con l’inganno. Stella era nata sana, all’Armenia medical center, tuttavia la portarono via alla madre con la scusa dei problemi di salute. A Syuzan, giovanissima e indifesa, venne fatto firmare un foglio con la rinuncia alla figlia. Alla mamma adolescente fu detto che la figlia sarebbe stata mandata in un orfanotrofio nella città Gyumri, di cui le venne dato un indirizzo. Ma quando la donna si mise a cercare la figlia non la trovò. La bambina molto probabilmente era stata data in adozione. Questa drammatica testimonianza è stata riportata dall’agenzia AFP, che ha indagato sul caso, a sua volta citata da Euronews.

Purtroppo non si tratta di un caso isolato. Si ritiene che molte altre donne e i loro bambini devono aver subito lo stesso destino. Come dicevamo, deve essere stato creato un vero e proprio giro di affari di adozioni illegali e bambini venduti, gestito dalla criminalità organizzata. Marat Kostanyan, avvocato di Syuzan Patvakanyan, ha parlato di una vera e propria rete criminale che strappava i bambini appena nati alle loro mamme e in cui erano coinvolti i membri del personale dei reparti di martenità e degli orfanotrofi, agenti di polizia e funzionari pubblici. Nel reparto dell’ospedale dove Syuzan ha partorito è stato arrestato un ginecologo, nell’ambito dell’inchiesta sui bambini tolti alle mamme.

Recentemente, negli anni dal 2016 al 2018, ad alcune donne armene che volevano interrompere la gravidanza sarebbe stato impedito, costringendole a far nascere il bambino per poi venderlo ad altre famiglie, per lo più straniere. Ad insospettire le autorità armene è stato il numero sospetto di adozioni all’estero, che in alcuni casi avevano la precedenza su quelle interne. Adozioni avvenute senza rispettare le convenzioni internazionali. Tra i destinatari di queste adozioni illegali potrebbero esserci anche delle famiglie italiane. Secondo i servizi segreti armeni, che indagano sulla vicenda, la rete criminale che gestisce questo mercato di bambini avrebbe aiutato anche alcuni italiani ad adottare illegalmente, o forse sarebbe più corretto dire comprare, più di 30 bambini negli ultimi anni.

Ad oggi, le donne armene a cui sono stati sottratti i figli non hanno ancora avuto giustizia, ha affermato l’avvocato Kostanyan, che con amarezza ha aggiunto: “Questa mafia ha trasformato il Paese in un incubatore per la produzione di bambini“.

Una storia davvero sconvolgente, care unimamme.


 

Arrivano in Armenia i primi caccia Su-30SM prodotti in Russia e acquistati dalla repubblica del Caucaso (Lantidiplomatico 27.12.19)

Il primo paio di caccia multiruolo Su-30SM di fabbricazione russa acquistati dall’Armenia all’inizio del 2019 è atterrato in un aeroporto nella repubblica del Caucaso meridionale. Come annunciato dal Primo Ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan sulla sua pagina Facebook.

“La nostra acquisizione più importante quest’anno”, ha osservato Pashinyan, dimostrando l’aereo consegnato.

Le autorità armene hanno annunciato all’inizio del 2019 di aver acquisito dalla Russia quattro caccia multiruolo Su-30SM.

Il Su-30SM è un jet da combattimento super manovrabile a due posti di serie 4 ++ prodotto e potenziato in serie. Il Su-30SM è dotato di due motori turbofan a doppio flusso riscaldati a vettore di spinta AL-31FP. Il caccia ha un raggio d’azione di 1.500 km e una durata del volo di 3,5 ore senza rifornimento di carburante.

