Turchia, «una messa all’anno in un luogo sacro non è motivo di vanto». Lastampa/Vaticaninsider

La scrittrice Arslan firma la prefazione di un volume sullo sterminio degli armeni. E giudica «cose di facciata» le promesse del governo turco sulla libertà religiosa

Luciano Zanardini
Roma

 

Il 24 aprile del 2015 ricorre il centenario del genocidio armeno che colpì 2 milioni di persone. A lungo taciuto, ancora oggi la Turchia non lo riconosce. Antonia Arslan è impegnata da anni, attraverso le sue pubblicazioni, a far conoscere il genocidio armeno, che fu programmato dall’alto e i cui metodi vennero ripresi su scala maggiore da Hitler. Del resto tedeschi e austriaci erano stati collaboratori dell’Impero ottomano.

 

Lo stesso Hitler nel 1939, programmando la strage degli ebrei arrivò a dire: «Noi possiamo fare quello che vogliamo. Chi si ricorda oggi dello sterminio degli armeni?». Proprio in queste settimane la Casa Editrice Giuntina ha ripubblicato un piccolo volume «Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno», curato da Fulvio Cortese e Francesco Berto, che ospita a commento delle quattro testimonianze la prefazione della Arslan: «Questo non è un romanzo: è una storia di armeni e di ebrei. Sono qui raccolte le parole, le descrizioni, le impressioni, il grido di dolore di alcuni degli ebrei che hanno seguito in prima persona il procedere del genocidio armeno e hanno vissuto da vicino quei mesi e quegli anni terribili, spesso in posizioni privilegiate di osservazione».

 

In marzo manda, invece, alle stampe, per Rizzoli, il terzo volume (il titolo è ancora da definire) della sua storia personale iniziata con «La masseria delle allodole (arrivata alla 32ª edizione)» e continuata con «La strada di Smirne». La scrittrice nel 2009 aveva vissuto l’esperienza del coma diventata poi un libro («Ishtar 2») che «ha commosso parecchia gente: non c’è romanzo, è una breve cronaca di cosa succede quando ci si risveglia; la malattia da un lato ti fa apprezzare la vita e poi ti rende emotivamente più sensibile. Ho avuto un periodo di disperazione, ma il risveglio dal coma mi ha ridato allegria, perché è allegro tornare alla vita». Nella sua vita la fede ha giocato un ruolo decisivo, quella fede troppo spesso osteggiata dai governi autoritari.

 

Dal 23 al 25 aprile la Turchia ha organizzato una grande rivisitazione della battaglia di Gallipoli, invitando i capi di Stato di tutto il mondo. «È senza dubbio per distogliere l’attenzione dallo sterminio armeno. Non è soltanto una questione di un gruppo di persone che si riuniscono per commemorare… Dobbiamo, comunque, imparare dalla storia. Il cammino dell’essere umano è tutto un movimento; è importante tenere presente quello che è successo proprio per evitare che si possa ripetere. La frase che ripetiamo spesso “perché non succeda mai più” non è, purtroppo, vera. Le grandi potenze sono cieche, non comprendono che certi interventismi inutili o un certo voltarsi dall’altra parte facendo finta di nulla si rivolta contro di loro…».

 

Erdogan ha promesso nuovamente anche la costruzione di una chiesa per la comunità siriaca. «Se ne vantano, ma sono cose di facciata. Il governo turco ha permesso, per esempio, che dopo quasi 100 anni si celebri una messa una volta all’anno nel monastero di Sumela vicino a Trebisonda (è un grande monastero greco di una bellezza sconvolgente) e una messa all’anno nella grande chiesa armena dell’ottavo secolo ad Asmar sul lago di Van. Concedere una messa all’anno in un luogo sacro non mi sembra motivo di grande vanto. Per carità, se guardiamo il bicchiere è mezzo pieno, quindi è meglio che succeda, non ne farei però una medaglia per dire “quanto sono democratici”».

Massacri, stupri e odio Il genocidio degli armeni così feroce e così attuale Il Giornale

Nel 1915 iniziò in Turchia una pulizia etnica che anticipò la Shoah In nome della Guerra santa un intero popolo venne costretto all’esodo.

 

Quando nonno Yerwant raccontava della sua lontana infanzia nell’Armenia anatolica, ogni cosa acquistava il colore di un quieto idillio pastorale. C’erano valli ubertose e ruscelli mormoranti, pianure e villaggi montani, e c’era la Masseria delle Allodole, dove lui, il figlio maggiore, correva libero per campi e frutteti, e rubava con l’amico Ovhannes i giganteschi meloni con una carriola.

 

C’era la sua mamma Iskuhì dalle gote di pesca, così giovane, quasi bambina, che lo abbracciava stretto e poi giocava con lui. Le storie del Paese Perduto. Quante volte le ripetevano gli armeni sopravvissuti al Metz Yeghérn (Il Grande Male), il genocidio del 1915, sparsi dappertutto per il vasto mondo, quanti particolari raccontavano sui parenti scomparsi nel ferro e nel fuoco, sulle piccole memorie di piccoli eventi vicini al loro cuore di bambini strappati al nido e a ogni caldo conforto! E come era irrimediabile la loro profonda malinconia: sapevano che non c’era rimedio possibile, che per loro non si sarebbe mai potuto parlare di ritorno, e che lo shock dell’abbandono e della solitudine non si sarebbe mai cancellato. E sapevano che, se parlavano, non li ascoltava nessuno…

Un popolo in diaspora, che in quella terribile estate del 1915 venne scacciato per sempre – attraverso la morte o l’esilio – dalle sue terre ancestrali: e non a causa di terribili eventi naturali, ma per la funesta volontà politica del triumvirato che controllava l’impero Ottomano, e che aveva deciso di farla finita con le minoranze. Una storia ben nota all’epoca, di cui tutta la stampa (anche quella italiana!) parlò abbondantemente. Sui giornali del 1915-16 si trovano infatti moltissime notizie sui massacri armeni: si pubblicavano corrispondenze e rapporti di consoli, mercanti, viaggiatori che in quel momento si trovavano all’interno dell’impero e che avevano assistito impotenti agli orrori e potuto misurare di persona l’estensione e la violenza degli avvenimenti. Giacomo Gorrini, console italiano a Trebisonda, concesse al Messaggero di Roma un’intervista lucida e appassionata che resta ancor oggi come uno dei più documentati rapporti sull’eliminazione degli armeni dal grande porto sul Mar Nero: le barche cariche di gente fatte colare a picco, gli uomini e i ragazzi finiti a colpi di accetta; e poi stupri, rapimenti delle giovani donne, schiavitù dei bambini.

Ma perché la strage degli armeni è considerata il primo genocidio del Ventesimo secolo? Che cosa lega questa tragedia, avvenuta durante la Prima guerra mondiale, alla Shoah ebraica durante la Seconda? Quali sono le somiglianze fra Hitler e i tre massacratori degli armeni, i ministri Talaat, Enver, Djemal? Il genocidio degli armeni fu uno dei frutti avvelenati del nazionalismo ottocentesco, attecchito nell’impero Ottomano (sotto le mentite spoglie di una lotta ai vecchi costumi e alla corruzione del governo dei Sultani) col colpo di Stato del 1908, che portò al governo il partito dei Giovani turchi. Una specie di «primavera ottomana» riscaldò in quel periodo i cuori dei giovani delle minoranze, ma la ventata democratica durò assai poco, e gli armeni e i greci che – illusi – avevano marciato insieme ai Giovani turchi dovettero ben presto riconoscere che il sogno di una nuova nazione escludeva proprio loro, classificandoli come minoranze riottose di cui diffidare.

