Dall’Armenia un appello all’ Europa per ritrovare se stessa, una conferenza all’Orientale (Acistampa.it 16.11.17)

Tra i nostri valori contemporanei c’è ancora una “cultura costituzionale”’? È uno degli interrogativi cui tenta di dare una risposta un convegno di studio di due giornate che si svolge il 17 e 18 novembre al Pontificio Istituto Orientale, promosso dal Presidente della Corte Costituzionale della Repubblica di Armenia e dal Centro di Cultura Costituzionale di Yerevan a Roma.

“The International Conference On Challenges of Spiritual and Legal Behavior of Contemporary Individual and Imperatives of Their Overcoming”  è stata organizzata dal professor Gagik Harutyunyan, Presidente della Corte Costituzionale e studioso. Al suo fianco Lévon Boghos Zékiyan, Aricieparca dei cattolici armeni di Istanbul e della Turchia e professore del Pontificio Istituto Orientale.

Dalla collaborazione tra i due studiosi armeni è nata l’idea del convegno, anche dopo la visita di Papa Francesco in Armenia lo scorso anno.

“Il nostro è un rapporto molto profondo- spiega l’ Arcieparca- e ogni volta che vado in Armenia incontro il professor Harutyunyan e spesso parliamo della grande filosofia della storia antica che secondo me si divide in tre grandi filoni: quella greco-romana, la grande storiografia araba, e quella armena. Nel mondo armeno c’è ovviamente una letteratura filosofica tecnica, diciamo scolastica, e la teologia è stata coltivata sul modello patristico, invece c’è un diverso genere letterario e in questo il professore ha cercato una filosofia costituzionalista. Oggi con la parola Costituzione intendiamo ‘strutturare’, dare una forma; invece in armeno si va un po’ oltre, non solo costituire, ma definire l’ambito, per non andare oltre, contro la legge.

Gagik Harutyunyan è arrivato alla convinzione che  la costituzione serve perché il popolo possa essere oggetto di misericordia, una definizione umanistica, perché il fine della costituzione e tutta la attività legislativa è aiutare il popolo. Un po’ quello che sottolinea il Papa parlando di misericordia: fare in mondo che l’uomo sia felice, questa è la misericordia. Da qui siamo partiti”.

E la visita di Papa Francesco vi ha dato anche degli spunti precisi?

“Si. Nel viaggio usò alcune parole che mi hanno colpito. Partiamo da pellegrinaggio. Si va in pellegrinaggio ad un santuario. Ma quale santuario in Armenia? E ho pensato alla tradizione che racconta che il Paradiso terrestre era in una zona che corrisponde all’Armenia, il santuario della purezza della creazione, e poi la fine del Diluvio, la alleanza ritrovata con Dio.

Poi, il Papa ha parlato di missione del popolo. E questo è molto chiaro, una missione culturale. E infine il Papa ha detto che il libro di san Gregorio di Narek, che aveva proclamato dottore della Chiesa, deve essere la costituzione spirituale del popolo armeno”.

Quindi l’idea di una riflessione allargata oltre i confini del Caucaso?

“Tutti i popoli devono fare una riflessione profonda, tutti i popoli che hanno avuto una cultura letteraria di un certo livello. E questo purtroppo oggi manca. Siamo invece pervasi dal pensiero economico, dai bilanci e dagli interessi, una riduzione. Ci mancano le grandi idee, le idee fondanti come hanno sempre avuto le grandi civiltà. Oggi, la sola idea fondante è il profitto, e una civiltà non può basarsi su questo”.

Come sarà affrontato questo tema nei due giorni di studi a Roma?

“La domanda è: cosa fonda il nostro ordine costituzionale? Questa è la base della democrazia e dell’ Europa di cui in fin dei conti l’ Armenia è culturalmente parte, al di la dalla definizione politica. Basta pensare che dall’ Iberia sull’Atlantico si arriva all’Iberia in Caucaso, dall’ Albania nel Mediterraneo si arriva all’ Albania in Caucaso. Questo indica l’intreccio fitto di rapporti che ci sono nella storia. Ci sono affreschi in Armenia che sono stati realizzati nel X secolo da maestranze franche e comasche. Pensate come circolavano idee e arte. Colpisce come un igumeno armeno in un altipiano di 2000 metri conoscesse i migliori pittori del momento a distanza di 4000 chilometri”.

