Battilocchio incontra l’ambasciatore dell’Armenia in Italia (Lextra.news 27.05.17)

Alessandro Battilocchio si è recato nei giorni scorsi a Yerevan , capitale dell’Armenia, per avviare un progetto di cooperazione promosso dal locale Parlamento, appena rinnovatosi. In quell’occasione, è anche stato relatore in seminari organizzati dalla Facoltà di Giurisprudenza-Studi Europei dell’Università di Yerevan, antico e prestigioso Ateneo coinvolto in una serie di progettualità internazionali, in particolare rivolte all’Europa.

Battilocchio, che già da parlamentare europeo ha seguito in prima persona i tre Paesi del Caucaso Meridionale, ha anche visitato due scuole superiori armene, interessate ad un rapporto di scambio ed amicizia con analoghi istituti dell’hinterland romano. Per parlare quindi delle iniziative in corso e della visita appena conclusasi, Battilocchio ha incontrato presso la sede ufficiale Victoria Bagdassarian, Ambasciatore della Repubblica di Armenia in Italia che ha confermato la sua disponibilità ad interagire e sovraintendere questa collaborazione bilaterale che vede coinvolte le istituzioni e diverse realtà scolastiche del territorio.

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Dai caldei agli armeni, ai copti: sono 15 milioni i cristiani in Medio Oriente (Secoloditalia.it 27.05.17)

Tra maroniti e copti, melkiti e caldei sono numerose e varie le comunità cristiane che vivono in Medioriente. Secondo uno studio condotto dalla Fondazione Oasis nella regione vivono oggi circa 15 milioni di cristiani, tra fedeli autoctoni e immigrati. In alcuni Paesi sono in forte calo (Iraq, Siria), mentre sono in aumento nel Golfo e nella Penisola arabica. La presenza cristiana nella regione è estremamente frammentata. La Chiesa cattolica in Medio Oriente si articola in sette riti, ognuno organizzato attorno a un Patriarca, che è nominato dall’assemblea dei Vescovi (sinodo), ma è confermato dal Papa. Questi riti e le relative Chiese sono: rito caldeo, rito copto, rito siriaco, rito armeno, rito melkita, rito maronita e rito latino. Ognuno dei riti, salvo il maronita e il latino, ha per ragioni storiche una Chiesa ”gemella” ortodossa: Chiesa assira d’Oriente e Antica Chiesa d’Oriente, Chiesa siro-ortodossa, Chiesa copto-ortodossa, Chiesa armena apostolica, Chiesa greco-ortodossa (articolata in Medio Oriente in quattro Patriarcati: Costantinopoli, Antiochia, Gerusalemme e Alessandria). A queste Chiese si aggiungono le comunità nate dalla riforma: luterani, anglicani e modernamente le varie denominazioni pentecostali. Ognuna di queste Chiese storiche, sia cattoliche sia non cattoliche, ha sviluppato una consistente diaspora, soprattutto in Europa, nelle Americhe e in Australia, che si è a sua volta organizzata in diocesi. È il caso ad esempio della Diocesi copto-ortodossa di Milano

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I poeti armeni salvati dal genocidio (Ilgiornalie.it 26.05.17)

Coltivavano esseri umani. Proprio così. Gli allevamenti erano a Chankiri e ad Ayas, nella campagna di Ankara.

Lì coltivavano esseri umani, nutrendoli con la paura. Poi, ogni tanto, per placare la fame turca, ne uccidevano qualcuno. Non sapevi quando. Né come. Come bestie al macello. La retata accadde il 24 aprile 1915. Quel giorno iniziano le deportazioni in campagna e comincia, sistematicamente, il genocidio armeno. Anche il poeta fu arrestato quel giorno, il 24 aprile 1915. Daniel Varujan aveva moglie e tre figli, aveva perfezionato gli studi a Venezia e a Gand, in Belgio. Amava i poeti francesi e Leopardi, traduceva Stéphane Mallarmé e Maurice Maeterlinck, ma era rigorosamente legato alla sua terra, l’Armenia. Dai versi limpidi di questo Pukin armeno riluce «la nostalgia per la Grande Armenia delle cattedrali e dei monasteri medievali, con i suoi leggendari manoscritti miniati, i grandi castelli, gli arcieri e le belle dame sans merci» (Antonia Arslan). Il poeta accettò la deportazione, tradusse il dolore in opera d’arte. «Incorona di spighe la mia lira,/ perché sull’aia, alla fresca ombra del salice,/ io mi possa sedere e generare/ le mie canzoni», canta Alla Musa. Scrive splendide poesie bucoliche («Nuota il grande Silenzio tra le stelle divenute un mare./ L’infinito con diecimila occhi ammiccanti mi chiama»), forse prevedendo che quelli sono gli ultimi sguardi che rivolge al mondo.

