Start up di catering multietnico: la tradizione in tavola che unisce le culture (Trnews.it 20.10.119)

MAGLIANO- Quelli che vedete, esposti nel Polo Didattico di Magliano pronti per essere gustati, sono nove piatti tradizionali che arrivano da Nigeria, Armenia, Mali, Costa D’Avorio, Maghreb, Medio Oriente e Africa Sub Sahariana. A prepararli, con la supervisione di uno chef, sono stati dei ragazzi che arrivano proprio da quei paesi e che hanno partecipato alla nascita di “GRIOT, kitchen e catering – storie e cucine migranti”. È una start-up creata da Ce.F.A.S. – Centro di Formazione e Alta Specializzazione, ente di Formazione Professionale accreditato dalla Regione Puglia per la Formazione Continua, la Formazione Superiore e Formazione nell’area dello svantaggio, che progetta percorsi formativi, basati sull’apprendimento esperienziale.

Grazie ai laboratori permanenti allestiti nel polo didattico del “Parco della Scienza” di Magliano è stato possibile sperimentare una metodologia didattica innovativa che permette un’ acquisizione efficace di competenze. E così sta per nascere una start up di catering multietnico. Che è stata presentata offrendo a tutti questi piatti prelibati.

Poliedrici polistrumentisti dall’Armenia (Teatrionline 20.10.19)

L’ultima rappresentazione alla Casa del Teatro di Torino rompe gli schemi, in tutti i sensi: Popbins, lo spettacolo comico-musicale dei Jashgawronsky Brothers, si presenta come il concerto di quattro polistrumentisti che suonano strumenti realizzati con materiale di riciclo, ma rinuncia a qualunque tipo di narrazione – sia nei termini di sequenza logica degli avvenimenti che a proposito della loro curiosa strumentazione – per lasciare tutti i riflettori al divertimento puro.

Il ritmo dello spettacolo infatti non lascia spazio a domande o curiosità (come fa una scopa a suonare come un contrabbasso?): Popbins è uno show limato di qualunque scorza retorica, non ha bisogno di enfatizzare la particolare manifattura degli strumenti musicali per apparire pieno di carattere. In effetti, sono già i quattro interpreti (brother Pavelbrother Surenbrother Richard e brother Francis) ad apparire sul palco come altrettanti personaggi pienamente caratterizzati.

Nessuna linea narrativa. Piuttosto, le fasi ottimamente orchestrate di una comunicazione umoristica restituiscono una forma alla storia implicita: risulta davvero facilissimo immaginare i quattro fratelli Jashgawronsky profanare una discarica per allestire la propria orchestra, accaparrandosi ogni altro oggetto che andrà a far parte dell’improbabile scenografia.

L’effetto comico si accompagna alla poliedricità degli interpreti, che tra uno strumento e l’altro concedono al pubblico numeri di illusionismo e giocoleria; nuovi “conigli nel cappello” vengono estratti ogni volta che si scopre in un elemento della scenografia l’ennesimo strumento musicale, aprendo a inedite forme di narrazione.

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ARMENIA: il processo Kocharyan divide l’opinione pubblica (East Jouranl 19.10.19)

Il 12 settembre è cominciato il processo all’ex Presidente armeno Robert Kocharyanaccusato di aver usurpato della sua autorità in occasione della repressione violenta delle manifestazioni del 2008. Tra il febbraio e marzo di quell’anno, in seguito ad elezioni presidenziali che l’opposizione considerava truccate, polizia e militari soppressero violentemente le proteste antigovernative scoppiate nelle strade di Erevan; morirono due poliziotti e otto dimostranti. Oltre a Kocharyan, anche altri ex alti funzionari sono finiti sul banco degli imputati: Seyran Ohanyan, ex ministro della Difesa; Armen Gevorgyan, ex segretario del Consiglio di sicurezza nazionale; e Yuri Khachaturov, capo del presidio militare di Erevan durante la repressione e, fino a pochi mesi fa,  Segretario generale dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva.

Il processo ha creato una netta divisione dell’opinione pubblica, tra chi appoggia lo sforzo di Pashinyan, attuale primo ministro, nel punire i responsabili e chi, invece, sostiene l’infondatezza delle accuse contro Kocharyan. Al termine dell’udienza c’è stato uno scontro tra le due parti: dei testimoni affermano che i sostenitori di Kocharyan hanno aggredito i suoi oppositori.

Chi è Robert Kocharyan e che ruolo ha avuto nella repressione delle proteste del 2008?

