Il suo campione non sarà in campo, ma il suo tifo sarà ancora più forte per sostenere la squadra in «una partita tutta da giocare». Roza Safaryan, 25 anni, è una dei pochi cittadini armeni che vivono a Palermo, sono appena una ventina in tutta la provincia, e domani sarà allo stadio Barbera con addosso la maglia rossa e la bandiera del suo Paese.
«So che Mkhitaryan non giocherà a causa di un infortunio – dice Safaryan – è davvero una grande tristezza, e sarà di certo più dura resistere in campo per il nostro team, ma anche gli altri giocatori sono bravi, sono forti, sarà una partita molto interessante da seguire».
La maglia e la bandiera le ha comprate già ad agosto quando è tornata in vacanza in Armenia.
«Appena ho saputo della partita della nazionale a Palermo – dice la ragazza – ho subito comprato la maglia e la bandiera, mi sono sentita una privilegiata al pensiero che io, a differenza della mia famiglia e di tanti altri amici, sarei potuta essere allo stadio a vedere giocare la mia squadra in una partita così importante. La mia famiglia non vede l’ora di vedermi in tv, penso sarò l’unica a sventolare la bandiera dell’Armenia».
Roza Safaryan è a Palermo da un anno per studiare Commercio internazionale all’università. Il suo obiettivo è conseguire il diploma di laurea magistrale in un corso di laurea, quello di Relazioni internazionali, completamente in lingua inglese che lei parla correntemente. «All’inizio è stato difficile – racconta – nessuno parlava inglese in città e anche avere una semplice informazione era un’impresa. Adesso le cose vanno molto meglio. Ho scelto Palermo perché in occasione dell’Erasmus in Bulgaria ho conosciuto degli studenti palermitani molto simpatici con cui sono rimasta in contatto. Così quando ho deciso di continuare i miei studi in Europa, non ho avuto dubbi, e ho scelto questa bellissima città».
Allo stadio “Barbera” è stata già una volta, per Palermo-Ascoli, ma questa volta l’occasione è davvero più importante. «Come la prima volta – dice la ragazza – andrò allo stadio con i miei amici palermitani. Loro tiferanno per l’Italia e io per l’Armenia. Loro sono super tifosi del Palermo e vanno sempre allo stadio, ma sono certa che saranno degli ottimi compagni di partita anche se io tifo per la squadra avversaria».
Anche se Mkhitaryan non ci sarà, perché da 40 giorni è fermo a causa di un infortunio, per lei sarà in ogni caso un “esempio” per gli altri giocatori della nazionale armena in campo.
«Lui è il più famoso giocatore armeno – dice con entusiasmo Safaryan – grazie a lui l’Armenia è stata conosciuta in tutta l’Europa, questo significa tantissimo per noi armeni. La sua carriera calcistica significa molto di più per il nostro Paese, è un percorso diverso da quello degli altri grandi calciatori perché per noi si porta dietro questo significato. È seguitissimo, così ogni persona che arriva a lui attraverso il calcio, arriva anche a scoprire il nostro Paese. È un grande orgoglio».
Roza Safaryan sarà al “Barbera” anche per tutti i tifosi armeni che non potranno esserci. «Non so quanti alla fine potranno arrivare dal mio Paese – dice la tifosa – Ci sono grosse difficoltà economiche e sono davvero fortunata a essere già a Palermo e a potere vedere la partita. Farò il tifo anche per tutti quelli che non potranno essere allo stadio, e sono certa che anche da parte di miei amici palermitani ci sarà grande solidarietà».
Nello studentato dell’Ersu dove vive ha cercato di coinvolgere altri studenti stranieri. «Ho cercato di portare dalla mia parte tutti quelli che non sono italiani – racconta sorridendo Safaryan – E alcuni hanno comprato i biglietti per venire con me alla partita. Comunque vada sarà un’esperienza indimenticabile. Sono pronta. Il mio cuore è per l’Armenia».
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2019-11-18 09:07:232019-11-19 15:17:57Roza, l'armena di Palermo allo stadio per la sua nazionale (Repubblica. palermo 18.11.19)
La comunità cristiana di Qamishli tenta di riprendersi dopo l’attentato terroristico, rivendicato dall’Isis, in cui hanno perso la vita il parroco armeno-cattolico di san Giuseppe, Ibrahim (Hovsep) Hanna, e suo padre. Il vicario episcopale della comunità armeno-cattolica dell’Alta Mesopotamia e della Siria del Nord, Antonio Ayvazian, racconta l’affetto con cui tutta la popolazione della regione si è stretta intorno alla famiglia delle vittime e il rinnovato impegno della chiesa a perdonare e a portare avanti il proprio servizio verso tutti, senza distinzioni. E già si intravvede un primo frutto di questo martirio: l’idea per tutte le Chiese della regione di celebrare la Pasqua 2020 in un’unica data
(Foto AFP/SIR)
“È stato un battesimo di sangue. Il sangue versato di questi martiri farà germogliare frutti di fede, di amore, di pace e di bene per tutti”. Non si placa l’emozione e lo sdegno della popolazione di Qamishli (provincia siriana nord orientale di Hassake) per l’attentato terroristico, l’11 novembre scorso, in cui sono rimaste vittime il parroco armeno-cattolico di san Giuseppe, ‘abuna’ Ibrahim (Hovsep) Hanna, e suo padre.
Padre Ibrahim Hanna, Qamishli (Siria)
Una vera e propria esecuzione compiuta nel distretto di Busayra, nella regione sotto controllo delle forze curdo-siriane, nel villaggio di Zar, a est di Deir ez-Zor e rivendicata dallo Stato Islamico. Tre giorni fa i funerali nella cattedrale di san Giuseppe, a Qamishli, davanti a una folla di fedeli commossi. A celebrarli padre Antonio Ayvazian, vicario episcopale della comunità armeno-cattolica dell’Alta Mesopotamia e della Siria del Nord che al Sir racconta lo stato d’animo della popolazione locale. “Queste morti – dice – hanno provocato tanto sdegno in tutta la popolazione. Migliaia di persone in questi giorni, in continuazione, sono venute a porgere le condoglianze e ad esprimerci solidarietà. È un segno chiaro di quanto la nostra Chiesa sia amata, apprezzata e rispettata da tutti, senza distinzione di etnia o fede. È stato commovente – rivela padre Antonio – vedere tante donne musulmane buttarsi in ginocchio davanti alla moglie e ai figli del nostro sacerdote. Un dolore comune a tantissimi perché siamo una famiglia. Sono venuti a dare le condoglianze alti rappresentanti del presidente siriano Assad e – rivela – anche esponenti dell’opposizione, quest’ultimi coscienti del pericolo che avrebbero corso con la loro presenza”.