L’idea è capire meglio anche la matrice europea che è stata in rapporto stretto con l’Armenia?

“Si, certo, il rapporto stretto con Atene, Alessandria dove andavano gli studiosi armeni a formarsi. Dobbiamo capire come riportare l’identità cristiana, i valori fondanti. Dopo la visita di Giovanni Paolo II in cui tutti si concentrarono sulla questione del Genocidio, nella vista di Papa Francesco la attenzione è stata sugli insegnamenti di San Gregorio di Narek.

E gli armeni dovrebbero far conoscere questo tesoro immenso alla cristianità intera.

La nascita del nostro alfabeto ad esempio è anche la nascita di una identità etno – culturale che si differenzia da mondo greco, romano e anche ebraico.

Lo scopo è ritrovare se stessi. E per fare questo dobbiamo conoscere meglio la nostra storia”.

Anche per questo Harutyunyan ha fondato a Yerevan un Centro internazionale di studi di diritto costituzionale, lo scorso anno con un primo convegno chiamato “Cultura costituzionale”.

Il Centro è stato ufficialmente fondato lo scorso anno a Yerevan. Partendo dalla constatazione della crisi profonda che attraversa la società contemporanea e il concetto stesso di diritto per la dominante visione del convenzionalismo etico, Harutyunyan è convinto che non si può restare spettatori di tale situazione e che un rimedio valido non potrà venire se non ispirandosi alla grande tradizione filosofica e religiosa di un valore assoluto, superiore alla contingenza umana.

Dopo un primo convegno in Armenia l’idea è stata di mettere sotto l’egida della Chiesa Cattolica la riflessione con tre punti centrali: il ruolo della cultura costituzionale nella formazione dell’identità spirituale dell’individuo moderno; i valori religiosi nel sistema assiologico delle Costituzioni contemporanee; le sfide presenti della deformazione del comportamento umano legale e spirituale e gli imperativi per come superarle.

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Armenia-Russia: presidente Sargsyan domani a Mosca, previsto incontro Putin (Agenzianova 14.11.17)

Erevan, 14 nov 14:50 – (Agenzia Nova) – Il presidente dell’Armenia, Serzh Sargsyan, si recherà domani in Russia su invito dell’omologo Vladimir Putin. Lo riferisce l’ufficio stampa della presidenza armena, secondo cui durante i colloqui fra i capi di stato si discuterà di relazioni bilaterali e di alcune questioni volte a rafforzare le relazioni bilaterali. I due capi di stato discuteranno anche della cooperazione nel quadro dell’Unione economica eurasiatica (Uue) e di alcune questioni regionali. I presidenti parteciperanno alla cerimonia d’apertura ufficiale delle “Giornate della cultura armena in Russia” che si terranno presso la galleria moscovita Tretijakov, un evento dedicato al 25mo anniversario delle relazioni bilaterali. Il presidente Sargsyan visiterà inoltre alcuni luoghi di culto della Chiesa armena. (Res)

Nagorno-Karabakh: ministro Esteri Nalbandian discute con Gruppo di Minsk possibile nuovo incontro con omologo azero (Agenzianova 14.11.17)

Erevan, 14 nov 15:10 – (Agenzia Nova) – Durante l’incontro, il ministro degli Esteri armeno e i rappresentanti dell’Osce hanno preso in considerazione i passi da compiere per dare attuazione alle intese raggiunte da Armenia, Azerbaigian e Osce durante le conferenze tenute a Vienna, San Pietroburgo e Ginevra tra maggio 2016 e ottobre 2017. Il Gruppo di Minsk è stato istituito nel 1992 dalla Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (dal 1995, Osce) allo scopo di favorire una soluzione pacifica del conflitto tra Armenia e Azerbaigian in Nagorno-Karabakh. Il gruppo è guidato da una co-presidenza formata da Russia, Francia e Stati Uniti ed è composto da Italia, Germania, Svezia, Finlandia, Paesi Bassi, Portogallo, Bielorussia, Turchia, Armenia e Azerbaigian. (segue) (Res)

«Qui comincia la nostra nuova vita» (La Sentinella di Canavese 13.11.17)

IVREA. Negtaria, 4 anni, ha due occhi che parlano da soli. Salta come un grillo sul divano di casa. Ha l’argento vivo addosso. Si diverte a guardare i cartoni animati in tv e non importa se non comprende la lingua, ma senz’altro non ci metterà molto. La madre si chiama Marina e ha 32 anni e il padre Karabed 44. Insieme formano la famiglia Kalajian. Siriana, da due settimane è ospite della grande comunità del Borghetto, dove vive.