Prima di diventare Presidente della Repubblica armena, Robert Kocharyan fu primo ministro dell’Armenia e Presidente della Repubblica del Nagorno-Karabakh, la sua regione di origine.

Kocharyan è stato il Capo di stato dell’Armenia tra il 1998 ed il 2008, quando la costituzione armena gli impedì di candidarsi per un terzo mandato. Le elezioni del 2008 furono vinte dal suo alleato Serzh Sargsyan, mantenendo così intatto gran parte dell’apparato di governo del Partito Repubblicano. L’opposizione dichiarò le elezioni irregolari e ne chiese l’annullamento. Quando scoppiarono le proteste, Kocharyan indisse lo stato di emergenza. Durante la repressione delle proteste, la polizia arrestò diverse centinaia di persone tra cui vari membri dei partiti di opposizione, incluso Nikol Pashinyan. L’attuale primo ministro era infatti uno degli organizzatori delle manifestazioni e ha trascorso per questo circa due anni in prigione. Poiché Kocharyan era ancora in carica durante le proteste, lui e alcuni altri funzionari sono considerati responsabili della violenza con cui esse sono state soppresse.

Il processo

Quando fu accusato di usurpazione di potere a luglio 2018, Kocharyan dichiarò che le imputazioni erano ingiustificate e avevano implicazioni politiche. E in effetti questa è la percezione di una parte importante dell’opinione pubblica, alimentata dall’atteggiamento combattivo di Pashinyan. Quando Kocharyan fu scarcerato a maggio, Pashinyan esortò i suoi sostenitori a bloccare l’entrata del tribunale, e ciò ha portato molti ad attribuirgli un tentativo di politicizzazione del sistema giudiziario.

Dopo circa un mese, Kocharyan fu nuovamente arrestato e rimase in prigione fino al giorno del processo, sebbene il 4 settembre la Corte costituzionale avesse dichiarato l’arresto incostituzionale. Tre giorni dopo aver rifiutato la mozione per il rilascio di Kocharyan dalla custodia cautelare, il 20 settembre la Corte ha anche rifiutato l’uscita su cauzione. Come al termine delle udienze precedenti, fuori dal tribunale si sono verificati scontri tra i sostenitori e gli oppositori dell’ex Presidente.

Kocharyan, che trascorse un periodo in Russia dopo la conclusione del suo mandato, gode dell’appoggio del Cremlino. Mosca ha infatti più volte espresso il suo dissenso nei confronti del processo, e il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha affermato che l’accusa “non può che preoccuparci”. Una possibile spiegazione potrebbe risiedere nell’attrito tra le autorità russe e l’attuale governo armeno, che ha messo in atto diverse politiche filo-occidentali allontanandosi gradualmente dalla sfera d’influenza russa.

Giustizia o rivincita?

Uno dei capisaldi del programma politico di Pashinyan è la critica all’attuale sistema giudiziario. Il motivo sarebbe che molti dei giudici ancora presenti nei tribunali sono stati nominati dal precedente governo e gli rimangono fedeli. Ad esempio, in seguito al rilascio temporaneo di Kocharyan a maggio, Pashinyan accusò sia il sistema giudiziario armeno sia i leader del Nagorno-Karabakh di cospirare contro il suo governo. Dall’altra parte, i sostenitori dell’ex presidente e altri oppositori del primo ministro sostengono che le forze dell’ordine stiano esercitando pressione sul sistema giudiziario, compromettendone l’indipendenza.

L’approccio complessivo di Pashinyan nei confronti di questo processo ha portato molti ad accusare il primo ministro di stare politicizzando, invece che depoliticizzando, l’apparato giudiziario. Alla popolarità di questa opinione contribuisce anche il coinvolgimento personale di Pashinyan negli avvenimenti che hanno portato fino a questo punto. A prescindere da come andrà a finire il processo, si potranno quindi trovare diverse giustificazioni per affermare che esso si sia basato anche su motivi politici.

