In Armenia: Jerevan. Arte, storia, religioni (Lanotizia.net 08.06.19)

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In Armenia: Jerevan. Arte, storia, religioni

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di Nicola Felice Pomponio

Sul taxi che verso le 4 del mattino, a Jerevan, mi conduceva dall’aeroporto all’hotel dove il mio amico Roberto aveva prenotato una stanza per me, il taxista mi disse cose che, nel corso del viaggio, sentii ripetere più volte e che, evidentemente, rappresentano una sorta di “fondamentali” nell’autocoscienza armena. Innanzi tutto la religione. Da subito venni informato che l’Armenia fu il primo paese al mondo a proclamare, nel 301, il Cristianesimo religione di stato e questo ben 79 anni prima dell’impero romano, che lo fece nel 380 con l’Editto di Tessalonica. Quindi la soddisfazione per il riconoscimento italiano della qualifica di “genocidio” nei confronti delle persecuzioni di cui furono vittime gli armeni da parte dei turchi e poi i numeri della diaspora: nel mondo ci sarebbero circa 11 milioni di armeni, di cui solo 3 in Armenia (e poco più di un milione concentrato a Jerevan!). Inoltre un senso di claustrofobia: l’Armenia non ha sbocchi al mare, gran parte delle sue frontiere corre con paesi con i quali i rapporti o sono difficili (Turchia) o sono addirittura bellici (l’Azerbaijan per l’enclave armena del Nagorno-Karabakh teatro di una guerra dal 1992 al 1994 a oggi tutt’altro che risolta) mentre ottimi sono i rapporti con la cristiana Georgia e lo sciita Iran (altrettanto confinanti). Infine, certo non per importanza, le grandi speranze per il nuovo corso politico maturatosi lo scorso anno dopo la sostituzione del presidente e l’ascesa al potere di un coalizione di partiti che ha fatto della lotta alla corruzione il proprio cavallo di battaglia (in questo il mio interlocutore vedeva dei netti miglioramenti, ma a suo avviso ancora incompleti).

Mi ero ritrovato a Jerevan per uno di quei casi della vita che fanno ben sperare. L’anno scorso avevo rivisto un mio caro amico con cui non avevo più contatti da tantissimi anni, da quando, finita l’Università, si era trasferito in Germania a lavorare come insegnante. Il rivedersi fu un coinvolgente momento di ritrovati interessi e comuni punti di vista; poiché Roberto è il responsabile degli scambi culturali tra la sua scuola e un’altra scuola di Jerevan mi parlò dell’Armenia. Così decisi, immediatamente, che alla prima occasione sarei andato anch’io e quindi, eccomi su un taxi in piena notte a parlare in inglese su questa affascinante nazione. Così con questa entusiastica, dettagliata presentazione fatta dal simpatico, giovane taxista mi sono ritrovato catapultato poco dopo, nonostante il viaggio e il fuso orario, per la prima volta nella mia vita in una nazione di cui conoscevo la fama per i monasteri (di cui parlerò più avanti) e per una storia gloriosa le cui nozioni si fermavano però a sporadiche conoscenze sempre in relazione a qualcun altro (i romani, i persiani, i bizantini, i veneziani, gli ottomani ecc.) e, purtroppo, mai per il suo valore in sé. Valore che ebbi modo di ammirare subito perché Jerevan è una città dalle numerose, interessanti sfaccettature. La prima cosa che mi colpì furono i giardini e il numero di alberi. Praticamente tutte le vie del centro sono alberate, risultano essere ampi viali in cui l’ombra e il fresco dei vegetali rende la città particolarmente accogliente e sedersi a bere un caffè in queste vie è un rito che consiglio vivamente a tutti, così come la sera cenare sui balconi che si affacciano sui viali sentendosi così non in Asia ma in una qualsiasi città europea; il bello è che la municipalità ha anche intenzione di incrementare questo verde! Ma Jerevan è piena di piccoli gioiellini che emergono in un tessuto urbano profondamente moderno come la piccola e preziosa cappella Katoghike. Questa chiesetta, scoperta solo nel 1936, si è miracolosamente salvata dal furore iconoclasta sovietico che demolì molte chiese e quasi tutte le moschee. E’ costruita con blocchi di pietre nere e rosso scuro con un accostamento cromatico che si ritrova in quasi tutti gli edifici sacri armeni, a pianta a croce greca (cioè con la lunghezza delle braccia uguale in tutt’e quattro le direzioni, come S. Marco a Venezia) è a cupola centrale, altro elemento comune a tutte le chiese armene. Colpisce una piccola nicchia ricavata sulla sinistra che è stata abbellita da un grazioso, elegante, aereo arco inflesso; tenuto conto che la chiesetta risale al XIII secolo mi sembra evidente l’influenza dell’arte araba e persiana dell’epoca. L’Armenia si presentava in tal modo ai miei occhi quasi come un ponte tra le terre musulmane e quelle cristiane riuscendo ad armonizzare le differenti influenze, si vedrà spesso questa fruttuosa contaminazione ma nella cappella di Katoghike quel piccolo arco appare come un gioiellino ornamentale dentro un altro piccolo gioiello architettonico.

E a proposito di gioielli come non citare la biblioteca e il centro di ricerca Matenadaran che, collocato scenograficamente su una collina che domina uno dei viali più importanti della città, conserva decine di migliaia di manoscritti antichi, medievali e moderni provenienti da tutto il mondo. Una disponibile e preparata guida ha illustrato (in tedesco, come in tutte le altre visite essendo il tedesco la lingua ufficiale del viaggio) le rarità e i preziosi scritti esposti; così davanti alle mie cùpide pupille sono sfilati dei veri e propri capolavori come un testo di geometria di Avicenna in arabo del XVII sec. (con relativi disegni) un Evangelo in palinsesto del X sec., un papiro egizio del VIII sec. e poi cartine, libri, disegni, codici, manoscritti, miniature, abbellimenti medievali dei testi ecc. Insomma un tripudio di un preziosissimo retaggio culturale quasi bimillenario. Ho così scoperto un particolare interessante: il primo libro scritto in armeno fu stampato e pubblicato nel 1512 a Venezia confermando così il ruolo particolare che la città lagunare ebbe nei rapporti con queste terre e tutt’oggi a San Lazzaro degli Armeni si conserva una collezione di manoscritti armeni seconda, in tutto il mondo, solo a quella del Matenadaran.

