Tolfa, il consiglio delibera il “Riconoscimento del genocidio del Popolo Armeno” (Terzobinario.it 27.04.17)

Riceviamo e pubblichiamo – Il consiglio comunale di Tolfa nell’ultima seduta ha approvato una delibera per il “Riconoscimento del genocidio del Popolo Armeno” promosso su proposta dell’associazione Assoarmeni. Il comune collinare avrà il privilegio di figurare così nel “Giardino dei Giusti” di Yerevan. Al consiglio erano presenti oltre al Sindaco Luigi Landi e ai Consiglieri, anche delegati di associazioni di Tolfa, alunni della scuola media di Tolfa, il Padre Tyrair Hakobyan della Chiesa Apostolica Armena di Roma, la presidente dell’Associazione Assoarmeni Anush Torunyan, Alessandro Battilocchio che da anni segue il tema con il locale Parlamento – dove si recherà in visita nei prossimi giorni – e una folta rappresentanza di armeni di Roma e del Lazio.

Il Sindaco Landi, prima di procedere, ha preso la parola ricordando che la città di Tolfa ha avuto nel tempo una particolare attenzione alla causa armena e che le sue tragiche vicende non vanno dimenticate. Dopo la lettura dell’atto ufficiale con il quale il Comune di Tolfa ha riconosciuto il genocidio del Popolo Armeno, ha preso la parola la presidente di Assoarmeni che ha manifestato la più sentita gratitudine al Consiglio Comunale di Tolfa per aver dimostrato sensibilità politica e umana nel riconoscere la verità storica, ribadendo “l’augurio che al primo passo importante segua l’impegno concreto di approfondire le conoscenze storiche sul genocidio degli armeni, restituendone la memoria attraverso pubblici eventi, studi ed altre iniziative alle quali l’associazione darà la sua piena disponibilità di collaborazione”.

E’ stato letto il messaggio di S.E. l’ambasciatrice in Italia Victoria Bagdassarian, soddisfatta dell’importante risultato perché raggiunto con lo strumento legislativo, mezzo di democrazia, di consapevolezza e di pace per eccellenza.  L’assemblea si è diretta poi verso il Giardino Comunale, dove dopo l’inaugurazione della croce armena da parte del Sindaco, che è stata installata al centro dell’aiuola dedicata al ricordo e ai diritti umani, è seguita una breve introduzione di Anush Torunyan sull’antica tradizione dei khachkar, come elemento identitario dell’arte cristiana armena e sulla simbologia rappresentata nella croce in cui si sono incrociate l’abilità orafa e fabbrile dell’artista Sinanyan.

Il Padre Tirayr Hakobyan dopo aver benedetto la croce si è rivolto ai presenti sottolineando che solo una nazione forte e di profonde radici è in grado di affrontare la storia a testa alta e di capire e rispettare il dolore dell’altro, esprimendogli la propria solidarietà e che oggi, così come durante i cento anni passati, il popolo armeno per poter voltare pagina, deve affrontare la sfida del negazionismo. E questo è possibile solo con il sostegno di quelle nazioni in cui scala dei valori la giustizia e l’equità sono prioritarie.

Infine, Rita Pabis di Assoarmeni, ha letto un comunicato nel quale ha ribadito l’importanza di trasmettere ai giovani e alle generazioni che verranno il monito terribile della Storia, mentre la celebrazione è stata chiusa dal Soprano Mariane Grigoryan ha intonato Surb Surb di Yekmalian e Krunk del compositore Komitas.

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Il filo tragico che lega il genocidio armeno e la Shoah è l’Islampolitik (Il Foglio 27.04.17)

– JUDEN UND ÜBERJUDEN, EBREI E SUPEREBREI. Questo titolo delirante, antisemita e – come si vedrà – antiarmeno, corrispose alla normalità della politica, della cultura e dell’informazione tedesca dagli anni Novanta del XIX secolo sino al nazismo. Ciò basti per comprendere l’importanza e la preziosità della grande mostra sul Genocidio Armeno, il Metz Yeghern, che oggi si inaugura al Memoriale della Shoah di Milano.

L’Islampolitik – economica, strategica e culturale – del Kaiser Guglielmo II normalizzò la stampa in chiave antiarmena e filoturca, adottando argomenti e stereotipi antisemiti contro questo antico popolo cristiano. Una delle poche eccezioni fu il Frankfurter Zeitung, quotidiano fondato da due ebrei tedeschi – L. Sonneman e H.B. Rosenthal – schieratosi in difesa degli armeni.

Nel 1913 – dopo i massacri degli armeni di Adana (1909) – l’ambasciatore tedesco Wangenheim, sostenne che quella dell’alleato turco era “la naturale reazione al sistema parassitario dell’economia armena. E’ noto che gli armeni sono gli ebrei di oriente”. E ancora: “Le attività economiche, che altrove sono portate avanti dagli ebrei, ossia la spoliazione dei poveri, sono qui condotte esclusivamente dagli armeni. Nemmeno gli ebrei sefarditi ivi residenti possono competere con loro”. Gli armeni, in pratica, erano peggiori persino di noi ebrei: si trattava di überjuden, “superebrei”!

L’Islampolitik si saldò con i provvedimenti omicidi del “sultano rosso”, il famigerato Sultano-Califfo Abdul Hamid II (1894-1896). Si ripropose poi, con silenzi, connivenze e collaborazioni con i Giovani Turchi nel corso del Genocidio Armeno. Ebbe, infine, un’ulteriore oscena riedizione con la sinergia tra Mussolini, Hitler e i vari movimenti jihadisti, che da allora saldarono all’islam politico innumerevoli elementi nazifascisti, divenuti pandemici sino a oggi.