Una teoria ideologica a sostegno della preminenza dei «turchi di sangue» fu elaborata (come ha riportato alla luce lo storico turco Taner Akcam); una sistematica opera di de-umanizzazione e di pulizia etnica fu lanciata, ma per poter operare fino in fondo con successo (e per coinvolgere la popolazione turca, chiamandola anche alla guerra di religione contro gli armeni cristiani) ci voleva l’occasione adatta: fu il conflitto mondiale.

Agosto 1914: tuonano i cannoni d’agosto, come si disse allora. L’intera Europa si precipita a cuor leggero nell’immensa strage della Grande guerra. Novembre 1914: l’impero Ottomano entra in guerra a fianco degli imperi Centrali, Germania e Austria-Ungheria. Il principale artefice di questa scelta turca fu proprio Enver, modesto stratega dall’io fuori misura; ma oltre a tentare un’offensiva sul fronte russo, dove venne ingloriosamente sconfitto, si sentì le mani libere per affrontare la cosiddetta «questione armena». Gli armeni divennero il capro espiatorio ideale, una personale ossessione. E qui si vedono i motivi per chiamare questa tragedia genocidio. Fu uno sterminio preparato a freddo, organizzato, totale, che aveva come bersaglio un popolo intero, senza fare differenze fra uomini, donne, vecchi, bambini: lo scopo era l’eliminazione di un gruppo etnico dalla sua patria ancestrale, e fu raggiunto. Circa i tre quarti del popolo armeno in Turchia scomparve, nei mille modi dell’orrore: gli uomini subito uccisi, le donne avviate alla morte lenta della deportazione nel deserto. Furono usati vagoni piombati, primitive camere a gas, eliminazioni collettive: le tecniche usate per l’annientamento degli armeni divennero un modello che sarà ripetuto nel corso del Novecento, prima di tutto contro gli ebrei.

L’affinità fra armeni ed ebrei è apparsa sempre più evidente negli ultimi anni, in documenti e testimonianze uscite da archivi, biblioteche, corrispondenze private, da cui emergono agghiaccianti parallelismi nella sistematicità e nella ritualità delle esecuzioni, e anche nella spietata efficienza dei carnefici. Non c’è davvero nulla di nuovo sotto il sole. Provocando brividi di orrore, oggi la televisione esibisce immagini di decapitazioni di ostaggi, che seguono un preciso percorso rituale. Ma nel Dna degli armeni sono incise analoghe, terribili foto risalenti a cent’anni fa, e anche di più: teste tagliate di intellettuali, sgocciolate dal sangue, venivano esposte davanti al fotografo con garbo e un pizzico di soddisfatto orgoglio, come monito e segno di disprezzo verso i deboli appartenenti a un volgo sconfitto. Questa è l’ombra lunga del 1915, la profondità dell’abisso del male da cui ogni tanto ci illudiamo ingenuamente di essere usciti: eppure la scelta umile e coraggiosa della vita è sempre possibile, come la tenace diaspora armena ha dimostrato.

 

Libri

A marzo esce il nuovo libro di Antonia Arslan Il rumore delle perle di legno (Rizzoli) che conclude la trilogia iniziata con La masseria delle allodole (Rizzoli, 2004) e proseguita con La strada di Smirne (Rizzoli, 2007)

Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno a cura di Francesco Berti e Fulvio Cortese (Giuntina)

Cancellare un popolo. Immagini e documenti del genocidio armen o di Benedetta Guerzoni (Mimesis, 2013)

Convegno

The Armenian Genocid e 1915-2015 , convegno internazionale presso l’Università di Padova, 11-12 marzo

Il violoncello di Narek Hakhnazaryan ambasciatore culturale dell’Armenia. Voce d’Italia

Una splendida realta’ dal grande futuro

Successo per il concerto alla Iuc con la pianista Oxana Shevechenko

 

Martedì 3 febbraio 2015 la stagione  dell’ Istituzione Universitaria dei Concerti di Roma aveva in programma un concerto affidato al nuovo astro della musica, il violoncellista, Narek Hakhnazaryan accompagnato dalla pianista kazaka Oxana Shevechenko.

E’ stato un concerto di grande interesse non solo per motivi strettamente musicali, dei quali parleremo dopo, ma anche per motivi storico-sociali.

Il bravo violoncellista Narek Hakhnazaryan, di origini armene, è stato scelto dal proprio paese come ambasciatore ‘culturale’ per porre all’attenzione del mondo quella che è stata una delle tragedie del suo popolo, il cosidetto Genocidio degli Armeni perpetrato nel 1915 dai turchi verso gli armeni dell’Anatolia e del resto dell’Impero Ottomano,  forse il primo esempio dell’epoca moderna di sistematica soppressione di una minoranza etnico-religiosa.

Una campagna di eliminazione di massa che non scaturì soltanto dall’ideologia, chiaramente razzista, del Partito dei Giovani Turchi, ma che ebbe origine già nell’800 a causa di quelle contrapposizioni religiose tra i mussulmani ottomani e curdi e la minoranza cristiana armena.

La notte tra il 23 e 24 aprile del 1915 iniziarono i primi arresti e le prime repressioni degli armeni, un’operazione di distruzione sistematica che lasciò più di un milione di vittime; un fatto poco conosciuto che l’ambasciatore di Armenia a Roma, Sargis Ghazaryan, ha voluto ricordare prima del concerto, soprattutto quest’anno, quando il 24 aprile si celebrerà il centenario di questi tristi avvenimenti che, per essere posti all’attenzione del mondo, è stato scelto come vettore culturale proprio Narek Hakhnazaryan, l’artista più illustre di questa nazione.

Ora veniamo alla musica. Innanzi tutto gli esecutori. Narek Hakhnazaryan è giovanissimo, classe 1988, ed è balzato all’attenzione del mondo musicale per aver vinto nel 2011 il Primo Premio e la Medaglia d’Oro al XIV Concorso Internazionale Caikovskij un prestigioso riconoscimento che gli ha spalancato le porte delle sale da concerto più famose del mondo.

La pianista kazaka Oxana Shevechenko ha una storia analoga perché, sempre nel 2011 e nello concorso è risultata Miglior Pianista Accompagnatore, suonando proprio con lo stesso Hakhnazaryan.

All’Aula Magna dell’Università la Sapienza si è, quindi, ricomposto questo speciale ‘duo’ che si è cimentato in un programma di estremo interesse che metteva in contrapposizione grandi capolavori, per violoncello e pianoforte, dell’800 e del ‘900; nella prima parte l’ Adagio e Allegro op. 70 di Schumann, la grande Sonata n. 5 in re maggiore op. 102 n. 2 di Beethoven e l’ Introduzione e Polacca Brillante in do maggiore op. 3 di Chopin. Nella seconda parte la Sonata n. 1 in re minore di Debussy e la Suite Italienne di Stravinskij.

Narek Hakhnazaryan ha fornito una prova ‘gigantesca’ in quanto a calore ed espressività del suono del violoncello percepito da noi ascoltatori in modo assolutamente emozionante, per la strepitosa cantabilità che il violoncellista ha impresso a tutta l’esecuzione esaltando le palpitazioni romantiche dell’Adagio di Schumann e la giocosità della trascinate Polacca chopiniana così come la mestizia di quei sentimenti di morte che caratterizzano la prima sonata di Debussy e lo strepitoso , quasi magico e coinvolgente, senso del ritmo della tarantella della suite di Stravinskij.

Oxana Shevechenko è stata l’accompagnatrice ideale di questa nuova stella che, ne siamo certi, illuminerà la musica nel terzo millennio, confermando tutti i pregi del loro sodalizio artistico che parte da quel 2011 e che ha trovato splendida realizzazione nella Sonata n. 5 di Beethoven, riuscendo ad esaltare le caratteristiche strutturali che il compositore ha impresso a questo capolavoro, dove i due strumenti dialogano alla ‘pari’ donando al violoncello lo spunto per estrinsecare tutte le sue potenzialità espressive che si materializzano nel movimento centrale Adagio con molto sentimento d’affetto che è stato uno dei vertici esecutivi di tutta la serata.