Il poeta morì quattro mesi dopo la deportazione. Lo presero insieme ad altri, gli legarono le mani, fu tradotto su un carro in un luogo desolato. Poi, come gli altri, lo perquisirono. Lo spogliarono. Lo legarono a un albero, nudo. I soldati turchi si divertirono a torturare il poeta. Prima gli cavarono gli occhi. Poi lo scorticarono. Infine, il poeta morì. «Io vado alla sorgente della luce…», canta il poeta, intoccabile, in una delle liriche vertiginose. Il massacro non si fermò. Varujan, secondo il racconto dei testimoni, aveva riempito sei quaderni di poesie. Quando i poliziotti vennero a prenderlo, li nascose sotto un cuscino. Troppo facile. Anche l’opera di Varujan subì il martirio. Il possidente del luogo «dopo aver lisciato e messo in ordine le pagine, le perforò con uno spago per incartare formaggio e olive per i suoi clienti». Questa è la fine dell’opera del più grande poeta armeno del Novecento. Alcuni testi, tuttavia, scamparono allo sterminio e costituiscono un tesoro poetico di straziante bellezza. Varujan non fu l’unico poeta a essere ucciso. Come lui, morirono in tanti, tantissimi intellettuali, Tlgadintzì e Rupen Sevag, Krikor Zohrab e Siamantò, il poeta dell’«inenarrabile storia» del genocidio armeno, che «con questi miei spietati occhi» ha raccontato dei «cadaveri ammassati fino alla cima degli alberi».

Senza alcuna concessione alla mera testimonianza – la storia dell’arte è più feroce della Storia dell’uomo, ammette soltanto grandi testi ignorando il piagnisteo – le Edizioni Ares pubblicano sotto il titolo Benedici questa croce di spighe la prima Antologia di scrittori armeni vittime del Genocidio mai tentata in Italia (con un Invito alla lettura di Antonia Arslan, pagg. 240, euro 18). Dalle ceneri del genocidio «Entro la fine del 1916 non solo tutte le comunità armene erano state deportate, ma, in pratica, il piano di sterminio era completato», contando circa un milione e mezzo di morti – ci giunge una poesia severa e compiuta, strenuamente colta. E una indicazione estetica assoluta: solo le storie inenarrabili, che ci accecano per l’orrore, sono degne di essere dette. Purché si abbiano gli «occhi spietatamente umani» del poeta.

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ARMENIA: L’OSCE abbandona Yerevan (Eastjournal.net 24.05.17)

Il 4 maggio 2017 l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) ha ufficialmente chiuso l’ufficio di Yerevan. L’organizzazione, il cui forum unico raggiunge raramente l’unanimità dei 57 membri, non è riuscita a superare l’impasse creatosi in relazione all’estensione del mandato in Armenia.

L’impasse azero

Come ha dichiarato Kate M. Byrnes Chargée d’Affaires, ad interim, della missione statunitense – la chiusura dell’ufficio di Yerevan è stata compromessa dalla decisione della rappresentanza azera, che ha negato il consenso al prolungamento della missione, condizionando il proprio assenso alla sospensione di un programma umanitario di sminamento lanciato proprio dall’OSCE.

Come riportato dall’Armenian Weekly, la rappresentanza azera al Consiglio permanente di Vienna aveva accusato alcuni mesi fa l’Armenia di manipolare e sfruttare ai danni dell’Azerbaijan gli aiuti ricevuti. Il timore del governo azero era che i programmi umanitari avviati dall’OSCE in Armenia potessero determinare un vantaggio per Yerevan nel conflitto in Nagorno-Karabakh.

Nella dichiarazione di Baku del 2014, l’Assemblea parlamentare dell’OSCE aveva rinnovato l’appello, già espresso in precedenza, ad “adottare mandati pieni, effettivi e a lungo termine” per le operazioni sul campo. L’ufficio di Yerevan, inoltre, aveva assunto un’importanza strategica ancora maggiore dopo la chiusura delle missioni OSCE in Georgia e Azerbaijan. Come sottolineato da Byrnes, con l’Armenia l’OSCE ha perso anche l’ultima operazione sul campo nel Caucaso meridionale, nonostante l’efficace dialogo instaurato dal direttore dell’ufficio Argo Avakov con il Governo armeno.

