Germania: la delegazione della Conferenza episcopale termina il viaggio in Armenia​ (SIR 17.05.19)

“Il forte carattere cristiano dell’Armenia non ha subito danni permanenti durante l’era sovietica. La Chiesa oggi lavora con un grande impegno pastorale e sociale, in modo che la fede cristiana nella società rimanga viva e venga trasmessa alle generazioni future”. È una delle osservazioni riferite dal vescovo di Magdeburgo, mons. Gerhard Feige, appena rientrato da una visita in Armenia su invito del Supremo Patriarca e Catholicos di tutti gli armeni, Karekin II. Il forte legame tra “fede cristiana e popolo armeno”, i segni “profondi dell’eredità cristiana nella cultura armena” rendono possibili la crescita della “comprensione reciproca e della comunione” tra le due Chiese. Oltre all’udienza con Karekin II e alla partecipazione all’ordinazione episcopale di mons Isakhanyan, la delegazione cattolica ha visitato il memoriale del genocidio a Yerevan: “Nel doloroso ricordo della sofferenza incredibile di innumerevoli persone, prego Dio che non ci sia mai più una simile tragedia” e che “la disamina onesta dei terribili crimini del passato apra cammini per un futuro riconciliato”, ha scritto il vescovo nel libro dei visitatori. Incontrando l’arcivescovo Raphaël Minassian, responsabile per i credenti armeni uniti alla Chiesa cattolica, la delegazione tedesca ha visto il grande impegno caritatevole della piccola Chiesa cattolica armena, sostenuto dall’istituzione tedesca Renovabis.

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Kazakhstan-Armenia: incontro fra presidenti Tokayev e Sarkissian, proseguire cooperazione (Agenzianova 16.05.19)

Nur-Sultan, 16 mag 09:06 – (Agenzia Nova) – Il presidente del Kazakhstan Kassym-Jomart Tokayev ha incontrato oggi l’omologo dell’Armenia Armen Sarkissian. Lo riferisce l’ufficio stampa della presidenza di Nur-Sultan. Ringraziando la sua controparte armena per aver accettato di partecipare al Forum economico di Astana – che prende il via oggi –, il presidente kazakho si è soffermato su questioni bilaterali di attualità. “I nostri paesi hanno forti legami di amicizia e collaborazione. I rappresentanti della comunità armena in Kazakhstan vivono in armonia con altri gruppi etnici e danno un contributo significativo allo sviluppo socio-economico del nostro paese”, ha detto Tokayev, ricordando che il primo presidente kazakho, Nursultan Nazarbayev, è stato uno dei fondatori delle basi della cooperazione fra i due paesi. (segue) (Res)

Armeno 13enne convertito all’islam in diretta tivu. Era stato attirato con l’inganno (Asianews 15.05.19)

La madre: Mio figlio non si è convertito all’islam. Noi siamo armeni e cristiani. Il ragazzo era stato invitato solo a partecipare a un evento live in tivu. Il teologo Nihat Hatipoglu lo ha guidato nella confessione islamica e gli ha cambiato il nome. La comunità armena accusa di “genocidio” perché si tratta di conversione forzata, senza la presenza e il permesso dei genitori.

Istanbul (AsiaNews) – Un ragazzo armeno 13enne è stato convertito all’islam in una diretta tivu. La notizia è stata pubblicizzata sulla stampa turca come fra le più importanti. Ma i genitori vogliono denunciare i produttori del programma, che hanno attirato il ragazzo con l’inganno.

Sabato 12 maggio, sulla catena televisiva Atv, Nihat Hatipoglu, rettore dell’università per la conoscenza islamica e la tecnologia di Gazientep e teologo, ha presentato Arthur, un ragazzo armeno di 13 anni che “desiderava” convertirsi all’islam. Davanti a migliaia di telespettatori, Arthur è divenuto musulmano, ripetendo dietro a Hatipoglu le parole della confessione musulmana.

Subito dopo, Hatipoglu gli ha chiesto se voleva cambiare nome, prendendo proprio il nome “Nihat”, lo stesso del presentatore. Hatripoglu ha detto che – essendo Arthur/Nihat minorenne – essi avevano domandato l’autorizzazione alla madre del ragazzo.