Jerevan è una città moderna con ampi spazi, boulevard, prospettive talvolta gigantesche e una periferia che non ha ancora del tutto superato la fase del cosiddetto socialismo reale, ma è anche un luogo che è stato perennemente abitato per un periodo di ben 2800 anni. Non molto lontano dal centro, su una collina che domina la città sono stati scoperti i resti di un città fortificata risalente all’VIII sec. a.C. Erebuni fu fondata, stando alla tavoletta in cuneiforme ivi scoperta, nell’anno 782 a.C. Il sito era organizzato intorno a tre aree di attività, quelle del potere politico, sacerdotale e commerciale e gli archeologi vi hanno ritrovato le tracce di un sapiente sistema di controllo delle acque per l’irrigazione dei campi e prove della lavorazione per ottenere vino, olio e birra. Una civiltà già avanzatissima che dominava un’amplia area che, avendo come fulcro la zona intorno al lago di Van (in Turchia) si estendeva fino quasi al mar Nero, al lago Sevan, al nord della Mesopotamia e all’Anatolia. Un impero che, sebbene indebolito dagli assiri, continuò a dominare la zona fino all’arrivo dei Persiani, nel VI sec. e oltre ancora: è la civiltà urartea. E’ interessante una piccola riflessione. Come si sa le lingue antiche sono innanzi tutto consonantiche, ovvero non contengono vocali; se teniamo presente questo principio si nota un’affascinante convergenza tra i nomi: eReBuNi (RBN) può essere la forma originale di jeReVaN (RVN), ma uRaRTu (RRT) era senz’altro solo un altro modo per dire aRaRaT (RRT). Suggestioni affascinanti sul bordo di quel pozzo senza fondo che chiamiamo storia. D’altra parte l’Ararat, questo vulcano spento alto più di 5000 m. domina col suo profilo perennemente innevato e insieme al Piccolo Ararat, altro vulcano che gli sta di fianco, la città di Jerevan; ora in territorio turco, l’Ararat è il monte citato nella Bibbia (Gen. 8,4) in cui approda l’Arca di Noè dopo la fine del diluvio universale. Viaggiando per l’Armenia il profilo di questa altissima montagna segue il viaggiatore quasi dappertutto e si caratterizza come una presenza continua e caratterizzante del paesaggio. Se a Jerevan, nel tardo pomeriggio, si sale sulla Cascata, un grande scalinata, intervallata da aiuole, che risale un’erta collina si può ammirare in tutto il suo splendore, alla luce del crepuscolo il grandioso panorama che spazia dalla città fino all’imponente, massiccia presenza montuosa del vulcano. E’ a quest’ora che si percepisce bene il motivo per il quale Jerevan è detta anche la citta rosata; i raggi del sole esaltano infatti il delicato color rosa dei muri delle case costruite in tufo, una pietra di origine vulcanica che, con questo colore, è presente anche in Lazio nella provincia di Viterbo. E la sera, nella grande Piazza della Repubblica, tra bambini con gli sguardi affascinati (ho visto tantissimi bimbi e giovani e nessun cane), genitori che passeggiano tranquillamente e coppiette che teneramente si stringono in vita è bello osservare i giochi d’acqua delle tante fontane che funzionano al ritmo delle musiche (classiche, moderne, di film) e vengono investite da fasci di luce colorata.

Quante cose ancora varrebbe la pena segnalare. Restando vicino alla Cascata come non considerare le belle statue di Botero o il monumento all’amicizia italo-armena, il teatro dell’Opera, il piccolo ma attrezzatissimo e interessante museo Kachaturian, il Museo di Storia ecc. Ma non è mio obiettivo quello di redigere un noioso elenco o, peggio ancora, una guida della città. C’è però un posto che vale la pena vedere; non tanto in sé, quanto per il significato che racchiude per tutti gli uomini di oggi. Nel 1915 nella notte tra il 23 e il 24 aprile il governo nazionalista di Istanbul facente capo ai “Giovani Turchi” iniziò a far arrestare e deportare migliaia di armeni: è il prologo di quella immane tragedia che portò alla morte per stenti, maltrattamenti, fame nel corso delle deportazioni tra 1500000 e 2000000 di individui; il primo genocidio del ‘900 che servì da esempio per la Shoah ebraica meno di tre decenni più tardi e di cui ancor oggi è vietato in Turchia parlarne pubblicamente. Il Museo e monumento del genocidio armeno sono luoghi che vale la pena visitare per mantenere il ricordo di quanto l’uomo possa essere terribilmente diabolico. Un fuoco perenne arde tra dodici (simbolo della completezza) ampi archi che partono da terra e s’innalzano incurvandosi su di esso; la memoria armena è purtroppo segnata anche da questa terribile esperienza.

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Armenia e Georgia, le chiese sui nidi d’aquila (La Stampa Viaggi 08.06.19)

L’Armenia e la Georgia sono isole cristiane sopravvissute per secoli, non si sa come, in mezzo a un oceano di Islam. Le loro chiese e i loro monasteri stanno abbarbicati in posizioni elevate e scenografiche sulle montagne, quasi volessero sfuggire ai pericoli che le circondano. La capitale armena Erevan ospita il memoriale (Tsitsernakaberd) di un genocidio riconosciuto ufficialmente come tale dal Papa e dell’Unione europea – ma non ancora dalla Turchia. La Georgia invece pone al viaggiatore il problema di percorsi stradali tortuosi per aggirare qualcuna delle repubbliche separatiste locali sostenute dalla Russia. Insomma una visita in questa parte di mondo, magari proprio un itinerario fra chiese e monasteri, fa scoprire due terre bellissime quanto tormentate. Ma niente paura, qui da molti anni non ci sono più guerre in corso, e il viaggio si fa in tutta sicurezza. Magari vedrete volare la colomba della pace, o quella di Noè e dell’Arca, che dopo il diluvio si posò proprio da queste parti, sul Monte Ararat, il più alto dell’Armenia.