La lotta alla corruzione

Durante il periodo a Yerevan, l’obiettivo principale dell’ufficio è stato quello di implementare i principi fondamentali dell’OSCE, affrontando i problemi endemici attraverso la collaborazione con agenzie e ONG locali.

Tra le minacce transnazionali di cui si occupa l’OSCE figura la corruzione, problematica che da tempo questa e altre organizzazioni europee tentano di combattere in Armenia. In particolare, nei mesi che hanno preceduto le elezioni di aprile, la delegazione dell’Unione Europea ha svolto un ruolo chiave nella sensibilizzazione della società civile armena, diffondendo importanti messaggi anti-corruzione.

Dal canto suo, l’ufficio dell’OSCE a Yerevan ha affrontato la questione della corruzione partendo dall’obiettivo di potenziare il comitato elettorale centrale e di formare osservatori locali, mettendoli al corrente degli standard internazionali di monitoraggio. I funzionari hanno collaborato con il governo e con il corpo elettorale per rafforzare il processo democratico, fiancheggiando le istituzioni statali e tenendo corsi di formazione anti-corruzione – con l’obiettivo in primis di promuovere il dialogo tra governo e società civile.

Tutelare la libertà d’espressione

A Yerevan, l’OSCE non ha solo affrontato i problemi legati alla corruzione: tra gli obiettivi principali vi era la tutela della libertà di espressione e informazione. Oltre a rivedere la legislazione armena sulla trasmissione delle informazioni, l’ufficio ha tenuto corsi per giudici e avvocati sui modelli internazionali di libertà di espressione.

Tra gli studi svolti dall’OSCE nel periodo in cui l’ufficio di Yerevan è rimasto aperto, ha assunto particolare rilevanza il Survey on Facebook Users in Armenia, pubblicato nel 2013. La ricerca, finanziata dall’UE, ha avuto come obiettivo quello di comprendere il ruolo di Facebook come piattaforma di libera espressione per gli armeni.

In Armenia questo social network, che ha visto un’impennata di iscrizioni nel 2010, è visto da molti come una fonte alternativa di informazioni: la ricerca condotta dall’OSCE – come del resto anche altri studi precedenti – hanno evidenziato il ruolo attivo di Facebook nel favorire il pluralismo espressivo.

L’OSCE ha posto le basi per cambiare le cose in Armenia, ma riuscirà ora Yerevan a proseguire con altrettanto vigore sulla strada della sicurezza e della cooperazione regionale?

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Nuovi concerti di Charles Aznavour in Italia, date a Roma e Milano: prezzi biglietti in prevendita (Optimaitalia 23.05.17)

Annunciati nuovi concerti di Charles Aznavour in Italia, due date a Roma e Milano: ecco i prezzi dei biglietti in prevendita su TicketOne

Il grande chansonnier torna ad incantare il Belpaese: sono stati annunciati nuovi concerti di Charles Aznavour in Italia dopo il grande successo dello scorso settembre con il live all’Arena di Verona.

 

A grande richiesta, infatti, il cantautore, attore e diplomatico impegnato per la causa armena, ormai alla soglia dei 93 anni ma ancora attivissimo sulla scena internazionale terrà due nuovi concerti nel nostro Paese nei prossimi mesi.

I concerti di Charles Aznavour in Italia rientrano nella celebrazione di 70 anni di magnifica carriera dell’artista francese, che gli sono valsi il soprannome di “Charles Aznavoice”: dopo aver incantato milioni di spettatori in 94 paesi del mondo, col suo repertorio di 1.200 canzoni e 294 album in sette decenni di attività, il maestro della canzone d’autore francese con ben 300 milioni di dischi venduti nel mondo e 80 film all’attivo continua a riservare sorprese al suo pubblico.

Aznavour sarà in concerto il 23 luglio nella Cavea all’aperto dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, mentre in autunno sarà in scena il 13 novembre al Teatro Arcimboldi di Milano. I due nuovi concerti si aggiungono a quello previsto in Sardegna il 13 agosto, al Forte Arena di Santa Margherita di Pula, nell’ambito di una tournée internazionale che ha toccato anche Asia e Sud America.