 

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L’Armenia guarda al Friuli Venezia Giulia: legami economici e storici (triesteallnews.it 18.10.19)

18.10.2019 – 12.30 – Come un tempo i fedeli armeni giunsero a Trieste, attirati dalla crescita della città e dalla sua tolleranza conferita dalle patenti di Maria Teresa e Giuseppe II d’Asburgo, così oggigiorno l’Armenia quale stato si rivolge al Friuli Venezia Giulia: allora come adesso attirata dalle possibilità culturali e tecnologiche della Regione.
E’ stato il vicepresidente del Consiglio regionale, Francesco Russo, ad accogliere ieri Samvel Mkhitaryan, Margarita Baburyan, Susanna Tadevosyan e Gurgen Hakobyan, componenti chiave di una delegazione armena partner di un progetto cofinanziato dalla Regione. Partecipano il Comune di Monfalcone, il Polo tecnologico di Pordenone, l’associazione di agricoltori di Trieste Kmecka zveza e le realtà caucasiche New Technology Education Fund e Technology and Science Dynamic.

L’Armenia è uno stato in crescita, ma il galoppare dell’economia lascia indietro il know-how tecnologico, supera le reali possibilità infrastrutturali del paese: l’obiettivo dunque diventa acquisire quelle competenze fondamentali per consentire il progredire della nazione. Serve dunque formazione, specie scientifica; e proprio in questo campo Trieste e il Friuli Venezia Giulia eccellono. L’Armenia, inoltre, grazie alla sua posizione geografica, rappresenta uno dei tre paesi del partenariato orientale assieme a Georgia e Ucraina, verso cui l’Unione Europea ha un interesse sempre più spiccato.

Correva l’anno domini 1715 quando un gruppo di Padri Armeni Mechitaristi approdò a Trieste, dopo essere passati da Istanbul alla Repubblica di Venezia, infine attirati dalla tolleranza e dalla crescita – non solo economica, quanto spirituale – della città-porto Trieste. La comunità armena, all’inizio con cinquanta fedeli, crebbe rapidamente, raggiungendo quasi seicento membri nel 1773. Convenzionalmente vengono individuati due diversi periodi; il primo fino al 1810, quando i Padri Mechitaristi chiusero per debiti e il secondo, dal 1817 al 1910, di gran lunga più ricco e fiorente. Risale infatti all’ottocento la costruzione di quel gioiello in rovina che è la Chiesa degli Armeni (via dei Giustinelli 7), dedicata alla Beata Vergine delle Grazie. L’edificio conserva ancora l’organo Rieger donato da Julius Kugy, perché a lungo era anche la chiesa della comunità cattolica di lingua tedesca. La chiesa era parte di un complesso che comprendeva, dal 1859 al 1875, il primo ginnasio in lingua italiana, parte di un collegio-convitto. Oggigiorno la comunità armena è ridotta a una ventina di anime, ma rimane culturalmente importante nel tessuto storico della città.

I rappresentanti armeni hanno proposto la sottoscrizione di un protocollo di intenti per dare continuità ai rapporti avviati, tenuto anche conto che Finest ha due accordi di collaborazione firmati nel 2013 con l’Armenian Development Agency e con la Pan
Armenian Development Bank. Attualmente la priorità spetta all’innovazione e alla formazione, alla crescita delle microimprese e alla valorizzazione del settore agroalimentare. Ma non si escludono, nel futuro, collaborazioni culturali con Trieste.

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Yerevan – Lusik Aguletsi, museo delle meraviglie fra storia e tradizione (Assadakah 18.10.19)

Letizia Leonardi – La città di Yerevan si è arricchita di un’altra meraviglia: è di recente apertura la Casa Museo di Lusik Aguletsi. Un’artista, collezionista, etnologa, pittrice, donna che ha vissuto il presente con lo sguardo sempre rivolto nel passato. Fino alla sua scomparsa, all’età di 72 anni, è stata una delle poche persone che si è ostinata a indossare solo e rigorosamente abiti tradizionali armeni arricchiti con originalissimi monili in argento di fattura orientale.

Lusik Aguletsi

Basta prendere un taxi e con la modica cifra di 1000 dram (circa 2 euro) si arriva davanti a una costruzione in pietra dipinta di bianco: è la Casa Museo di Lusik Aguletsi. Abitata, fino ad un anno fa, dalla poliedrica artista oggi è una meta di turisti e non solo. A parte lo spazio dedicato al museo è stato realizzato un art cafè frequentato da chi gradisce gustare pietanze armene e bere il classico caffè tradizionale.

Una casa in stile armeno con cortile interno impreziosito da un secolare albero circondato da altri alberi da frutto. In sottofondo della gradevole musica e il rilassante rumore dell’acqua che scorre riversandosi in una piccola piscina. Se si varca l’ingresso dell’edificio si apre improvvisamente un mondo.