In realtà, al sito Lurer.com la madre Alina Y. Ha dichiarato: “Mio figlio non si è convertito all’islam. Noi siamo armeni e cristiani. Se l’avessi saputo, sarei stata vicino a mio figlio. Arthur è un ingenuo ragazzo di 13 anni. Il suo amico siriano gli ha detto: Vieni, andiamo a parlare ‘live’ alla televisione e ci daranno dei giochi e potremo mangiare fianco a fianco delle star. E mio figlio è andato con lui. È un bambino, ha sbagliato, ma non si è convertito e non è circonciso”.

Alina ha anche chiamato il parlamentare Garo Paylan, dell’Hdp, per spiegargli che suo figlio è stato invitato al programma senza l’autorizzazione dei genitori. E Paylan ha deciso che invierà un esposto agli organizzatori del programma per abuso su minori.

Per la comunità armena, il presentatore Hatipoglu ha violato il Trattato di Losanna in un punto che difende le minoranze etniche e religiose dal genocidio. Il Trattato infatti, spiegando gli aspetti del genocidio, afferma che è inaccettabile la conversione forzata di un bambino a un’altra religione. La conversione di un minore senza la presenza dei suoi genitori è parificata a una conversione forzata.

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L’UE celebra dieci anni di partenariato orientale (Opinione delle libertà 15.05.19)

A margine dell’ultimo Consiglio europeo, nella sua formazione di Affari esteri, è stato celebrato il decimo anniversario del Partenariato orientale. I ministri e i rappresentanti degli Stati membri dell’Unione europea, l’Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera e di sicurezza, Federica Mogherini, e i ministri degli Affari esteri dei sei partner dell’Europa orientale hanno infatti ricordato il successo di questa collaborazione privilegiata descrivendone, al contempo, limiti e sviluppi per il futuro.

L’anniversario della partnership dell’Unione europea con Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldova e Ucraina, consolida radici profonde, non solo dal punto di vista geografico ma soprattutto storico e culturale. Inoltre, i rapporti commerciali e le cooperazioni rafforzate con programmi di sostegno e dialogo transfrontaliero rappresentano già una nuova idea di costruzione europea.

Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, ha definito il partenariato orientale come “un sodalizio orientato al futuro per i cittadini e con i cittadini, saldamente ancorato negli aspetti che contano per loro. La nostra collaborazione mira a rafforzare le economie, la governance, la connettività e le società. Vorrei che rimanessimo concentrati sulla sostanza di quel che riteniamo di dover fare insieme affinché il nostro partenariato possa tener fede alle sue promesse”.

Insomma, se i primi dieci anni di collaborazione hanno dimostrato che la relazione esistente si basa su valori condivisi di principi e norme del diritto internazionale, molto ancora rimane da fare in tema di democrazia e stato di diritto, lotta alla corruzione e libertà di informazione. Pur tuttavia, i ministri non hanno mancato di ricordare come la realizzazione delle riforme e il raggiungimento degli impegni concordati nel 2009, dovranno rimanere l’obiettivo principale negli anni a venire. A questi indubbiamente dovranno esserne aggiunti altri poiché la società e il contesto politico sono sensibilmente cambiati nell’ultimo decennio. Basti pensare alle maggiori opportunità e possibilità che si hanno di viaggiare, lavorare, o creare una nuova impresa, ma anche avere accesso a moderne infrastrutture tecnologiche o garanzie di sicurezza esterna e difesa comune. In tale contesto, la società civile svolge un ruolo importante e decisivo, anche perché il cambio radicale che la politica europea si appresta a vivere con le prossime elezioni europee condizionerà inevitabilmente i processi di riforma.

A sostenere i prossimi passi e le sfide che verranno è giunto il monito dell’Alto rappresentante, Federica Mogherini, ricordando come “la bussola da seguire è la partecipazione diretta e il coinvolgimento della società civile, soprattutto dei giovani. Il partenariato ha permesso una maggiore facilità di spostamento verso l’Ue, maggiori possibilità commerciali per le imprese e maggiore mobilità per docenti universitari e studenti. L’amicizia che ci lega è oggi molto più matura e ci permette di concentrarci molto di più sugli aspetti che realmente contano per i nostri concittadini: le loro priorità resteranno il perno su cui ruota la nostra amicizia”.