Il pubblico si entusiasmato all’ascolto di questo meraviglioso concerto, applaudendo a lungo i due giovanissimi interpeti cha hanno ringraziato con tre bis di grande rilievo, le vistusistiche Variazioni siu un tema di Rossini di Niccolò Paganini, una delicata ninna nanna di Aram Kachaturjan e Vocalise di Sergeij Rachmaninoff adattada per violoncello e pianoforte dalla stessa Shevechenko.

Claudio Listanti
claudio.listanti@voceditalia.it

Chi si ricorda oggi dello sterminio degli Armeni? Huffingtonpost.it

Il primo gesto del nuovo presidente della Repubblica appena eletto è stato quello di recarsi al Mausoleo delle Fosse Ardeatine, per rendere omaggio alla vittime della feroce barbarie nazifascista, a Roma.

D’altra parte solo qualche giorno fa, il 27 Gennaio, è stata celebrata la Giornata della Memoria per ricordare la liberazione dei campi di concentramento, e più in generale per condividere una memoria “storica” della strage operata dai nazisti contro il popolo ebraico. La Shoah. Il genocidio.

È risaputo che la descrizione del reato di genocidio sancita dal giurista ebreo polacco Raphael Lemkin è fondata sulle dinamiche stesse del genocidio armeno.

“Chi si ricorda oggi dello sterminio degli Armeni?”, chiese Hitler ai suoi ufficiali per spingerli alla soluzione finale della questione ebraica.
C’è una grande ignoranza in effetti riguardo allo sterminio del popolo armeno, di cui, quest’anno, si celebra il centenario. 1915-2015.
Il 24 Aprile è il giorno stabilito per la celebrazione, in ricordo della strage della intellighenzia armena, avvenuta proprio il 24 Aprile del 1915. Strage ad opera delle milizie paramilitari, sotto la diretta responsabilità dei Giovani Turchi.
“Medz Yeghern”, in armeno. Il Grande Male.
Genocidio.
“…singolare composizione di un etimo greco con uno latino. Si sarebbe dovuto dire “genicidio”, ma la parola era efficace e fu adottata”, leggo da uno stralcio della relazione del professor Vassalli, tenuta a Palazzo Valentini, a Roma il 3 maggio 2000 in occasione della tavola rotonda XX secolo: genocidio e genocidi.

Della questione armena e della Armenia si sa poco. I confini stabiliti nel 1991: a Ovest con la Turchia, a Est con l’Azerbaijan, a Sud una piccola striscia di confine con l’Iran.
Un punto nevralgico della politica medio-orientale attuale.
Dell’Armenia studiamo poco.
Forse più per assonanza che per vera consapevolezza, penso alla via degli artigiani napoletani dei presepi. Oppure alla bella chiesa armena di San Nicola da Tolentino, nel centro di Roma, proprio tra via XX settembre e piazza Barberini.

Tempo fa alla presentazione di un bel libro di fotografie Hotel Rebibbia, scatti realizzati all’interno della casa di reclusione da un amico fotografo, ho conosciuto un armeno.
Il primo, credo.
È un signore sulla sessantina, ben curato, capelli brizzolati, naso adunco, le mani forti nella stretta. Educato.
Mi raccontò di essere un ex detenuto. Aveva scontato una lunga condanna per reati legati perlopiù alla sua attività politica. È stato un militante dell’Asala, Armata segreta armena per la liberazione dell’Armenia. Anarchici e socialisti, si sono battuti, sanguinosamente anche, per il riconoscimento del genocidio degli Armeni e il conseguente risarcimento per le vittime delle stragi e della confisca dei beni.
Questa rivendicazione ora si sposta su un piano giuridico, al fine di tentare di ottenere il risarcimento da parte della Turchia e della Comunità europea.
Ci scambiammo i rispettivi contatti, con la promessa di risentirci e approfondire l’argomento.

Quando gli ho telefonato, è stato cordiale e contento di scambiare opinioni su un tema per lui così sentito.
L’appuntamento è in centro, davanti ad una delle più grandi librerie della città.
È un po’ in ritardo, ma quando esce dalla libreria mi mostra con un certo orgoglio il libro della sua relatrice di laurea, la professoressa Donatella Di Cesare, Se Auschwitz è nulla. Contro il negazionismo.
Si è laureato in filosofia, con una tesi in filosofia del linguaggio.
In realtà nei lunghi anni di detenzione si è laureato in Architettura, e solo dopo si è laureato anche in Filosofia.
Ha avuto molto tempo a disposizione e tanta volontà.
Discutiamo un po’ di Heidegger, da punti di vista divergenti, dopo esserci salutati, mentre attraversiamo il ghetto ebraico diretti alla terrazza del Campidoglio.
C’è un bel sole ad illuminare i pochi tavoli sulla grande terrazza che si apre sul ghetto.
Dopo un paio di caffè, dopo aver saggiato la mia ignoranza riguardo alla questione armena, tira fuori dalla borsa che si porta dietro del materiale cartaceo che sospettava potesse servirmi.
Trascorriamo due ore a leggere le carte per avere intanto una idea, e quando ci salutiamo la promessa è di rivederci presto, con più coscienza e conoscenza della questione del primo genocidio del ‘900.

A casa, cerco un documentario a cui ha accennato I figli dell’Ararat, realizzato da Piero Marrazzo, giornalista Rai.
Scopro che Aznavour è armeno. Il nome originario è Aznavourian.
È intervistato anche il mio amico, qualche anno fa, più giovane più sveglio. Ma anche rinchiuso tra le mura gli odori i rumori del carcere di Rebibbia.
È stato giudicato per i suoi reati ed ha scontato la sua condanna. Io non lo giudico.
Cerco semplicemente di ascoltare ciò che ha da dire. Anche solo per imparare ciò che non so: le sue ragioni.

C’è un testo molto chiaro e semplice della professoressa Maria Immacolata Macioti Il genocidio armeno nella storia e nella memoria. È una prima lettura necessaria.
Sfogliando i documenti che mi ha fornito, ciò che per primo risulta è il parallelismo tra il genocidio ebraico e quello armeno. Entrambi possono essere definiti “modelli di genocidio” dell’epoca moderna, del secolo breve. Nonostante questo, però, è necessario anche scorgere le caratteristiche proprie di ognuno.
Innanzitutto gli Ebrei a differenza degli Armeni, in quanto accusati di deicidio, hanno patito, già prima dello sterminio, una più marcata esclusione sociale.

Altra sostanziale differenza, che è messa in luce, è che gli Ebrei vivevano in territori diversi in Germania e nel resto d’Europa, mentre gli Armeni popolavano la loro terra tra la Cilicia e l’Anatolia.
Pertanto se si è tentato di sterminare gli Ebrei a livello mondiale, gli Armeni sono stati sterminati “solo” sulle loro terre di origine.

Terre che dopo la scomparsa quasi totale del popolo che le coltivava, sono state confiscate.
Queste nuove conoscenze fanno barcollare un certo “tono” tutto occidentale di certezza e di sapere.
Quando rivedo il mio “amico”, mi racconta pezzi della sua storia a sprazzi. Armeno di terza generazione. In Armenia ancora non c’è mai stato. I suoi nonni sono riusciti a sfuggire allo sterminio e a fuggire in Libia dove lui è nato. Si è poi trasferito in Italia con una parte della sua famiglia.

La condizione di esilio e spesso di povertà che subisce una popolazione costretta alla diaspora verso altri paesi (gli armeni verso Usa, Medio-Oriente e Russia, Europa) è solo uno dei crimini contro l’umanità che rivendica la giusta attenzione al fine di rompere quel silenzio “complice”.