Tutti e tre vogliono al più presto integrarsi nel tessuto sociale della città. Non è facile, ma con la forza di volontà e l’aiuto di tanti volontari bruceranno le tappe. Negtaria frequenta la scuola dell’infanzia Sant’Antonio di via San Giovanni Bosco. L’inserimento è già a buon punto e i compagni di scuola hanno accolto la nuova amica come una vera reginetta.

«Quando siamo entrati a scuola per la prima volta tutti i bambini hanno intonato una canzone di benvenuto – racconta la madre Marina -. Davvero una bella sorpresa». Invece, i genitori di Negtaria frequentano i corsi di lingua per imparare l’italiano più velocemente possibile.

Marina è un’insegnante di lingua e letteratura armena e lui è un tornitore meccanico, lavorava in officina.

La famiglia Kalajian, legata alla comunità armena, è fuggita da Aleppo nel 2014 quando la guerra ha iniziato a prendere una brutta piega, quando la situazione è peggiorata. Tra bombardamenti, morti, e sfollati la popolazione di Aleppo è scesa da 6 a 2 milioni di abitanti. La maggior parte degli sfollati ha trovato riparo in Libano e così anche la famiglia Kalajian, che ha vissuto negli ultimi tre anni a Beirut. Laggiù sono rimasti i nonni, i genitori di Marina che tanto l’hanno aiutata a crescere la bambina. Una sorella di Karabed è rimasta invece ad Aleppo. A Beirut, i genitori di Negtaria lavoravano e adesso, quanto prima, il desiderio è quello di trovare un’occupazione anche in Italia, ad Ivrea.

«È stato un trauma aver lasciato all’improvviso i miei genitori a Beirut – dice Marina -, la bambina è cresciuta con loro. Ma adesso inizia una nuova vita. Siamo felici di essere qui, attorno a noi ci sono persone splendide. L’importante è sentirsi al sicuro e qui lo siamo. Vogliamo guardare avanti, senza tornare indietro. Mai più ad Aleppo, mai più in Siria. In questi ultimi tre anni abbiamo provato tante volte a ricominciare a vivere, ma le speranze sono state sempre vane. Ora basta, guardiamo avanti, senza tornare più indietro». Cristiani ortodossi, i Kalajian hanno frequentato già la parrocchia di San Grato di don Duretto con la messa domenicale. «Le due religioni sono molto vicine – dicono – e non è difficile ritrovarsi».

Ma come è stato possibile ospitare questa famiglia di profughi siriani al Borghetto di Ivrea?

«Il progetto è nato come risposta alla sollecitazione di Papa Francesco, quando ha chiesto ad ogni parrocchia di accogliere un migrante. Noi abbiamo pensato di fare un passo in più, decidendo di accogliere una famiglia, consci che la “forza del Borghetto” ce lo avrebbe permesso – spiega Federico Bona -. Siamo quindi entrati in contatto con la Comunità di Sant’Egidio attraverso don Angelo Bianchi, responsabile diocesano della Pastorale per i migranti. Il secondo passo è stato valutare se c’erano le risorse per affrontare questa sfida: abbiamo sondato la disponibilità delle famiglie per sostenere economicamente il progetto e “fatto la conta” delle risorse disponibili per il lavoro concreto da portare avanti. Quando ci siamo resi conto che la base c’era, abbiamo dato il nostro ok e abbiamo aspettato che da Sant’Egidio ci comunicassero di aver trovato una famiglia per la nostra comunità. Questo è avvenuto a fine ottobre, dopo mesi nei quali abbiamo trovato l’alloggio, lo abbiamo sistemato, arredato e allestito».