Un’immagine notturna della cattedrale georgiana di Svetitskhoveli

Il Monte Ararat veglia con presenza quasi metafisica sull’Armenia e sulle sue chiese

Casomai il pericolo (si fa per dire) viene dalla gastronomia: il cibo locale è squisito ma d’altri tempi, di molto prima che il mondo cominciasse a preoccuparsi del colesterolo. Si mangia una quantità di formaggi eccezionali, che fanno da contorno a molti piatti, dall’antipasto al dessert (oltre che alle portate principali) e di certo non alleggeriscono la dieta. In Georgia, in particolare, è un’ottima idea annaffiare pranzo e cena con il caratteristico vino d’anfora di queste parti, invecchiato sottoterra; qui dicono che sia il primo vino creato al mondo, e gli storici confermano.

Due immagini del Monastero delle Sette Chiese di Geghard scolpito nella roccia

Se siete in Armenia e programmate un mordi-e-fuggi, la capitale Erevan e i dintorni offrono già un saggio adeguato; nelle vicinanze c’è il complesso di Echmiadzin, sede del Patriarcato e sintesi dell’architettura religiosa locale. Il sito archeologico di Zvartnost permette di gettare uno sguardo ancora più indietro nel passato di questo Paese che si presenta come il primo a essersi convertito al cristianesimo. Vi perdete il meglio, però, se non proseguite fino a Geghard dove c’è il Monastero delle Sette Chiese scolpito nella roccia, una montagna trasformata in luogo di culto a colpi di scalpello. Non lontano, a Garni, si trova anche un tempio ellenistico dedicato a Elio, doppiamente suggestivo in questa landa remota.

Amberd, o la Fortezza della Nubi, in una regione fuori mano dell’Armenia

Fin qui abbiamo girato attorno a Erevan. Allontanandoci (ma neanche tanto, l’Armenia è piccolina) il posto più bello che abbiamo viso è il Monastero di Noravank, un nido d’aquila; poi c’è Amberd nell’estremo Nord, che in lingua locale vuol dire la Fortezza delle Nubi: una scenografia degna del film Conan il Barbaro.

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Tre suggestive immagini (una delle quali violentemente controsole) del Monastero armeno di Noravank

Pure la Georgia è una terra antichissima, la terra del Vello d’oro e di Giasone. Sulle rive del Mar Nero, nella Colchide degli Argonauti, la città di Batumi sfoggia un’antica fortezza romana (ebbene sì, i Romani arrivarono fin qui). Coma l’Armenia, anche la Georgia vanta chiese antichissime, come in Italia si fa fatica a trovarne, perché da noi sono state quasi tutte rimaneggiate (nel Barocco diventavano un po’ barocche e così via) mentre qui sono rimaste intatte com’erano nel V o nel VI secolo.

Il monastero georgiano di Jvari nella tarda primavera, con gli alberi in fiore

Sembra una foto scattata in qualche località italiana e invece questa è la fortezza romana di Batumi, nella Colchide di Giasone e del Vello d’Oro

Nell’estremo Nord, alla frontiera con la Russia, la chiesa di Gergeti è in assoluto il più bel monumento che si trovi in Georgia: svetta a quasi 2200 metri in un posto metafisico con le cime della Catena del Caucaso a far corona. Per arrivarci si percorre una landa verdissima piena di animali al pascolo e quasi senza esseri umani in vista. L’avvicinamento è pellegrinaggio. Lungo il tragitto altre due perle: il monastero di Jvari e la cattedrale di Svetitskhoveli che ingloba, come succede ad Assisi con la Porziuncola, una chiesetta molto più antica.

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Il re georgiano Vakhtang Gorgasali fa buona guardia alla chiesa di Metekhi Case a strapiombo sul fiume Kura, in duplice versione serale e tardo pomeridiana

Nella capitale Tbilisi, a strapiombo su un’ansa del fiume Mtkvari, la statua equestre del re Vakhtang Gorgasali fa la guardia alla chiesa di Metekhi che risale al V secolo. Ancora più in alto, in cima a una collina rocciosa, i bastioni dell’antica fortezza di Narikala vanno conquistati a fatica, arrampicandocisi con l’aiuto delle mani; ma il panorama da lassù è un gran bel premio.

Il posto più strano della Georgia si trova nella città di Gori: lì ci sono la casa natale del compagno Stalin, il mausoleo ufficiale, il vagone ferroviario corazzato e tanta altra roba. Atmosfera strana, come se il suo fantasma potesse saltar fuori da un momento all’altro.

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Sollevamento pesi, Mondiali juniores 2019: ori per Armenia e Corea del Sud nell’ultima giornata (Oasport.it 08.0619)

Ultima giornata di gare a Suva, nelle Isole Fiji, dove è terminata l’edizione 2019 dei Mondiali juniores di sollevamento pesi, attraverso le due competizioni dei pesi massimi, con la sfida maschile dei +109 kg che è stata aperta dall’oro dell’iraniano Ali Davoudi, capace di alzare correttamente 193 kg nello strappo, imponendosi sull’armeno Varazdat Lalayan di appena una lunghezza e sull’ucraino Oleh Hanzenko. Lalayan si è poi rifatto nello slancio, con la misura di 227 kg, due in più di Alireza Yousefi, giovanissimo classe 2003, e iraniano come Davoudi, terzo. La classifica combinata ha premiato dunque l’armeno, con ben 419 kg, davanti ai due iraniani, con Davoudi secondo con 418 kg e Yousefi terzo con 396 kg.

Duello molto avvincente invece nei +87 kg femminili, dove la samoana Feagaiga Stowers e la coreanaSeon Mi Lee si sono divise gli ori rispettivamente di strappo e slancio, con le misure di 124 kg e 153 kg, mente i i bronzi sono andati alla statunitense Ashamarie Benitez e all’armena Arpine Dalalyan. A vincere l’oro della classifica totale è stata dunque l’atleta asiatica, con 276 kg, uno in più di Stowers, con Benitez sul terzo gradino del podio, con la misura di 245 kg.

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Un’orchestra folk armena suona i Black Sabbath. E Tony Iommi approva (Rollingstone.it 06.06.19)

Le canzoni dei Black Sabbath hanno goduto di mille cover negli anni – dai cantanti soul, le band jazz e persino una formazione a tema fast food – ma quella di oggi per Tony Iommi e Ian Gillan (frontman dei Deep Purple e per un momento anche dei Sabbath) è stata una vera sorpresa.