“Il silenzio, ‘in quanto negazione’ è l’ultimo atto di un genocidio”, c’è scritto negli atti della Commissione parlamentare della Camera dei deputati.
“(…) in altri termini è quell’atto (il silenzio) che rende il crimine del genocidio, un crimine perfetto”.

La Turchia ha sempre posto in atto questa strategia del silenzio, negazionista. Nel corso degli anni ha tentato non solo di negare ogni responsabilità diretta o indiretta del genocidio, ma ha anche ostacolato il riconoscimento del genocidio da parte dell’Onu.
Ha negato l’apertura degli archivi affinché non potessero emergere le responsabilità relative al genocidio e alla sua pianificazione da parte del Comitato unione e progresso, Ittihad Ve Terraki.

A questo proposito, le dichiarazioni del premier Erdogan dello scorso aprile sono sembrate una reale svolta ai fini della riparazione del danno compiuto dalle unità paramilitari.
Erdogan, ed era la prima volta da parte di un primo ministro turco, ha presentato le condoglianze della Turchia ai discendenti degli Armeni sterminati intorno al 1915.
L’Italia e altri venti paesi oltre al Parlamento europeo, il Consiglio d’Europa e la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite, definisce “genocidio” la strage perpetuata contro il popolo armeno.

Il prossimo 24 aprile pertanto può essere anche l’occasione per tentare di trasmettere ancora alle giovani generazioni il ripudio dell’odio razziale e la ricchezza dei rapporti tra popoli, civiltà e culture differenti.

In Italia, con una risoluzione della VII Commissione, dello scorso Luglio, si è impegnato il Governo “ad avvivarsi per far sì che nelle scuole di ogni ordine e grado durante l’anno scolastico 2014/2015 si promuova la conoscenza e lo studio del genocidio del popolo armeno, attraverso testimonianze e lezioni (…) favorendo la diffusione della cultura della pace e della concordia tra i popoli, nel rispetto delle differenti identità religiose e culturali”.

EUROPA/ARMENIA – Le vittime del Genocidio saranno proclamate sante dalla Chiesa armena apostolica il 23 aprile. Agenzia Fides

Erevan (Agenzia Fides) – La Chiesa armena apostolica si appresta a riconoscere la santità delle vittime del Genocidio armeno con una liturgia solenne, in programma il prossimo 23 aprile presso la Sede patriarcale del Catholicosato di Echmiadzin, retto dal Patriarca Karekin II. Lo ha annunciato, a nome del Patriarca, il Vescovo Bagrat Galstanyan, in una conferenza stampa svoltasi il 3 febbraio presso la Sede patriarcale. “La Chiesa armena – ha sottolineato il Patriarca Karekin in una dichiarazione diffusa per l’occasione e pervenuta all’Agenzia Fides – non santifica. Essa riconosce la santità dei santi che è già riconosciuta dal popolo, e che è stata attestata con evidenza. La Chiesa riconosce solo quello che è accaduto, riconosce il Genocidio”.
La decisione di riconoscere come Santi le vittime del Genocidio era già stata presa dalla Chiesa armena apostolica nel settembre 2013, nell’incontro presso la sede patriarcale di Echmiadzin, a cui per la prima volta dopo sei secoli avevano preso parte tutti i Vescovi armeni apostolici, sia quelli che fanno capo direttamente al Catholicosato di Echmiadzin, sia quelli legati al Catolichosato della grande Casa di Cilicia (retto dal Catholicos Aram I, con sede in Libano). Nella liturgia del prossimo 23 aprile il salmo “martiri di Aprile”, composto dal defunto Vescovo Zareh Aznavourian, verrà utilizzato come salmo per la canonizzazione. Alla celebrazione parteciperanno i capi delle Chiese sorelle orientali e le delegazioni di altre Chiese. La liturgia inizierà alle 16 per concludersi simbolicamente alle 19,15 in punto, nel minuto in cui sugli orologi digitali compare la successione di numeri corrispondente all’anno in cui fu perpetrato il Genocidio armeno. (GV) (Agenzia Fides 4/2/2015)


Il 23 aprile Sante per la Chiesa armena le vittime del Genocidio. Avvenire 4 febbraio 2015

La Chiesa armena apostolica si appresta a riconoscere la santità delle vittime del Genocidio armeno con una liturgia solenne, in programma il prossimo 23 aprile presso la Sede patriarcale del Catholicosato di Echmiadzin, retto dal Patriarca Karekin II.

Lo ha annunciato, a nome del Patriarca, il Vescovo Bagrat Galstanyan, in una conferenza stampa svoltasi il 3 febbraio presso la Sede patriarcale. “La Chiesa armena – ha sottolineato il Patriarca Karekin in una dichiarazione diffusa per l’occasione e pervenuta all’Agenzia Fides – non santifica. Essa riconosce la santità dei santi che è già riconosciuta dal popolo, e che è stata attestata con evidenza. La Chiesa riconosce solo quello che è accaduto, riconosce il Genocidio”.

La decisione di riconoscere come Santi le vittime del Genocidio era già stata presa dalla Chiesa armena apostolica nel settembre 2013, nell’incontro presso la sede patriarcale di Echmiadzin, a cui per la prima volta dopo sei secoli avevano preso parte tutti i Vescovi armeni apostolici, sia quelli che fanno capo direttamente al Catholicosato di Echmiadzin, sia quelli legati al Catolichosato della grande Casa di Cilicia (retto dal Catholicos Aram I, con sede in Libano).

Nella liturgia del prossimo 23 aprile il salmo “martiri di Aprile”, composto dal defunto vescovo Zareh Aznavourian, verrà utilizzato come salmo per la canonizzazione. Alla celebrazione parteciperanno i capi delle Chiese sorelle orientali e le delegazioni di altre Chiese. La liturgia inizierà alle 16 per concludersi simbolicamente alle 19,15 in punto, nel minuto in cui sugli orologi digitali compare la successione di numeri corrispondente all’anno in cui fu perpetrato il Genocidio armeno.


Armenia, la Chiesa apostolica: saranno sante le vittime del genocidio

Lo riferisce la Fides. La canonizzazione è stata fissata al 23 aprile

redazione (vatican insider)
La Chiesa armena apostolica si appresta a riconoscere la santità delle vittime del genocidio armeno con una liturgia solenne, in programma il prossimo 23 aprile presso la sede patriarcale del Catholicosato di Echmiadzin, retto dal patriarca Karekin II. Lo ha annunciato, a nome del Patriarca, il vescovo Bagrat Galstanyan, in una conferenza stampa svoltasi presso la Sede patriarcale. Lo riferisce l’agenzia vaticana Fides.

«La Chiesa armena – ha sottolineato il patriarca Karekin in una dichiarazione diffusa per l’occasione – non santifica. Essa riconosce la santità dei santi che è già riconosciuta dal popolo, e che è stata attestata con evidenza. La Chiesa riconosce solo quello che è accaduto, riconosce il genocidio».

La decisione di riconoscere come santi le vittime del genocidio, di cui quest’anno ricorre il centenario, era già stata presa dalla Chiesa armena apostolica nel settembre 2013, nell’incontro presso la sede patriarcale di Echmiadzin, a cui per la prima volta dopo sei secoli avevano preso parte tutti i vescovi armeni apostolici, sia quelli che fanno capo direttamente al Catholicosato di Echmiadzin, sia quelli legati al Catolichosato della grande Casa di Cilicia  (retto dal catholicos Aram I, con sede in Libano).

Nella liturgia del prossimo 23 aprile il salmo «martiri di Aprile», composto dal defunto vescovo Zareh Aznavourian, verrà utilizzato come salmo per la canonizzazione. Alla celebrazione parteciperanno i capi delle Chiese sorelle orientali e le delegazioni di altre Chiese. La liturgia inizierà alle 16 per concludersi simbolicamente alle 19,15 in punto, nel minuto in cui sugli orologi digitali compare la successione di numeri corrispondente all’anno in cui fu perpetrato il genocidio armeno.