Caos Armenia, la madre di Mkhitaryan insultata: “Henrikh ancora in Nazionale? Vediamo” (Corriere dello sport 27.12.19)

ROMA – Due casi nel giro di pochi mesi. Henrikh Mkhitaryan è finito nel mirino delle critiche, ma solamente indirettamente. Il primo caso, che risale allo scorso ottobre-novembre, riguarda il lungo infortunio che gli ha impedito di giocare le importanti partite della Nazionale, in quel momento ancora in corsa per un posto all’Europeo. A scatenare il primo caso Mesrop Arakelyan, un consulente del Primo Ministro Pashinyan, che su Facebook aveva proposto di togliere la fascia a Mkhitaryan perché deluso dal suo lungo stop per infortunio. Detto che il miglior giocatore della storia dell’Armenia giocherebbe per la sua nazionale anche con una gamba sola, la polemica venne smontata dei vari dirigenti della Federazione, nonché dai cittadini armeni che idolatrano Henrikh.

Il secondo caso, quello più spinoso, risale agli ultimi giorni. Lo scorso 23 dicembre dopo il cambio in panchina del ct armeno e le dimissioni di molti membri del consiglio, è stato eletto un nuovo presidente della Federcalcio, Armen Melikbekyan. Un’elezione vietata ad alcuni organi di stampa e all’ex membro del comitato esecutivo della federazione armena, Marina Tashchyan, madre di Mkhitaryan. La signora stata duramente attaccata sui social – dai sostenitori di Melikbekyan – per aver criticato fortemente le ultime elezioni della Federcalcio, con crtiche feroci che sono arrivate anche a mettere in dubbio le qualità umane di suo figlio: “Non avevo mai visto una cosa così vergognosa all’interno del nostro calcio – ha dichiarato Tashchyan agli organi di stampa locale -. Forse chi non ha mai lavorato nel settore non riesce a capire bene cosa stia succedendo, ma io, che vivo il calcio da 40 anni da quando ho sposato Amlet (pade di Mkhitaryan, il più grande giocatore di calcio dell’Armenia, ndr) ho capito tutto. E queste elezioni sono state vergonose”.

Per la mancanza di rispetto nei suoi confronti e quelli del figlio, oltre agli insulti ricevuti dai sostenitori di Melikbekyan, Marina Tashchyan ha messo in dubbio anche la possibilità di un ritorno di Mkhitaryan in nazionale“Se continuerà a giocare in nazionale ancora non lo so. Deciderà lui se vestire quella maglia ancora dopo tutto quello che ci è successo”.

Dopo i recenti stravolgimenti politici che, con la cosiddetta non violenta “rivoluzione di velluto”, hanno portato al governo il partito “Il mio passo” di Nikol Pashinyan, la società armena è attraversata da processi (anche giudiziari) che stanno portando cambiamenti in tutti i settori della società: non è escluso che anche nella Federcalcio sia in atto una modifica dei precedenti equilibri politici.

Comunque sia, la popolarità di “Heno” – come vezzeggiativamente è chiamato Mkhitaryan in patria in forma di abbreviativo del suo nome – non è mai stata messa in discussione e il giocatore rimane un punto di riferimento per tutti gli appassionati di calcio in Armenia.

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Mkhitaryan è un caso in Armenia, il consulente del Primo Ministro lo vorrebbe fuori dalla Nazionale. La mamma è furiosa (blitzquotidianosport 27.12.19)

Armenia-Ue: fonti ufficiali, Macron firma legge per ratifica accordo Cepa (Agenzianova 24.12.19)

Erevan, 27 dic 15:46 – (Agenzia Nova) – Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha firmato la legge per la ratifica dell’accordo di partenariato globale e rafforzato (Cepa) tra Armenia e Unione europea. Lo riferisce l’agenzia di stampa “Armenpress” citando fonti interne all’ambasciata del paese caucasico a Parigi. “Con questo il processo di ratifica da parte della Francia può dirsi definitivamente concluso”, ha detto la portavoce del dicastero degli Esteri di Erevan, Anna Naghdalyan. (Res)

“L’Acqua Alta e i denti del lupo” di Emanuele Termini: quel misterioso soggiorno di Stalin a Venezia (oubliettemagazine 26.12.19)

Nel libro “L’Acqua alta e i denti del lupo” presentato da Edizioni ExòrmaEmanuele Termini riprende in mano una vecchia inchiesta giornalistica del 1957 ad opera di Gustavo Traglia, un giornalista anconetano. L’inchiesta fu insabbiata ai tempi per “scomodità politica” e poi ripresa sotto forma di racconto nel 2005 all’interno del libro di Alberto Toso Fei “Misteri della laguna e racconti di streghe” (ed. Elzeviro).