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Anche Armenia e Montenegro ratificano l’emendamento di Kigali! (Industriaeformazione 15.05.19)

Sale a 71 il numero delle Nazioni che hanno ratificato l’Emendamento di Kigali al protocollo di Montreal.
L’Armenia lo ha ratificato il 2 maggio, mentre il Montenegro ha fatto lo stesso il mese passato. Si tratta della quinta e sesta ratifica avvenuta nel corso di quest’anno, dopo quelle da parte di Albania, Andorra, Honduras e Polonia.
Ricordiamo che l’Emendamento di Kigali è entrato in vigore il 1° gennaio 2019. Ad oggi, però, manca ancora la ratifica dell’Emendamento da parte di circa due terzi dei paesi aderenti al Protocollo di Montreal. Fra questi, gli Stati Uniti e la Cina non hanno ancora proceduto in questo senso, nonostante siano fra i maggiori produttori e consumatori di HFC.
In risposta alla rapida crescita delle emissioni di HFC, potenti gas a effetto serra, le 197 nazioni aderenti al Protocollo di Montreal hanno adottato l’Emendamento di Kigali nel 2016 al fine di eliminarne gradualmente la produzione e il consumo globali.
Si prevede che la riduzione graduale degli HFC eviterà fino a 0,4° C di riscaldamento globale da qui al 2100, continuando a proteggere lo strato di ozono e contribuendo così in maniera significativa all’obiettivo di lungo termine dell’Accordo di Parigi: mantenere l’incremento medio della temperatura mondiale a meno di 2°C rispetto ai livelli pre-industriali.

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Beijing, incontro tra Li Keqiang e il premier armeno Pashinyan (Cri online 15.05.19)

Mercoledì 15 maggio presso il palazzo dell’Assemblea del popolo il premier cinese Li Keqiang ha incontrato il suo omologo armeno Nikol Pashinyan.

Li Keqiang ha affermato che sia la Cina e che l’Armenia sono antiche civiltà che vantano una lunga storia. La Cina guarda da sempre alle relazioni tra i due paesi da un punto di vista lungimirante e vuole consolidare costantemente la fiducia politica reciproca tra le due parti sulla base del rispetto reciproco, del trattamento paritario e del mutuo vantaggio, rafforzando il collegamento tra l’iniziativa “Belt and Road” e la strategia di sviluppo armena. La Cina sostiene le trattative delle impresi cinesi su possibili cooperazioni con la parte armena, ed è intenzionata ad ampliare le importazioni di prodotti agricoli armeni, valorizzare i punti di forza complementari delle due parti e intensificare la cooperazione tecnologica.

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Tutte le nakbe dell’imperialismo e dell’oppressione in Medio Oriente (Israele.net 15.05.19)

Ogni anno, il 15 maggio, attivisti palestinesi in tutto il mondo compiangono la nakba(catastrofe), cioè la rinascita dello stato ebraico, con narrazioni fittizie su come gli ebrei europei “bianchi” arrivarono e colonizzarono la terra degli indigeni arabi palestinesi.

Quello che non compare mai, in questa diatriba su ciò che accadde o non accadde ai palestinesi nella loro catastrofe, sono le storie vere delle decine di milioni di persone che hanno subito genocidi, espulsioni e assimilazioni forzate (genocidi culturali) sotto l’imperialismo arabo e turco.

La mia famiglia è composta da ebrei berberi (amazigh) da parte di padre ed ebrei iracheni da parte di madre. Entrambi vennero espulsi dai loro paesi, ed per via di questa persecuzione che sono venuto a conoscenza di queste storie che non vengono quasi mai raccontate. Col tempo ho appreso che molti altri gruppi umani sono stati perseguitati, in massa, senza alcuna restituzione né alcun “diritto al ritorno”, e che la comunità internazionale stava (e sta) zitta. Perché questa doppia morale?