Lewis Einstein, diplomatico ebreo dell’ambasciata Usa a Istanbul, nel 1917 scrisse da testimone oculare: “In questa guerra di orrori, l’annientamento degli armeni deve rimanere l’orrore supremo. Niente ha eguagliato la distruzione pianificata di un popolo, né i burocrati tedeschi possono facilmente sfuggire alla loro terribile parte di responsabilità per la loro acquiescenza in questo crimine”. Una testimonianza giunge anche dai fratelli Aaronsohn, fieri sionisti, residenti all’epoca dei fatti in Eretz Israel. Aaron Aaronsohn, insigne agronomo e fondatore della rete di spionaggio NILI a favore degli Alleati dell’Intesa, così si espresse nel suo Memorandum (1916): “Centinaia di corpi di uomini, donne e bambini su entrambi i lati della ferrovia e cani che si cibavano di questi cadaveri umani”. E ancora: “Il popolo armeno, una delle componenti più parche e più industriose dell’impero turco, se non addirittura la più parca e la più industriosa – e, badate bene, è un ebreo a dare questa patente – è ora un popolo di mendicanti affamati e calpestati. L’integrità delle vite familiari è andata distrutta, i suoi uomini sono stati uccisi, i suoi bambini, maschi e femmine, fatti schiavi nelle case private dei turchi, per compiacere vizi e depravazioni, questo è diventato il popolo armeno in Turchia”. Concluse: “I massacri armeni sono frutto dell’azione pianificata con cura dai turchi, e i tedeschi certamente dovranno condividere per sempre con loro l’infamia di questa azione”.

Ebrei e armeni, due popoli originali e tenaci, esigui quanto a numeri; due minoranze assolute, costitutive sia dell’oriente sia dell’occidente, a cavallo di entrambi i mondi. Una miscela sufficiente per risultare incomprensibili e persino alieni ai più, con antiche, reiterate e violente accuse di “doppia fedeltà” o di tradimento. Questa la sorte, spesso simile, di entrambi.

Nei secoli, armeni ed ebrei hanno egualmente sperimentato, pur da diverse prospettive, la perdita della sovranità nazionale; l’asservimento ad altre potenze e culture; la dhimmitudine; la diaspora; delazioni, massacri, deportazioni ferroviarie, marce della morte e l’annientamento genocidario; la rinascita culturale e politica della propria Nazione sopravvissuta; due diversi negazionismi. In entrambi i popoli la moderna rinascenza culturale è stata preceduta, sollecitata e accompagnata dal risorgimento linguistico e letterario, rispettivamente dell’ebraico e dell’armeno.

Nell’imperversare del Metz Yeghern degli ebrei salvarono degli armeni; nel corso della Shoah degli armeni salvarono degli ebrei. Non è quindi un caso che l’inventore del lemma “genocidio”, il grande pensatore e giurista ebreo polacco Raphael Lemkin, lungamente abbia meditato anzitutto proprio sulla tragedia sofferta dagli armeni. Henry Morgenthau, in particolare, ebreo e ambasciatore americano presso la Sublime Porta, fu il promotore della prima operazione umanitaria del XX secolo, la Near East Relief, che con un’enorme raccolta fondi – ammontante nel 1922 attorno ai 226 milioni di dollari – salvò le vite di molti armeni, soprattutto bambini (i bambini salvati tra il 1915 e il 1930 furono circa 132 mila, di cui sessantamila armeni).

La passione genocidaria tedesca portò a tre genocidi nel corso del XX secolo: quello africano, in Namibia, degli Herero e dei Nama (1904-1907); il Metz Yeghern (1915-1922) e la Shoah (1939-1945). Negli ultimi due casi, l’islam fu purtroppo ampiamente e attivamente coinvolto. L’istituto della dhimma, con i suoi squilibri e instabilità, le sue contraddizioni e la sua crudele subordinazione, servì a sostenere e giustificare, tra gli altri, i Massacri Hamidiani prima e il Genocidio Armeno poi.

A parte il grande Johannes Lepsius – teologo protestante testimone del genocidio, che lottò strenuamente per gli armeni, difendendoli – e pochi altri, la chiesa luterana tedesca sposò la causa del Kaiser, come precedentemente – nel corso del genocidio degli Herero e dei Nama – poco ebbe a obiettare e come, successivamente, trovò ampie sue frange sostenitrici del nazismo.

Non è un caso che nel 1933 lo scrittore ebreo Franz Werfel, amico di Kafka, abbia scritto il suo libro di maggior successo, I Quaranta Giorni del Mussa Dagh, tributo imperituro al genocidio patito dagli armeni, i cui bambini orfani vide in medio oriente. L’opera di Werfel divenne fuorilegge in Germania nel 1934. Per comprendere il ruolo “iconico” che il Genocidio Armeno ebbe per i nazisti, va evidenziato che per le SS SchwarzeKorps il libro fu il frutto indigesto dell’“ebraismo armeno degli Stati Uniti”!

La Germania guglielmina fu il paese culturalmente più vivace dell’occidente, cosicché per ben tre occasioni il genocidio si è accompagnato alla modernità e alla civiltà raffinata. Quella tedesca fu una cultura filosofica e musicale; nelle facoltà tedesche filosofia e teologia, da secoli, si alimentavano vicendevolmente. Una metastasi letale e omicida è dunque latente nel pensiero filosofico, politico e teologico che da Lutero, passando per gli Idealisti, arrivò a Friedrich Naumann – tra i padri della Repubblica di Weimar –, Adolf Von Harnack, Carl Schmitt e Martin Heidegger.