Questo è il punto di inizio delle indagini di Termini, ovvero la leggenda cara ai “compagni” veneziani di “Bepi del Giasso” (Giuseppe del Ghiaccio), in cui si narra che nel gennaio del 1907 un giovane rivoluzionario georgiano sbarcò ad Ancona da un mercantile proveniente da Odessa. Aveva circa 30 anni, occhi azzurri, capelli neri e barba incolta. Lo chiamavano Koba, aveva molti altri pseudonimi e falsi documenti, ma il suo vero nome era Ioseph Vissarionovič Džugašvili: l’uomo che dal 1913 si fece chiamare Stalin.

Ad Ancona viene nascosto e appoggiato dagli anarchici locali, e si nasconde per un periodo nell’Hotel Roma e Pace. Da Ancona, sempre grazie all’aiuto degli anarchici anconetani e veneziani raggiunge Venezia, dove trova rifugio nell’isola monastero di San Lazzaro degli Armeni, sotto la protezione del Padre Armeno Ignazio Giurekian, e qui si nasconde sotto pseudonimo nei mesi di febbraio e marzo del 1907, per poi ripartire senza lasciare alcuna traccia del suo passaggio.

Numerose sono le dicerie che si raccontano tra Venezia e Mestre, spesso narrate dagli ex barcari dei burci che scaricavano le granaglie trasportate sino al Molino Stucky dai mercantili provenienti da Odessa, e dai cui oblò venivano passati libretti e propaganda rivoluzionaria[1]Questa è una via che Termini non ha sondato, tuttavia le ricerche spesso si intrecciano.

Dietro le quinte del mistero di Stalin all’Isola degli Armeni, affiora una complessa trama internazionale di servizi segreti e di massoneria, di disseminazione e di depistaggio delle informazioni. Ne rimase colpito anche il Maestro Segreto della Loggia Hermes Hugo Pratt, che nei suoi fumetti fa salvare Corto Maltese da morte certa grazie ad una telefonata nientemeno che a Stalin:

“Perché non ti hanno lasciato fare il campanaro nella chiesa degli Armeni a Venezia?” – Hugo Pratt

Termini rimane morbosamente intrappolato nella vicenda, e si lancia in una indagine che lo porterà a scomodare mezza Ancona, e a fare numerose incursioni a Venezia nei preziosi archivi della città a caccia delle pochissime tracce che Stalin ha lasciato della sua permanenza in laguna.

Secondo le teorie più accreditate, il giovane rivoluzionario era segretamente in viaggio per incontrarsi – altrettanto segretamente – a Berlino con Lenin.

Lo scopo dell’incontro fa parte di una delle pagine più oscure e sanguinarie della storia del Partito Operaio Socialdemocratico Russo: il finanziamento della Rivoluzione russa contro lo Zar Nikolai II. Come si alimentava la rivoluzione? Riciclando all’estero i rubli delle rapine operate in tutto il territorio sovietico (e specialmente in Georgia) ad opera dei rivoluzionari.

La faccenda metteva in cattiva luce il Partito, e nel congresso di Londra fu proibita la pratica della rapina, pena l’espulsione dal Partito stesso, ma Lenin sapeva bene che occorrevano denari per armare i rivoluzionari, per stampare la propaganda, per mantenere tutti i compagni sparsi per l’Europa, e per corrompere i servizi segreti dell’Ochrana zarista.