“Nessuna vendetta”. “Il martirio di padre Hanna e del suo papà è un ulteriore segno di testimonianza dell’amore che Gesù ha riversato su tutti gli uomini” aggiunge il vicario episcopale che ha una certezza:
“la mano che ha ucciso è venuta da fuori. Non vogliamo vendetta ma giustizia”.
“Abbiamo perdonato, come ci insegna Gesù Cristo”. Ma in padre Antonio resta il dubbio che forse troverà una spiegazione se e quando i colpevoli di questo delitto saranno scoperti: “Allora – dice – chiederò loro: perché lo avete fatto? Che male vi abbiamo fatto? Siamo al servizio di tutti, perché questo male? Questo per noi rimane un gesto incomprensibile, avvenuto peraltro in una zona sotto controllo militare di Stati Uniti e Curdi. L’esplosione causata alla macchina, il giorno dopo, è avvenuta non distante da un check point curdo”.
Siria, l’auto esplosa dopo l’uccisione di padre Hanna
“Nessuno ci ha mai fatto del male anche quando qui la presenza di milizie jihadiste composte da ceceni, daghestani, afghani, pakistani era notevole. I loro superiori ci rispettavano. Adesso invece tutto è cambiato. La situazione è davvero complessa. Mi hanno raccomandato di usare prudenza, di essere cauto ma io continuo a fare tutto quello che facevo prima insieme ai miei collaboratori. E se possiamo anche meglio”.
Il primo frutto. “Dobbiamo riprendere la strada interrotta e portare avanti il nostro impegno a favore del bene, della pace, del perdono e della riconciliazione. È il modo migliore – rimarca il vicario – per onorare la memoria dei nostri martiri. Abbiamo oltre 20 istituzioni che in tutta la regione si adoperano nel campo dell’istruzione, dei servizi sociali e sanitari. Un servizio offerto a tutti, senza eccezioni. Non smetteremo di impegnarci a favore del bene, questa è la risposta più forte che possiamo dare a gesti efferati come l’omicidio di padre Hanna”. La paura non sembra vincere sulla comunità cristiana locale.
Oggi a vigilare sulle chiese ci sono “i nostri giovani”, e in alcuni momenti anche macchine della polizia locale. Ma ciò che rende la comunità cristiana ancora più forte in questo momento è il senso di “una mai sopita unità”. Padre Antonio la descrive rivelando “l’immagine più bella dei funerali: vedere la bara del nostro confratello portata a spalla, a turno, da tutti i sacerdoti di ogni rito e confessione cristiana. È stata una fortissima testimonianza di ecumenismo e di unità”. Ed è proprio da questo “ecumenismo del sangue” che potrebbe nascere il primo frutto di questo martirio:
“inviterò – dice padre Antonio – tutti i capi delle chiese cristiane di questa regione a celebrare la prossima Pasqua insieme. Sono certo che questa proposta verrà accettata e sarà un frutto bellissimo di questo martirio. Stiamo vivendo questo Calvario tutti insieme, e insieme vogliamo celebrare la Resurrezione e la sconfitta della morte”.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2019-11-16 13:32:512019-11-17 13:33:42Siria. Padre Ayvazian (Qamishli): “Il martirio di abuna Ibrahim Hanna e di suo padre è un battesimo di sangue destinato a portare frutti” (SIR 16.11.19)
n “saluto e un grande ringraziamento”: a rivolgerlo a Papa Francesco i giovani rifugiati siriani accolti dall’Ordinariato armeno cattolico di Atene, guidato da mons. Bezozou, ordinario per i fedeli armeni cattolici in Grecia. In un messaggio letto al card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, durante un incontro ieri nella sede dell’Ordinariato nella capitale greca, una delle tappe del suo viaggio in Grecia, i giovani hanno ricordato, citando le parole del Pontefice, “l’amata e martoriata Siria”. “Noi che viviamo lontani dai nostri famigliari senza saper se un giorno li potremo incontrare – hanno detto i giovani – la Sua presenza tra di noi equivale alla presenza di un padre tra i suoi figli. Ancora sono tantissimi i nostri compagni giovani feriti al cuore che continuano a vivere in Siria con la speranza di trovare una soluzione pacifica dalla guerra”. “Noi amiamo la nostra patria la Siria, la terra dove abbiamo vissuto la nostra infanzia, abbiamo avuto l’educazione ed abbiamo goduto dei suoi beni, se non ci fosse la guerra non saremmo usciti. In questo periodo difficile della nostra vita ringraziamo la bontà del Signore, perché come una volta eravamo nella nostra patria figli delle nostre parrocchie, anche qui ad Atene abbiamo trovato accoglienza presso la Chiesa armena cattolica, che ci aiuta ad addolcire un po’ le sofferenze della nostra strada verso l’ignoto”. Infine la richiesta al prefetto “di far arrivare la nostra supplica al Santo Padre affinché guardi il nostro caso”. Durante l’incontro mons. Bezozou e il card. Sandri hanno ricordato la memoria del sacerdote Ibrahim Hovsep Hanna, ucciso insieme al padre in un agguato lunedì 11 novembre sulla strada verso Deir Er Zor. In particolare si è sottolineato che per la comunità armena quella cittadina della Siria è una di quelle che conservano le memorie della messa in salvo degli scampati al genocidio del 1915.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2019-11-15 16:10:532019-11-16 16:13:23Siria: giovani siriani armeni rifugiati in Grecia scrivono a Papa Francesco (SIR 15.11.19)
I cristiani tornano nel mirino dei terroristi islamici anche in Siria. Li hanno uccisi a raffiche di mitra. Non c’è dubbio, si tratta di un’esecuzione mirata per colpire di nuovo i cristiani e tentare di sradicare le nostre comunità dalla regione. Non hanno colpito a caso. Sull’auto su cui viaggiavano il sacerdote Hovsep Petoyan, parroco armeno-cattolico di San Giuseppe, la cattedrale di Qamishli, e suo padre, c’era la scritta in arabo «Chiesa armena cattolica». Ferito il diacono Fati Sano, della chiesa di al-Hasakeh, che viaggiava con loro. Sono caduti in un’imboscata jihadista lungo la strada che collega Hassakè e Deir ez-Zor, al confine con l’Iraq.