L’ensemble armeno della Naregatsi Orchestra ha deliziato i due musicisti una versione di She’s Gone(brano tratto da Technical Ecstasy) in un concerto davvero speciale. Il complesso, addobbato con abiti tradizionali, ha suonato la canzone con gli strumenti tipici del folklore armeno, come il simil salterio Quanun, il oud che sembra un liuto e il tar, del tutto analogo al sitar indiano.

I musicisti, che hanno lavorato insieme per la prima volta sull’album Born Again dei Sabbath, erano nella capitale armena l’altro giorno per essere insigniti di una medaglia per i loro sforzi per raccogliere fondi per il gigantesco terremoto del 1988. Un sisma di magnitudo 6.8 infatti aveva decimato la città di Spitak e ucciso circa 38mila persone. Iommi e Gillan erano tra i musicisti che hanno contribuito al singolo all star che consiste in una cover di Smoke On The Water dei Deep Purple, uscita l’anno successivo per raccogliere fondi per la ricostruzione della nazione.

Altri musicisti su quel disco includevano David Gilmour, Richie Blackmore dei Deep Purple e Brian May dei Queen. Decenni dopo, Iommi e Gillan hanno registrato un altro pezzo, Out Of My Mind con un altro supergruppo di star del rock, fra cui membri dei Metallica e degli Iron Maiden. Tutto per racimolare denaro per costruire una scuola musicale in Armenia.

«Ero in Armenia un anno dopo il terremoto ed era come se fosse successo il giorno prima» ha detto Gillan nel 2011. «Sono uscito per strada a Spitak, l’epicento del terremoto, e parlavo al sindaco e alle persone che andavano in giro come se fossero zombie. E fra tutte le cose, quella che mi ha impressionato di più era l’assenza di musica. Anche dopo un anno, non c’era musica in chiesa, o alla radio. I bambini non cantavano, nemmeno gli uccellini. Era tutto morto.»

Insieme all’organizzatore di eventi benefici Jon Dee, che ha messo in piedi la versione di Smoke On The Water rinominata Rock Aid Armenia, Iommi e Gillan sono andati a Yerevan quest’anno per partecipare all’evento in loro onore presieduto dal primo ministro locale, Nikol Pashinyan. “Grande giorno qui” ha commentato su Facebook Iommi, a proposito della bella cover di She’s Gone. “Io e Ian siamo appena stati in compagnia della Naregatsi Orchestra.”


UN’ORCHESTRA ARMENA HA RIFATTO I BLACK SABBATH

Tony Iommi e Ian Gillan a Yerevan per ricevere un riconoscimento sono stati accolti in modo davvero speciale

Le cover più bizzarre dei Black Sabbath ascoltate fino ad ora erano, probabilmente, quelle dei Mac Sabbath, tributo alla storica band in chiave fast food. Arriva ora una sfidante importante direttamente dall’Armenia con la Naregatsi Orchestra di Yerevan che ha suonato una versione speciale – con tanto di strumenti e abiti tradizionali – di ‘She’s Gone’, brano estratto da “Technical Fantasy” del 1976.

L’occasione è stata però di quelle belle, ovvero una cerimonia al cospetto del chitarrista Tony Iommi e di Ian Gillan, storica voce dei Deep Purple e in forza ai Black Sabbath per l’album del 1983 “Born Again”, premiati per il loro continuo supporto alla regione armena.

In seguito al terremoto che nel 1988 distrusse la città armena di Spitak causando circa 38000 morti, nel 1989 una superband composta anche da David Gilmour dei Pink FloydRitchie Blackmore dei Deep Purple e Brian May dei Queen, registrò una nuova versione di ‘Smoke On The Water’ per aiutare nella ricostruzioni. Gillan e Iommi si ritrovarono anche nel 2011 per raccogliere fondi e costruire una scuola di musica in Armenia registrando ‘Out Of My Mind’ con anche Jon LordNicko McBrain degli Iron MaidenLinde Lindström degli H.I.M e Jason Newsted dei Metallica.

Quo vadis, Turchia? (Settimananews 05.06.19)

Dopo un’ampia panoramica sull’attuale situazione politica in Turchia, in particolare sul modo di gestire il potere da parte del presidente Erdoğan, viene ora esaminata la situazione religiosa, la presenza delle comunità cattoliche e il loro rapporto con le istituzioni e con le altre confessioni religiose.

In Turchia sono tre le minoranze religiose riconoscıute: quelle composte dagli armeni, dai greci e dagli ebrei. Quindi, anche gli armeni cattolici sono ufficialmente riconosciuti. Non vi sono praticamente più greci cattolici.

La Chiesa cattolica latina non è ufficialmente riconosciuta, ma gode di buoni rapporti, anche per la presenza della nunziatura apostolica. Si può dire che non è riconosciuta de jure, ma de facto. È difficile dare una cifra precisa dei cristiani. Su una popolazione di 82 milioni, i crstiani sono circa 100 mila, di cui 20 mila i cattolici.

Turchia religiosa

Vi sono in Turchia tre diocesi cattoliche latine: arcidiocesi di Smirne, vicariato apostolico di Istanbul e vicariato apostolico di Anatolia con sede a Iskenderun. Vi sono poi le arcidiocesi armena e caldea con i rispettivi arcivescovi e il vicariato patriarcale siriano cattolico con un corepiscopo. La Conferenza episcopale di Turchia (CET) è inter- rituale ed è quindi composta da sei membri.

Nel vicariato apostolico di Istanbul sono presenti una quarantina di sacerdoti; 15 sacerdoti e 1 diacono sono a Smirne e una decina di sacerdoti nel vicariato di Anatolia. La grande maggioranza dei sacerdoti appartiene a ordini o a congregazioni religiose. Solo 6 sono diocesani, fidei donum.

La Chiesa cattolica latina è strutturata in parrocchie. Anche se spesso sono pochi i parrocchiani, però il riferimento alla chiesa parrocchiale è necessario per poter ottenere il permesso di residenza dei sacerdoti e dei religiosi.

Tutti i grandi ordini e congregazioni sono presenti: francescani (tre famiglie), domenicani, gesuiti, salesiani, assunzionisti, lazzaristi, fratelli delle scuole cristiane. Sopratutto a Istanbul vi è ancora una buona presenza di congregazioni femminili, anche se le religiose negli ultimi decenni sono sensibilmente diminuite.

