Genocidio armeno: pressioni turche sui comuni italiani, così Ankara addestra i suoi ambasciatori (Spondasud 10.04.17=

(Alessandro Aramu) – La Turchia, attraverso il suo ambasciatore a Roma, ha scritto ai Comuni italiani per chiedere che non venga più usata l’espressione “genocidio armeno” per indicare gli accadimenti che portarono allo sterminio di circa un milione e mezzo di armeni a partire dal 1915. L’ambasciatore definisce “illazioni” gli eventi del 1915 in quanto non si basano su una sentenza dei tribunali internazionali.  Da qui l’invito ai consigli comunali italiani “ad astenersi a prendere parte a iniziative unilaterali”.

La lettera fa riferimento a una sentenza della Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell’uomo secondo la quale, a detta dell’ambasciata,  il genocidio armeno non sarebbe nient’altro che un falso storico.

In realtà, come giustamente ricorda la comunità armena in Italia, la sentenza del 15 ottobre del 2015 (n° 27510/08) a cui fa cenno il diplomatico di Ankara riguarda, come riportato nella dichiarazione fatta alla stampa dallo stesso tribunale, “la violazione dell’art 10  (Libertà di espressione) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo”. “Pertanto – chiarisce la nota – nulla ha a che vedere con i fatti storici e con gli eventi drammatici che gli armeni dovettero subire per mano dell’impero ottomano nel 1915, come la deportazione di massa ed i massacri, che la Corte non esita a sottolineare distinguendo il tema della libertà di espressione da quello storico e ribadendo ancora una volta la incontrovertibilità dei fatto”.

La pulizia etnica del secolo scorso continua a essere un vero e proprio tabù in Turchia. Il fatto di essere una delle precondizioni perché Ankara possa entrare a far parte dell’Unione Europea non ha modificato in alcun modo la linea del governo, dei dirigenti e delle autorità di quel paese. Si continua, a distanza di 102 anni, a voler nascondere la verità e a impedire che le persone possano liberamente parlare di questo crimine. Nel lungo periodo, la verità storica non può però continuare a essere negata a un livello così compatto, come accadeva quando vi era una forte censura e le informazioni sul genocidio non circolavano.

Il genocidio del popolo armeno, dunque, produce ancora i suoi effetti e la questione del suo riconoscimento è un tema di stringente attualità. Non tutti sanno che esiste persino un decalogo del negazionismo, dieci punti che costituiscono un vero e proprio codice di comportamento per i diplomatici turchi. Le direttive sono state emanate qualche anno fa dal Ministero degli Esteri affinché i propri rappresentanti all’estero possano efficacemente combattere contro le lobby armene. Queste direttive sono state pubblicate dal quotidiano turco Hürriyet (libertà) che, dopo aver constatato che avevano suscitato un’ampia eco all’estero, le ha prontamente tolte dal proprio sito internet.

Agli ambasciatori si chiede, tra le altre cose, di stabilire legami con le università e con i rappresentanti delle organizzazioni sociali dei paesi ove si trovano e di prendere la parola nel corso delle loro manifestazioni e in ogni occasione per spiegare la posizione della Turchia riguardo ai fatti del 1915. Si chiede inoltre di stabilire legami con i diplomatici dei paesi che hanno stretti rapporti con la Turchia: paesi balcanici, del Medio Oriente e in genere paesi vicini.

Nel corso delle riunioni, deve essere posto all’ordine del giorno il tema del genocidio (parola mai pronunciata in quanto bandita, chi ne fa uso in patria viene perseguito penalmente) e creare le condizioni affinché i diplomatici di questi paesi, specialmente quelli che hanno legami stretti con la Turchia, sappiano della posizione turca. La direttiva invita i diplomatici turchi a stringere legami con gli intellettuali dei paesi ove si trovano e spiegare loro la posizione turca.