L’attacco, rivendicato dal Daesh, ora guidato da Abu Ibrahim al Qurashi, succeduto ad al-Baghdadi eliminato in un blitz degli americani il 26 ottobre, è la prova che si vuole cancellare i cristiani già minacciati dall’offensiva militare turca. Ieri era toccato al gesuita olandese Van der Lugt, ucciso a Homs nel 2015 e al francescano Francois Murad, decapitato dai miliziani dell’Isis nel 2013. Il gesuita romano Paolo Dall’Oglio è stato rapito a Raqqa nel 2013 e non si è saputo più nulla, così come di due vescovi ortodossi Bulos Yazigi e Yohanna Ibrahim, l’armeno cattolico Michel Kayyal e l’ortodosso Maher Mahfuz, anche loro rapiti e spariti.
Ora è stata la volta di padre Petoyan, sacerdote cattolico armeno, solo uno dei numerosi preti assassinati o scomparsi in Siria. «Per noi sono tutti martiri», ha detto Boutros Marayati, arcivescovo armeno cattolico di Aleppo, «e quello che è accaduto è una conferma che la guerra in Siria non è finita come invece avevamo sperato». Padre Petoyan era il sacerdote della comunità armena cattolica di Qamishli, nella provincia siriana nord-orientale di Hassakè.
Da tempo si occupava dei progetti volti a ricostruire le case dei cristiani e le chiese a Deir ez Zor distrutte dalla guerra. Ogni due settimane si recava in questa città della Siria orientale per controllare i lavori in corso ed era sempre andata bene. Lungo il percorso tutto era filato liscio, nessun problema, nessun posto di blocco, fino a lunedì scorso. La Chiesa cattolica armena, formata dai sopravvissuti al genocidio turco-ottomano di inizio Novecento, è un’antica comunità cristiana che conta oltre mezzo milione di fedeli. È una Chiesa strettamente legata a Roma pur conservando una certa autonomia nei riti religiosi. Oltre alla Siria la troviamo anche in Iraq, Iran, Egitto, Turchia, Israele e in Libano, dove c’è la sede centrale. Proprio a Deir ez Zor si trovano una chiesa e un memoriale dedicato ai martiri del genocidio armeno. La città è controllata dalle forze curde, appoggiate da unità speciali americane rimaste nella zona, ma è contesa dall’esercito siriano che vuole tornare in possesso dei pozzi petroliferi di cui è ricca l’area e da gruppi jihadisti fedeli all’Isis che, secondo fonti curde, avrebbero compiuto almeno 30 attacchi a novembre alzando notevolmente la capacità operativa sul campo.
L’intervento militare di Ankara contro i curdi nel nord-est ha sconvolto la regione creando più confusione e instabilità oltre a dare nuova forza alle cellule dell’Isis tornate sulla scena con più violenza di prima. Attivisti e organizzazioni umanitarie internazionali puntano il dito contro i militari turchi e i loro alleati accusandoli di gravi violazioni e crimini di guerra contro i curdi.
I soldati della Mezzaluna e le milizie filo-jihadiste che sostengono l’intervento turco nel nord sarebbero responsabili di una sorta di ‘pulizia etnica’ contro i curdi e le altre minoranze religiose tra cui i cristiani. La stessa accusa è giunta nei giorni scorsi anche da William Roebuck, inviato speciale americano presso la Coalizione anti-Isis, secondo cui gli Stati Uniti non hanno fatto abbastanza per fermare l’attacco contro i curdi.
Nelle prigioni anatoliche ci sono oltre 1.200 foreign fighters del califfato mentre altri 300, in gran parte stranieri, sono stati catturati nel nord siriano dall’inizio dell’offensiva turca il 9 ottobre scorso. Assiri, caldei e siro-cattolici si sono trovati improvvisamente nel mirino dell’esercito turco, dei loro alleati jihadisti e degli stessi terroristi dell’ex Stato islamico. La paura e l’insicurezza hanno spinto migliaia di cristiani a fuggire in luoghi più tranquilli. L’escalation della tensione si è fatta sentire anche a Qamishli, dove i cristiani sono protetti sia dai guerriglieri curdi che dai governativi siriani, ma gli ultimi attentati hanno dimostrato che il Daesh ha già rialzato pericolosamente la testa.
Auto e moto riempite di tritolo sono esplose nelle vicinanze di una chiesa caldea e vicino a un mercato lasciando sul terreno sette morti e decine di feriti. Un nuovo trauma per una comunità pesantemente colpita da otto anni di guerra civile e di atrocità jihadiste. Una tragedia senza fine che continua anche con la profanazione di chiese e il saccheggio di case abitate da cristiani nella fascia di sicurezza creata dai turchi a nord-est, mentre Aleppo è ancora oggi sotto il tiro di razzi e colpi di artiglieria da parte di ribelli e jihadisti.
Conformemente alla mappa anticipata dall’agenzia di stampa ufficiale turca Anadolu Agency, le truppe turche si sono limitate a occupare una striscia frontaliera con la Siria di 32 chilometri di profondità, con l’eccezione della città di Qamishli.
Tuttavia oggi emerge chiaramente che la Turchia e lo YPG stanno facendo una politica comune di espulsione dei cristiani dalla zona, anche dalla città di Qamishli.
Alla fine del XIX secolo e agli inizi del XX gli Ottomani e i loro suppletivi kurdi massacrarono 1.400.000 armeni, 200 mila assiri e cristiani di rito greco, nonché 50 mila assiri di Persia (1914-1918) e altri 800 mila armeni e greci (1919-1925) [1].
A marzo 2014, durante la guerra contro la Siria, centinaia di jihadisti del Fronte al-Nusra (Al Qaeda) e dell’Esercito dell’Islam (filo-sauditi), inquadrati dall’esercito turco, saccheggiarono la città armena siriana di Kessab [2].
In un simile scenario la comunità armena ha interpretato l’assassinio dell’11 novembre 2019 del sacerdote Hovsep Petoyan (foto) e della sua famiglia come un attacco ordinato dalla Turchia a Daesh. Il prete si era recato a Deir-er-Zor per sorvegliare la ricostruzione di una chiesa armena distrutta da Daesh.
Nella martoriata Siria, sono ben cinque milioni e mezzo i bambini che hanno bisogno di assistenza.
Lo denuncia un rapporto dell’Unicef, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia. A solo 8 settimane dalla fine dell’anno, le operazioni di emergenza sono state finanziate appena della metà, circa il 53 per cento.
Dei 295 milioni di dollari necessari per il 2019, denuncia l’agenzia umanitaria dell’Onu, ne sono stati raccolti solo 138 milioni. Nonostante la grande insicurezza e le sfide per l’accesso nelle zone di combattimento, la mancanza di fondi adesso rappresenta l’ostacolo più grande per raggiungere i bambini che hanno urgente bisogno di cibo, medicine e aiuto.