In scaletta i grandi successi della sua carriera, con brani cantati in diverse lingue (almeno quattro, ad esempio, quelle in cui ha interpretato Tous les visages de l’amour, italiano, inglese, spagnolo e tedesco) e coverizzati da numerosi artisti come Laura Pausini (celebre la sua Uguale a lei), La Bohème, Com’è triste Venezia, Ed io tra di voi (reinterpretata anche da Franco Battiato) e moltissimi altri.

I biglietti per le nuove date sono in prevendita su circuito TicketOne, sia online che presso i rivenditori autorizzati. Ecco i prezzi per ciascun settore della Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma.

parterre – I settore € 150,00 + € 22,00 dir. prev.
parterre laterale – I settore € 130,00 + € 19,00 dir. prev.
parterre II settore € 150,00 + € 22,00 dir. prev.
parterre laterale – II settore € 130,00 + € 19,00 dir. prev.
tribuna centrale € 110,00 + € 16,00 dir. prev.
tribuna mediana € 80,00 + € 12,00 dir. prev
tribuna laterale € 60,00 + € 9,00 dir. prev.
tribunetta € 45,00 + € 6,00 dir. prev.

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Ue: Mogherini, Unione ribadisce impegno per sostenere normalizzazione relazioni tra Armenia e Turchia (Agenzianova.com 23.05.17

Bruxelles, 23 mag 11:30 – (Agenzia Nova) – L’Unione europea ha ribadito “il suo impegno per sostenere la normalizzazione delle relazioni tra l’Armenia e la Turchia”: lo dice oggi a Bruxelles l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, nella conferenza stampa al termine del Consiglio di cooperazione Ue-Armenia. Diversi i temi del Consiglio, che secondo quanto affermato da Mogherini “è stato estremamente positivo. L’Armenia, cui sosteniamo l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale – ha sottolineato il capo della diplomazia Ue – è un partner molto importante per l’Unione europea”. Oggi si è discusso dei “prossimi passi” per la relazione tra Ue e Armenia, mentre prosegue il lavoro per la firma di un accordo di partenariato rafforzato e onnicomprensivo, già siglato a marzo a Erevan. “L’Unione europea è favorevole a espandere e approfondire la cooperazione con l’Armenia. (segue) (Beb)

I disobbedienti e i gesti di resistenza di Agopik Manoukian (Gariwo 22.05.17)

Pubblichiamo di seguito l’intervento di Agopik Manoukian alla presentazione del libro di Pietro Kuciukian I disobbedienti. Viaggio tra i giusti ottomani del genocidio armeno (Guerini e associati, Milano 2016) al Memoriale della Shoah, il 16 maggio 2017.

Seguo Pietro Kuciukian da anni. La nostra è una bella amicizia, fatta di condivisione di viaggi e iniziative varie. Tra queste la presentazione di diversi suoi scritti, che ogni volta hanno dei punti comuni ma anche sorprese e diversità (per il tema, per l’approccio…).

Comune è la sua facilità nel narrare e nel mescolare emozioni, notazioni sul paesaggio con riferimenti sia storici che contingenti: la moto, la moglie, il profilo di una persona. In questo testo questi aspetti sono meno evidenti e confinati nei brevi incipit di ogni capitoletto: sono gli unici momenti di respiro in un testo sostanzialmente angosciante per il tema che affronta. Perché sul bene di cui si vorrebbe celebrare l’esistenza continua a gravare e a dominare il suo opposto.

Che cosa muove Pietro Kuciukian a questa ricerca? Innanzitutto un episodio familiare. Nel 1895 a Istanbul c’è un pogrom antiarmeno. Un vicino di casa nasconde la famiglia Kuciukian nella propria cantina, riuscendo così a salvarli. In secondo luogo, l’importanza di esprimere un riconoscimento a “coloro che non vollero partecipare allo sterminio”. Questo come reazione ai monumenti ai massacratori e alle celebrazioni che ancor oggi si fanno (vedi Topal Osman, il dr. Resid Bey,…Kemal Ataturk) . L’amara constatazione è che “a chi si oppose non è stato dedicato nulla” (p.18).

Il testo esplora le diverse manifestazioni di “resistenza” a fronte delle iniziative del triunvirato di Taalat Pascià, Gemal Pascià e Enver Pascià – i tre maggiori responsabili del genocidio armeno.