Secondo il decalogo, la diaspora armena si può suddividere in tre gruppi: chi ha un interesse nella questione del Genocidio; quelli che sono emigrati dalla Turchia e vi hanno ancora dei legami e infine i moderati nei confronti della questione del Genocidio. I diplomatici turchi, secondo il Governo, devono mantenere dei rapporti solo con quest’ultimo gruppo senza però trascurare chi è contro la Turchia che comunque dovrà essere invitato alle manifestazioni delle ambasciate e dei consolati.

In realtà le cose vanno diversamente. Le autorità di Ankara nella pratica quotidiana non hanno un atteggiamento così morbido e tollerante nei confronti di chi parla del genocidio armeno e di chi porta avanti una posizione storica lontana dalla teoria negazionista tanto propugnata in patria. Si può persino affermare che non sono gradite le iniziative – specie quelle pubbliche – dove si afferma la responsabilità dei turchi nella pulizia etnica del popolo armeno nel ventesimo secolo. Lo fa con gli strumenti di pressione tipici di un governo straniero che sovente si configurano come una vera e propria ingerenza negli affari interni di un altro Stato. Le ambasciate sono chiamate a eseguire gli ordini del loro governo.

La lettera scritta ai comuni italiani si inserisce perfettamente in questa attività di pressione che la Turchia, attraverso la sua ambasciata, conduce nei confronti di tutti coloro che parlano apertamente di genocidio. Tra i destinatari delle missive e degli avvertimenti di Ankara ci sono un po’ tutti: dagli intellettuali ai parlamentari, senza eccezione alcuna. Non è casuale, comunque, la scelta di scrivere ai comuni, che in questi anni si sono dimostrati i più attivi nel riconoscere questo crimine contro l’umanità. L’ultimo comune italiano ad aver riconosciuto il genocidio armeno, attraverso una delibera comunale, è stato Agnone, in provincia di Isernia. Molti altri comuni hanno espresso solidarietà alle comunità armene della diaspora, nate dai sopravvissuti.

Uno dei casi più significativi dell’ingerenza turca e delle pressioni nei confronti dei comuni italiani si è verificato nell’ottobre del 2014 a Cagliari, nel corso dell’annuale Meeting del Mediterraneo organizzato dal Centro Italo Arabo e dalla rivista Spondasud. In quell’occasione si parlava dello sterminio di massa degli armeni e delle testimonianze degli ultimi sopravvissuti. Tra gli invitati, oltre l’ambasciatore della Repubblica d’Armenia in Italia, c’era anche il Sindaco, Massimo Zedda, che rivelò di aver ricevuto una nota dall’ambasciata turca a Roma che lo invitava  a non prendere parte alla sessione dedicata al genocidio.

Una richiesta non accolta dal primo cittadino del capoluogo sardo che sottolineò come la pacificazione tra i popoli passasse necessariamente attraverso “il riconoscimento delle proprie responsabilità, soprattutto quando hanno a che fare con i crimini contro l’umanità”. Ci fu anche un’interrogazione parlamentare rivolta al ministro degli affari esteri, Paolo Gentiloni, che, nella sua risposta, non rivelò alcun comportamento anomalo da parte dell’ambasciata turca in Italia.

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Negazionismo turco, la comunità armena d’Italia contro Ankara (Mondogreco.net 10.04.17)

Nuova puntata dello stucchevole e allucinante atteggiamento turco riguardo il genocidio armeno. Secondo la Comunità Armena d’Italia l’Ambasciatore Turco in Italia ha spedito una lettera ai presidenti dei Consigli comunali di numerose località italiane che in passato hanno votato documenti di solidarietà al popolo armeno e di riconoscimento del genocidio.

Nella stessa l’Ambasciatore fa riferimento a una sentenza della Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell’uomo e cerca di far credere ai suoi interlocutori che la stessa abbia classificato il genocidio armeno come un falso storico.