Secondo le teorie più accreditate, l’incontro tra Josif e Lenin a Berlino era volto proprio a programmare un enorme colpo nella cittadina di Tbilisi: con certezza è possibile affermare che la mattina del 26 Giugno 1907 una carrozza portavalori entrò nella piazza Yerevan scortata da molti cosacchi a cavallo. Una serie di esplosioni e una sparatoria diedero il via ad una strage, ma il colpo andò a segno: 250 mila rubli (circa 2.350.000 euro odierni) destinati alla Banca Statale dell’Impero Russo finirono in mano ai rivoluzionari. Dalla rivoluzione di Ottobre del 1917, il resto è storia ben nota, e il libro si conclude con una citazione imprecisa dalla memorabile intervista di Emil Ludwig a Stalin, che ho voluto ripescare dal testo originale[2]:

Emanuele Termini
Emanuele Termini

Ludwig – Non pensa che tra i tedeschi come nazione l’amore per l’ordine sia molto più sviluppato dell’amore per la libertà?

Stalin – C’è stato un tempo in cui le persone in Germania mostravano davvero un grande rispetto per la legge. Nel 1907, quando mi capitò di passare due o tre mesi a Berlino, noi bolscevichi russi spesso ridevamo di alcuni dei nostri amici tedeschi a causa del loro rispetto per la legge.”  Emil Ludwig

Purtroppo l’indagine di Termini nulla aggiunge a questo mistero. Stalin, se mai è stato a Venezia, e se questa sua presenza in laguna ha realmente avuto una qualche importanza nella Rivoluzione russa, riuscì veramente bene a occultare la sua presenza, e “Bepi del Giasso” continuerà ad alimentare i racconti dei veneziani nelle calli più sconosciute di Venezia, quelle dove non si arriva da turisti, o a bordo di qualche sanpierota tra i canali. Il taglio del libro ha preso infatti più volte più l’aspetto di un racconto delle vicende personali dell’autore nelle sue escursioni tra calli ed una nota libreria veneziana da cui il libro stesso prende il titolo. Tuttavia, nell’attività diligente e sistematica della ricerca, volta alla scoperta della verità intorno a fatti determinati, anche il non aver trovato niente, è pur sempre un dato, e Venezia è ricca di archivi e cimiteri di libri anche in luoghi insospettabili.

“Il monaco aveva ribadito l’appuntamento, invitandomi nel frattempo a pregare Sant’Antonio. Sant’Antonio? Quale? Avevo risposto io pensando ai due santi omonimi. Quello delle cose perdute! Mi aveva detto.” – Emanuele Termini

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Siria: le minacce dell’Isis non fermano i cristiani di Qamishli. Natale in ricordo del martire padre Hanna ucciso poco più di un mese fa (SIR 24.12.19)

A Qamishli, nel nord-est al confine con la Turchia e vicino all’Iraq, la comunità cristiana locale si prepara a vivere il Natale tra speranza e paura di nuovi attentati dell’Isis. Il ricordo di padre Ibrahim (Hovsep) Hanna, parroco armeno-cattolico di san Giuseppe, ucciso poco più di un mese fa, dall’Isis. “Non cambieremo i nostri programmi – dice padre Antonio Ayvazian, vicario episcopale della comunità armeno-cattolica – non possiamo avere paura se Dio è con noi”.

Il presepe nella chiesa di Qamishli

Sarà un Natale nel segno di padre Ibrahim (Hovsep) Hanna, parroco armeno-cattolico di san Giuseppe a Qamishli (provincia siriana di Hassake), freddato, con il padre Ibrahim Bidu Hanna, l’11 novembre scorso da due miliziani dell’Isis, mentre in auto si stava recando nel villaggio di Zar, a est di Deir ez-Zor, nella regione controllata dalle forze curdo-siriane.