Pietro Kuciukian va rintracciare ad uno ad uno questi episodi di resistenza negli innumerevoli saggi, testi storici, memorie, riferiti al genocidio relativamente agli anni 1915-1923.

Attori di questa resistenza sono non solo dei turchi. Ci sono infatti anche dei Kurdi, degli arabi e .. perfino un sudamericano. È una resistenza fatta di piccoli e grandi gesti. Una resistenza che non è organizzata e che si articola sostanzialmente lungo due filoni: quella istintiva e spontanea, che proviene dalle persone più prossime alle vittime designate (generalmente si tratta di vicini di casa, uomini e donne senza nome), e quella degli uomini delle Istituzioni e dell’organizzazione dello Stato sviluppata da chi ha il potere e l’autorità ai diversi livelli della scala gerarchica ottomana – governatore della provincia (Vali), governatore del distretto (mutessarif), autorità del cantone (Kaimakam), capo del quartiere (mukhtar), capo del villaggio (mudir) – e da chi ha autorità professionale come il giurista (mufti) o il sacerdote (mullah).

I percorsi seguiti nella narrazione sono due. Uno geografico: il viaggio nelle diverse regioni dell’Anatolia ottomana, iniziando da Istanbul sino ai confini della Siria. In ciascuna regione Pietro Kuciukian rintraccia le diverse figure di resistenti. In alcuni casi cerca anche di caratterizzare i diversi territori da un punto di vista socio- culturale o logistico. Ad esempio quello di Kutaya è un distretto dove gli armeni risultano assai bene integrati nella società locale e sembra insostenibile l’ordine di deportazione. Molto diversa la situazione nel distretto di Van, dove la popolazione deve difendersi da un assedio che dura settimane…Altri distretti come quello di Konya sono invece punti nevralgici lungo il percorso che porta al deserto, perché vi affluiscono armeni provenienti da più parti dell’Anatolia.
Il secondo percorso è tipologico. Pietro Kuciukian in questo caso tenta di individuare una vera e propria tipologia dei gesti di resistenza, differenziandoli in base alle modalità con cui si esplicano, ai ruoli sociali dei resistenti, alle loro probabili motivazioni, agli esisti dei loro atti. La tipologia che ne deriva è abbastanza estesa: sono ben tredici, infatti, le varianti individuate. In ciascuna compaiono i nomi delle persone i cui gesti hanno caratteristiche coerenti con il tipo ideale descritto.

Quali sono gli esiti di questi gesti di resistenza ?

Non sono rassicuranti.

Ai gesti di disobbedienza seguono – spesso – esiti ancora più cruenti. Anche l’islamizzazione e la conversione, che sembrano essere l’unica via percorribile per avere salva la vita, non sempre danno gli effetti sperati e promessi. Il più delle volte la conversione è solo un pretesto: non garantisce incolumità.

Sullo sfondo di ogni gesto di resistenza domina così quella “nera macchia” che grava sull’intero popolo turco e di cui parla il poeta turco Nazim Hikmet in un bellissimo verso messo in exergo all’inizio del testo. “Nera macchia” come presenza inesorabile, crudele, alla fine quasi sempre vincente, che si presenta sotto un doppio volto.

Quello di un ordine superiore, istituzionale (lalegge sull’ordine di deportazione di tutti gli armeni e la legge sulla confisca di tutti i loro beni) che ha come obiettivo quello di estirpare la presenza armena sul territorio o negarla definitivamente. Questa volontà è ulteriormente dimostrata dall’accanimento sui bambini come possibili futuri armeni. Vanno eliminati o turchizzati. Che in loro non ci sia più traccia di qualcosa di armeno. I “salvati dalla spada” (così vengono chiamati i sopravissuti) devono essere “esentati” dalla memoria. L’ordine superiore segue una logica razionale/radicale, e deve essere attuato/eseguito senza eccezione.

Chi contravviene o resiste va eliminato – o perlomeno allontanato. L’autorità ultima è quella del Ministero dell’interno – autorità civile, non militare. Una distinzione che permette di avocare a Taalat Pascià l’ultima parola sul destino degli armeni (e non ad esempio al suo collega Gemal, che con il suo progetto politico e territoriale voleva lasciare – tardivamente – un minimo spazio vitale anche gli armeni).