La sentenza del 15 ottobre del 2015 (n° 27510/08) a cui fa cenno il diplomatico di Ankara riguarda, come riportato nella dichiarazione fatta alla stampa dallo stesso tribunale, “la violazione dell’art 10 (Libertà di espressione) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo”. Pertanto, osserva la Comunità Armena d’Italia in una nota, nulla ha a che vedere con i fatti storici e con gli eventi drammatici che gli armeni dovettero subire per mano dell’impero ottomano nel 1915, come la deportazione di massa ed i massacri, che la Corte non esita a sottolineare distinguendo il tema della libertà di espressione da quello storico e ribadendo ancora una volta la incontrovertibilità dei fatti.

E osserva: “L’ambasciatore turco non pago delle immense sofferenze inflitte agli armeni da parte dei suoi avi, non pago della politica negazionista che la Turchia conduce da più di cent’anni mistificando i fatti storici, prova anche in questo caso a manipolare la realtà storica e giuridica cercando di far credere che la sentenza a cui fa riferimento è un “forte avvertimento giuridico” ed “costituisce un precedente importante per casi simili agli eventi del 1915” mentre come già accennato essa non ha alcun rilievo giuridico per quanto riguarda la “storia” ma si riferisce sic et simpliciter “alla libertà di espressione”, quella stessa “libertà” che oggi viene negata e calpestata nel suo paese, dove migliaia di insegnanti, giornalisti, politici di opposizione e scrittori sono processati e incarcerati, dove vige una politica di persecuzione verso le minoranze etniche, e dove coloro che scappano dalle guerre sanguinose dei paesi limitrofi subiscono ulteriori maltrattamenti e vengono spesso sfruttati come merce di scambio.

Avendo ricevuto evidentemente direttive al riguardo da colui che ormai comunemente etichettato come “dittatore” o “sultano” (il presidente Erdogan) il rappresentante di Ankara rinnova la tesi negazionista che da oltre un secolo è il filo conduttore della politica del suo Paese. Osa etichettare come “illazioni degli armeni” le verità storiche sul genocidio del 1915, classifica la vasta produzione documentale come “informazioni distorte”.

Dimentica l’Ambasciatore che il primo ad aver condannato in contumacia i diretti responsabili del genocidio armeno fu proprio il tribunale militare turco il cui atto d’accusa del 12 aprile 1919 affermava che “i crimini commessi durante la deportazione degli Armeni, in luoghi e momenti diversi, non erano episodi isolati e locali ma una forza locale e centrale organizzata, che ha premeditato tutto ed ha fatto eseguire gli ordini con istruzioni riservate e verbali” come si evince dalla montagna di documentazione prodotta a riguardo.

Non si poté usare il termine giuridico “genocidio”, anche se la definizione dei fatti è facilmente riconducibile ad esso, solo perché tale termine fu coniato in seguito, ed in chiaro riferimento al genocidio degli armeni, da un giurista ebreo-polacco di nome Raphael Lemkin, che era stato testimone di quanto avvenne agli armeni.

Nel suo delirio negazionista l’ambasciatore turco dimentica che fu proprio il Parlamento Europeo nel 1987 a votare una risoluzione in cui si constatava che “durante la Prima Guerra Mondiale i massacri perpetrati dalla Turchia costituiscono crimini riconosciuti dall’ONU come genocidio. La Turchia è obbligata a riconoscere tale genocidio e le sue conseguenze“. Risoluzione ribadita anche il 15 aprile del 2015 dove si deplorava “fermamente ogni tentativo di negazionismo”.

Secondo la Comunità Armena d’Italia l’ambasciatore Esenli non manca di condire la sua lunga epistola con la consueta ventilata “minaccia” sulle relazioni diplomatiche ed economiche fra i due Stati, alludendo che “alcuni ambienti” cercano di politicizzare la storia e trarre inimicizie dal passato per danneggiare la collaborazione Italia-Turchia, ma lo stesso dimentica che il suo paese, in barba alla politica di buon vicinato imposta dall’Unione Europea, tiene chiusi unilateralmente i suoi confini con la vicina Armenia ed ha invaso militarmente, dal 1974, la parte Nord dell’isola europea di Cipro. Finge evidentemente di ignorare che la credibilità delle istituzioni e dei rappresentanti turchi in questo momento storico è pressoché nulla ma vorrebbe dare lezioni ai rappresentanti del popolo italiano sul rispetto delle opinioni commettendo però un grave errore diplomatico nell’interferire nelle “attività” di un paese sovrano. Un errore che meriterebbe un richiamo ufficiale da parte della Farnesina.