Fu così – tra acquiescenze germaniche, aguzzini turchi e curdi e, non da ultimo, jihad– che 1.500.000 armeni furono perseguitati e trucidati, assieme a centinaia di migliaia di vite di cristiani assiri, di greci del Ponto e di altre confessioni cristiane orientali minoritarie. Terribili furono le sofferenze patite dalle donne e dai bambini armeni, con riduzioni in schiavitù e compravendita di esseri umani nei mercati, islamizzazioni forzate, sevizie e persino crocifissioni.

Si sarà compreso che Genocidio Armeno e Shoah sono inquietantemente collegati a doppio filo. Né il Metz Yeghern né la Shoah si prestano in alcun modo a ermeneutiche generalizzanti – e quindi dissolventi – ma richiedono sorvegliata serietà. Qualsiasi indebita generalizzazione falsa la storia e il pensiero. Per non perderne la comprensione e l’unicità, bisogna considerarli connessi, come avvenne.

Ci sono alcuni fatti atroci occorsi ad armeni ed ebrei che equivalgono ad altrettante tremende rivelazioni sull’umanità dell’essere umano, che può scegliere di essere demone e facilmente educare altri in tal senso.

Vi è tuttavia un fatto positivo, enorme per la forza della sua testimonianza, mai sufficientemente assunto, ricordato e portato a pensiero, talora persino oscurato: il popolo Armeno e il popolo di Israele non hanno smarrito, pur provata, piagata e scossa, la loro fede nel Signore Dio.

Sorgente: Il filo tragico che lega il genocidio armeno e la Shoah è l’Islampolitik – Il Foglio

Parlamento Repubblica ceca riconosce genocidio armeno (Ansa.it 26.04.17)

(ANSA) – TRIESTE – Il parlamento ceco ha approvato martedì una risoluzione con cui riconosce il fatto del Genocidio armeno del 1915 nell’Impero ottomano, come riporta l’agenzia Arka.

Il presidente ceco Milos Zeman ha a sua volta definito genocidio l’assassinio degli Armeni. In occasione dell’anniversario del 24 aprile, il presidente ha inviato una lettera al capo della comunità armena nella Repubblica ceca, Barsega Pilavchian.

“Io concordo – scrive Zeman – con chi dice che la storia non è fatta per essere interpretata dai politici. Al tempo stesso, però, credo che un evento che è costato la vita di un milione e mezzo di innocenti rappresenti un capitolo tragico nella storia non solo della nazione armena, ma dell’intero mondo civilizzato”. (ANSA)

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Nelle ombre della Turchia il genocidio degli armeni (Italiaitaly.eu 26.04.17)

Il primo genocidio del XX secolo ha avuto come vittime oltre un milione di armeni, ma la Turchia non ha mai ammesso gli orrori delle “marce della morte”. Il Parlamento tedesco ha approvato una risoluzione che riconosce come genocidio il massacro degli armeni compiuto dall’Impero Ottomano. La Turchia del presidente Erdogan ha risposto duramente minacciando ritorsioni economiche e militari a danno della Germania, ma la cancelliera Angela Merkel non ha acceso ulteriori polemiche sostenendo che “la nostra amicizia è troppo forte”.

Nel 1915, in piena guerra mondiale, in Turchia si scatenò una spietata violenza contro gli armeni presenti in Anatolia, una comunità cristiana con aspirazioni anche indipendentiste, temuta per il pericolo che si alleasse con i russi in guerra contro …

i turchi. Si consumò così il primo genocidio del XX secolo con oltre un milione di vittime e una storia che in Turchia si continua a negare, fino alle dure reazioni diplomatiche dei nostri giorni.

Nella notte fra il 23 e 24 aprile 1915 si scatenò la prima ondata di repressioni. A Costantinopoli furono arrestati gli esponenti più in vista della comunità armena e nel giro di un mese oltre mille intellettuali armeni, giornalisti e scrittori, poeti e anche delegati la Parlamento furono arrestati e poi trucidati lungo la strada verso l’Anatolia. Seguirono poi massacri e “marce della morte” con innumerevoli vittime e l’eccidio si protrasse anche per tutto il 1916.

Il “caso armeno” è tornato in primo piano con le parole pronunciate da Papa Francesco nella commemorazione delle vittime di poco più di un secolo fa. «La nostra umanità – ha detto – ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, che generalmente viene considerata come il primo genocidio del XX secolo, ha colpito il vostro popolo armeno, prima nazione cristiana». Già nel 2001 papa Giovanni Paolo II e Karekin II, Catholicos della Chiesa armena, avevano parlato di genocidio a proposito del massacro di circa un milione e mezzo di cristiani armeni, ma per il governo di Ankara le parole del Pontefice «sono inaccettabili, lontane dalla realtà storica». Una realtà storica che non è possibile disconoscere, perché stragi e deportazioni di armeni ci furono davvero nei tragici mesi di un secolo fa e la piccola comunità cristiana ebbe oltre un milione di vittime. In una ventina di Paesi, fra cui Italia, Svezia, Olanda, Russia, c’è stato un riconoscimento ufficiale del genocidio degli armeni; in Svizzera, Francia e Slovacchia sono previste anche pene per i negazionisti.