In secondo luogo, il volto anonimo – implicito – non dichiarato, ma effettivo nelle conseguenze di una “sospensione delle regole” favorita dallo stato di guerra e dalla difficoltà di controllare nei minimi particolari un’operazione di pulizia così estesa che riguarda una popolazione “mischiata” che vive tra le montagne e si incammina giorno e notte verso il deserto. Sospensione delle regole significa che chiunque (non armeno) ha il diritto di uccidere, saccheggiare, spogliare: il lavoro sporco non necessariamente deve farlo l’esercito. Meglio se la responsabilità è imputabile ad altri: i circassi, i curdi, gli ex carcerati…le milizie speciali. Il motore è dato dall’avidità (dei singoli e dello Stato) di appropriarsi dei beni degli armeni: beni privati ma anche spazi ed edifici collettivi come le scuole, le chiese. Inoltre donne, ragazze e bambini nella misura in cui possono essere usati/e abusati/e come servi/e come schiave…Emerge l’immagine di una rete di individui famelici presenti in modo diffuso sul territorio, che si avventa sulle prede armene, sui loro beni, sui loro indumenti, sulle loro monete nascoste nei corpi…Questa seconda componente della “macchia nera” era dominante nei massacri Hamidiani di fine ‘800.

Qui è l’inverso.

I gesti di ”resistenza”, se fisicamente non riescono a fermare l’onda sterminatrice – e a volte riescono solo a ritardarla, o a salvare dalla morte alcuni individui o gruppi di individui, a livello “secondario” non sono però perdenti se riescono a fare “resistenza” all’oblio e si trasformano in testimonianza e prova.

Testimonianza quando i gesti di resistenza riescono a non essere cancellati e di essi rimangono le tracce, quando contrastano la negazione. Questo avviene ad esempio attraverso la scrittura, la parola che può e riesce ad essere tramandata.

Pietro Kuciukian si sofferma in particolare sui gesti di due persone che – è da sottolineare – non sono turchi, ma in alcuni momenti della loro carriera professionale operano alle dipendenze e all’interno delle istituzioni turche. Uno è l’ufficiale circasso Hassan Amdja e l’altro è l’arabo beduino Fayez El Gossein, che è stato Kaimakam della regione di Karput.
Del primo si conosce in dettaglio come – su incarico di Gemal Pascià, che desiderava divenire “Sultano del Medio Oriente” – cercasse di adempiere con scrupolo ed efficienza al salvataggio e al trasferimento sulla costa del Mediterraneo di migliaia di armeni destinati ad un ‘orrenda fine” nei campi della regione di Hauran, e come venne ripetutamente contrastato non solo durante la sua opera – tanto da essere costretto a desistere – quanto anche nel raccontarla in una serie di articoli pubblicati nel 1919 su un quotidiano di Istanbul che suscitarono l’immediata opposizione e biasimo da parte dei lettori per aver parlato, per aver voluto raccontare … “in un momento (siamo nel 1919) in cui tutti tacciono (…) tu ti metti a spandere il fiele!”

L’altro episodio di chi “spande il fiele” è riferito a Fayez El Gossein, l’arabo – beduino che dopo aver prestato i propri servigi alle amministrazioni locali turche viene arrestato perché sospettato di tramare per l’indipendenza araba in un’area mediorientale (volendo sottrarla all’impero ottomano). Durante il trasferimento verso il luogo della sua prigionia e l’esilio a Diarbekir vede scene drammatiche e ascolta numerosi superstiti che gli trasmettono ogni genere di testimonianza, che riporterà in uno scritto che rappresenta uno dei primi documenti di memoria sul genocidio reso pubblico già nel 1916. Attorno a questo personaggio sicuramente singolare e attivo, Pietro Kuciukian costruisce una dei suoi eventi di resa omaggio e di riconoscenza a chi ha espresso solidarietà verso gli armeni. Le tappe di questi pellegrinaggi sono noti a chi conosce e ha letto i suoi libri: la ricerca della famiglia del giusto, la ricerca della sua tomba, l’incontro con i discendenti. In questo caso è l’ottantenne figlio di Fayez, con il proprio figlio e con il nipote. E infine il viaggio a Erevan per deporre sulla “collina delle rondini” qualche zolla di terra dell’Haurun.

L’ulteriore rilevanza di questi gesti è rappresentata dal loro valore di ”prova”: provano cioè che gli ordini di sterminio e di esproprio ci furono. E provano – cosa che a Pietro Kuciukian sta molto a cuore – che non tutti i sudditi ottomani approvarono e non tutti furono indifferenti a quanto vedevano.