Aprirà alla Biennale di Venezia un padiglione dedicato all’evento ”Armenity. Artisti contemporanei della diaspora armena” , tra arte, ethos e memoria. Lbreriamo.it e altri

http://www.libreriamo.it/a/10654/aprira-alla-biennale-di-venezia-un-padiglione-dedicato-allevento-armenity-artisti-contemporanei-della-diaspora-armena–tra-arte-ethos-e-memoria.aspx

 

Verrà inaugurata mercoledì 6 maggio la mostra “Armenity. Artisti contemporanei della diaspora armena” curata da Adelina von Furstenberg nel Padiglione Armeno alla prossima Biennale di Venezia.
MILANO – In quest’anno simbolico, 2015, il Ministero della Cultura della Repubblica dell’Armenia dedica il suo Padiglione partecipante alla 56. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia agli artisti della diaspora armena, collocato per l’occasione al Monastero Mekhitarista dell’Isola di San Lazzaro degli Armeni e servito da vaporetti pomeridiani con partenza dai Giardini. L’evento è organizzato sotto la supervisione di Adelina Cüberyan v. Fürstenberg, curatrice indipendente svizzera d’origine armena, di fama internazionale, esperta nel campo dell’arte contemporanea e nota come una pioniere dell’approfondimento dell’approccio multiculturale dell’arte contemporanea.

 

L’EVENTO – Il concetto curatoriale di ‘’Armenity’’ (dalla parola francese Arménité, potrebbe essere considerata una specificità dei nipoti dei sopravvissuti del genocidio armeno, un senso moderno e spesso soggettivo dell’”esser-ci” heideggeriano, in un flusso continuo, con una grande diversità nell’auto-definizione), rafforza la nozione di dislocamento e di territorio, di giustizia e di riconciliazione, di ethos e di resilienza cosi, indipendentemente dal loro luogo di nascita, ciascuno degli artisti parte di questo progetto porta con sé la memoria, l’identità e la verità delle sue origini.

 

GLI ARTISTI – Un’adunata “transnazionale” sotto l’insegna di un’identità frammentata e dispersa, ricostruita e rinnovata con il talento di questi artisti, nipoti di coloro che sono sfuggiti al Genocidio Armeno nel 1915, il primo del XX secolo. Il loro radicato interesse nei confronti dell’identità e della memoria si sovrappone sapientemente alle nozioni di territorio, confine e geografia. Che siano nati a Beirut, Lione, Los Angeles o al Cairo e ovunque essi vivano, questi cittadini globali mettono costantemente in discussione e reinventano la loro armenità. Tra loro Haig Aivazian, Nigol Bezjian, Anna Boghiguian, Hera Büyüktaşçıyan, Silvina Der-Meguerditchian, Rene Gabri & Ayreen Anastas, Mekhitar Garabedian, Aikaterini Gegisian, Yervant Gianikian & Angela Ricci Lucchi, Aram Jibilian, Nina Katchadourian, Melik Ohanian, Mikayel Ohanjanyan, Rosana Palazyan, Sarkis e Hrair Sarkissian.

 

IL LUOGO – ‘’Armenity’’si terrà sull’Isola di San Lazzaro degli Armeni, situata tra San Marco e il Lido, di fronte ai Giardini della Biennale. L’isola è il luogo dove il monaco armeno Mekhitar nel 1717 stabilì la sede della Congregazione Mechitarista e dove, in seguito, Lord Byron studiò la lingua armena. L’emblematico monastero di San Lazzaro, con i suoi giardini, l’antica tipografia, il chiostro e la preziosa biblioteca di manoscritti, ha contribuito a preservare uno dei patrimoni più importanti della cultura armena, gran parte del quale altrimenti sarebbe andato perduto.

 

IL CATALOGO – Pubblicato da Skira, il catalogo presenterà riproduzioni a colori e testi in inglese e armeno. Prefazioni, introduzione e testo curatoriale saranno seguiti da pagine dedicate a ciascuno degli artisti, con testi degli artisti stessi, o saggi di critici d’arte e autori (Ruben Arevshatyan, Cecile Bourne, Ginevra Bria, Adam Budak, David Kazanjian, Berthold Reiss, Gabi Scardi, Hrag Vartanian) e altre pagine con le immagini, disegni e collages delle opere. La terza parte del catalogo conterrà saggi della storica d’arte e curatrice indipendente con base a New York, Neery Melkonian, e di Stephanie Bailey, scrittrice d’arte e editor di Ibraaz di Londra. In calce al volume vi sarà una sezione contenente le traduzioni in armeno di tutti i testi.
Oltre al catalogo, sarà pubblicato un libro di poesie composto di una selezione di poemi di 12 poeti armeni nati dopo il genocidio armeno e la rivoluzione russa e tradotto in francese dal poeta svizzero-armeno Vahé Godel. Il libro comprenderà un saggio dell’autore e una selezione di traduzioni armene delle poesie.

 

Nel contesto di Armenity, verrano presentati all’Anfiteatro dell’Arsenale dal 5 all’11 settembre una serie di performance, dibattiti e video proiezioni di artisti, poeti e registi indipendenti originari dell’Asia Minore.

 


 

http://www.artslife.com/2015/02/02/armenity-il-padiglione-armeno-alla-56-biennale-di-venezia/

 

Armenity, il padiglione armeno alla 56^ Biennale di Venezia

Armenity, Biennale di Venezia 2015. Il Ministero della Cultura della Repubblica dell’Armenia dedica il suo Padiglione partecipante alla 56. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia agli artisti della diaspora armena e lo colloca per l’occasione al Monastero Mekhitarista dell’Isola di San Lazzaro degli Armeni e servito da vaporetti pomeridiani con partenza dai Giardini.

 

Il concetto curatoriale di Armenity  rafforza la nozione di dislocamento e di territorio, di giustizia e di riconciliazione, indipendentemente dal loro luogo di nascita, ciascuno degli artisti parte di questo progetto porta con sé la memoria, l’identità e la verità delle sue origini. Un’adunata “transnazionale” sotto l’insegna di un’identità frammentata e dispersa, ricostruita e rinnovata con il talento di questi artisti, nipoti di coloro che sono sfuggiti al Genocidio Armeno nel 1915,  il primo del XX secolo. Il loro radicato interesse nei confronti dell’identità e della memoria si sovrappone sapientemente alle nozioni di territorio, confine e geografia. Che siano nati a Beirut, Lione, Los Angeles o al Cairo e ovunque essi vivano, questi cittadini globali mettono costantemente in discussione e reinventano la loro armenità.

 

Armenity si terrà sull’Isola di San Lazzaro degli Armeni, situata tra San Marco e il Lido, di fronte ai Giardini della Biennale. L’isola è il luogo dove il monaco armeno Mekhitar nel 1717 stabilì la sede della Congregazione Mechitarista e dove, in seguito, Lord Byron studiò la lingua armena. L’emblematico monastero di San Lazzaro, con i suoi giardini, l’antica tipografia, il chiostro e la preziosa biblioteca di manoscritti, ha contribuito a preservare uno dei patrimoni più importanti della cultura armena, gran parte del quale altrimenti sarebbe andato perduto.

Il catalogo pubblicato da Skira presenterà riproduzioni a colori e testi in inglese e armeno. Prefazioni, introduzione e testo curatorialesaranno seguiti da pagine dedicate a ciascuno degli artisti, con testi degli artisti stessi, o saggi di critici d’arte e autori (Ruben Arevshatyan, Cecile Bourne, Ginevra Bria, Adam Budak, David Kazanjian, Berthold Reiss, Gabi Scardi, Hrag Vartanian) e altre pagine con le immagini, disegni e collages delle opere. La terza parte del catalogo conterrà saggi della storica d’arte e curatrice indipendente con base a New York, Neery Melkonian, e di Stephanie Bailey, scrittrice d’arte e editor di Ibraaz di Londra. In calce al volume vi sarà una sezione contenente le traduzioni in armeno di tutti i testi.