Nel nordest della Siria, dove vivono alcuni dei minori più vulnerabili del paese, nel 2019 l’Unicef è riuscito a vaccinare oltre mezzo milione di bambini, fornito supporto psicosociale ad altri 150.000 e consentito a oltre 100.000 bambini di iscriversi a programmi di istruzione formale.
A causa delle ripetute violenze, nelle prossime settimane non verranno forniti acqua e servizi igienico sanitari di emergenza a oltre 100.000 persone, né saranno ampliate le scarse fonti di acqua utili per oltre 300.000 persone.
Inoltre, 55.000 bambini non riceveranno vaccinazioni di routine e circa 140.000 donne e bambini non riceveranno consulenza sanitaria e nutrizionale. 70.000 bambini non avranno alcun supporto per l’istruzione informale, compresi spazi per l’apprendimento e materiali scolastici.
E senza ulteriori fondi, le conseguenze per i bambini che vivono nelle regioni nordorientali sottoposte di continuo a bombardamenti e attacchi armati saranno atroci.
Secondo il documento dell’Unicef, infatti, 1.700 bambini non riceveranno assistenza specializzata dopo le brutali violenze che hanno vissuto, sia i bambini costretti con la forza a combattere, sia quelli che hanno vissuto in aree controllate da gruppi armati.
Inoltre, 170.000 persone non saranno raggiunte con informazioni sul rischio della micidiali mine antiuomo: un siriano su 2 è a rischio di ordigni inesplosi, soprattutto i più piccoli.
Con il veloce calo delle temperature, l’Unicef intende fornire a 578.000 bambini (sotto i 14 anni), abiti invernali nei campi, nei rifugi collettivi, nelle comunità ospitanti e nelle aree in cui c’è estremo bisogno.
A oggi ci sono fondi per 356.000 bambini e senza ulteriori donazioni 222.000 bambini non riceveranno assistenza. «Stiamo affrontando tanti ostacoli nel fornire assistenza salvavita», afferma l’agenzia dell’Onu.
E la difficile situazione in Siria – ricorda l’edizione quotidiana de L’Osservatore Romano – è stata ieri al centro di un colloquio tra i capi delle diplomazie di Russia e Francia, Serghiei Lavrov e Jean-Yves Le Drian, che si sono incontrati nella capitale francese.
Lavrov ha dichiarato che i colloqui si sono concentrati sull’inizio dei lavori del Comitato costituzionale siriano a Ginevra.
Intanto, ieri, in un’messaggio rilasciato a “Vatican News”, Boutros Marayati, arcivescovo armeno-cattolico di Aleppo, è intervenuto sull’uccisione del sacerdote armeno-cattolico Apraham Joseph Bedo, parroco della chiesa di San Giuseppe a Kamichlié, da parte degli uomini di un gruppo di jihadisti.
Il sarcerdote — ha detto l’arcivescovo — «è un martire della Siria, ucciso perché faceva del bene ed era impegnato nella ricostruzione della chiesa e delle case della comunità armena a Deir er Zor».
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2019-11-13 16:13:152019-11-14 16:14:23Rapporto Unicef sulla Siria: ‘Cinque milioni e mezzo di bambini senza assistenza’ (papaboys.org 13.11.19)
l voto del Congresso sul genocidio armeno. Le nuove sanzioni per le operazioni in Siria. La richiesta di estradizione di Gulen. Il business delle armi e il riavvicinamento tra Turchia e Russia. I nodi e le incognite della visita del Sultano alla Casa Bianca.
Visita confermata. Il 13 novembre Recep Tayyp Erdogan è pronto a incontrare Donald Trump alla Casa Bianca. Una telefonata tra i due presidenti ha fatto sciogliere le riserve ad Ankara dopo le tensioni scatenate dalla recente mozione del Congresso Usa sul genocidio armeno e dalle nuove sanzioni imposte da Trump. Tutti nodi che evidentemente restano sul tavolo del bilaterale.
LE TENSIONI PER IL GENOCIDIO ARMENO E LE NUOVE SANZIONI USA
Andiamo per ordine. Ankara, come era prevedibile, non ha gradito il voto del Congressoamericano che a larghissima maggioranza ha riconosciuto il genocidio armeno in Turchia, il massacro di almeno 1,5 milioni di armeni sotto l’impero ottomano tra il 1915 e il 1916. Il governo turco si è limitato a definire l’eccidio come «un fatto tragico», ma non ammette la parola «genocidio». «Nella nostra fede il genocidio è assolutamente vietato», ha sottolineato Erdogan. «Consideriamo questa accusa come il più grande insulto al nostro popolo». A complicare la situazione, però, è stata anche una seconda risoluzione dei deputati statunitensi su nuove sanzioni alla Turchia per l’operazione militare nel Nord della Siria. A cui va aggiunta la recente incriminazione da parte degli States di Halkbank, la seconda banca statale turca accusata di aver aver aiutato l’Iran a violare le sanzioni economiche.
LA RICHIESTA DI ESTRADIZIONE DI GULEN
Altro tema caldo tra Ankara e Washington è la richiesta di estradizione di Fethullah Gulen. Il magnate ed ex imam residente in Pennsylvania è considerato dalla Turchia la mente del fallito golpe del 2016. Ankara ha proposto uno scambio di quelli che definisce «terroristi»: Gulen al posto della sorella di Abu Bakr al Baghdadi, l’ex Califfo del sedicente Stato islamico, catturata dai turchi (arresto al quale è seguito anche quello della moglie dell’ex leader di Daesh). «Gulen è importante per la Turchia quanto al Baghdadi lo era per gli Stati Uniti», ha ribadito Erdogan. Finora da Washington è arrivato un secco no, che però potrebbe ammorbidirsi alla luce degli interessi economici e militari americani.
IL NODO SIRIANO E LA VISITA DELL’EX COMANDANTE DEL PKK
I rapporti tra Usa e Siria rappresentano un altro motivo di tensione. Erdogan, infatti, aveva chiesto di cancellare un’altra visita programmata alla Casa Bianca: quella del capo delle Syrian Democratic ForcesFerdi Abdi Sahin, ex comandante del Pkk che sia la Turchia che gli Usa hanno riconosciuto come organizzazione terroristica. La Casa Bianca non ha smentito l’incontro, scatenando la reazione del governo turco: gli Usa «sanno che razza di terrorista sia, di quali razza di atrocità si sia reso responsabile in passato», hanno dichiarato alcune fonti vicine al presidente Erdogan citate da Middle East Eye. «Sanno che caos si scatenerebbe se il Congresso trattasse da eroe uno che difende l’Isis».