Vi sono 10 istituzioni scolastiche (8 a Istanbul e 2 a Smirne), appartenenti ai fratelli delle scuole cristiane, ai lazzaristi austriaci e francesi, ai salesiani, alle figlie della carità, alle suore di Notre Dame de Sion e alle suore dell’Immacolata di Ivrea. La direzione di questi istituti scolastici è ormai in gran parte affidata a laici.

A Istanbul vi sono anche due ospedali e una casa per anziani affidati alle religiose e un’altra casa per anziani fondata e gestita da laici cattolici.

Si può dire che la presenza dei cattolici, anche se ridotta in quantità, sia ancora oggi in Turchia significativa, bene accolta e apprezzata.

La quasi totalità della popolazione di Turchia è ufficialmente di religione islamica. In grande maggioranza sono sunniti, ma vi sono anche aleviti e sciiti. I turchi di etnia curda sono circa 20 milioni, in maggioranza sunniti, ma anche aleviti e sciiti.

I rapporti delle autorità civili con le minoranze cristiane ed ebree sono abbastanza buoni. Qualche problema si è creato con le comunità protestanti con l’accusa di interferenza negli affari politici e di eccessivo lavoro di proselitismo. Buoni, in genere, i rapporti tra cristiani e musulmani, mentre sono meno buoni i rapporti all’interno del mondo islamico.

situazione politica in TurchiaLa Turchia è un paese molto composito, per cui, mentre in alcune regioni (Mar Nero, sud-est) e in alcune città, come Konya e Kayseri, la religione (islam) ha influenza sulla vita sociale e politica. N

Nelle altre regioni e nelle grandi città questa influenza si percepisce di meno.

In almeno metà della popolazione turca la figura di Atatürk è ancora molto amata, nonostante il tentativo delle autorità negli ultimi anni di sfumarne la presenza e il pensiero.

Turchia politica

Vi sono partiti politici e sindacati, anche se la loro azione è limitata e controllata dallo Stato. I sindacati sono senza forza. Molte manifestazioni e scioperi vengono annullati. Così anche i media (giornali, canali televisivi e libri) devono essere sempre attenti nelle critiche e nei giudizi, soprattutto nei riguardi del presidente della Repubblica, per non essere censurati o addirittura processati. Molti intellettuali hanno lasciato la Turchia. Si annullano facilmente comizi e concerti. Recentemente il presidente ha ammonito gli artisti e gli sportivi di fare il loro mestiere e non di intromettersi nella politica.

Ma sembra che le censure e le interdizioni stiano ottenendo l’effetto opposto. Lo si è visto nelle ultime elezioni amministrative.

Turchia sociale

La popolazione vive oggi in uno stato di insicurezza e di inquietudine. C’è grande crisi economica. I prezzi continuano ad aumentare. L’inflazione è galoppante. Tutti cercano di risparmiare per paura del futuro. Molte fabbriche hanno chiuso. Il grande problema è la mancanza di lavoro. I giovani sono spesso disperati. Molti grandi industriali sono favorevoli a Erdoğan, perché in questa situazione possono approfittarne per aumentare le ore di lavoro e sottopagare gli operai.

La Turchia ospita circa 4 milioni di rifugiati, soprattutto siriani. La popolazione si è dimostrata generosa nell’accoglienza. Vi è l’aiuto economico dell’Europa che ha chiuso le frontiere, ma senz’altro questa presenza crea molto disagio sociale.

Turchia e Unione Europea

Turchia-EUAnche se il desiderio di molti turchi è di entrare nell’Unione Europea, vi è però grande frustrazione nel constatare le difficoltà. Erdoğan dice che la più grande difficoltà è la paura da parte del’Europa di accogliere un paese islamico.

Ma vi sono anche le difficoltà derivanti dall’insufficiente democrazia, dalla limitata libertà religiosa e di espressione, dal carente sistema giudiziario. Vi sono poi i problemi irrisolti riguardanti i curdi e l’occupazione di parte dell’isola di Cipro con la proclamazione della Repubblica turco-cipriota.

Molti temono, nei tempi brevi, le conseguenze della grave crisi economica. Ma c’è anche chi è ottimista per i tempi lunghi: la Turchia riuscirà a superare la crisi. Come? Con Erdoğan  o senza Erdoğan?

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La Macchina di Santa Rosa pubblicizzata nel mondo grazie alla Rete delle grandi macchine a spalla (Tusciaweb 05.06.19)

Roma – Presentato ieri, martedì 4 giugno, nella sala stampa della camera dei deputati, “Unwritten structures” che è un progetto espositivo itinerante sul patrimonio culturale immateriale italiano che sarà dall’‪11 giugno‬ in Cile e in Armenia e che farà tappa in varie città, destinato alla diffusione della conoscenza del patrimonio culturale immateriale italiano nell’Europa dell’Est e in Sud America.

Viterbo sarà presente con il tradizionale trasporto della Macchina di Santa Rosa.

Le esposizioni, infatti, saranno focalizzate sulle feste della tradizione italiana caratterizzate dal trasporto di grandi macchine cerimoniali, portate devozionalmente a spalla, con un’attenzione particolare alle celebrazioni delle città di Nola, Palmi, Viterbo e Sassari dichiarate dall’Unesco nel 2013 Patrimonio immateriale dell’umanità, alle quali si aggiunge la Corsa dei Ceri di Gubbio, in attesa dell’estensione del riconoscimento richiesta dalle comunità della Rete. Il trasporto della Madonna del Soccorso di Sciacca, protagonista di uno dei quattro coinvolgenti short film, chiude il tema delle feste della tradizione mediterranea.

Il progetto è stato elaborato dall’Istituto centrale per la demoetnoantropologia, in collaborazione con il Muciv – museo delle Arti e Tradizioni popolari, le società Glocal project consulting e openlabcompany, in sinergia con il coordinamento tecnico-scientifico della Rete delle grandi macchine a spalla italiane patrimonio Unesco e con il contributo di curatori, artisti e registi, propone una reinterpretazione in chiave artistica di pratiche e conoscenze della tradizione italiana, promuovendo una forma avvincente e innovativa di salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, attraverso la sperimentazione di codici multi-espressivi propri dell’arte contemporanea e dell’antropologia dialogica.