Oltre al catalogo, sarà pubblicato un libro di poesie composto di una selezione di poemi di 12 poeti armeni nati dopo il genocidio armeno e la rivoluzione russa e tradotto in francese dal poeta svizzero-armeno Vahé Godel. Il libro comprenderà un saggio dell’autore e una selezione di traduzioni armene delle poesie.

Nel contesto di Armenity, verrano presentati all’Anfiteatro dell’Arsenale dal 5 all’11 settembre una serie di performance, dibattiti e video proiezioni di artisti, poeti e registi indipendenti originari dell’Asia Minore.


www.armenity.net

http://www.primapaginanews.it/dettaglio_articolo.asp?id=277934&ctg=2

 

Spetcul – Venezia, il padiglione armeno alla Biennale 2015

Roma – 2 feb (Prima Pagina News) In quest’anno simbolico, 2015, il Ministero della Cultura della Repubblica dell’Armenia dedica il suo Padiglione partecipante alla 56. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia agli artisti della diaspora armena, collocato per l’occasione al Monastero Mekhitarista dell’Isola di San Lazzaro degli Armeni e servito da vaporetti pomeridiani con partenza dai Giardini. Il concetto curatoriale di Armenity, rafforza la nozione di dislocamento e di territorio, di giustizia e di riconciliazione, di ethos e di resilienza cosi, indipendentemente dal loro luogo di nascita, ciascuno degli artisti parte di questo progetto porta con sé la memoria, l’identità e la verità delle sue origini. Un’adunata “transnazionale” sotto l’insegna di un’identità frammentata e dispersa, ricostruita e rinnovata con il talento di questi artisti, nipoti di coloro che sono sfuggiti al Genocidio Armeno nel 1915, il primo del XX secolo. Il loro radicato interesse nei confronti dell’identità e della memoria si sovrappone sapientemente alle nozioni di territorio, confine e geografia. Che siano nati a Beirut, Lione, Los Angeles o al Cairo e ovunque essi vivano, questi cittadini globali mettono costantemente in discussione e reinventano la loro armenità. Gli artisti presenti saranno: Haig Aivazian, Libano; Nigol Bezjian, Siria/USA; Anna Boghiguian, Egitto/Canada; Hera Büyüktaşçıyan, Turchia; Silvina Der-Meguerditchian Argentina/ Germania; Rene Gabri & Ayreen Anastas, Iran/Palestina/USA; Mekhitar Garabedian, Belgio; Aikaterini Gegisian, Grecia; Yervant Gianikian & Angela Ricci Lucchi, Italia; Aram Jibilian, USA; Nina Katchadourian, USA/Finlandia; Melik Ohanian, Francia; Mikayel Ohanjanyan, Armenia/Italia; Rosana Palazyan, Brasile; Sarkis, Turchia/Francia; Hrair Sarkissian, Siria/UK. Il catalogo pubblicato da Skira, Milano, presenterà riproduzioni a colori e testi in inglese e armeno. Prefazioni, introduzione e testo curatoriale saranno seguiti da pagine dedicate a ciascuno degli artisti, con testi degli artisti stessi, o saggi di critici d’arte e autori (Ruben Arevshatyan, Cecile Bourne, Ginevra Bria, Adam Budak, David Kazanjian, Berthold Reiss, Gabi Scardi, Hrag Vartanian) e altre pagine con le immagini, disegni e collages delle opere. La terza parte del catalogo conterrà saggi della storica d’arte e curatrice indipendente con base a New York, Neery Melkonian, e di Stephanie Bailey, scrittrice d’arte e editor di Ibraaz di Londra. In calce al volume vi sarà una sezione contenente le traduzioni in armeno di tutti i testi. Oltre al catalogo, sarà pubblicato un libro di poesie composto di una selezione di poemi di 12 poeti armeni nati dopo il genocidio armeno e la rivoluzione russa e tradotto in francese dal poeta svizzero-armeno Vahé Godel. Il libro comprenderà un saggio dell’autore e una selezione di traduzioni armene delle poesie. Nel contesto di Armenity, verrano presentati all’Anfiteatro dell’Arsenale dal 5 all’11 settembre una serie di performance, dibattiti e video proiezioni di artisti, poeti e registi indipendenti originari dell’Asia Minore.

Regione Lombardia: Genocidio degli Armeni, Domani in aula Mozione Lista Maroni. Mi-lorenteggio.com

La mozione invita la Giunta a promuovere iniziative pubbliche per commemorare il Genocidio degli Armeni del 24 aprile 1915 e per ribadire con forza il suo riconoscimento ufficiale quale condizione per l’ingresso della Turchia nell’Ue

 

MILANO, 2 FEBBRAIO 2015 – Domani, nell’Aula del Consiglio regionale della Lombardia, sarà discussa una mozione che invita la Giunta a promuovere iniziative pubbliche per commemorare il Genocidio degli Armeni del 24 aprile 1915 e per ribadire con forza il suo riconoscimento ufficiale quale condizione per l’ingresso della Turchia nell’Ue. Primo firmatario della mozione è Stefano Bruno Galli, a capo del gruppo consiliare “Maroni Presidente”. “Il Genocidio degli Armeni – spiega – è da considerarsi una vera e propria operazione di pulizia etnica, in quanto l’obiettivo dell’impero ottomano era quello di realizzare una nazione turca etnicamente omogenea. Fu il primo genocidio moderno, quello degli Armeni, perpetrato ai danni di una comunità in stragrande maggioranza aderente alla Chiesa apostolica armena, la più antica chiesa cristiana del mondo. Una comunità che ambiva a conquistare la propria autonomia e indipendenza dall’impero ottomano”.
“Anche in Lombardia esiste una comunità armena numerosa e attiva: il centesimo anniversario del Genocidio, che ricorre il prossimo 24 aprile, rischia di essere compresso dalle contestuali celebrazioni del settantesimo anniversario della Liberazione e dal centenario dell’ingresso italiano nella Prima Guerra mondiale. Perché ciò non accada – prosegue Galli – auspico che il Consiglio regionale, con la più ampia condivisione da parte di tutte le forze politiche, sostenga la mia richiesta, che impegna l’assessore regionale alle Culture, Identità e Autonomie a porre in essere tutte le iniziative finalizzate a commemorare il Genocidio armeno, promuovendo quindi la cultura della democrazia, della pace e dell’autodeterminazione dei popoli”.

Redazione

 

http://www.mi-lorenteggio.com/news/34479

Erdogan: Turchia pagherà se sarà dimostrato genocidio armeno. Askanews

Roma, 30 gen. (askanews) – La Turchia è pronta a “pagare il prezzo” se verrà stabilito che è colpevole delle uccisioni di massa degli armeni un secolo fa. L’ha affermato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

In un’intervista dal vivo al canale televisivo statale TRT, Erdogan ha detto che il suo paese prenderà le necessarie misure se gli storici concluderanno che ha torto nella disputa con gli armeni.

“Se i risultati rivelassero che abbiamo commesso un crimine, se noi dovessimo avere un prezzo da pagare, allora come Turchia valuteremmo e faremmo i passi necessari”, ha detto il presidente turco.