I fatti sono tragici e raccapriccianti, con numerosi morti per esecuzioni sommarie, fame, assideramento, malattie. In pieno clima bellico la Turchia temeva che gli armeni presenti in Anatolia, alla ricerca da tempo di indipendenza e anche perché cristiani, potessero allearsi con i nemici russi. Le persecuzioni avvennero soprattutto per iniziativa dei Giovani Turchi, che secondo molti storici miravano alla creazione di uno stato turco omogeneo etnicamente, mentre alcuni milioni di cittadini erano armeni e cristiani. Perciò anche in uno studio pubblicato nel 2012 (Völkermord an den Armeniern) lo studioso tedesco Michael Hesemann sostiene che sarebbe più esatto parlare di genocidio cristiano.

La strage del popolo armeno è storia e non può essere negata per motivazioni politico-ideologiche. L’Italia è tra i paesi europei che hanno definito il massacro un “genocidio”. Il Parlamento Europeo in una risoluzione ha riconosciuto il genocidio degli armeni, ha deplorato ogni tentativo di negazionismo, ha reso omaggio alle vittime e proposto l’istituzione di una giornata europea del ricordo. Ha anche invitato il Governo turco a “continuare nei suoi sforzi per il riconoscimento del genocidio armeno e ad aprire gli archivi per accettare il passato”. La Turchia ha però reagito con sdegno, respingendo la mozione e accusando l’Europa di complotto.

La nuova Europa, aperta al futuro e alle cui porte bussa anche la Turchia, non può rinunciare ai propri valori fondamentali, basati sulla tolleranza e sulla legalità, ma anche sul riconoscimento dei propri errori. Lo ha fatto la Germania, dopo i tragici eventi del secolo scorso; lo ha fatto l’Italia, voltando pagina dopo il ventennio fascista; lo ha fatto la Spagna dopo il lungo periodo franchista. Non sembra voglia farlo la Turchia, dopo la dura reazione del suo Governo alle dichiarazioni di Papa Francesco e le ricorrenti polemiche internazionali. La dura reazione del presidente turco Erdogan e la svolta autoritaria alle parole del Pontefice getta ombre anche sull’ingresso, auspicabile, di quella grande nazione nella nuova Europa. L’Unione Europea ha valori fondamentali condivisi e riconosce gli errori del passato proprio per costruire un futuro migliore. Anche la Turchia deve fare i conti con la storia e il riconoscimento del genocidio degli armeni è ritenuto fondamentale anche per l’ingresso di quel Paese nell’Unione Europea. (F.d’A.)

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Il genocidio degli armeni fu pianificato. Ecco la prova (Agi.it 26.04.17)

“La pistola fumante del genocidio armeno”. Questa la definizione che Taner Akcam, docente turco di storia presso la Clark University del Worcester, ha dato del ritrovamento degli ultimi documenti relativi una delle questioni più controverse della storia turca. Fonte inesauribile di polemiche tra Ankara e la comunità internazionale, Vaticano incluso, consumate senza tregua sull’utilizzo della parola “genocidio”. Termine tabù in Turchia ed “inaccettabile” per il presidente Recep Tayyip Erdogan.

La pistola fumante che potrebbe far superare un’impasse su cui si discute da 102 anni si è appalesata sotto forma di un telegramma originale relativo ai processi che seguirono il massacro, riemerso da un archivio del patriarcato armeno di Gerusalemme. Lo storico, che con spirito da detective ha ricostruito minuziosamente la catena di connivenze e responsabilità del genocidio, è risalito a Behaeddin Shakir, l’ufficiale dell’impero che avrebbe reso esecutivo il “primo genocidio del ventesimo secolo”.

Il telegramma perduto (e ritrovato)

Il telegramma in questione, come una montagna di altri documenti, finì impilato in 24 scatoloni imbarcati in fretta e furia su una nave che li avrebbe portati in Inghilterra nel 1922, quando i nazionalisti turchi stavano prendendo il potere nel Paese e in particolare nel nord est, nella regione di Erzurum, landa gelida di montagne e altopiani teatro della strage.
Gli scatoloni contenenti la “pistola fumante” finirono poi in Francia e in ultimo a Gerusalemme, dove dopo anni di tentativi a vuoto il professor Akcam è riuscito finalmente a visionarne una parte. Il colpo di scena arriva per grazie a Krikor Guerguerian, monaco armeno scampato ai rastrellamenti, che negli anni 40 al Cairo apprende da un ex giudice ottomano che i documenti sono a Gerusalemme. Guerguerian ci va e li fotografa, prima che finiscano nelle mani di suo nipote a New York. La conferma Akcam la trova nel confronto tra i documenti fotografati dal monaco e le lettere dell’epoca conservate negli archivi di Istanbul.

Una controversia lunga oltre un secolo

La storia ricompone un puzzle che vide il 24 aprile di 102 anni fa Bahaeddin Shakir ordinare dei rastrellamenti in cui sarebbero morti un milione e mezzo di persone, 450 mila secondo i turchi. La storia di Shakir continua con un ergastolo in contumacia, una fuga in Germania dove la parola fine e la parola vendetta si sovrappongono quando due sicari armeni gli sparano alla testa mentre rientrava a casa.

Manca ancora la parola fine e la questione è ancora in ballo per quanto riguarda l’accettazione del genocidio da parte di Ankara e di buona parte dei turchi che, a prescindere dal credo politico, negano fino alla fine che di genocidio si trattò.
Difficile, quasi impossibile che Erdogan volti pagina in questo senso, almeno fino a quando gli Stati Uniti, sempre preoccupati di non inimicarsi un alleato Nato fondamentale in Medio Oriente, non prenderanno una posizione precisa sull’argomento. Una pietra sulle polemiche relative il termine “genocidio”, che hanno minato le relazioni con Francia, Russia, Germania e con Papa Francesco, più delle ricerche di Akcam, potrebbe metterla il presidente americano Donald Trump.