Presenti alla conferenza stampa il parlamentare Paolo Russo, Nicola Sanna sindaco di Sassari, Patrizia Nardi coordinatrice del progetto tecnico scientifico Unesco della Rete delle Grandi Macchine a spalla, Mecarini vicepresidente della Rete delle grandi Macchine a spalla, Raffaele Ascenzi ideatore della Macchina di Santa Rosa, Leandro Ventura direttore dell’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia del Mibac, Francesco De Melis regista, Stefania Baldinotti funzionario e antropologo del Mibac, Matteo Morelli responsabile del settore Cultura del Comune di Gubbio, Francesco Mariucci del settore Cultura del Comune di Gubbio, Claudio Bocci di Federculture.

Il percorso espositivo si svolgerà all’interno di un vero e proprio accerchiamento audiovisivo realizzato attraverso 4 “micro cinema” (unità di esposizione multimediale ad alta tecnologia progettate appositamente per le mostre dagli exhibition designer di Openlabcompany) all’interno dei quali sarà possibile “tuffarsi” nei documentari immersivi di Francesco De Melis, regista, musicista e antropologo forte di 40 anni di ricerche sul campo, in Italia e all’estero, sul tema della festa, della ritualità, della sonorità, della gestualità.

Come Sodalizio Facchini di Santa Rosa – afferma il presidente Massimo Mecarini – siamo orgogliosi di far parte di questo nuovo progetto internazionale destinato a far conoscere nel mondo, tra gli altri, anche il patrimonio culturale viterbese rappresentato dal trasporto della Macchina di Santa Rosa, tradizione più importante della città di Viterbo, che si è tramandata, soprattutto per merito dei Facchini, da generazione in generazione. Inoltre sono certo che questa nuova esperienza, grazie anche alla globalizzazione, arricchirà tutta la comunità viterbese di nuove conoscenze riguardanti le consuetudini sociali delle altre realtà nell’ambito delle pratiche di svolgimento degli altri riti e delle altre feste. Occasioni di contaminazioni del patrimonio culturale utili sempre per crescere e migliorare. La conferma che, come Sodalizio,  stiamo procedendo sulla strada giusta”.

Per la mostra ho realizzato un modello di Gloria stampato in 3d – racconta l’architetto Raffaele Ascenzi – e fornito una selezione di tavole tecniche e disegni delle due macchine che ho ideato, e spero che possano rappresentare degnamente l’evoluzione tecnologica e compositiva che la Macchina di Santa Rosa ha avuto nei secoli. Credo che la divulgazione della nostra tradizione a questo livello sia frutto di un progetto che ha visto la partecipazione e la forza di una intera comunità, e deve essere motivo di vanto per tutti i viterbesi“.

“Un’occasione straordinaria di divulgazione delle feste della Rete delle Macchine – afferma Patrizia Nardi coordinatrice della Rete – in Paesi nei quali grande attenzione è stata data, negli ultimi trent’anni, al patrimonio culturale immateriale che in molti casi ha dato linfa vitale a comunità e territori. Ringrazio molto l’Istituto centrale per la demoetnoantropologia e i curatori della mostra, così come le comunità della Rete che hanno messo a disposizione i modelli delle Macchine. Anche in questo caso, un bel lavoro di squadra che conferma che i Piani di salvaguardia non possono farsi se non con l’apporto di tutti i soggetti coinvolti, ministero, esperti, istituzioni territoriali, comunità come del resto dallo spirito della Convenzione del 2003. Questo succede quando si è patrimonio Unesco. Particolarmente soddisfatta anche per la presenza, nell’offerta culturale, dei Ceri di Gubbio, che si sono riuniti alla famiglia della Rete e per i quali si lavora ad un’estensione della candidatura”.

L’itinerario sudamericano, si inaugurerà il prossimo ‪11 giugno‬ a Santiago del Chile al Centro cultural Las Condes, proseguirà poi in Argentina, Buenos Aires negli spazi espositivi del Centro de arte contemporáneo Uade art ‪dal 9 agosto al 6 ottobre‬. A seguire, Merida inaugurerà l’itinerario messicano nel Museo Fernando García Ponce-Macay, ‪dal 20 ottobre al 6 gennaio 2020‬, itinerario che proseguirà alla Fundación Pape di Cohauila dal 24 gennaio al 26 aprile, per concludersi a Città del Messico con l’esposizione nel museo de Arte popular ‪dal 6 maggio al 6 agosto 2020‬.
 
L’itinerario dell’est-europeo, invece, avrà inizio contemporaneamente presso la Styles Gallery di Gyumri, in Armenia, con il patrocinio dell’Ambasciata Italiana d’Armenia, per proseguire poi in Bosnia, Museum of Contemporary Art di Banja Luka, ‪dal 12 settembre al 12 novembre 2019‬ e Mostar, ‪dal 20 novembre al 10 gennaio 2020‬, per toccare poi la National Gallery di Sofia e quindi Skopye, Novisad, e Lubiana.

Accanto alle testimonianze materiali, ai documenti d’archivio e ad alcune proposte di reinterpretazione di matrice antropologico-visiva, saranno esposte le opere di artisti contemporanei ispirate alle strutture non scritte del patrimonio culturale italiano all’interno di un viaggio che, tra il vissuto e l’immaginato, propone la conservazione della memoria e la creatività come chiavi d’accesso privilegiate al dialogo intergenerazionale e al rispetto della diversità culturale.

Tra gli artisti coinvolti per il Sud America, Bertozzi e Casoni, Tommaso Cascella, Flavio Favelli, Dario Ghibaudo, Silvia Giambrone, Maria Lai, Francesco Lauretta, Davide Monaldi, Luana Perilli, Roxy in the box, Marinella Senatore, Giuseppe Stampone, Sergio Tumminello, Angelo Marinelli e Zaelia Bishop.

Per l’Europa dell’Est, Tommaso Cascella, Gaia Scaramella, Flavio Favelli, Dario Ghibaudo, Silvia Giambrone, Maria Lai, Francesco Lauretta, Davide Monaldi, Luana Perilli, Roxy in the box, Marinella Senatore, Angelo Marinelli, Giuseppe Stampone, Sergio Tumminello, Zaelia Bishop e, per l’occasione, l’artista armeno Arshak Sarkissian.