«Tutto è stato realizzato grazie al volontariato – aggiunge Bona – chi si è impegnato nei lavori di sistemazione dell’appartamento, chi ha traslocato e sistemato gli arredi, chi ha seguito le pratiche burocratiche ed economiche. Venerdì 27 ottobre, finalmente, sono arrivati Marina, Karabed e Negtaria. Un momento di forte emozione per tutti noi, che ha dato il via alla parte più impegnativa e affascinante della sfida: accoglierli e aiutarli a ricostruire quella quotidianità che la guerra in Siria e la fuga in Libano avevano distrutto. Il valore aggiunto di questa iniziativa è, senza ombra di dubbio, don Giuseppe Duretto: il nostro parroco ha sostenuto con entusiasmo tutti i nostri passi, ci ha confortati nei momenti di difficoltà e ha condiviso con noi le gioie e le nostre emozioni. È il nostro garante, ha messo la sua faccia e il suo nome a disposizione del nostro lavoro dimostrandosi, una volta in più, il vero “pastore” della comunità del Borghetto».

Il progetto dei corridoi umanitari sottoscritto dalla Comunità di Sant’Egidio attraverso un protocollo d’intesa con i ministeri degli Affari esteri e dell’Interno prevede iniziative totalmente autofinanziate dalle organizzazioni che lo hanno promosso. Per avere informazioni sul progetto della comunità del Borghetto: accoglienza2017@gmail.com

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Rifugiati siriani in Armenia: non c’è ritorno (Osservatorio Balcani E Caucaso 13.11.17)

Sono 17.000 i siriani della comunità armena ad aver cercato rifugio in Armenia. Molti di loro non hanno intenzione di tornare nel paese d’origine. Un reportage

13/11/2017 –  Armine Avetisyan

(Pubblicato originariamente da OC Media il 27 ottobre 2017)

Quando la famiglia Rshtuni, nel 2012, arrivò a Yerevan da Aleppo, come molte altre famiglie armeno-siriane in fuga dalla guerra, pensava di trattenersi solo qualche mese, in attesa arrivasse la pace. Facevano parte della prima grande ondata di rifugiati. Per la fine del 2012 erano già 6.500 i siriani in Armenia, a 4.900 di questi era stata garantita la cittadinanza, ad altri 425 uno status da rifugiati.

“Durante il genocidio del 1915 la nostra famiglia è riuscita in qualche modo a sopravvivere e ci siamo trasferiti in Siria. Sono figlia di una famiglia di rifugiati ed ora mi trovo ad essere rifugiata io stessa. Abbiamo lasciato tutto ad Aleppo: la nostra casa, le nostre proprietà, il lavoro. Mio marito aveva la sua attività, produceva componenti per ascensori, ma non abbiamo potuto portare tutto con noi in Armenia. Abbiamo saputo da parenti che l’azienda di mio marito è stata saccheggiata, ne sono rimaste stanze vuote”, racconta Yoland Rshtuni.

Sentendo della situazione in continuo deterioramento in Siria, dalla stampa e da parenti ancora nel paese, la famiglia Rshtuni si è resa presto conto che non sarebbe rientrata rapidamente in Siria.

“Non siamo abituati a chiedere soldi e quindi abbiamo iniziato a chiederci di che attività ci fosse bisogno a Yerevan e come si potesse guadagnare del denaro”, dice Yoland.

Dopo aver provato, fallendo, a trovare lavoro da dipendenti hanno deciso di avviare un’attività producendo torte e dolci.

“Nel 2014 abbiamo frequentato corsi di cucina ed ora produciamo prodotti con il nostro marchio: cuciniamo meravigliosi biscotti e torte che vendiamo in gran parte attraverso Facebook. Non abbiamo neppure un appartamento come ufficio o un negozio all’angolo. Abbiamo solo affittato una casa molto piccola”, racconta Yoland.

Il marito di Yoland sta pianificando, a breve, un viaggio ad Aleppo per provare a vendere la loro casa, ancora in piedi. Vogliono comperarsi una casa in Armenia ed aprire il negozio dei loro sogni.

Rifugiati in Armenia

Prima del 2011 erano 80.000 i membri della comunità armena a vivere in Siria, 60.000 di loro ad Aleppo. Secondo il ministero armeno per la Diaspora 17.000 di loro si sarebbero ora trasferiti in Armenia, quasi tutti a Yerevan.

“Quando è arrivato il primo grande gruppo di armeno-siriani il governo ha immediatamente iniziato ad aiutarli. Nessun armeno deve essere obbligato a stare all’estero e questo è ancora il nostro obiettivo”, afferma Firdus Zakaryan, a capo dello staff del ministero della Diaspora.