Negli ultimi 150 anni, si sono verificate nakbe in Nord Africa, nel Medio Oriente e nel Mediterraneo orientale. Fra le vittime di questi stermini di massa, in gran parte misconosciuti, vi sono assiri (300.000 dal 1914 al 1920), armeni (1,5 milioni dal 1914 al 1923), curdi (180.000 dal 1986 al 1989), greci (750.000 dal 1913 al 1920), yazidi (10.000 nel solo 2014, sconosciuti gli altri dati), sudanesi nel Darfur (300.000 dal 2003 al 2009). Fra le vittime di espulsioni e persecuzioni sfociate nell’emigrazione forzata si contano maroniti libanesi (tra 8 a 14 milioni nella diaspora e 4 milioni in Libano), cristiani assiri (15 milioni nella diaspora e in Siria), armeni sotto l’impero turco (oggi 11 milioni nella diaspora). Ci sono poi gli 850.000 ebrei che vennero espulsi o costretti a fuggire da Nord Africa e Medio Oriente, così come il milione di copti che hanno lasciato l’Egitto.

E dove non si ebbero espulsioni o emigrazioni forzate, si ebbero spesso vaste persecuzioni. Chi sente mai parlare, oggi, dell’assimilazione forzata di berberi, curdi e sudanesi? Dagli anni ’60, queste comunità hanno subito l’arabizzazione forzata nelle scuole e nelle istituzioni governative. Ad esempio, solo nel 2002 il berbero è diventato lingua riconosciuta in Algeria. Fino al 2002 il curdo era proibito in tutti i mass-media turchi. Le leggi da apartheid contro le comunità ebraiche nello Yemen imponevano che i bambini ebrei venissero tolti alle famiglie e dati ai musulmani con conversioni forzate. Ci sono molti altri esempi simili riguardanti le comunità ebraiche un po’ in tutto il Medio Oriente, anche nella seconda metà del XX secolo. E fino ad oggi non si è vista alcuna restituzione di nessun tipo da parte degli autori di questi crimini odiosi.

Queste storie non si sentono nelle università, nei raffinati ritrovi a Londra o Parigi e certamente non su Al-Jazeera, su AJ+, sulla tv turca e neanche, purtroppo, sui mass-media internazionali. In tutto il mondo, invece, si sente dire da tanti “esperti” che il Medio Oriente è stato turco, arabo e iraniano sin dall’alba dei tempi. Parleranno con grande eloquenza di come questi popoli siano stati vittime dell’aggressione europea e sionista, ignorando totalmente la storia di tutti gli altri gruppi umani della regione. Armeni, georgiani, assiri, curdi, ebrei e cristiani libanesi cercarono l’indipendenza dagli imperi dominanti arabi e turchi. Prima di loro, anche greci e serbi avevano fatto lo stesso. E sì, molti di questi gruppi cercarono l’aiuto degli europei occidentali.

Dal 1880 al 1923, i propugnatori del pan-turchismo tentarono di unificare i vari popoli turchi e furono cruciali nel rivendicare come di loro proprietà le zone che i turchi avevano conquistato da colonizzatori come l’Armenia, la Grecia e le regioni assire dell’attuale Turchia. E istigarono massacri in quelle aree non appena i gruppi soggetti al loro dominio, come greci assiri e armeni, mostrarono il minimo segno di voler perseguire l’indipendenza. I turchi si assicurarono che i curdi e gli assiri rimasti fossero sottoposti ad assimilazione forzata, ed espulsero dalla Turchia tutti i greci e gli armeni.

Dal canto loro, i propugnatori del pan-arabismo rivendicavano come originarie terre arabe le regioni in cui gli arabi si erano stabiliti in forza del loro colonialismo nel Medioevo o anche più tardi. Aiutando gli inglesi a sconfiggere l’Impero ottomano, i capi arabi si misero in condizione di conquistare paesi multi-culturali e perseguire i loro obiettivi imperialisti. Così, i pan-arabisti imposero la cultura e i costumi arabi ad assiri, berberi, maroniti e copti egiziani. Negli anni ’40 crearono la Lega Araba e cercarono di arabizzare tutto il Nord Africa e il Medio Oriente.