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Armenia: premier Pashinyan, annunciata creazione nuovo tribunale anticorruzione (Agenzianova 05.06.19)

Erevan, 05 giu 12:44 – (Agenzia Nova) – Il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha annunciato di essere intenzionato a creare un nuovo tribunale anticorruzione. Lo riferisce l’agenzia di stampa “Armenpress”. “In molti hanno chiesto di essere informati sui motivi che hanno impedito la realizzazione di alcune riforme nel settore giudiziario nel corso di quest’anno. Una delle ragioni principali è che il numero di posti disponibili per la carica di giudice ha superato quello delle candidature nell’ultimo periodo”, ha aggiunto il capo del governo di Erevan. “La possibilità di incrementare i salari dei giudici allocando un certo quantitativo di risorse dal bilancio statale esiste, ma è difficile che la popolazione sostenga questa decisione al momento”, ha detto Pashinyan, aggiungendo che la creazione di un nuovo tribunale anticorruzione, con il sostegno della comunità internazionale, contribuirà senza dubbio a risolvere la questione. (Res)

L’Armenia guarda all’Europa. Una scelta naturale, solida, razionale (Haffingtonpost 04.06.19)

Quasi ventotto anni dopo l’uscita del celeberrimo Quarto potere” (1941), che affrontava il tema dell’identità e dell’autocoscienza americane, nell’Armenia sovietica fu miracolosamente autorizzata la produzione di un lungometraggio basato su un romanzo del giovane autore Hrant Matevosyan (1935-2002) altrettanto miracolosamente scampato alla censura.

Questo film, intitolato ”Noi e le nostre montagne” (1969) e divenuto in seguito un classico per chiunque parli armeno, raccontava la vita nell’Armenia sovietica e l’isolamento di un mondo che seguiva le proprie regole non scritte. Negli anni Sessanta, mentre tutto il mondo era travolto da rivoluzioni tecnologiche, culturali e politiche, due pastori nelle montagne d’Armenia discutevano pacatamente su quali fossero i Paesi più importanti al mondo, concludendo:

“Ci siamo noi, l’America e forse l’Austria”.

Oltre a essere un classico della cinematografia armena, ”Noi e le nostre montagne” simboleggia anche le principali paure degli armeni della nuova generazione: restare isolati sulle nostre montagne, avere una visione del mondo limitata e, come le generazioni che ci hanno preceduto, possedere soltanto un’immagine vaga di ciò che accade nel resto del mondo.

La nuova generazione armena vuole stare al passo coi tempi e prendere parte attiva nel mondo moderno. E a dettare il ritmo di questi nuovi tempi, tanto più rapidi quanto più ci si avvicini al meridiano di Greenwich, è l’Europa. Da questo dipende il genuino desiderio con cui l’Armenia e gli armeni guardano all’Europa: essa è una scelta naturale, ragionevole, solida, razionale.

L’Europa è per noi simbolo delle nostre ambizioni e una finestra di opportunità; una finestra apertasi dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e che oggi ha portato a un Accordo di partenariato globale e rafforzato (Comprehensive and Enhanced Partnership Agreement, o CEPA), ora in corso di ratificazione con gli Stati membri dell’Ue, che riflette tutti questi desideri e aspirazioni comuni.

Tre sono oggi le priorità dell’Armenia: sicurezza, welfare e demografia, e la nostra agenda con l’Ue le affronta tutte. Le costanti riforme negli affari interni e il rafforzamento delle istituzioni democratiche sono prerequisiti per creare e applicare nuove e più salde misure a salvaguardia della sicurezza interna.

Favorire lo sviluppo di un ambiente economico competitivo in Armenia e facilitare l’accesso al fiorente mercato europeo rappresenta un’opportunità per i produttori locali perché l’agevolazione dei rapporti commerciali è fonte di ricchezza per i nostri cittadini.

Nonostante l’andamento altalenante delle nostre relazioni politiche con l’Ue, ora più fredde ora invece più cordiali, i cittadini armeni non intendono rinunciare alle loro aspettative, che in sintesi possono essere descritte come un’aspirazione a godere di “maggiore accessibilità”.

Maggiore accessibilità significa per esempio facilitare la partecipazione a programmi di scambio con l’Europa per i nostri studenti, snellire per i nostri cittadini le procedure per richiedere i visti necessari per viaggiare nei Paesi membri dell’Ue, quando non abolire completamente la necessità di avere un visto.

Maggiore accessibilità significa anche avere compagnie aeree che offrano voli economici a prezzi più abbordabili e con partenze in orari più comodi durante la giornata dalle nostre due principali città in direzione dei Paesi europei; consentire a un numero sempre maggiore di turisti armeni di visitare, esplorare, conoscere e scoprire l’Europa, vederla con i loro occhi e toccarla con le loro mani; permettere a imprenditori e imprenditrici di vendere i propri prodotti sul mercato europeo e fare in modo che scienziati e ricercatori possano collaborare con i colleghi europei. È qualcosa di molto semplice, molto ragionevole. Ed è qualcosa di assolutamente realizzabile.

Come i suoi cittadini, anche l’Armenia ha aspirazioni ben precise. Come Paese stiamo naturalmente espandendo le nostre relazioni commerciali ed economiche con l’Ue grazie al Sistema di Preferenze Generalizzate Plus (SPG+). Cionondimeno, nella prospettiva di un’“Europa più vicina”, prevediamo la costituzione di attività produttive in Armenia da parte dei principali gruppi aziendali europei come l’italiana Fiat, la tedesca Siemens, altri colossi industriali francesi e diversi altri attori inevitabilmente attratti dal grande mercato dell’Unione Economica Eurasiatica.

Oltre a voler essere “più vicini” all’Europa, potremmo per esempio aspirare a dirigere e guidare l’UE nel progetto di costruzione di una linea ferroviaria ultramoderna ad alta velocità tra Erevan e Tbilisi, capace di trasformare Armenia e Georgia in un’area turistica integrata per gli europei, contribuendo a un rapido aumento del numero di visitatori. Anche in questo caso, si tratta di qualcosa di molto semplice e molto ragionevole. E di assolutamente realizzabile.