“Quando arrivarono, erano certi che si sarebbe trattato di una situazione momentanea e che sarebbero rientrati molto presto. Purtroppo il destino riservava loro un futuro molto diverso. Nel tempo molti hanno iniziato a fare varie cose ed ora stanno mettendo radici qui in Armenia. Molti hanno cambiato idea sul rientrare e specialmente i giovani proprio non intendono farlo, essendosi abituati alle modalità di vita in Armenia. Qui si sentono a casa”, prosegue Zakaryan.

Secondo il ministero sono più di 500 i rifugiati siriani ad aver avviato un’attività economica in Armenia.

“Mi spiace di non essere nato qui”

“Il 2012 è stato l’anno più crudele della mia vita. Siamo fuggiti da Aleppo e siamo arrivati a Yerevan; non avevamo nulla. Ho lasciato là parte della mia vita, i miei amici, i miei libri… Ho sempre vissuto in una bella casa e qui ho dovuto abituarmi ad essere un rifugiato. Ma il tempo ha aiutato a sanare le ferite nella mia famiglia”, racconta Karo Haroyan, 23 anni.

Come molti siriano-armeni la sua famiglia aveva una propria attività ad Aleppo – producevano gioielli in argento artigianali e souvenir – una propria casa ed una vita agiata.

“Mio padre è un buon artigiano, io lo aiuto ma non sono alla sua altezza, io mi occupo delle vendite. Ho anche un lavoro fisso: sono manager per un’azienda molto conosciuta. Ora conduciamo una vita senza privazioni, siamo anche riusciti a comperarci un appartamento. Ora sono felice. Anche se qualcuno insistesse, io non tornerò indietro”, continua Karo.

Come molti altri, anche Karo, all’inizio ha impiegato del tempo per adattarsi alle modalità di vita in Armenia. L’armeno occidentale, parlato dalla maggior parte degli appartenenti alla diaspora, anche da quelli siriani, è solo in parte simile a quello orientale, parlato in Armenia. Karo ha ormai imparato la lingua locale.

“Ma ci differenziavamo anche per il modo di vestire, taglio di capelli, stile di vita. All’inizio è stato difficile ma l’Armenia ci ha accolti a braccia aperte e non ci siamo mai sentiti stranieri. Mi sono adattato a Yerevan e i cittadini di Yerevan hanno preso un po’ di cose da noi. Ora vi è un bel mix”.

I genitori di Karo ogni tanto pensano di rientrare in Siria ma concordano che sarebbe più sicuro fermarsi per sempre in Armenia.

“Mia sorella non è venuta con noi. Lavora per la Croce Rossa, dice che  casa sua è la Siria. Se i miei genitori pensano a rientrare è solo per stare vicino a lei. Ma, per quanto mi riguarda, non c’è un posto migliore di Yerevan dove vivere”, racconta.

“Spesso altri stranieri, ad esempio tassisti, quando scoprono dal mio accento che non sono nato qui sono sorpresi del fatto che io voglia restare. Mi dicono ‘Vattene prima che sia troppo tardi’. Non dico qui sia un paradiso, vi sono delle difficoltà, ma questo è il mio paese, mi spiace non essere nato qui”, continua Karo.

Il sapone di Yerevan

Shant Khayalyan ha 40 anni ed è arrivato in Armenia dalla Siria nel 2013. La sua storia è simile a molte altre: è arrivato a Yerevan con nulla e sperava la guerra terminasse rapidamente. Ora è un conosciuto produttore di sapone a Yerevan e non pensa di rientrare.

“E’ da tre anni che produco sapone organico. Utilizzo fiori ed erbe raccolte sui monti e nei campi dell’Armenia; poi l’ingrediente principale è l’olio di oliva. Produco anche shampoo e altri oli. La domanda è alta, vendo 25 tipi di sapone e 16 di shampoo e non solo in Armenia ma esporto anche in Georgia e Svizzera. Produco circa 10.000 saponi e shampoo al mese”, dice Shant.

Ha avviato la sua attività grazie al sostegno del Centro per lo sviluppo della piccola e media impresa dell’Armenia e all’ufficio dell’Unhcr di Yerevan gli hanno garantito un prestito di 12.000 euro con un tasso di interesse solo al 4%. Lui ed altri 110 imprenditori-rifugiati hanno beneficiato del programma per avviare una propria attività.