Certamente però solo pochi ebbero il coraggio di far sentire la propria voce, il proprio dissenso, solo pochi pagarono il pesante prezzo di contrastare la follia, di non sottomettersi alla maggioranza silenziosa asservita che si sottrae all’evento, lo evita.

Agopik Manoukian, presidente onorario dell’Unione degli Armeni d’Italia

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La scrittrice armena a Casa Andreasi (Gazzetta di Mantova 22.05.17)

Oggi alle 17 a Casa Andreasi, in via Frattini 9 a Mantova, incontro sul tema “Antonia Arslan e l’Armenia”. Sarà ospite la scrittrice e saggista italiana di origine armena. Laureata in archeologia, è stata professore di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Padova. È autrice di saggi sulla narrativa popolare e d’appendice e sulla galassia delle scrittrici italiane (Dame, galline e regine. La scrittura femminile italiana fra ‘800 e ‘900), oltre che di romanzi. L’incontro, che è anche propedeutico al viaggio che l’Associazione per i monumenti domenicani si accinge a fare in Armenia, è aperto a tutti.

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Bilancio positivo per Mantova Poesia

Chiusura in bellezza per la terza edizione di “Mantova Poesia”. Ieri, ultima giornata del Festival organizzato da La Corte dei Poeti col sostegno del Comune, si sono registrati momenti di alta intensità lirica. In mattinata, alla sala Ovale dell’Accademia Virgiliana, oltre 5 minuti di applausi per Milo De Angelis e la Figura del padre nella poesia italiana del ‘900. Il percorso delineato dal poeta milanese ha catturato il pubblico, complice la splendida voce di Viviana Nicodemo che ha interpretato con passione poesie dei più grandi maestri del secolo scorso. Nel pomeriggio Antonia Arslan ha presentato, in anteprima assoluta, La penna e la spada (Ares), antologia dedicata a poeti e narratori armeni vittime del genocidio del 1915. Con l’autrice de La masseria delle allodole i curatori del volume: Suren Gregorio Zovighian e Hamazasp Kechichian che hanno coinvolto il pubblico alla Loggia del Grano dando testimonianza dell’indomita vitalità culturale del popolo armeno.
Sala della Colonna gremita per la lettura poetica di Donatella Bisutti cui è seguita in serata la proiezione, al Mignon, del film di Franco Piavoli Affettuosa presenza, dedicato al poeta Umberto Bellintani. Commovente il ricordo che il regista ha voluto tributare al poeta di Gorgo scomparso nel 1999.
Soddisfatti, dopo 4 intensi giorni di letture, convegni e partecipati incontri gli organizzatori del Festival. «Bilancio positivo – afferma il direttore artistico Stefano Iori -. La ricerca di qualità che ci ha impegnati da settembre ha dato buoni frutti. Un piacere, ma anche un onore, aver aperto il festival con la straordinaria presenza di Franco Loi che, alla vigilia degli 88 anni ha voluto essere dei nostri dando prova di una lucidità intellettuale inossidabile e di invidiabile vitalità creativa. L’edizione 2017 ha dato anche esiti duraturi. Abbiamo stampato due libri. Il primo Poesia, la vertigine della bellezza, con testi fra gli altri di Giorgio Bernardi Perini, recentemente scomparso, e di Valerio Magrelli, resterà a testimonianza dell’impegno degli autori che ci hanno accompagnato nell’avventura. Per il secondo, Antologia del Premio Nazionale di Poesia Terra di Virgilio è già prevista una ristampa”.

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Caucaso: al via tour delegazione Europarlamento in Azerbaigian, Georgia e Armenia (Agenzianova 22.05.17)

Baku, 22 mag 09:09 – (Agenzia Nova) – Una delegazione della commissione affari esteri dell’Europarlamento, guidata dal suo presidente David McAllister, inizia oggi un tour in Azerbaigian, Georgia e Armenia che si concluderà il 25 maggio. Durante il tour, la delegazione incontrerà i capi di stato dei singoli paesi, presidenti dei parlamenti, rappresentanti dei partiti di governo e di opposizione e della società civile. Gli otto membri del Parlamento europeo effettuano la visita per valutare il nuovo accordo di partenariato siglato fra Ue e Armenia, l’avanzamento dei negoziati per la nuova intesa fra Ue e Azerbaigian e l’approfondimento delle relazioni con la Georgia. Prima della visita McAllister ha dichiarato: “Io e miei colleghi siamo molto lieti dell’imminente visita in Azerbaigian, Georgia e Armenia. Questa è una regione di grande importanza per l’Unione europea e una controparte importante della nostra politica di Partenariato orientale. Noi condividiamo molti interessi, in particolare in termini di promozione della pace, della sicurezza e del commercio”. (segue) (Res)