Ciononostante, abbiamo talvolta l’impressione che i rapporti fra l’Armenia e l’Ue finiscano per perdersi nei corridoi delle istituzioni ufficiali. Inoltre, gli esiti concreti di queste relazioni sono a volte così trascurabili e inconsistenti da vanificare il concetto stesso di cultura e valori europei, sconcertando e confondendo vari segmenti della società.

I risultati delle ultime elezioni europee dimostrano che le preferenze politiche delle società dei diversi Stati membri sono profondamente diverse. Per questo è tanto più necessario cooperare quotidianamente con tutte le rappresentanze politiche europee. Per coltivare una collaborazione attiva ed efficace con l’Ue si rende pertanto indispensabile un dialogo costante e mirato sia con tutti gli organi comunitari sia con ciascuno dei Paesi membri.

La partnership Ue-Armenia dovrebbe “tradurre” i nostri valori condivisi in risultati concreti capaci di soddisfare i bisogni quotidiani dei nostri cittadini. Questa è la formula per la nostra epoca: i valori devono trasformarsi in opportunità e risultati tangibili, concreti, apprezzabili.

D’altro canto, l’Europa non dovrebbe essere né qualcuno da cui aspettarci soltanto di ricevere qualcosa né il destinatario finale di uno scambio a senso unico. Anche l’Armenia può offrire qualcosa all’Europa: non solo la nostra identità cristiana o una meta turistica per un numero sempre crescente di visitatori europei, ma anche i nostri prodotti, le nostre risorse umane, la nostra creatività, la nostra capacità d’innovazione.

In questo senso, il nostro lungo dialogo politico dovrebbe pertanto finalmente superare la fase delle discussioni e degli incartamenti burocratici per giungere a decisioni e risultati tangibili. Se così non fosse, questa finestra europea finirebbe per tramutarsi in un sogno lontano e irraggiungibile.

Dobbiamo salvaguardare l’agenda europea per l’Armenia, perché essa non è un vuoto discorso politico o un progetto opportunistico ma qualcosa di concreto. È un’aspirazione autentica e genuina. Di conseguenza, una maggiore accessibilità all’Europa – risultato che può essere mutualmente vantaggioso – dipende da una nostra scelta consapevole. E anche in questo caso è qualcosa di assolutamente realizzabile.

Innanzitutto, l’Armenia e l’Europa sono unite dai nostri valori condivisi. L’Armenia, l’Artsakh e il popolo armeno nel mondo sono stati e sono tuttora parte inalienabile della cultura europea, e costituiscono il confine orientale del mondo cristiano.

Il nostro cammino è un cammino di civiltà, un cammino che include sia il Nord sia l’Occidente. Storicamente, in riferimento ai valori europei, abbiamo normalmente guardato sia a Nord sia a Occidente. È innegabile che molti elementi dei valori europei siano riemersi in Armenia passando da Nord. È per noi indispensabile che i transitori confini che ancora persistono fra Nord e Occidente scompaiano o che almeno siano ridotti al minimo.

Ciò che oggi cerchiamo non è un nuovo ruolo in Europa e nella vita europea. Dobbiamo rivalutare il nostro ruolo di una fra le colonne portanti della civiltà europea e del suo sistema di valori.

Ciò dovrà essere chiaro a noi come ai nostri partner: la nostra sicurezza non è negoziabile e i nostri valori dovranno restare, come sempre lo sono stati, l’elemento fondante del nostro lungo viaggio.

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Prefetto e presidente della Provincia incontrano ambasciatore armeno (Luccaindiretta 04.06.19)

Giornata di incontri quella di ieri (3 giugno) per il nuovo Prefetto di Lucca, Leopoldo Falco. Dopo aver incontrato il presidente della Provincia, Luca Menesini infatti, il rappresentante del Governo ha ricevuto anche la visita dell’ambasciatore dell’Armenia alla Santa Sede, Garen Nazarian, accompagnato dal legato apostolico della chiesa armena, Kajan Barsamian. Il motivo della visita è da ricondursi al legame con la città di Lucca, determinato dalla figura di San Davino, pellegrino armeno, la cui salma è conservata sotto l’altare maggiore della Chiesa di San Michele dove, sempre ieri è stata celebrata una messa di commemorazione da Monsignor Paolo Giulietti, nuovo vescovo di Lucca.

All’incontro, svoltosi in un clima di grande cordialità, era presente anche il professor Giovanni Macchia che ha curato una pubblicazione dedicata a San Davino. È stata l’occasione per una presa di contatto sui principali temi di interesse comune e per fornire al diplomatico in visita un primo quadro delle peculiarità storiche, culturali e produttive del territorio.

Al termine dell’incontro il prefetto e il presidente della Provincia hanno fatto dono all’ambasciatore di due pubblicazioni sulla città di Lucca e sulle sue ville.

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Nagorno-Karabakh: Armenia denuncia aumento delle tensioni negli ultimi giorni (Agenzianova 02.06.19)

Erevan, 02 giu 10:52 – (Agenzia Nova) – Il comunicato evidenzia che le recenti azioni “sono una sfida negli sforzi dell’Armenia e del Nagorno-Karabakh, sotto gli auspici dei co-presidenti del gruppo di Minsk dell’Osce, di compiere passi costruttivi verso una risoluzione pacifica del conflitto, per stabilire un ambiente favorevole a tale esito e rappresentano un serio arretramento di tutti gli sforzi compiuti negli ultimi mesi”. Il ministero degli Esteri dell’Armenia denuncia quindi che l’Azerbaigian ha violato gli impegni presi nelle ultime dichiarazioni congiunte adottate a Milano, nel dicembre 2018, a Vienna, nel marzo 2019, e a Mosca, nell’aprile 2019. Secondo Erevan, senza una rapida risposta tali azioni possono essere “un ostacolo serio” ai prossimi passi nel processo di risoluzione del conflitto nel Nagorno-Karabakh. L’Armenia invita quindi l’Azerbaigian “a dimostrare una volontà politica genuina” per garantire il rispetto del cessate il fuoco. Secondo Erevan, è necessario pertanto completare prima possibile l’istituzione di un meccanismo istitutivo dell’Osce sulle violazioni del cessate il fuoco. (segue) (Res)