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Genocidio degli armeni, trovata la ‘pistola fumante’ (L’Indro 26.07.17)

Lo scorso lunedì 24 aprile è stato ricordato il 102esimo anniversario del genocidio armeno perpetrato dal Governo dei Giovani Turchi a partire dal 1915. Lo sterminio di circa un milione e mezzo di armeni non è mai stato riconosciuto da Ankara  -il Presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, quest’anno ha ammesso l’importante partecipazione della comunità armena nella storia del suo Paese, ma ha chiesto di «non approfittare della storia», aggiungendo che «oggi, come ieri, gli armeni svolgono importanti ruoli nella vita sociale, politica e commerciale del nostro Paese, in cui sono cittadini liberi ed eguali», affermazione questa che è stata contestata dalle organizzazioni per i diritti umani che denunciano una quotidiana discriminazione, a partire proprio dalla negazione del genocidio.

Per più di un secolo, infatti, la Turchia ha negato ogni ruolo nell’organizzazione dell’uccisione degli armeni, oramai definito ‘genocidio’ dalla maggioranza degli storici,  forte del fatto che nessuna effettiva prova documentale è mai stata trovata. Fonte inesauribile di polemiche tra Ankara e la comunità internazionale, Vaticano incluso, consumate senza tregua sull’utilizzo della parola ‘genocidio’. Termine tabù in Turchia ed ‘inaccettabile’ per Erdogan. Ora, dopo 120 anni, questa prova che attesta in genocidio sarebbe stata trovata. É stata definita «la pistola fumante del genocidio armeno» da Taner Akcam, storico e sociologo turco, docente di storia presso la Clark University del Worcester, autore del ritrovamento.

Quella che è considerata una delle questioni più controverse della storia turca potrebbe essere superata e divenire un fatto incontestabile dal punto di vista documentale, grazie a un telegramma originale relativo ai processi che seguirono il massacro, riemerso da un archivio del patriarcato armeno di Gerusalemme. Telegramma ritrovato da Akcam.  Lo storico, che con spirito da detective ha ricostruito minuziosamente la catena di connivenze e responsabilità del genocidio, è risalito a Behaeddin Shakir, l’ufficiale dell’impero che avrebbe reso esecutivo il ‘primo genocidio del ventesimo secolo’. Il telegramma in questione, come una montagna di altri documenti, finì impilato in 24 scatoloni imbarcati in fretta e furia su una nave che li avrebbe portati in Inghilterra nel 1922, quando i nazionalisti turchi stavano prendendo il potere nel Paese e in particolare nel nord est, nella regione di Erzurum, landa gelida di montagne e altopiani teatro della strage.

Gli scatoloni contenenti la ‘pistola fumante’ finirono poi in Francia e in ultimo a Gerusalemme, dove dopo anni di tentativi a vuoto il professor Akcam è riuscito finalmente a visionarne una parte. Il colpo di scena arriva per grazie a Krikor Guerguerian, monaco armeno scampato ai rastrellamenti, che negli anni 40 al Cairo apprende da un ex giudice ottomano che i documenti sono a Gerusalemme. Guerguerian ci va e li fotografa, prima che finiscano nelle mani di suo nipote a New York. La conferma Akcam la trova nel confronto tra i documenti fotografati dal monaco e le lettere dell’epoca conservate negli archivi di Istanbul.

«Era una giornata di pioggia», afferma Akcam, ricordando la sua scoperta, «ho visto questo telegramma nell’archivio. Sono uscito e rimasto sotto la pioggia per 15 minuti, alzando le mie mani al cielo e dicendo ‘grazie a Dio l’ho trovato’».

La storia ricompone un puzzle che vide il 24 aprile di 102 anni fa Bahaeddin Shakir ordinare dei rastrellamenti in cui sarebbero morti un milione e mezzo di persone, 450 mila secondo i turchi. La storia di Shakir continua con un ergastolo in contumacia, una fuga in Germania dove la parola fine e la parola vendetta si sovrappongono quando due sicari armeni gli sparano alla testa mentre rientrava a casa.
Manca ancora la parola fine e la questione è ancora in ballo per quanto riguarda l’accettazione del genocidio da parte di Ankara e di buona parte dei turchi che, a prescindere dal credo politico, negano fino alla fine che di genocidio si trattò.

Difficile, quasi impossibile che Erdogan volti pagina in questo senso, così come lo stesso Presidente americano Donald Trump, come riconosce in una intervista rilasciata al ‘New York Times’ lo stesso Akcam, visto che gli Stati Uniti sono preoccupati di non inimicarsi un alleato Nato fondamentale in Medio Oriente. Infatti Trump, come il predecessore Barack Obama, si è guardato bene dall’usare la parola genocidio nel ricordare l’uccisione di 1,5 milioni armeni nei territori dell’impero ottomano. Il 45esimo presidente definisce il cosiddetto ‘Meds Yeghern’ come «una delle peggiori atrocità di massa del ventesimo secolo». Un anno fa Obama aveva parlato della «prima atrocità di massa del ventesimo secolo» ma nella sua prima campagna elettorale aveva usato senza giri di parole il vocabolo ‘genocidio’.