Vi sono anche altre modalità di aiuti forniti dal governo o altre organizzazioni, tra queste ad esempio la copertura delle spese scolastiche per 400 studenti e assistenza per gli alloggi.

“Li aiutiamo ad affittare delle case: a seconda del numero dei componenti familiari ricevono sussidi diversi ma il nostro scopo non è quest’assistenza di breve periodo”, spiega Anahit Hayrapetyan, coordinatore delle relazioni internazionali presso l’ufficio Unhcr di Yerevan.

“Vi è un detto molto saggio: dai ad una persona un pesce e lo sfamerai per un giorno; insegnale a pescare e la nutrirai per la vita intera. Noi proviamo a fare esattamente questo”, continua, aggiungendo poi che molti siriano-armeni sono ora stimati uomini d’affari che hanno portato, in Armenia, una nuova cultura, nuovi colori, nuove idee.

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Teatro degli Arcimboldi: novantatré anni e non sentirli, ecco a voi Aznavour! (Ilgiorno.it 12.11.17)

Lunedì sera il cantante si esibirà con i suoi maggiori successi

Milano , 12 novembre 2017 – Settant’anni. Non d’età, ma di carriera. Complicato trovare sulla scena artisti in condizione di celebrare anniversari del genere, come capita domani sera a Charles Aznavour sul palcoscenico degli Arcimboldi. Anche se lui s’acciglia davanti al genetliaco “…perché in verità non sono settanta, ma ottantaquattro, visto che ho debuttato come ballerino nel ’33 all’età di nove anni”. La divina Piaf, che ancora oggi il cantante franco-armeno descrive “intelligente, istintiva, molto divertente e con un senso dell’umorismo un po’ perfido” gli dette il suggerimento più importante. Quello di “amare e rispettare il pubblico senza ingannarlo mai”: 180 milioni di dischi venduti, 294 album, un repertorio di 1.200 canzoni e migliaia di concerti in oltre 90 paesi sono il bilancio di una vita. Sulla scena Aznavour canta in sette lingue diverse, compresi lo spagnolo e il russo. “Ma ‘L’istrione’ lo interpreto ovunque in italiano, così come ‘Mon ami, mon Judas’ dappertutto in francese” assicura. Molti i suoi brani rivisitate da altri artisti, a cominciare dal Ray Charles di “For mama”, dal Bob Dylan di “The times we’ve known”, o dalla Liza Minnelli di “What makes a man a man”. Perfino il guru dei produttori rap Dr. Dre ha ripreso la sua “Parce que tu crois” nel 2001. E non manca una lista di duetti eccellenti lunga così, con Sting in “Love is new everyday”, con Celine Dion in “Toi et moi”, con Frank Sinatra in “You make me feel so young”, con Laura Pausini in “Paris au mois d’août”.

A 93 ANNI Hollywood gli ha riconosciuto lo scorso agosto la tanto agognata stella sulla “walk of fame”, omaggio tardivo ma più che meritato viste le ottanta e passa pellicole girate da monsieur Charles assieme a colossi della cinematografia francese come Cocteau, Clair, Truffaut, Chabrol, Lelouch. “La vita è stata per me una meravigliosa avventura” ammette Aznavour, all’anagrafe Chahnourh Varinag Aznavourian. “Da bambino volevo diventare un avventuriero. E il successo è stato la ricompensa per il tanto lavoro fatto spinto dal desiderio di migliorarmi continuamente, tanto come uomo che come artista. Ho chiuso con la scuola a dieci anni, ma a quell’età conoscevo già la vita più di un uomo di quaranta”. Chi pensava che quello del 2016 a Verona sarebbe stato il suo ultimo concerto italiano dell’uomo de “La bohème” ha fatto male i conti. Oltre all’Arena lo scorso anno Aznavour ha cantato pure ad Amsterdam, Dubai, Praga, Antwerp, Osaka, Tokyo, Barcellona, Marbella, Trélazé, Monaco. E non più di quattro mesi fa a Roma, proseguendo poi il tour che lo porta stasera a Milano. “Ad Erevan il governo armeno mi ha consegnato le chiavi del Museo Aznavour che ora vorrei però allargare pure a rappresentazioni artistiche ed eventi culturali – anticipa -Assieme a mio figlio Nicholas, poi, ho intenzione di creare la Aznavour Foundation con cui continuare ad aiutare il popolo armeno”.