Armeni, Turchia: un autogol…. La Stampa

http://www.lastampa.it/2015/01/30/blogs/san-pietro-e-dintorni/armeni-turchia-un-autogol-nCasfeDdlgaL2Q72rPBLzI/pagina.html

 

Poche settimane prima che in tutto il mondo si ricordi il centenario dell’inizio del Genocidio degli Armeni, il primo del secolo dei genocidi, il governo di Ankara ha commesso un autogoal la cui ironia può essere pienamente apprezzata solo da chi conosce il vigore della politica negazionista di Ankara.

marco tosatti

30/01/2015

Poche settimane prima che in tutto il mondo si ricordi il centenario dell’inizio del Genocidio degli Armeni, il primo del secolo dei genocidi, (il 12 aprile il Papa celebrerà una messa in ricordo) il governo di Ankara ha commesso un autogoal la cui ironia può essere pienamente apprezzata solo da chi conosce il vigore della politica negazionista di Ankara.

 

Il Ministero degli Esteri turco ha pubblicato, pare per errore, una fotografia del “Monumento al Genocidio Armeno” eretto a Yerevan, capitale dell’Armenia, in un pieghevole ufficiale preparato per commemorare la battaglia di Çanakkale, la battaglia dei Dardanelli, combattuta dalla Turchia contro le forze alleata durante la Prima Guerra mondiale. Un funzionario del Ministero degli Affari Esteri ha detto a Hurryet Daily News che la fotografia è stata “inclusa accidentalmente insieme ad altre fotografie”.

 

E’ stata aperta un’inchiesta per capire come sia stato possibile un errore del genere, e il responsabile verrà punito, ha detto il funzionario, aggiungendo che la maggior parte dei pieghevoli non sono stati ancora distribuiti. Il funzionario ha negato vigorosamente che la fotografia faccia parte di un’operazione di “apertura” verso l’Armenia.

Oltre il genocidio: la storia del popolo armeno. Resegoneonline

Ecco un articolo scritto dagli studenti lecchesi a seguito di una visita alla Casa Armena di Milano

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo inviatoci dagli studenti del liceo scientifico del Collegio Volta

Lunedì 26 Gennaio noi ragazzi di seconda scientifico del Collegio Volta ci siamo recati in visita a Hay Dun, la Casa Armena di Milano, in occasione del Giorno della Memoria, in cui si ricordano tutti i genocidi del XX secolo. Rispetto alla Shoah, il genocidio armeno è sottovalutato, principalmente per ragioni politiche, ed è proprio per questo che noi studenti, su proposta dell’insegnante di Lettere, abbiamo deciso di approfondire l’argomento.

Dopo aver conosciuto la presidentessa dell’associazione, la signora Marina Mavian – che ci ha raccontato la storia avventurosa e quasi incredibile della sua famiglia, miracolosamente scampata ai massacri – abbiamo incontrato il prof. Aldo Ferrari, armenista dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, esperto di Russia e Caucaso e ricercatore presso l’ISPI (Istituto di Politica Internazionale). Il professore ha esordito ricordando che quest’anno, 2015, ricorre il centenario del genocidio armeno e che, poiché il governo della Repubblica Turca continua a negare quello che è successo, parlarne non è solo un dovere storico, ma anche un atto politico.

Di Armeni si parla poco, anche sui libri di scuola, e di loro si sa qualcosa solo del genocidio, mentre niente si conosce della loro millenaria storia. Perciò il docente ha ritenuto opportuno colmare questa lacuna, offrendoci una panoramica sulla storia armena dall’antichità fino all’inizio del ‘900. Ecco il report della sua lezione. L’Armenia storica era un grande territorio, che si estendeva su zone ora appartenenti alla Turchia, alla regione del Caucaso e, in parte, all’Iran.

Collocato tra impero romano e persiano, per lungo tempo il regno di Armenia ha rivestito una importanza notevole, in particolare dal VI – V secolo a.C al IV secolo d.C. Una data fondamentale per la storia e l’identità armena è il 301 d.C., anno in cui il regno fu il primo Paese al mondo a diventare ufficialmente cristiano, addirittura prima del cosiddetto editto di Costantino, del 313. Dopo la conversione, il Cristianesimo diventò il fattore principale della identità culturale armena.

Il prof. Ferrari ha poi precisato alcune questioni legate alla Chiesa armena: essa appartiene, insieme alla Chiesa copta, siriaca ed etiope, alle Chiese orientali o non calcedonite, che cioè non hanno accettato il concilio di Calcedonia (attuale quartiere stambuliota di Kadıköy) del 451. Il nome ufficiale è Chiesa Apostolica Armena, o Gregoriana (da San Gregorio Illuminatore, colui che ha portato la fede cristiana presso gli Armeni); la loro guida è chiamato Catholicos. Oggi in Armenia gli apostolici sono il 92 % circa della popolazione; esistono anche minoranze cattoliche e protestanti, in particolare tra gli Armeni della diaspora. Anche a Milano c’è una chiesa apostolica armena, in via Jommelli, dove si riunisce in preghiera la parte non cattolica della comunità milanese.

Tornando alla storia, il docente ha evidenziato che, molto presto, gli Armeni sono stati minacciati dai Persiani antichi (di religione zoroastriana) che, nel 451, tentarono di convertirli con la violenza. Ci fu una guerra, la guerra dei Vardanank: gli Armeni persero, ma riuscirono a resistere dal punto di vista religioso. Una cronaca armena riporta il famoso discorso tenuto dal comandante Vartan il 2 giugno del 451, nell’imminenza di una battaglia in cui tutti gli Armeni avrebbero trovato la morte: “150 anni fa siamo stati battezzati con l’acqua, oggi ci battezzeremo col sangue e faremo vedere che la nostra fede poggia su una roccia forte; il Cristianesimo non è un abito che si può togliere”.

 

Il professor Ferrari, che ha tenuto la lezione

Successivamente, a partire dal VII secolo, arrivò l’Islam. Gli Armeni furono gli unici a non convertirsi e a restare incrollabilmente cristiani. Alcuni, però, cedettero e scelsero di diventare musulmani, ma in questo modo cessarono ipso facto di essere armeni, perché per loro la conversione fa uscire dalla comunità. Essere armeni, dunque, è una questione sia etnica che, soprattutto, di appartenenza religiosa. Pian piano, col passare del tempo, il regno armeno si è sgretolato sotto il peso delle invasioni finché, attorno al 1050, perse l’indipendenza e cadde sotto la dominazione musulmana. A questo punto, il prof. Ferrari ha affrontato il capitolo dei rapporti tra Cristianesimo e Islam, cruciale dal punto di vista storico e molto attuale, dopo i recenti fatti di Parigi.

Posta la premessa che un conto è una religione, un conto le azioni commesse da chi la professa, quando si parla di Islam ci sono due estremi, entrambi da evitare: una visione “nera” (che dipinge l’Islam come violento, aggressivo, arretrato) e una visione “rosa” (secondo cui l’Islam è tollerante, aperto, colto). Cosa può dire uno storico? Di certo l’Islam prevede che le religioni monoteistiche abbiano diritto all’esistenza: aspetto molto importante, soprattutto se pensiamo che spesso, nella storia, i Cristiani non si sono dimostrati altrettanto tolleranti.

Va però sottolineato che la tolleranza islamica aveva dei limiti: Ebrei e Cristiani potevano sì mantenere la loro fede, ma in una condizione di discriminazione. A livello giuridico, la parola di un musulmano contava due volte rispetto a quella di un ebreo o di un cristiano. Inoltre, non potevano occupare posti di rilievo a livello politico e militare e dovevano essere disarmati. Dovevano anche pagare una tassa molto consistente per la protezione che lo stato concedeva loro. Perciò convertirsi era conveniente da tutti i punti di vista.