IL BRACCIO DI FERRO CON MOSCA
Infine a preoccupare Washington è anche il riavvicinamento tra Turchia e Russia. Mosca si è detta pronta a vendere il proprio sistema di difesa anti missilistico S-400 e la prima reazione statunitense è stata l’interruzione della fornitura di F35, non senza conseguenze economiche e strategiche dal momento che la Turchia rappresenta il secondo esercito in termini numerici della Nato. A pochi giorni dall’incontro tra Trump e Erdogan, inoltre, il ministro della Difesa turco, Hulusi Akar, ha confermato una esercitazione congiunta in Russia proprio sul sistema missilistico S-400, spiegando che per la Turchia è necessario difendersi da una doppia minaccia terroristica: l’Isis e i curdi. L’ennesima ombra sull’incontro tra il tycoon e il Sultano.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2019-11-13 15:54:242019-11-13 15:54:24Tutte le ombre sull’incontro tra Trump e Erdogan (Lettera43 13.11.19)
iaggio in Armenia, popolo lontano eppure vicino come non si crederebbe. Dove la cultura del vino e della vite hanno ripreso a stimolare idee e passioni animando un movimento che guarda ben oltre le cantine e le vigne. Nel mensile di novembre del Gambero Rosso abbiamo intrapreso un viaggio sorprendente tra sapori e calici inaspettati grazie a un agricoltore iraniano e un enologo italiano che ci hanno indicato la via. Qui un’anticipazione.
L’Armenia
L’Armenia non è certo vicina: dista dall’Italia quasi tremila chilometri in linea d’aria, quattromila via terra. Ai piedi del Caucaso c’è oggi questo piccolo stato di circa tre milioni di persone, culla e rifugio di un popolo glorioso e industrioso, che un tempo dominava tra Mar Nero e Mar Caspio, e che arrivava a toccare le sponde del Mediterraneo. Siamo al confine tra Asia ed Europa, poco lontano dal Monte Ararat, simbolo del paese, (che però oggi è in territorio turco), dove la leggenda vuole che approdasse l’Arca di Noè dopo il diluvio.
Fu proprio un nipote di Noè, Haik, che secondo le antiche saghe si stabilì ai piedi del Monte, sconfisse in battaglia il re assiro Nimrod e diede inizio all’avventura di questo popolo. Hayastan, la terra di Haik, è oggi il nome del paese in lingua armena. Lontano, dicevamo, ma a noi vicino culturalmente. Fu il primo stato a divenire cristiano, nel 301, e con l’occidente l’Armenia e gli armeni hanno sempre avuto legami forti e complessi. Per arrivare a Yerevan, oggi dall’Italia si passa dall’aeroporto di Mosca per atterrare un paio d’ore dopo nella capitale di questo giovane stato nato nel 1991 dalla frammentazione dell’impero sovietico.
Il tipico lavash, un pane sottile che si arrotola come fosse stoffa
I sapori dell’Occidente e dell’Oriente
Il nostro è un viaggio sulle tracce della viticoltura, che qui ha la sua culla. Il primo impatto, però, è con la cucina locale: il sapore della melanzana, l’intensità di un agnello, le paste ripiene di carne come il manti (una sorta di tortellino, diffuso anche in Turchia), i formaggi di capra. Nei piatti gli ingredienti sono centrali, di grande intensità, le pietanze sono presentate senza fronzoli. A occhi chiusi pensi di essere a tavola nel nostro Sud anche se non riesci bene a capire dove. In effetti c’è un po’ di Armenia dovunque, in Occidente e in Italia, e c’è Occidente in Armenia.
Per rendersene conto basta andare a Venezia, che dal XII secolo è stata uno dei grandi centri di diffusione della cultura armena, e dove un’isola della laguna, San Lazzaro, è gestita da secoli dai monaci mechitaristi ed è un’importantissima istituzione culturale di questo popolo. Roma, Napoli e tante altre città vantano chiese e comunità armene, ma lo stesso si può dire per gli altri paesi europei, per gli Stati Uniti, la Russia… E non c’è campo artistico, dalla musica al cinema alle arti figurative che questo straordinario popolo non abbia esplorato con eccellenti risultati: un nome su tutti Charles Aznavour (sarebbe Aznavourian), straordinario musicista: attore, diplomatico, ma soprattutto attivista della causa armena, che oltre ad aver scritto più di 1000 canzoni, si esibiva in ben sette lingue, italiano compreso. Eh sì, la causa armena.
Un bel banco ricco di frutta secca all’interno del Gumi Shuka, il food market di Yerevan
La visita a Yerevan
Una delle tappe obbligate della visita a Yerevan – città che troviamo giovane e vivacissima, costellata di opere d’arte, caffè, ristoranti e architetture moderne che s’innestano su quelle inizio Novecento di stampo sovietico – è il mausoleo del genocidio. In pochi mesi, tra il 1915 e il 1916, oltre un milione e mezzo di armeni furono deportati e sterminati dal regime turco nella prima grande operazione di pulizia etnica del Novecento. Dopo la visita, per l’intera giornata non siamo riusciti a proferire parola. La Turchia non ha mai riconosciuto la strage, il Genocidio Negato. Questo spiega perché se in Armenia la popolazione non supera i tre milioni, oltre otto sono i milioni di armeni nel mondo. Una comunità internazionale che in ogni paese si ritrova nelle sue chiese, ha mantenuto cultura, alfabeto, musica, simboleggiata dallo strumento nazionale, il duduk, una sorta di clarinetto recentemente entrato nel patrimonio dei beni immateriali dell’umanità tutelati. dall’Unesco.
Il memoriale del genocidio sulle colline della capitale
L’Armenia oggi
L’Armenia di oggi, dicevamo, è un paese giovane, vitale, dinamico, sostenuto dagli armeni di tutto il mondo, che contribuiscono al 20% del PIL. Il clima che si respira nella capitale è contagioso, c’è entusiasmo, voglia di fare e costruire, c’è una rinnovata fiducia. Sono gli effetti della Rivoluzione di Velluto, portata a termine senza alcun spargimento di sangue nell’aprile del 2018. Le lunghe proteste dei giovani portano alle dimissioni del controverso governo guidato da Serz Sargsyan. Il nuovo corso condotto da Nikol Pashinyan sta portando il paese verso una lunga serie di riforme, a partire dalla lotta alla corruzione, piano di rilancio economico e nuova politica estera. Il paese confina con l’Iran, la Georgia, l’Azerbaijan e la Turchia ma i confini sono aperti solo con i primi due.