Sia nel comunicato diffuso dalla Casa Bianca, sia in quello di un anno fa – quando al potere c’era ancora Obama – Washington parla di un milione e mezzo di armeni “deportati, massacrati o fatti marciare fino alla morte” negli anni finali dell’impero ottomano. Se il 44esimo presidente aveva parlato di «giorni bui» per gli armeni, il suo successore cita «questo capitolo buio della storia dell’umanità». Come Obama, anche Trump sostiene che «dobbiamo ricordare queste atrocità per prevenire che si verifichino di nuovo». Entrambi hanno lodato la “resilienza” del popolo armeno.
Trump «dà il benvenuto agli sforzi di turchi e armeni per riconoscere e valutare con dolore la storia, un passo cruciale per costruire le basi per un futuro più tollerante e giusto».
Obama aveva «dato il benvenuto all’espressione di visioni di chi ha cercato di gettare nuova luce sull’oscurità del passato, dagli storici turchi e armeni a Papa Francesco». Sia l’uno, sia l’altro leader Usa evitano di essere espliciti nel criticare il gesto turco, l’anno scorso definito genocidio da Papa Francesco (cosa che sollevò le polemiche del governo turco di Recep Tayyip Erdogan) e proprio ieri definito e riconosciuto ufficialmente come ‘genocidio’ dalla Repubblica Ceca.

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Nagorno-Karabakh: ministro Esteri azero, pronti a colloqui concreti con l’Armenia (Agenzianova 26.04.17)

Baku, 26 apr 16:27 – (Agenzia Nova) – L’Azerbaigian è pronto per dei colloqui concreti con l’Armenia sulla disputa del Nagorno-Karabakh. Lo ha detto il ministro degli Esteri azero, Elmar Mammadyarov, in un’intervista all’agenzia di stampa “Trend”. “Ci sono state diverse discussioni sulla soluzione del conflitto nel Nagorno-Karabakh durante la riunione dei presidenti (di Azerbaigian e Armenia) a San Pietroburgo, su invito e iniziativa del presidente russo Vladimir Putin. All’inizio di quest’anno abbiamo avuto un incontro con il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov a Mosca. I co-presidenti del gruppo Minsk dell’Osce (Russia, Stati Uniti e Francia) hanno visitato la regione e hanno espresso le loro opinioni alle parti”, ha ricordato Mammadyarov, secondo cui “i passi da intraprendere per ottenere progressi nella risoluzione del conflitto e nel piano da realizzare sono ben noti a tutti”. In primis, spiega il ministro, “la presenza delle forze armate dell’Armenia nei territori azeri occupati e l’occupazione militare de facto sono i principali ostacoli alla soluzione del conflitto”. (segue) (Res)

AMERICA/STATI UNITI – Anche il Presidente Trump evita di usare l’espressione “Genocidio Armeno” (Agenzia Fides 25.04.17)

Washington – (Agenzia Fides) – Il Presidente USA Donald Trump, nella giornata di lunedì 24 aprile, ha dedicato un pronunciamento ufficiale ai massacri pianificati subiti nella Penisola anatotica dagli armeni 102 anni fa, ma ha evitato di applicare a quei massacri sistematici la definizione di “Genocidio armeno”, accodandosi alla linea seguita dai suoi ultimi 4 predecessori per non suscitare reazioni risentite da parte della Turchia.
In passato, i Presidenti USA Jimmy Carter e Ronald Regan avevano usato l’espressione “Genocidio armeno”, ma poi, da George H.W Bush a Barack Obama, l’espressione è scomparsa dai pronunciamenti dei leader della Casa Bianca.
L’attuale Presidente USA, noto per il suo modo disinibito di esprimersi senza eccessivi scrupoli diplomatici anche su questioni delicate di portata internazionale, ha definito i massacri degli armeni perpetrati durante la Prima Guerra Mondiale “una delle peggiori atrocità di massa compiute nel XX secolo”, ricordando che “a partire dal 1915, un milione e mezzo di armeni furono deportati, massacrati o condotti alla morte negli ultimi anni dell’Impero Ottomano”. Si è poi unito al lutto della comunità armena sparsa nel mondo “per la perdita di di vite innocenti e le sofferenze sopportate da tanti”. Espressioni simili a quelle usate dagli ultimi Presidenti USA.
La stampa USA ricorda che il Presidente Obama, anche a motivo delle pressioni turche sul Congresso USA, aveva accantonato la promessa fatta durante una campagna elettorale di riconoscere la natura genocidiaria dei massacri subiti dagli armeni più di un secolo fa. Viene sottolineato anche che il Presidente Trump è stato il primo leader occidentale a congratularsi con il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan dopo i risultati del referendum svoltosi in Turchia il 16 aprile, che consentiranno all’uomo forte di Ankara di allargare ulteriormente i suoi poteri.
Mentre i Presidenti USA si astengono dal riconoscere ufficialmente il Genocidio Armeno, nel 2016 il Congresso USA e anche il Segretario di Stato USA John Kerry hanno voluto definire “Genocidio” le violenze subite in Medio Oriente da cristiani e da altre minoranze etnico-religiose da parte dei miliziani del sedicente Stato Islamico (Daesh). Sulla base di quei pronunciamenti, come riferito dall’Agenzia Fides (vedi Fides 19/5/2016) era stata prospettata anche la possibilità di destinare forniture militari USA a sedicenti “milizie cristiane” operative nella Piana di Ninive, giustificando tale operazione come parte della lotta contro i jihadisti di Daesh. In Quel contesto, contattato dall’Agenzia Fides (vedi Fides 18/3/2016), l’Arcivescovo siriano Jacques Behnan Hindo, alla guida dell’arcieparchia siro cattolica di Hassakè-Nisibi, aveva definito il percorso che aveva portato l’Amministrazione USA a riconoscere come “Genocidio” le violenze perpetrate da Daesh sui cristiani come una “operazione geopolitica che strumentalizza la categoria di Genocidio per i propri interessi”. (GV) (Agenzia Fides 25/4/2017).