Il professore ha poi amaramente constatato che, come la storia ci insegna, alla discriminazione ci si abitua, volenti o nolenti, ma non ci si può abituare alla insicurezza quotidiana. E’ proprio questo fattore, la totale mancanza di sicurezza, che ha spinto molti Armeni ad emigrare, intorno all’XI sec., sia in Oriente (Alessandria, Smirne), sia in Europa. Tra un quinto e un decimo degli Armeni ha abbandonato la sua terra. È minore di quella ebraica, ma si tratta pur sempre una diaspora. Gli Armeni sono quindi diventati commercianti, imprenditori, artigiani, con un livello culturale alto, proprio come gli Ebrei. E come gli Ebrei sono stati per secoli oggetto di invidie, maldicenze, astio, che alla fine sono sfociati in qualcosa di tremendo, in un Male Assoluto.

Ma torniamo alla storia. Nel XIX secolo la maggioranza degli Armeni si trovava nell’impero ottomano, di gran lunga lo stato più forte dell’epoca. Senza dubbio il loro problema principale era l’insicurezza, come mostrato da un episodio avvenuto a Mush nel 1889, in cui un tribunale turco, in nome della condivisione della fede musulmana, ha assolto un bandito curdo autore di vari crimini contro i contadini armeni. Non tutti erano però esposti a soprusi e violenze: chi era emigrato nelle città (Costantinopoli, Aleppo, Smirne, Damasco) costituiva comunità borghesi ricche e colte.

A differenza dei musulmani, che facevano (e fanno ancora oggi) fatica ad accettare elementi di modernità, in ragione del loro “complesso di superiorità religiosa”, a dire il vero corroborato da quasi mille anni (dall’egira al fallito assedio di Vienna del 1683) di vittorie militari, gli Armeni erano felicissimi di prendere parte alla modernità europea, fin dal Settecento. Molti erano medici, avvocati, professionisti, sia nelle grandi città ottomane che in occidente, ad esempio a Venezia.

Nell’Ottocento anche gli Armeni iniziarono a sognare l’indipendenza, sulla scia di quello che stava avvenendo in Italia, nei Balcani, in Grecia. Ma gli Armeni erano al centro dell’impero, a differenza dei greci, e il sultano non poteva permettere che si staccassero: l’impero sarebbe collassato. Dobbiamo comunque ricordare che, in questo periodo, l’Impero ottomano era debolissimo, tanto da essere chiamato “il grande malato d’Europa”. Gli Armeni pertanto iniziarono a organizzarsi e molti di loro confidavano nell’aiuto dell’impero zarista russo, a cui erano legati già da tempo.

I primi gravi episodi ai danni degli Armeni avvennero nel biennio 1894-6: sono i cosiddetti massacri Hamidiani, dal nome del sultano Abdul Hamid II, che causarono 200.000 morti, vale a dire un decimo della popolazione armena. Questi massacri, per quanto terribili ed efferati, non possono essere chiamati “genocidio”, in assenza del decisivo elemento della pianificazione. Il genocidio, il Metz Yeghern – il Grande Male, come lo chiamano gli Armeni – avvenne nel 1915. I Giovani Turchi, al potere dal 1908, avevano notato che Francia e Germania erano Paesi forti e abitati da popolazioni etnicamente omogenee, mentre l’impero era un vero e proprio mosaico di popoli.

La loro idea era omogeneizzare lo stato, un progetto politico inevitabilmente e intrinsecamente criminale. L’occasione fu loro offerta dallo scoppio della prima guerra mondiale, che ha provocato la fine dei grandi imperi: russo, asburgico, ottomano. In questo contesto storico il timore dei Giovani Turchi – va ammesso – era legittimo e plausibile: perdere i territori orientali della Anatolia, che sarebbero passati o alla Russia o a un neonato stato indipendente armeno, e che in effetti oggi, dopo il genocidio, sono territori turchi.

Il professore non ha indugiato sui particolari macabri del genocidio, organizzato dal Triumvirato (Djemal, Talaat, Enver), la cui violenza è indicibile. Si è limitato a sottolineare la data di inizio, il 24 aprile, quando vennero arrestati 3-400 notabili armeni di Costantinopoli (che si chiamerà İstanbul solo dopo la nascita della Repubblica Turca), tra scrittori, giornalisti e politici, poi tutti uccisi. È come se, quel giorno, la letteratura armena fosse improvvisamente finita. Ancora oggi gli Armeni ricordano il genocidio il 24 aprile. A Costantinopoli vivevano 200 mila armeni, su una popolazione di 1,5 milioni, ma fu uccisa solo l’élite. La ragione – agghiacciante – fu che lì si trovavano tutte le ambasciate straniere, per cui non si poteva fare uno sterminio eccessivo; inoltre, visti gli incarichi di rilievo ricoperti dagli Armeni, si sarebbe fermata l’intera economia della città.

Per primi furono eliminati gli uomini adulti arruolati, tutti uccisi in qualche mese, fucilati o fatti morire di fatica. È terribile a dirsi, ma furono quelli a cui andò meglio. In Anatolia e sulla costa l’esercito turco separava gli adulti che, per varie ragioni, non erano stati arruolati, i quali venivano subito fucilati. Donne, vecchi, bambini, invece, vennero deportati, destinazione il deserto siriano, nei pressi di Der-Es-zor. I Turchi dicono che l’hanno fatto perché gli Armeni avrebbero potuto appoggiare i Russi: per loro non fu un genocidio, fu una deportazione.

“Ma è falso!” – ha esclamato il professore – “Che rischio era rappresentato dalla componente femminile e anziana?”. Inoltre, la destinazione era il nulla. Lo scopo era quindi il totale annientamento della popolazione. Infatti a destinazione non è arrivato quasi nessuno. Per quanto concerne lo scarno dato numerico, è impossibile una valutazione certa. Possiamo solo dire che, nel 1914, gli Armeni erano 2 milioni, mentre nel 1924 erano 70.000, tutti a Costantinopoli.

Dei 2 milioni, sottratti quelli che si sono salvati seguendo i Russi, in quella che oggi è l’Armenia, quelli che sono andati in Libano, Siria, Egitto, Iran, i bambini che sono stati salvati dalle associazioni internazionali per orfani e portati soprattutto in Grecia, Francia, USA, tolti i 70.000 di Costantinopoli, restano circa 1,3 milioni. Anche altri si sono salvati, soprattutto bambine, che sono state sottratte alle loro famiglie e turchizzate o curdizzate (i cosiddetti “resti della spada”). Ma quello che conta è che una intera popolazione fu spazzata via. Gli Armeni della regione che dagli stessi Turchi era chiamata Ermenistan sono stati totalmente cancellati.

Oggi gli Armeni in Turchia sono 40.000, tutti a Istanbul. Nella vecchia Armenia non ce n’è neppure uno. Il Genocidio fu criminale, feroce, spietato, ma razionale, a differenza della Shoah, che ha avuto elementi di follia tipicamente nazisti. Il trattato di Sèvres, del 1920, ha riconosciuto i territori alla Repubblica Armena, ma il trattato di Losanna, del 1923, li ha concessi alla Turchia, semplicemente perché non c’erano più Armeni.

Se aggiungiamo anche il massacro dei Greci del Ponto (Mar Nero) e dei Siriaci, deduciamo che la presenza cristiana è stata praticamente spazzata via. I Giovani Turchi, che pure non erano ferventi musulmani, anzi, giudicavano l’Islam una fede retrograda e oscurantista, sapevano bene che era impossibile turchizzare quei popoli, per cui decisero di eliminarli in quanto non assimilabili. I Cristiani, alla nascita della Repubblica Turca, erano ridotti allo 0,5 %, circa come oggi.

Al termine di questa splendida lezione, siamo tornati a casa con una domanda: che cosa spinge l’uomo a commettere azioni così atroci e letteralmente “disumane”? Noi possiamo solo continuare a studiare il passato, a ricordarlo, a sforzarci di non dimenticare, e lavorare quotidianamente per costruire un mondo migliore, in cui a tutti – indipendentemente da etnia, religione, condizione sociale – sia riconosciuta la piena dignità di esseri umani.