Nuovi ristoranti e wine bar. E la voglia di ripartire
Quello che raccogliamo a Yerevan è lo spirito di chi ha voglia di ripartire, come dimostrano i tanti nuovi ristoranti e wine bar, targhe appena appese e un fermento vero. Siamo qui per il vino, ma ci innamoriamo subito di una terra e di una cultura. Se non avete letto “La Masseria delle Allodole” di Antonia Arslan, fatelo. Un libro bellissimo, ma anche la vera storia di un popolo vicinissimo culturalmente a noi. Come la sua cucina, elemento unificante e identitario, che accomuna gli armeni della diaspora ovunque essi siano. Come ci racconta Sonya Orfalian, nel mensile di novembre del Gambero Rosso, la memoria e l’identità di un popolo si possono preservare anche tramandando una ricetta, soprattutto se il popolo è in perenne movimento e parla una lingua che non assomiglia a nessun’altra, viaggiatori e commercianti da sempre.
Ci sintonizziamo sulle montagne di frutta secca del coloratissimo mercato di Gurmi Shuka, tra una varietà incredibile di sottaceti, retaggio russo, dolci di tradizione turca come i baklava, trionfo di datteri e melegrane giganti, tante varianti di dolma, tipici involtini ripieni nelle foglie di vite.
All’ombra del monte Ararat
Quindi, usciamo dalla capitale e mettiamo in fila una serie di paesaggi bellissimi, aspri, incontaminati. Le strade si fanno dissestate, circolano deliziosi modelli russi che sembrano usciti da un museo. È un viaggio vero. La vetta dell’Ararat ci accompagna per una buona ora di guida, mentre attraversiamo opere edilizie che confermano l’inconciliabilità tra i concetti di Unione Sovietica ed estetica.
Anfore interrate nella cantina di Zorik Gharibian
La natura diventa ancora più estrema, la luce è fortissima, arriviamo nella provincia di Vayots Dzor, non lontano il confine con i poco amichevoli cugini azeri. “Tutto il mondo è armeno, quelli pigri sono rimasti qui”, sorride Zorik Gharibian, fondatore della cantina Zorah, mentre poggia in tavola un generoso piatto di formaggi di capra locali, hummus, basturma (la risposta armena alla bresaola) e l’immancabile lavash, il tipico pane armeno senza lievito. Di strada anche Zorik ne ha fatta tanta. Nato a Teheran, si è formato al collegio dei monaci mechitaristi a Venezia, per poi raggiungere Milano, dove ha fatto fortune nel settore della moda. Nel 1998 il primo viaggio in Armenia. “Si beveva solo vodka, eppure in ogni monastero c’era il vino, le canzoni popolari cantavano il vino. Lo bevevano solo gli armeni della diaspora e la qualità eraquella che era”. Ma il richiamo è fortissimo.
Zorik Gharibian
In pochi mesi sposta la produzione delle sue aziende in Armenia e incomincia a sondare il terreno per l’attività vitivinicola. Le sue attenzioni cadono sul patrimonio di varietà autoctone armene dimenticate, così come sull’utilizzo delle anfore.
Nel mensile di novembre del Gambero Rosso trovate l’intero racconto con la testimonianza completa del fondatore della cantina Zorah, che racconta il nuovo progetto di formazione incentrato sulle anfore e il futuro museo per raccontare la viticoltura armena. Un servizio di 15 pagine che include anche una timeline con tutte le tappe fondamentali della storia dell’Armenia, gli indirizzi con wine bar, ristoranti, cantine e mercati da non perdere, i contributi dell’archeologo Boris Gasparyan e dell’enologo Alberto Antonini, 15 etichette a confronto e gli otto piatti tipici da provare assolutamente.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2019-11-13 15:52:212019-11-13 15:52:21Armenia. Nella giovane repubblica un vino millenario diventa occasione di sviluppo (Gambero Rosso 13.11.19)
Città del Vaticano – L’esecuzione era mirata. Volevano colpire il sacerdote armeno, padre Hovsep Bedoyan, parroco di Qamishli e Hasakeh in Siria, ucciso ieri insieme a suo padre in un agguato rivendicato dall’Isis. Una morte che ha colpito molto il Papa che ha espresso vicinanza alla comunità armena. Lo ha fatto in un tweet, aggiugendo di pregare per tutti i cristiani della Siria.
Il sacerdote armeno nelle settimane scorse aveva preso parte, come tanti altri parrocchiani, ad alcune manifestazioni di protesta contro l’operazione militare della Turchia che ha invaso la Siria per creare una buffer-zone in cui mandare i suoi profughi siriani e nello stesso tempo combattere i curdi e impedire una loro eventuale riorganizzazione.
Il parroco armeno non era un parroco di secondo piano. Hovsep era il parroco che stava controllando i lavori di ricostruzione delle case degli armeni e della Chiesa dei Martiri nei pressi di Deir ez-Zor, il santuario sacro agli armeni a ricordo del genocidio del milione e mezzo cristiani morti di stenti nel 1915. La località nel sud della Siria fu uno dei principali luoghi di destinazione delle micidiali marce della morte, un piano di sterminio deciso dall’allora governo ottomano che attraverso leggi e disposizioni attuò il primo genocidio del XX secolo con le deportazioni forzate. Negli anni cinquanta fu costruito il memoriale che, con l’inizio della guerra in Siria, è stato distrutto dall’Isis. Fu uno dei primi simboli cristiani abbattuti, uno sfregio alla Chiesa armena alla loro memoria. La distruzione del memoriale fu condannata dalla comunità internazionale nel silenzio più totale delle autorità turche. In quel periodo iniziavano ad emergere i primi contatti tra la Turchia e l’Isis.
Padre Bedoyan si recava ogni due settimane a Deir ez Zor, per verificare lo stato di avanzamento dei lavori. Finora aveva compiuto a questo scopo già sei viaggi in quella città così cara alla memoria degli armeni, dove c’è il santuario dei martiri del genocidio, anch’esso devastato durante il conflitto.
Al momento dell’agguato, il sacerdote e suo padre viaggiavano insieme a un diacono armeno – rimasto ferito durante l’assalto – e a un altro accompagnatore. Sull’auto c’era la scritta della Chiesa Armena. I due attentatori, in moto, avevano il volto coperto e sono fuggiti dopo l’agguato.
La città di Deir ez Zor è controllata dall’esercito siriano, ma nell’area ci sono anche forze curde. I terroristi dell’Isis hanno diffuso sui siti jihadisti la rivendicazione del duplice omicidio (ma affermando, in maniera erronea, di aver eliminato due sacerdoti).