Sembra di entrare in una favola delle Mille e una notte. Tra foto artistiche, dipinti, antichi oggetti etnici di raffinata fattura, la mente del turista spazia in un turbinio di fantasie di tempi e terre lontane. Pezzi d’arte che Lusik ha racconto durante tutta la sua intensa vita e che gli eredi hanno deciso di mettere a disposizione dei visitatori. L’accoglienza e la gentilezza è quella tipica del popolo armeno, sempre pronto ad aprire le porte delle loro abitazioni.

Emozionante è entrare nelle stanze della casa, rimaste così come le ha lasciate la sua proprietaria. La sua camera da letto con tutti i suoi vestiti, le sue scarpe, i suoi gioielli, cinture, borse, cappelli e moltissime altre cose di uso quotidiano. Ma, all’interno dell’abitazione si possono ammirare, in tutte le altre stanze, anche moltissimi antichi pezzi d’arte unici. Armi, decorazioni, tappeti, antichi vasi.

Alcune di queste meraviglie Aguletsi li ha portati da Agulis, sua terra natia ma le altre provengono dall’Armenia orientale e occidentale. E c’è anche un po’ d’Italia in questo meraviglioso museo: un libro antico proveniente dall’Isola di San Lazzaro, a Venezia. Un patrimonio e delle collezioni, per non dimenticare la storia e il folklore dell’antica e martoriata terra d’Armenia. E ci sono i suoi dipinti e gli oggetti da lei stessa realizzati, che venivano esposti nelle feste popolari. Ci sono bambole fatte a mano e oggetti natalizi e pasquali. La Casa, lasciata pressoché intatta, è stata adattata alle esigenze museali in omaggio di Lusik Aguletsi, un’artista a tutto tondo ma anche scrittrice. Ha pubblicato infatti “Vestiges of the Past”, corredato da suggestive immagini.

Dopo questa interessante visita è d’obbligo una sosta nel cortile esterno, in uno dei tavolini dell’ art cafè e per concludere in bellezza c’è anche il piccolo ma accogliente negozio di souvenir dove si potranno acquistare gioielli in argento realizzati a mano, come facevano gli artigiani del passato, e molte altre cose…così chiunque potrà portarsi con sé anche un tangibile ricordo di una intrigante visita.

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L’Armenia crolla senza Mkhitaryan: addio al sogno Europeo, il ct si dimette (Corriere Sport 18.10.19)

ROMA – L’assenza della bandiera si è fatta sentire, Henrikh Mkhitaryan è imprescindibile. L’Armenia crolla, il ct si dimette, la squadra ha il morale sotto i piedi: tutto per l’assenza del giocatore più importante che è stato costretto a dare forfait per gli ultimi due impegni della sosta, fatali per le sorti della nazionale del trequartista giallorosso.

Pareggio contro il modesto Liechtenstein, poi la sconfitta per tre a zero contro la Finlandia e l’addio alle speranze di giocare l’Europeo 2020. Perché a due giornate dalla fine delle qualificazioni l’Armenia dovrebbe vincere entrambe le partite contro Grecia e Italia e sperare che la Finlandia esca ko contro Liechtenstein e la Grecia. Un’impresa praticamente impossibile, un sogno svanito per l’assenza di Mkhitaryan che è stato costretto a rimanere a Roma per il recupero dalla lesione tendinea dell’adduttore della gamba destra.

Il ct Gyulbudaghyants ha provato a sostituire il fantasista con Ghazaryan, ma i risultati non sono stati quelli sperati. Ecco allora quest’oggi arrivare le dimissioni del commissario tecnico, accettate mal volentieri dalla Federazione che gli riconosce di aver valorizzato al massimo la squadra in questo anno e mezzo alla guida dell’Armenia.

Mkhitaryan? Ha sofferto la sua assenza dalla nazionale, ha tifato i suoi da Roma continuando la riabilitazione sui campi di Trigoria. In queste settimane ha provato a rimanere concentrato sul suo recupero grazie anche all’aiuto della moglie e non solo: in questi giorni la madre e la sorella – che vivono in Svizzera – hanno fatto visita a Henrikh nella Capitale.

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Ani, la metropoli “di confine” tra Turchia e Armenia (Paesionline 17.10.19)

Le spettacolari rovine di Ani, l’antica capitale dell’impero che coincide con la moderna Armenia, si trovano in un luogo fino a qualche anno fa poco accessibile. Poiché la frontiera tra Turchia e Armenia risulta tuttora chiusa, i confini turchi sono delle aree nelle quale è importante prestare attenzione.