In realtà, tutti i popoli indigeni del Medio Oriente – dai curdi agli assiri agli ebrei ai maroniti, molti già decimati dagli omicidi di massa – erano presenti alla conferenza per il Trattato di Versailles e chiedevano l’autodeterminazione nazionale. Solo ebrei e armeni (gli ebrei sotto gli inglesi e gli armeni sotto i russi) riuscirono a ottenere l’indipendenza.

Anche quest’anno, il 15 maggio innumerevoli attivisti promuoveranno campagne più o meno propagandistiche per commemorare i profughi arabi palestinesi del conflitto arabo-israeliano. Mi piacerebbe che tutte queste persone esprimessero, per i milioni di persone che erano e sono ancora realmente oppresse dalle potenze imperiali mediorientali, almeno metà della simpatia che manifestano per i palestinesi.

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L’orologio di Yerevan non fa più Tic-Tac (Sputniknews 14.05.19)

С’era una volta la fabbrica di orologi di Yerevan, in Armenia: dopo la chiusura, avvenuta nel 2013, il tempo qui, ironia della sorte, sembra essersi fermato per sempre.

La fabbrica di orologi di Yerevan, capitale dell’Armenia, venne aperta nel lontano 1943 e si specializzava nella produzione di sveglie con meccanismi a 4 e 11 pietre di rubino. Fu in questi enormi capannoni che vennero prodotte le prime sveglie dotate di melodia con cui iniziavano la loro giornata milioni di abitanti dell’Unione Sovietica.

La fabbrica ha cessato di operare nel 2013 ed il suo edificio da quel momento è in preda all’abbandono. Al suo interno è pieno di indizi che dicono al visitatore occasionale che il tempo si è fermato, a quanto pare, per sempre.

ARMENIA: La Vittoria, il Karabakh, la pace. Il 9 maggio a Erevan (Eastjournal 13.05.19)

DA EREVAN – Nello spazio post-sovietico (seppur con qualche nota eccezione e crescenti antagonismi), il 9 maggio si celebra il Giorno della Vittoria (in russo Den’ Pobedy): data che segna la sconfitta del nazifascismo durante la Seconda Guerra Mondiale – quella che i russi chiamano ancora oggi “Grande Guerra Patriottica”.

Durante il secondo conflitto mondiale, l’Armenia non conobbe la violenza e la distruzione che la guerra lasciò in altri territori dell’Europa centro-orientale, poiché l’esercito tedesco non giunse mai nel Caucaso del Sud. La repubblica caucasica non fu però affatto esente dalle dinamiche del conflitto: furono infatti circa 500.000 i soldati armeni che combatterono nell’esercito sovietico tra il 1941 e il 1945. Questi provenivano dalla Repubblica Socialista Sovietica Armena, ma anche dalla diaspora (soprattutto dagli Stati Uniti) e da altre repubbliche sovietiche; si stima che almeno la metà di loro non fece ritorno in patria. Un costo umano considerevole che viene ricordato in maniera molto sentita, e con una certa fierezza, dagli armeni.

Per onorare il contributo armeno nel secondo conflitto mondiale, il 9 maggio è una data festiva sul calendario, in cui si celebra ufficialmente il “Giorno della Vittoria e della Pace” (in armeno Haght’anaki yev Khaghaghut’yan ton). Oggi questa festa ha in realtà un triplice significato per gli armeni, che lega passato e presente.

Una data, tre ricorrenze

La vittoria sul nazifascismo è solamente la prima ricorrenza associata alla data del 9 maggio – e la più lontana nel tempo. Ve ne sono infatti altre due, sempre legate ad una guerra, ma più recente: quella consumatasi tra il 1988 e il 1994 nel Nagorno-Karabakh. Questa regione, contesa tra Armenia e Azerbaigian, fu allora al centro di una guerra che costò 30.000 vittime e mezzo milione di profughi – ed è ancora oggi teatro di un conflitto che viene erroneamente definito “congelato”.

Nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1992 ebbe luogo una battaglia decisiva nella guerra del Nagorno-Karabakh. Fino a quel momento l’esercito azero, strategicamente posizionato nella città di Shusha/Shushi, era riuscito a bombardare indisturbato la vicina capitale Stepanakert, roccaforte armena. Quella notte, la città fu riconquistata dalle forze armate del Nagorno-Karabakh (fiancheggiate da migliaia di volontari armeni); gli azeri furono costretti ad andarsene e le sorti del conflitto cambiarono drasticamente in favore degli armeni. Il 9 maggio di quest’anno segna il ventisettesimo anniversario di quella che gli armeni chiamano la “liberazione di Shushi”, e gli azeri “l’occupazione di Shusha”.

Proprio all’indomani della conquista di Shusha/Shushi fu creato l’Esercito di Difesa dell’Artsakh (dal 2017 nome ufficiale della repubblica de facto del Nagorno-Karabakh), con lo scopo di proteggere la popolazione armena della regione. Dal 1995, ogni 9 maggio questa ricorrenza viene celebrata con una parata militare che si svolge a Stepanakert, e alla quale hanno puntualmente partecipato i capi di stato armeni. L’attuale primo ministro NikolPashinyan, leader della “Rivoluzione di Velluto”, ha portato avanti la tradizione recandosi, per il secondo anno consecutivo nel Nagorno-Karabakh in occasione delle celebrazioni del 9 maggio.

Le celebrazioni di quest’anno nella capitale

A presenziare alle celebrazioni ufficiali a Erevan è stato invece il presidente della repubblica Armen Sarkissian. Nel primo pomeriggio del 9 maggio egli si è unito al corteo che dal centro della capitale ha sfilato fino al Parco della Vittoria – dedicato, come il nome lo indica, alla Seconda Guerra Mondiale. Sebbene le celebrazioni del 9 maggio a Erevan siano senza ombra di dubbio modeste e periferiche rispetto a quelle, imponenti, che si svolgono a Mosca, vi si ritrovano una simbologia e una retorica molto simili – sintomo delle relazioni ancora molto strette che l’Armenia (al contrario di altre repubbliche post-sovietiche) intrattiene con la Russia.

Ne è un esempio estremamente visibile l’onnipresenza del nastro di San Giorgio (georgievskaja lenta), nonostante in seguito all’annessione della Crimea e alla guerra nel Donbass questo simbolo sia diventato sinonimo del (neo)imperialismo russo di stampo putiniano. In alcuni stati post-sovietici come l’Ucraina il nastro di San Giorgio è stato bandito dalle celebrazioni del 9 maggio, o sostituito da nastri di altri colori. A Erevan, il nastro a strisce nero-arancioni è invece indossato fieramente e viene distribuito ai passanti nelle strade insieme ad altre coccarde e bandierine dai colori nazionali.

Oltre ai militari, a vari corpi delle forze dell’ordine e ai rappresentanti dello stato, il grosso del corteo che ha sfilato per le vie di Erevan era costituito da gente comune, che ha preso parte alla sfilata del “Reggimento immortale”. Si tratta di un’altra iniziativa made in Russia (e dagli sviluppi controversi), che si è svolta in varie città dell’Armenia per il quarto anno consecutivo. Migliaia di cittadini hanno sfilato con in mano i ritratti dei propri genitori, nonni o bisnonni che hanno partecipato alla Seconda Guerra Mondiale.

Se le foto degli “eroi” del conflitto mondiale sono per la maggior parte in bianco e nero, o ritraggono persone di età avanzata, a queste si affiancano altre fotografie a colori, più recenti, raffiguranti ragazzi pressapoco ventenni. Sono le vittime (gli eroi?) della guerra mai sopita nel Nagorno-Karabakh, che continua a mietere ogni anno centinaia di vittime da entrambe le parti – tra stallo ed escalation (come quella dell’aprile 2016). Il 9 maggio in Armenia è anche dedicato al loro ricordo.