La tv di stato siriana ha definito “martirio” l’uccisione del sacerdote armeno cattolico e di suo padre.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2019-11-12 19:54:242019-11-12 19:56:02Il Papa piange il prete armeno ucciso dall'Isis, stava seguendo la ricostruzione del Memoriale del Genocidio (Ilmessaggero.it 12.11.19)
Qamishli (Agenzia Fides) – Si sono svolti stamane a Qamishli i funerali del sacerdote armeno cattolico Hovsep Hanna Petoyan e di suo padre Hanna Petoyan, uccisi lunedì 11 novembre da due killer in moto mentre erano diretti in automobile verso la città di Deir ez Zor, nel nord–est della Siria. “Per noi sono martiri. E quello che è accaduto a loro è una conferma che la guerra qui non è finita, come invece avevamo sperato” dichiara all’Agenzia Fides Boutros Marayati, Arcivescovo armeno cattolico di Aleppo.
Le esequie del sacerdote e di suo padre sono state celebrate nella chiesa armeno cattolica di San Giuseppe, alla presenza di sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli di tutte le comunità cristiane presenti nell’area. A presiedere la liturgia funebre è stato padre Antranig Ayvazian, Vicario episcopale della comunità armena cattolica dell’Alta Mesopotamia e della Siria del nord.
Padre Hovsep, 46 anni, sposato e padre di tre figli, ordinato presbitero da 5 anni, era il sacerdote della comunità armena cattolica di Qamishli, nella provincia siriana nord orientale di Hassake. “Nella città di Qamishli” racconta all’Agenzia Fides l’Arcivescovo Marayati “ sono confluiti anche tanti profughi cristiani fuggiti da Deir ez-Zor, quando quella città era stata devastata dalla guerra. Lui svolgeva anche tra di loro la sua opera pastorale, e da tempo seguiva anche i progetti messi in atto anche con l’aiuto di gruppi internazionali per ricostruire la chiesa e le case dei cristiani a Deir ez Zor, distrutte dalla guerra. Per questo si recava ogni due settimane a Deir ez Zor, per verificare lo stato di avanzamento dei lavori. Finora aveva compiuto a questo scopo già sei viaggi in quella città così cara alla memoria degli armeni, dove c’è il santuario dei martiri del genocidio, anch’esso devastato durante il conflitto. Lungo il tragitto, le altre volte, non c’erano stati problemi e tutto era andato liscio”.
Al momento dell’agguato, il sacerdote e suo padre viaggiavano insieme a un diacono armeno – rimasto ferito durante l’assalto – e a un altro accompagnatore. I due attentatori, in moto, avevano il volto coperto e sono fuggiti dopo l’agguato. Il padre del sacerdote è morto sul colpo. Padre Hovsep, ferito al petto, è stato portato dai soccorritori in un ambulatorio di Deir ez Zor e poi trasferito in ambulanza a un ospedale di Hassakè, dove è giunto già privo di vita.
La città di Deir ez Zor è controllata dall’esercito siriano, ma nell’area ci sono anche forze curde e operano ancora militari USA. Nel sotto-distretto di al-Busayrah, area dove è avvenuto l’agguato, sono concentrati anche gruppi armati affiliati al sedicente Stato Islamico (Daesh), che nella giornata di ieri ha anche diffuso sui siti jihadisti la rivendicazione del duplice omicidio (ma affermando, in maniera erronea, di aver eliminato “due sacerdoti”). “Si tratta di gruppi che agiscono come lupi solitari, non c’è più il Daesh con i blindati e l’artiglieria. Ma è evidente che questa volta non hanno colpito a caso. Sull’automobile con cui viaggiavano il sacerdote e i suoi accompagnatori c’era la scritta della Chiesa armena”.
La TV di stato siriana SANA ha definito “martirio” l’uccisione del sacerdote armeno cattolico e di suo padre, mentre i media curdi hanno presentato la recrudescenza di attacchi sanguinosi attribuibili a Daesh come una conseguenza indiretta dell’intervento militare turco in Siria, che avrebbe costretto le milizie curde operanti nell’area a rivedere le proprie strategie e a sospendere le operazioni militari rivolte contro le cellule jihadiste ancora presenti nel nord-est della Siria.
Secondo i curdi del Centro d’informazione Rojava, i jihadisti di Daesh avrebbero realizzato 30 attacchi nei primi dieci giorni di novembre, con un aumento del 300 per cento dai suoi livelli di attività rispetto al periodo precedente all’iniziativa militare turca in territorio siriano. (GV) (Agenzia Fides 12/11/2019).
Monsignor Boutros Marayati è un presule armeno-cattolico: “Prima della guerra a Qamishli gli armeno-cattolici erano 5mila con 5 chiese. Oggi sono 2mila e solo due chiese sono rimaste aperte.
C’è la guerra. E poi la persecuzione delle minoranze. Gli odiati curdi dalla Turchia e dai jihadisti, gli assiri e, ovviamente, i cristiani.
Oltre a ciò gli armeni-cattolici sono particolarmente invisi, perché i turchi e la Turchia di Armeni non ne vogliono nemmeno sentir parlare.
«La guerra in Siria non è ancora finita. E la presenza dell’Isis si fa ancora sentire». Così dichiara, al telefono con Aiuto alla Chiesa che Soffre, monsignor Boutros Marayati, arcivescovo armeno-cattolico di Aleppo dopo il tragico attacco che ieri è costato la vita a padre Ibrahim Hanna (chiamato Hovsep), parroco armeno-cattolico di San Giuseppe a Qamishli.
Secondo il racconto del presule all’organizzazione Aiuto alla Chiesa che Soffre ( Acs), padre Hanna si stava recando a Deir ez-Zor per controllare i lavori alla Chiesa dei Martiri. «Stiamo cercando di ricostruire la chiesa e la case dei cristiani, così che i fedeli possano far ritorno in città», spiega il vescovo. In macchina con il parroco quarantatreenne vi erano suo padre, il diacono della chiesa di Hassaké ed un laico. «Poco prima di Dei ez-Zor, due uomini armati su una moto hanno affiancato e poi superato la loro macchina aprendo il fuoco. Il padre del sacerdote è morto sul colpo, mentre padre Hanna è morto non appena giunto di fronte all’ospedale di Hassaké».
Le indagini sono ancora in corso. «Non sappiamo ancora chi l’abbia ucciso sebbene pare che l’Isis abbia rivendicato l’attacco. Certo è che padre Hovsep indossava il clergymen e dunque era riconoscibile, così come era ben riconoscibile la sua macchina che sul cofano portava una grande scritta: Chiesa armeno-cattolica». È dunque plausibile che padre Hanna sia stato colpito perché sacerdote e anche per il suo contributo alla restaurazione di una presenza cristiana a Deir ez-Zor.