Nella città di Qamishli, nel nord-est al confine con la Turchia e vicino all’Iraq, la comunità cristiana locale si prepara a vivere il Natale tra speranza e paura di nuovi attentati. Gli scontri provocati dall’operazione militare “Fonte di pace”, avviata dai turchi lo scorso 9 ottobre – con l’obiettivo di neutralizzare le forze curde siriane presenti sul territorio – sembrano, almeno in apparenza, essersi placati dopo gli accordi siglati dai presidenti Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin il 22 ottobre a Sochi. Ma la tensione resta alta.

Nel nome del martire. Padre Antonio Ayvazian, è il vicario episcopale della comunità armeno-cattolica dell’Alta Mesopotamia e della Siria del Nord: “è passato poco più di un mese dal battesimo di sangue di Ibrahim (Hovsep) Hanna e di suo padre, e questo Natale non può non essere vissuto senza rendere omaggio ai nostri martiri. Il loro sangue farà germogliare frutti di fede, di amore, di pace e di bene per tutti”.

Due, in particolare le iniziative messe in campo dalla comunità armeno-cattolica locale, “un recital per ricordare la figura di padre Ibrahim Hanna e un presepe”. Quest’ultimo, spiega il vicario episcopale, “è stato allestito dal figlio del nostro sacerdote ucciso, che si prepara al sacerdozio, Hovik Hovsep Bedoyan, proprio sulla tomba del padre.

C’è un legame stretto tra la nascita, dunque la vita, la morte e la resurrezione. È questo passaggio che dona senso alla vita di un cristiano. Padre Ibrahim lo ha testimoniato con la sua morte. La Natività sulla tomba del sacerdote indica come la vita rinasce sul sangue dei martiri”.

Una città in festa. Il programma natalizio prevede, come tradizione, le feste con i bambini, “Oggi pomeriggio – afferma padre Antonio – abbiamo organizzato la festa dei bambini con Babbo Natale che distribuirà doni a tutti. Musica, cibo, danze e giochi allieteranno i bambini e le loro famiglie. Tutti avranno un dono da portare a casa. Ci ritroveremo poi in chiesa per la messa di Mezzanotte”. Ma non saranno solo i cristiani a fare festa, “tutta la popolazione – precisa il vicario – partecipa al Natale. La municipalità provvede e contribuisce con luminarie al clima natalizio. Non c’è un angolo buio in città. Questo è molto bello perché, nonostante la guerra, i siriani hanno il desiderio di condividere le loro feste senza distinzioni etniche e religiose. La Siria è un Paese tollerante dove tutti possono esprimere la propria fede liberamente. Gesù porta gioia nonostante i drammi che viviamo da 9 anni, da quando cioè è cominciata la guerra”.

Le minacce dell’Isis. “Dire che non abbiamo paura è dire una bugia”, ammette padre Antonio che rivela: “Siamo a conoscenza che

l’Isis starebbe preparando attentati con autobombe da far esplodere durante le messe di Natale,

davanti le nostre chiese. I nostri fedeli hanno timore che ciò possa avvenire veramente e per questo abbiamo chiesto alle Autorità di adottare delle misure per prevenire ogni genere di attacco, cominciando dal chiudere alcune strade”.

“Da parte nostra – rimarca il vicario – noi non cambieremo i nostri programmi e pertanto celebreremo nella chiesa di san Giuseppe la Messa di mezzanotte, a partire dalle 23, in modo tale da unirci spiritualmente a tutta la Chiesa universale. Non possiamo avere paura se Dio è con noi.

Durante la Settimana Santa facciamo la processione con il Cristo morto per le strade della città, con la quale diamo la nostra testimonianza di fede. Faremo così anche a Natale. Siamo orgogliosi di appartenere a Gesù”. Sentirsi uniti alla Chiesa universale “ci consola e ci incoraggia” dice padre Ayvazian che chiede un regalo per questo Natale “a tutti i fratelli italiani”: “Vi chiediamo di pregare per la Siria, avete un cuore sensibile verso tutta l’umanità. In questo Natale vi chiediamo di rivolgere un pensiero alla Siria, al suo popolo e ai cristiani che la popolano”.

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