Nonostante siano stati compiuti sforzi diplomatici considerati comunque insufficienti, adesso le trattative sembrano essersi definitivamente archiviate. Questo è il motivo per cui le splendide rovine di Ani sono sempre state poco conosciute. Si tratta anche della conseguenza diretta del terribile genocidio armeno perpetrato circa un secolo fa a opera dei turchi che deportarono più di un milione di persone.

Quello che ha rappresentato per mille anni il simbolo della civiltà armena è oggi un sito archeologico divenuto un simbolo della resilienza di un popolo, che in silenzio ha combattuto per rimanere memoria storica. Nel 2016 l’UNESCO inserisce Ani nella lista dei patrimoni dell’Umanità, aspetto che ovviamente ha contribuito a generare interesse turistico.

I numeri di Ani, l’antica metropoli armena

Nel primo semestre del 2019 sono ben 70 mila i turisti che hanno visitato il sito archeologico, dando vita a un trend che sembra non volersi arrestare. Si tratta di numeri molto importanti, soprattutto se si considera che l’esperienza non è alla portata di tutti. Ani sorge proprio al confine tra le due nazioni, aspetto che ne complica l’accessibilità, poiché una parte degli scavi si trova in territorio armeno.

Attorno a quest’antica città fantasma non vi è altro che una sterminata pianura, interrotta solo da rari villaggi e qualche mandria di animali. Tuttavia, per i visitatori che scelgono Ani, l’esperienza vale davvero il viaggio. Il sito si staglia in tutta la sua spettacolarità come un insediamento con più di tremila anni di storia ed è valorizzato proprio dal suo contesto unico.

Ani, la cui epoca più rigogliosa fu durante il periodo armeno tra 961 il 1046, una volta caduta in mano araba divenne prevalentemente una città di scalo nell’importante Via della seta e rimase pressoché inalterata, resistendo e conservandosi per i visitatori moderni.

Le chiese di Ani, uno spettacolo unico

Ani è nota come la città delle 1001 chiese: qui si trovano infatti alcune delle più affascinanti del mondo. In particolare la cattedrale progettata da Trdat rappresenta la più importante opera architettonica armena, conclusasi un anno dopo lo scattare del nuovo millennio con una cupola straordinaria che guarda verso il cielo.

La chiesa di San Gregorio invece risulta particolarmente ben conservata, in quanto le decorazioni sembrano essere fatte di recente, con affreschi che narrano le vite dei Santi importanti per la religione ortodossa. La chiesa del Redentore, vero e proprio simbolo della città fantasma, presenta alcune particolarità, come la forma circolare con otto absidi.

A metà degli anni Cinquanta un fulmine la squarciò in due provocando il crollo di una metà, esponendo la fragilità di un’opera architettonica che da quasi mille anni resiste all’avanzare del tempo.

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Ryanair lancia due nuove rotte dall’Italia all’Armenia (Aviomedia.it 17.10.19)

Ryanair ha annunciato ieri il lancio di due nuove rotte che, a partire da gennaio 2020, collegheranno gli aeroporti di Milano Bergamo e Roma Ciampino a Yerevan, in Armenia. Entrambi i voli saranno operativi con due frequenze settimanali.
Sia il volo Roma Ciampino – Yerevan che il volo Bergamo – Yerevan verranno avviati a partire dal prossimo 14 gennaio 2020 e saranno operativo nelle giornate di martedì e sabato.

Perché sarà l’Iran la vera polveriera (Il Giornale 17.10.19)

Dire curdi è diventato improvvisamente per la stampa occidentale un grido in favore dei diritti umani e della autodeterminazione, ed è giusto che sia così: l’assalto che stanno subendo è micidiale e può diventare genocida, e tanto più spaventoso è che sia perpetrato dai turchi, che si sono già macchiati del genocidio degli armeni, e che essi siano guidati da un leader che si ritiene un onnipotente sultano.

E fa davvero specie che l’Europa scopra solo ora chi è veramente. Ma davvero non si sapeva che Erdogan – da sedici anni al potere – è dominato da un vizioso sogno integralista islamico e imperialista, che più volte ha dato prova di prepotenza inaudita? Il suo odio per i curdi, il suo identificarli tutti col Pkk è uno dei segni della pericolosa indole dell’uomo che non ha esitato, e di nuovo non esiterà, a minacciare l’Europa ad aprire verso di lei i suoi confini e invaderla di profughi a milioni.