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Armeni 1915: Trump parla di «atrocità», ma non usa la parola genocidio (Il Secolo d’Italia 24.04.17)

Le esigenze della geopolitica prevalgono talvolta sulla verità storica. È quello che succede regolarmente nel caso del genocidio degli armeni perpetrato dai Giovani Turchi tra il 1915 e il 19i6. Ankara continua a negare le responsabilità turche su quello che rimane il primo genocidio (cronologicamente parlando) del XX secolo. È un assurdo negazionismo di Stato che è ispirato da motivazioni nazionalistiche. Ma che purtroppo risulta avallato dalle massime autorità mondiali. E tra queste c’è -ci dispice il rilevarlo-  anche presidente americano Donald Trump. Il numero  uno di Washington ha parlato  ieri  di «atrocità di massa»  commesse dal 1915 contro gli armeni, ma senza citare la parola genocidio. In un comunicato diffuso dalla Casa Bianca nel giorno del ricordo  armeno, il presidente cita «le deportazioni, i massacri, gli armeni  costretti a camminare verso la morte negli ultimi anni dell’impero ottomanno» e riconosce «la resilienza degli armeni». Parole certo forti, ma tra le quali non c’è, appunto,  genocidio. Particolare significativo: neanche il predecessore di Trump, Barack Obama, ha mai parlato di genocidio degli armeni, segno eloquente che ci troviamo di fronte a una sorta di convenzione semantica volta a non irritare, evidentemente, l’alleato turco.  «Dobbiamo ricordare le atrocità per evitare che accadano di nuovo», ha quindi aggiunto Trump, limitandosi a esprimere il favore con cui gli Stati Uniti accolgono gli «sforzi di armeni e turchi di riconoscere e  venire a patti con la storia dolorosa, un passo cruciale per costruire le fondamenta di un futuro più giusto e tollerante».


>> Trump come Bush e Obama: quello degli armeni non è genocidio (Mainfatti.it 26.04.17)

In Fondazione Bml il ricordo del genocidio degli armeni (Luccaindiretta.it 25.04.17)

Domani (26 aprile) alle 16 50&Più Università Lucca organizza, alla Fondazione Banca del Monte di Lucca, un nuovo appuntamento per ricordare il primo tragico genocidio del XX secolo (1915-1916) che condusse alla deportazione ed eliminazione, per mano del governo turco, del popolo armeno nella misura, secondo il triste bilancio riportato dagli storici, di oltre 1,2 milioni di persone innocenti. Per l’occasione verrà presentato il film autobiografico di Henri Verneuil Mayrig, appassionato e coinvolgente, diretto dallo stesso autore e interpretato da Omar Sharif e Claudia Cardinale.

Il film, in gran parte autobiografico, racconta la storia del giovane Azad, originario dell’Armenia e costretto a trasferirsi a Marsiglia, con la sua famiglia, per sfuggire al massacro. In particolare il ricordo del protagonista si concentra sulla figura della madre (mayrig, in armeno) e dei suoi tentativi per sopravvivere in un ambiente inizialmente molto ostile. Proprio lei si dimostrerà in grado di affrontare gli eventi e di perforare il muro di diffidenza che li circonda.
Introduzione a cura del professor Marco Vanelli. Ingresso libero.

Genocidio armeno. «La mia ultima scoperta rimuoverà l’ultimo mattone del muro negazionista turco» (Tempi 24.04.17)

«Ho trovato la pistola fumante che mancava. Questa scoperta è un vero terremoto e spero che rimuoverà l’ultimo mattone nel muro negazionista». Taner Akcam, storico turco presso l’università Clark di Worcester, ha dedicato decenni di studi e ricerche a provare che il genocidio armeno è stato condotto e premeditato dai fondatori della moderna Turchia. Ora, spiega al New York Times, ha trovato la prova che gli mancava.

GENOCIDIO ARMENO. Oggi ricorre il 102esimo anniversario del genocidio armeno. Tra il 1915 e il 1923 un milione e mezzo di armeni vennero sterminati sotto l’Impero Ottomano in disfacimento all’inizio della Grande Guerra, dominato fin dal 1908 dal partito ultranazionalista dei “Giovani Turchi”. Gli armeni, che si erano stanziati in Anatolia secoli prima dell’arrivo dei sultani islamici, si trovarono improvvisamente colpevoli di vivere nella propria terra e di essere armeni. Cioè non turchi, quindi ostacolo alla creazione di quella nazione omogenea dal punto di vista etnico e religioso favoleggiata dai sostenitori del motto “la Turchia ai turchi”. Alla tragedia il nuovo numero di Tempi, in edicola da giovedì, dedica un ampio e nutrito servizio sulla mostra Metz Yeghern a Milano.

«PROVA FONDAMENTALE». Akcam, il docente turco, ha finalmente ritrovato e decifrato un documento «fondamentale»: si tratta di un telegramma in codice inviato nel 1915 da Behaeddin Shakir, alto ufficiale dell’Impero Ottomano residente nella città turca di Erzurum, per chiedere i dettagli delle deportazioni e del massacro degli armeni in Anatolia. Considerato uno degli organizzatori del genocidio, è stato processato per crimini contro l’umanità anche a causa del citato telegramma, poi sparito. Shakir sfuggì alla condanna a morte di un tribunale militare, per essere assassinato pochi anni dopo a Berlino.