Da nove anni il “Sinatra francese” è pure Ambasciatore d’Armenia in Svizzera. “Gli armeni hanno bisogno che si parli di loro” spiega. “Un po’ come Israele, infatti, l’Armenia è circondata da paesi che non l’amano eccessivamente. Lavorando su piccoli problemi con paesi stranieri, io posso farmi ascoltare. E dare il mio contributo alla causa del mio popolo. Ma sia chiaro che non faccio politica”.

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Armenia: ministro Difesa inizia visita in Canada e Stati Uniti (Agenzianova 12.11.17)

Erevan, 12 nov 10:20 – (Agenzia Nova) – Una delegazione armena guidata dal ministro della Difesa Vigen Sargsyan inizia oggi una visita negli Stati Uniti e in Canada. Stando a quanto riferito dall’ufficio stampa del dicastero, Sargsyan si recherà prima in visita a Los Angeles dove incontrerà dei rappresentanti della comunità armena locale. Successivamente, il ministro andrà a Vancouver, in Canada, dove si terrà la conferenza ministeriale sul peacekeeping dell’Onu fra il 14 e il 15 novembre. (Res)

La cooperazione dell’Armenia con l’Iran non impedisce le relazioni con Israele (Buisnessmonkeynews.it 11.11.17)

YEREVAN (Sputnik) – La cooperazione tra Yerevan e Teheran non rappresenta un ostacolo alle relazioni bilaterali tra l’Armenia e Israele, ha detto il ministro degli Esteri armeno Edvard Nalbandián.

“Io non credo che sia un ostacolo per le nostre relazioni con Israele, come i rapporti di Israele con qualsiasi paese confinante Armenia non rappresenta un ostacolo”, Nalbandian ha detto in un’intervista con la televisione pubblica israeliana rilasciata dal Ministero degli Esteri armeno.

Egli ha aggiunto che l’Iran e l’Armenia stabilito un buon rapporto e collaborano in diversi settori e ha sottolineato che Yerevan “fa sforzi per sviluppare la cooperazione bilaterale”.

Per quanto riguarda l’apertura reciproca delle ambasciate, il ministro degli Esteri ha detto che “come Israele ha aperto un’ambasciata in Armenia, si aprirà reciprocamente un’ambasciata in Israele”.

Novembre 06-07, Nalbandian ha compiuto una visita ufficiale in Israele su invito del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

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Il degrado senza fine della chiesa degli Armeni (Ilpiccolo 06.11.17)

TRIESTE Tra le varie parrocchie in cui la comunità tedesca ha girato, ancor prima di passare sotto l’ala della Curia nel 2010, c’è la chiesa, ancora consacrata, della Madonna delle Grazie di via Giustinelli, una delle tante vie della zona un tempo in mano alla Comunità degli armeni. La struttura infatti, protetta dalla Soprintendenza, era stata presa in comodato d’uso dalla comunità dai padri mechitaristi di Venezia (creata dall’abate Mechitar insediatosi in origine nell’isola veneziana di San Lazzaro), proprietari dell’edificio inaugurato nel 1859 con il contributo dell’armeno Gregorio Ananian, composto anche da otto appartamenti che fino a poco tempo fa erano quasi tutti abitati.

Inizialmente ospitavano anche un collegio-convitto con l’avvio del primo corso del ginnasio e della scuola reale di lingua italiana. Poi sono divenuti sede pure del parroco. C’è un’ampia sacrestia e dalla chiesa si notano quattro finestre realizzate appositamente affinché le suore di clausura potessero seguire la messa.Nella bellissima cappella è conservato, malamente, anche l’organo di Julius Jugy.
Ma l’ultima volta che la comunità cattolica mise piede lì dentro fu all’incirca nel 2009. Oggi le condizioni di tutto il complesso versano nel degrado. Con tanto di affreschi rovinati dall’umidità. Una parte del tetto è caduta. Un campanile sta in piedi grazie all’impalcatura. Per ripristinarli ci vorrebbero almeno 24mila euro. Altri sei mila per portare via tutte le masserizie che occupano il magnifico giardino a pastini (che come tutto l’impianto ha un bellissimo affaccio sul golfo), e i diversi piani, compresi quelli sotterranei, dove durante la seconda guerra mondiale l’allora rettore Johannes Dittrich, molto amato da alcuni, tra cui il fedele Roberto Mellini, nascose gli ebrei perseguitati.