I curdi sono una popolazione divisa, disillusa e a volte persino in lotta interna, ma sono anche una popolazione perseguitata, coraggiosa, speciale rispetto alla capacità di ambire all’eguaglianza fra i sessi e di praticarla per quel che possono; sono a favore della democrazia, di un rapporto positivo con l’Occidente e con Israele, che in questi giorni in contrasto con Trump manifesta nelle piazze in loro favore. Anche Netanyahu ha detto parole di sostegno.

Quello che sta accadendo sui media assegna a Erdogan un’onnipotenza che non ha, e una lungimiranza che gli manca. Erdogan ha imboccato una strada piena di imprevisti. I media in larghissimo coro sostengono che il ritiro di Trump segna un radicale cambiamento strategico della struttura del potere e dell’influenza americana nella zona, che chi ne guadagna sono innanzitutto la Russia, Assad e l’Iran. Ma bisogna ricordare che il potere alawita si è sempre appoggiato alla Russia per dominare il Paese, questo duo non è niente di nuovo. E che i turchi con Assad abbiano un rapporto di continuo scontro-riavvicinamento è altrettanto noto: per ora invece il fatto che Assad abbia stretto un rapporto coi curdi significa che i russi tendono allo status quo, senza smarginamenti turchi. Quanto all’Iran, si fa vivo per segnalare che non gli piace l’eccesso di presenza sunnita nel nordest della Siria, e questo contrasta con la foto diffusa del summit Erdogan, Rouhani, Putin a metà settembre ad Ankara. Il trio non funziona più in questo momento, e la Russia farà l’equilibrista fra il maggiore potere sunnita e quello sciita che parevano momentaneamente acquietati.

Inoltre gli Usa da sempre, e non con Trump, (vedi Obama con la Libia, con l’Irak, l’Afghanistan, col famoso tradimento della «linea rossa» di Assad) se ne sono andati dal Medio Oriente un sacco di volte. Ma poi ci tornati: Carter con gli ostaggi nell’ambasciata iraniana, Reagan con l’esplosione delle baracche e la strage di militari per mano degli Hezbollah a Beirut, Bush dopo l’11 settembre. Adesso i bravi corrispondenti dal campo scrivono che una massa di milizie arabe armate dai turchi si occupa delle atrocità sulla popolazione curda al grido di Allah u akhbar, contro i kafir, gli infedeli. Questo scatenamento di integralismo islamico può avere grandi ripercussioni che certamente non lascerebbero nessuno indifferente, nemmeno Trump. E anche se Israele non può permettersi di muovere truppe armate, il fatto che stia dalla parte dei curdi significherà certo qualcosa. Non è il fatto che gli Usa non vogliano più stare su quel confine che ha cambiato le cose, è l’urlo di guerra dell’integralismo islamico che agita il Medio Oriente. Forse Erdogan con orgoglio sunnita e regale manca di una visione completa di quello che ha scatenato. L’Iran certo non ama questa invasione sunnita. E neppure gli alawiti. La Russia è in mezzo. L’America è lontana, ma vigile. E l’Europa, solito assente.

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Dagli psicologi una Pietra d’Inciampo per il Giardino dei Giusti a San Matteo degli Armeni (tuttooggi 16.10.19)

na pietra d’inciampo nel Giardino dei Giusti a San Matteo degli Armeni, che conserva i principi della pace e della non-violenza. L’ha donata alla città l’Ordine regionale degli Psicologi a conclusione di Psicologia Umbria Festival, dedicato quest’anno al tema dei diritti universali, strettamente legato ai valori del Giardino dei Giusti.

Proprio a San Matteo degli Armeni si sono tenuti alcuni dei 50 eventi gratuiti previsti nel cartellone della quinta edizione del festival, fra cui quello di sabato promosso da Luciana Di Nunzio e Carola Sorrentino.

“Le pietre di inciampo nascono per ricordare le vittime della violenza nazista e sono diffuse in tutti i paesi europei. La nostra non ricorda una vittima specifica, ma un diritto di tutti”. Nella “pietra” c’è scritto “Nessuno dimentichi il diritto di tutti i viventi alla pace e alla giustizia”. Il presidente dell’Ordine regionale David Lazzari ha parlato di “un piccolo gesto dal grande valore simbolico, che esprime i valori della comunità professionale. Grazie alle colleghe Di Nunzio e Sorrentino per il loro contributo. Grazie all’assessore alla Cultura del Comune di Perugia per l’accoglienza”.

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