Chi si ricorda del genocidio armeno? Eventi a Lecce (Lecceprima.it 20.05.17)

chi si ricorda del genocidio armeno? Eventi a Lecce

Sabato 27 maggio 2017 si terrà il convegno “Chi si ricorda del genocidio Armeno?” presso la sala “Pollio” della Chiesa di san Biagio a Galatina alle ore 19.00.

L’iniziativa, è promossa dal Centro Ecumenico Oikos “P. A. Lundin” in collaborazione con l’Ufficio per l’Ecumenismo e il dialogo dell’Arcidiocesi di Otranto. Per la rilevanza culturale, sociale ed educativa, l’iniziativa ha il Patrocinio del Comune di Galatina. Interventi: Saluto delle Autorità Rupen Timurian – Decano della Comunità Armena di Bari Kegham J. Boloyan – Presidente Centro Studi e Ricerche di Orientalistica Carlo Coppola – Presidente Centro Studi Hrand Nazariantz Cosma Cafueri – Direttore culturale Centro Studi Hrand Nazariantz Presiede don Pietro Mele Direttore ufficio Ecumenico dell’Arcidiocesi di Otranto. Medz Yeghern – “Il grande Crimine”.

Una tragedia iniziata con i pogrom del 1894-96 voluti dal Sultano Abdul Hamid II e da quelli del 1909 attuati dal governo dei Giovani Turchi e porterà all’eliminazione della comunità cristiana armena nel 1915 da parte degli ottomani. Una strage iniziata a causa dell’entrata in guerra della Turchia e che tra il 23 e il 24 aprile del 1915 portò all’arresto e all’uccisione dell’élite cristiana armena di Costantinopoli.

Molti furono i bambini islamizzati e le donne inviate negli harem. Lo sterminio e la deportazione di massa della popolazione cristiana dell’Armenia occidentale furono decisi dall’impero Ottomano a causa delle sconfitte subite all’inizio della prima guerra mondiale per opera dell’esercito russo, in cui militavano anche battaglioni di volontari armeni.

Dall’inizio del 1915, gli armeni maschi in età da servizio militare erano stati concentrati in “battaglioni di lavoro” dell’esercito turco e poi uccisi, mentre il resto della popolazione era stato deportato verso la regione di Deir ez Zor in Siria con delle marce della morte, che coinvolsero più di un milione di persone: centinaia di migliaia morirono per fame, malattia, sfinimento o furono massacrati lungo la strada.

Secondo lo storico polacco Raphael Lemkin (che ha coniato il termine genocidio) si è trattato del primo episodio in cui uno stato ha pianificato ed eseguito sistematicamente lo sterminio di un popolo. Il numero degli Armeni morti in questo massacro secondo gli storici è di circa due milioni. ll genocidio degli armeni può essere considerato il prototipo dei genocidi del XX secolo.

L’obiettivo era di risolvere alla radice la questione degli armeni, popolazione cristiana che guardava all’occidente. Il movente principale è da ricercarsi all’interno dell’ideologia panturchista, che ispira l’azione di governo dei Giovani Turchi, determinati a riformare lo Stato su una base nazionalista, e quindi sull’omogeneità etnica e religiosa. L’obiettivo degli ottomani era la cancellazione della comunità armena come soggetto storico, culturale e soprattutto politico.

Non secondaria fu la rapina dei beni e delle terre degli armeni. Sono ventidue i paesi che riconoscono ufficialmente il genocidio armeno, tra cui l’Italia. La Turchia, invece, continua a negare questo terribile fatto di sangue nonostante la mobilitazione internazionale e persino l’intervento di papa Francesco. I relatori, di grande levatura morale e culturale, presenteranno dati, informazioni e testimonianze di una storia che non può essere dimenticata e che ci appartiene come cristiani, ma che non può essere neppure disattesa da tutti coloro che, come cittadini, credono nei valori della “Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo” e sono aperti al dialogo interculturale. L’ingresso è libero. Rossella Schirone Presidente Centro Ecumenico Oikos

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