La lista dei soldi da tirare fuori per rimettere in sesto tutto ingloba anche 2mila euro per ripristinare il verde attorno. Soldi che però, al momento, non si trovano. Quel che si può mettere in ordine finora è stato fatto dalla signora Gianna Tagliapietra che risiede in uno degli otto appartamenti da tantissimi anni.

I padri mechitaristi fino a oggi non si sono esposti per accollarsi le varie spese. Sono stati commissariati anni addietro. Ma forse con il nuovo commissario che li guida, il vescovo di Istanbul, le cose potrebbero smuoversi.

Come fare in caso contrario? Il comitato nato proprio per la salvaguardia della chiesa, la cui presidente è Liliana Servadei Davanzo, propone un’altra idea: perché non usare parte dei fondi della comunità cattolica tedesca e farla diventare così la loro sede?

Oggi infatti si battono per la riapertura della chiesa da una parte il comitato Giustinelli, di cui fanno parte anche fedeli che ormai hanno abbandonato la comunità cattolica tedesca, e dall’altra dal comitato Julius Kugy, sorto proprio per tenere viva la memoria dell’alpinista, musicista e poeta austro-ungarico. «L’organo è molto particolare – spiega Gianna Fumo, presidente – ha più di cento anni ed è stato acquistato direttamente da Kugy e poi lasciato in eredità alla chiesa dei mechitaristi». Fu realizzato a Vienna dai fratelli Rieger e consegnato nel novembre del 1894. All’interno sono stati realizzati molti concerti prima che fosse abbandonato. «Abbiamo organizzato l’ultimo concerto – dice Fumo – nella chiesa attorno al 2010, quando sia la chiesa che l’organo erano freschi di restauro».

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Cucina armena: 8 piatti tradizionali che non ti aspetti (Blog findininglovers 06.11.17)

Situata tra Georgia, Azerbaigian, Turchia e Iran, l‘Armenia è un piccolo stato con una grande storia alle spalle. Noi di Fine Dining Lovers vi raccontiamo l’identità armena attraverso i piatti che fanno di questa cucina una realtà da scoprire.

Avete mai sentito parlare della cucina armena? Ecco 8 piatti tipici, dall’antipasto al dolce, che fanno parte della tradizione culinaria dell’Armenia.

1. MEZE

La cucina armena occidentale si avvicina molto alla cucina libanese, greca e turca. Per questo motivo, è molto comune trovare sulla tavola ogni sorta di meze per antipasto come l’hummus, il tabbouleh, il mutabbal o i dolma.

2. MADZUN

In Armenia orientale, generalmente il pasto inizia con la zuppa di mazdoun (yogurt) o di pollo aromatizzata alle erbe. I più golosi uniscono le due specialità e servono una zuppa kefta al madzoun.

3. KHOROVADZ

L’Armenia è una grande consumatrice di khorovadz, che altri non sono che spiedini di pollo grigliato o di carne – di solito di maiale, ma anche di manzo, pollo o agnello. Gli spiedini di norma sono serviti con del riso o delle patate fritte.

4. KHACH

Il khach è un altro piatto tipico della cucina armena. La stagione deputata a questo piatto è l’inverno e si compone di zampe di manzo bollite.

5. GHAPAMA

Il ghapama è una sorta di ragù di zucca, che è possibile trovare spesso nella cucina armena tradizionale. Di norma viene servito durante le feste.

 

6. MANTI

I manti sono dei piccoli ravioli di carne, di solito ripieni di manzo ( vedi foto).

7. I DOLCI ORIENTALI

Per quanto riguarda i dolci, la cucina armena si avvicina molto alla cucina orientale. Ritroviamo baklava, lokum e halva come dessert a fine pasto.

 

8. TORTA NAPOLEONE

Nella cucina armena è possibile trovare anche delle influenze russe, come ad esempio la Torta Napoleone, l’equivalente della nostra millefoglie.

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