«È una città molto importante per noi – spiega monsignor Marayati – perché è lì che sono stati uccisi molti dei nostri martiri fuggiti dal genocidio del 1915. Oggi non vi è più nessun armeno-cattolico e sicuramente i turchi non vogliono che vi torniamo. La nostra presenza ricorderebbe il genocidio armeno». Non si può dunque escludere, secondo il presule, che dietro l’omicidio del sacerdote possa esservi una mano turca. «Non vi sono prove, ma da sempre Isis è sostenuto e coperto dai turchi».
Prima della guerra a Qamishli gli armeno-cattolici erano 5mila e vi erano 5 chiese. Oggi sono 2mila e soltanto due chiese sono rimaste aperte.
Attraverso Acs, monsignor Marayati manda un appello alla comunità internazionale. «Noi chiediamo solamente che questa guerra finisca. Ma ciò non potrà avvenire se continuate ad aiutare i terroristi e ad inviare armi in Siria!». Poi si rivolge ai cristiani di tutto il mondo: «Vi prego, pregate per noi e per il nostro popolo. Viviamo momenti estremamente difficili».
L’appello dell’arcivescovo Marayati: «Basta aiutare i terroristi, la guerra all’ISIS non è finita»
«La guerra in Siria non è ancora finita. E la presenza dell’ISIS si fa ancora sentire». Così dichiara, al telefono con “Aiuto alla Chiesa che Soffre”, monsignor Boutros Marayati, arcivescovo armeno-cattolico di Aleppo dopo il tragico attacco che ieri è costato la vita a padre Ibrahim Hanna (chiamato Hovsep), parroco armeno-cattolico di San Giuseppe a Qamishli.
Stando a quanto riferisce il presule alla Fondazione pontificia che si occupa dei cristiani perseguitati nel mondo, padre Hanna si stava recando a Deir ez-Zor per controllare i lavori di restauro della Chiesa dei Martiri Armeni, il santuario-memoriale dedicato ai martiri del Genocidio armeno devastato dai jihadisti dell’ISIS nel settembre 2014. «Stiamo cercando di ricostruire la chiesa e la case dei cristiani, così che i fedeli possano far ritorno in città», spiega il vescovo.
In macchina con il parroco quarantatreenne vi erano suo padre, il diacono della chiesa di Hassaké ed un laico. «Poco prima di Dei ez-Zor, due uomini armati su una moto hanno affiancato e poi superato la loro macchina aprendo il fuoco. Il padre del sacerdote è morto sul colpo, mentre padre Hanna è morto non appena giunto di fronte all’ospedale di Hassaké». Le indagini sono ancora in corso. «Non sappiamo ancora chi l’abbia ucciso sebbene pare che l’ISIS abbia rivendicato l’attacco. Certo è che padre Hovsep indossava il clergymen e dunque era riconoscibile, così come era ben riconoscibile la sua macchina che sul cofano portava una grande scritta: Chiesa armeno-cattolica».
È dunque plausibile che padre Hanna sia stato colpito perché sacerdote e anche per il suo contributo alla restaurazione di una presenza cristiana a Deir ez-Zor. «È una città molto importante per noi – spiega monsignor Marayati – perché è lì che sono stati uccisi molti dei nostri martiri fuggiti dal genocidio del 1915. Oggi non vi è più nessun armeno-cattolico e sicuramente i turchi non vogliono che vi torniamo. La nostra presenza ricorderebbe il genocidio armeno». Non si può dunque escludere, secondo il presule, che dietro l’omicidio del sacerdote possa esservi una mano turca. «Non vi sono prove, ma da sempre ISIS è sostenuto e coperto dai turchi».
Dalle 12 di oggi, ora locale, si stanno celebrando a Qamishli i funerali di padre Hanna. Tutta la comunità sarà presente, anche i musulmani, a dimostrazione dell’unità e la solidarietà della città intera». Una città che vive forti tensioni a causa degli scontri tra turchi e curdi. «la situazione è caotica. Vi sono turchi, curdi, americani, russi. Soltanto ieri vi sono state tre esplosioni. I cristiani hanno paura e ad ogni violenza tante famiglie decidono di emigrare». Prima della guerra a Qamishli gli armeno-cattolici erano 5mila e vi erano 5 chiese. Oggi sono 2mila e soltanto due chiese sono rimaste aperte.
Monsignor Marayati manda un appello alla comunità internazionale. «Noi chiediamo solamente che questa guerra finisca. Ma ciò non potrà avvenire se continuate ad aiutare i terroristi e ad inviare armi in Siria». Poi si rivolge ai cristiani di tu
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2019-11-12 19:41:562019-11-13 15:47:17ASIA/SIRIA - Prete armeno e suo padre uccisi presso Deir ez Zor. L’Arcivescovo Marayati: “per noi sono martiri. E la guerra non è finita” (Fides 12.11.19)
Fucecchio, 12 novembre 2019 – Un viaggio per farsi portatori di pace in Armenia. E’ questo il senso del pellegrinaggio che sarà intrapreso da una comitiva di quaranta persone, guidata dal Movimento Shalom, pronta a partire domani. mercoledì 13 novembre per poi tornare il 21 dello stesso mese.
La delegazione sarà guidata da don Andrea Cristiani, fondatore del Movimento Shalom e proposto della Collegiata di Fucecchio. Insieme a lui, partiranno don Donato Agostinelli, parroco di Cerreto Guidi anche lui in Shalom, Vieri Martini, presidente del Movimento, e il cappellano del carcere di Volterra, don Paolo Ferrini.
L’obiettivo è quello di «rendere omaggio a una delle chiese più antiche di tutta la cristianità, culla della nostra fede – sottolinea don Andrea – Shalom è particolarmente vicino alla chiesa armena perché è una comunità martire e si reca in quella terra per per portare avanti la causa del riconoscimento del genocidio del popolo armeno avvenuto all’inizio del secolo scorso e non ancora dichiarato tale, tacendo lo sterminio di un milione e mezzo di esseri umani».
I pellegrini di pace, nel corso della loro permanenza in Armenia, avranno anche l’onore di essere ricevuti dall’ordinario ameno delle chiese orientali, l’arcivescovo Raphael Francois Minassian
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2019-11-12 19:40:492019-11-12 19:40:49Il Movimento Shalom in Armenia. "Portare avanti il riconoscimento del genocidio" (lanazione 12.11.19)
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