Anche in Armenia, così come in Russia, la militarizzazione della società – inesorabilmente presente in moltissimi ambiti della vita pubblica e quotidiana – emerge in maniera esplicita in corrispondenza del 9 maggio. L’estetica militare, che si esprime attraverso le uniformi, i berretti, le giacche e i pantaloni mimetici indossate da adulti e bambini, è estremamente marcante in questo “Giorno della Vittoria e della Pace”. In fondo, a quale pace si fa riferimento? Quella del 1945 sembra passare in secondo piano, sovrastata dalla simbologia della guerra e del nazionalismo. La pace con l’Azerbaigian riguardo al conflitto del Nagorno-Karabakh, invece, appare ancora lontana.

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Ecumenismo, il catholicos armeno Karekin II: “Sviluppiamo il tema dell’amore” (AciStampa 10.05.19)

I cristiani? Sono cercatori di verità, chiamati a sviluppare e praticare il tema dell’amore. Karekin II, catholicos della Chiesa Apostolica di Armenia, in una intervisa con ACI Stampa delinea le sfide del dialogo ecumenico di oggi.

Lo fa in una cornice di relazioni straordinariamente buone tra Chiesa Apostolica Armena e Chiesa Cattolica, ormai non più divise da nessun problema teologico. Per tre volte, Karekin II ha incontrato Papa Francesco in questi ultimi due anni. A San Miniato, la basilica di Firenze dedicata al monaco armeno che morì martire proprio in quelle terre, ha parlato lo scorso lo scorso 26 aprile in una conferenza al Festival delle Religioni, dell’importanza della ricerca della verità, denunciato il comunismo che in Armenia aveva tolto ogni oggettività e trascendenza alla verità, indicato la strada del futuro in una rinnovata adesione a Cristo. ACI Stampa lo ha incontrato dopo la conferenza.

Santità, lei ha parlato nella rapporto tra verità e fede. Quanto si pensa che questo senso della verità sia andato perso nel mondo di oggi?

Nel mondo di oggi vediamo molte situazioni di vizio, che gettano ombra sulla verità, ma crediamo fermamente che una persona che crede e che crede in Cristo, che crede Dio può accedere a questa verità e farla diventare fonte di vita.

Lei ha fatto accenno al pensiero comunista in Armenia, che metteva l’uomo al centro di ogni cosa. Quanto è forte il rischio che il pensiero comunista, anche se non chiamato più tale in questo mondo?

Naturalmente queste situazioni che ho accennato nel mio discorso persistono nel mondo, ma come ho menzionato nella frase precedente, è una sfida per ogni cristiana poter, attraverso l’atto della fede, arrivare alla riscoperta della verità in Cristo. Come cristiani dobbiamo essere molto vigili perché situazioni che cercano di intimidire il processo di giungere alla verità ci sono sempre stati e ci saranno anche in futuro. Quello che è importante è la missione che ogni cristiano ha di non farsi deviare da queste situazioni, anzi di vedere nell’apostolato di ciascun cristiano quello di combattere per mantenere intatta la verità. Nel mondo vediamo molte situazioni, guerre, carestie, persecuzioni, la povertà, problemi social di vario genere che non sono altro che l’espressione di una verità messa ai margini. Quello che può fare il cristiano dinanzi a questo tipo di situazioni è continuare a ispirarsi alla fede in cerca della verità. È attraverso la conoscenza della verità che ci rendiamo liberi.

Si parla tanto di un ecumenismo basato su un impegno pratico: l’impegno comune per i poveri, l’impegno comune per i migranti… in che modo l’ecumenismo può anche essere un lavoro comune di ricerca della verità? Perché il dibattito teologico sembra un problema, ma magari c’è un ecumenismo della verità che va perseguito…

Certamente è un tema molto importante nell’ambito politico, e tutte queste situazioni di difficoltà che ho citato prima non fanno altro che sfidare i cristiani a trovare un risposta in maniera unitaria. Perciò è una richiesta del Signore quella di rispondere alle situazioni attraverso un comune impegno. E naturalmente c’è il tema centrale che è quello dell’amore. L’amore che viene dal Signore e che deve naturalmente essere reso pratico, reso concreto nella vita.

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