TELEGRAMMA RITROVATO. Il telegramma, ha ricostruito il professore, è stato spedito in Inghilterra insieme a migliaia di altri documenti nel 1922, quando gli armeni rimasti a Istanbul temevano che le prove sarebbero state distrutte dai turchi. Da qui i documenti sono arrivati a Gerusalemme, passando per la Francia. L’archivio dove sono conservati non è mai stato aperto ad Akcam, che ha trovato però una foto del telegramma a New York, nelle mani del nipote di un monaco armeno sopravvissuto al genocidio. Questi, negli anni Quaranta, si era recato a Gerusalemme per fotografare tutto su consiglio di un giudice ottomano che aveva condotto i processi sullo sterminio alla fine della guerra.

«RICONOSCERE GLI ERRORI». Il telegramma criptato è stato decifrato e rappresenta una prova inequivocabile della volontà del governo di sterminare sistematicamente gli armeni. «Io sono turco», spiega Akcam, «e credo fermamente che la democrazia e i diritti umani potranno essere stabiliti in Turchia solo se il paese affronta la sua storia e ammette i suoi errori». Anche se, conclude, credo che «nonostante le prove ci vorrà molto tempo».

Leggi di Più: Genocidio armeno. «Ecco la prova che mancava» | Tempi.it

Genocidio armeno. Trovata a Gerusalemme la “Pistola Fumante”. Oggi in tutto il mondo si ricorda lo sterminio (marcotosatti.com 24.07.17)

MARCO TOSATTI

Centodue anni fa a Costantinopoli cominciava con il massacro di intellettuali, uomini politici e gente comune il genocidio degli Armeni, il primo del secolo dei genocidi, l’evento da cui Hitler e i suoi complici avrebbero tratto ispirazione e know how per il massacro degli ebrei. Quest’anno la data, che viene ricordata in tutto il mondo dalle comunità e dalle Chiesa armene è segnata da una scoperta particolare e particolarmente importante. Taner Akcam, uno studioso di storia che insegna negli Stati Uniti, nell’università del Massachusetts, ha reso noto di aver portato alla luce e decifrato una prova decisiva per assegnare al governo centrale turco dell’epoca la responsabilità dello sterminio.

La Turchia porta avanti da sempre una politica negazionista attiva e aggressiva. È di qualche settimana fa la notizia che l’Ambasciata di Turchia in Italia ha inviato una lettera a diversi sindaci italiani per intimare loro di non usare più la parola “genocidio” per definire le stragi avvenute dal 1915 al 1919, costate la vita a un milione e mezzo di armeni cristiani. L’ultimo comune italiano che aveva riconosciuto il genocidio armeno, con una delibera comunale, è stato Agnone, in provincia di Isernia. Molti altri comuni hanno già preso questa decisione.

Ne ha parlato Il Messaggero 

L’ambasciatore, con un’iniziativa che è certamente assimilabile a un’interferenza e un’ingerenza improprie, consiglia ai comuni di “astenersi a prendere parte a iniziative unilaterali”. E’ una mossa diplomatica che avrebbe meritato un richiamo ufficiale da parte della Farnesina, di cui però non si ha notizia; e sembra improbabile che Alfano trovi il coraggio necessario a farlo. Nonostante che nel1987 il Parlamento Europeo abbia votato una Risoluzione in cui si riconosceva che “durante la Prima Guerra Mondiale i massacri perpetrati dalla Turchia costituiscono crimini riconosciuti dall’Onu come genocidio. La Turchia è obbligata a riconoscere tale genocidio e le sue conseguenze”. Risoluzione ribadita anche il 15 aprile del 2015 in cui si deplorava “fermamente ogni tentativo di negazionismo”.

Adesso Taner Akcam, della Clark University, ha aggiunto un elemento fondamentale alla massa di prove che testimoniano come la distruzione della più grande comunità cristiana del Medio Oriente fosse stata pianificata, e non frutto di circostanze casuali, per quanto drammatiche, come sostengono i negazionisti. Akcam ha trovato nell’archivio del Patriarcato Armeno di Gerusalemme uno dei telegrammi cifrati con gli ordini relativi al massacro. Subito dopo la fine della guerra i processi svoltisi in Turchia portarono all’incriminazione di numerosi responsabili, fra cui Behaddin Shakir. La prova fondamentale fu un telegramma in codice, poi decifrato. Ma negli anni successivi, con l’inizio della politica negazionista il telegramma e altre prove, fra cui testimonianze giurate, scomparvero, lasciando gli storici in difficoltà. “Questa è la pistola fumante”, ha dichiarato al New York Times Taner Akcam. Il telegramma, in codice, inviato da un alto ufficiale a Erzerum, chiedeva notizie a un suo collega sul campo su come stessero procedendo deportazione e massacro degli Armeni nell’Anatolia orientale. Shakir fuggì in Germania, prima di essere processato, ma fu ucciso da due armeni le cui famiglie erano state distrutte nel Genocidio.

C’è molta attesa per vedere in che modo Donald Trump affronterà il problema del riconoscimento o meno del Genocidio armeno. Obama promise di farlo, ma per due mandati consecutivi si rimangiò la promessa. Il riconoscimento del genocidio armeno, Mètz Yeghern, il Grande Male, in armeno, è un problema anche in Israele. Nei giorni scorsi la Knesset ha rinviato la discussione sull’eventuale riconoscimento del genocidio Armeno per non creare problemi nei rapporti con la Turchia.

Ecco il link all’articolo del New York Times

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