Il “Consiglio per la comunità armena” nel condannare, ancora una volta e con sempre maggiore forza, il negazionismo di uno Stato che non riesce a far pace con la propria storia, uno Stato che non esita a bombardare villaggi curdi nel nord della Siria e in Irak, uno stato i cui governanti sono una minaccia per la stessa popolazione della Turchia, ringrazia tutti gli italiani che hanno mostrato vicinanza e solidarietà al popolo armeno e hanno scelto di stare dalla parte della verità e della giustizia.

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La Turchia chiede ai Comuni italiani di non parlare di genocidio armeno: «Sono illazioni» (Ilmessaggero.it 09.04.17)

di Franca Giansoldati

La Turchia – attraverso la sua ambasciata in Italia – ha inviato una lettera a diversi sindaci italiani per intimare loro di non usare più la parola «genocidio» per definire le stragi avvenute sotto l’Impero Ottomano dal 1915 al 1919, costate la vita a un milione e mezzo di armeni cristiani. L’ultimo comune italiano che aveva riconosciuto il genocidio armeno, attraverso una delibera comunale, è stato Agnona, in provincia di Isernia. Così come il comune campano anche altri comuni (la lista è piuttosto lunga) hanno, a più riprese, in questi ultimi anni, espresso solidarietà alle comunità armene della diaspora, nate dai sopravvissuti.

L’ambasciatore – nella lettera che sta girando sul web – definisce «illazioni» i fatti accaduti nel 1915 che non basandosi su una sentenza di tribunali internazionali rappresentano una interpretazione soggettiva che essi «tentano di presentare all’opinione pubblica» con il risultato, aggiunge il diplomatico, di rendere difficili le buone relazioni con l’Italia. Segue l’invito ai consigli comunali italiani «ad astenersi a prendere parte a iniziative unilaterali».

Infine il diplomatico mette in evidenza che «permettere ai turchi di esprimere le loro opinioni sui fatti del 1915 è un dovere di libertà di espressione e un diritto dell’uomo nei paesi democratici». La Comunità Armena in Italia, attraverso un comunicato, ironizza su quest’ultima frase. «Da che pulpito ci tocca sentire parlare di democrazia. Vorrebbe dare lezioni di democrazia ai rappresentanti del popolo italiano interferendo nelle attività di un paese sovrano. Un errore diplomatico che meriterebbe un richiamo ufficiale da parte della Farnesina».

Nel 1987 il Parlamento Europeo votò una Risoluzione in cui si riconosceva che  «durante la Prima Guerra Mondiale i massacri perpetrati dalla Turchia costituiscono crimini riconosciuti dall’Onu come genocidio. La Turchia è obbligata a riconoscere tale genocidio e le sue conseguenze». Risoluzione ribadita anche il 15 aprile del 2015 in cui si deplorava «fermamente ogni tentativo di negazionismo».

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Laura Ephrikian: vi racconto gli incontri di una vita da Morandi alla mia Africa (IlCentro 05.04.17)

L’attrice e scrittrice presenta il suo nuovo libro oggi al Marrucino di Chieti «Con Gianni eravamo giovani e innamorati e facevamo sognare le ragazzine» di Anna Fusaro

di Anna Fusaro

«Il libro contiene anche momenti comici, personaggi e storie buffe. Un po’ di leggerezza ci vuole, penso sia un valore”. L’attrice e scrittrice Laura Ephrikian presenta il suo nuovo libro “Incontri” (Sce) oggi a Chieti in una conversazione con Cinzia Di Vincenzo a cura della libreria De Luca (nel foyer del Teatro Marrucino, alle 17).

Signora Ephrikian, prima volta a Chieti?

No, ci sono già stata per una manifestazione dedicata al regista Anton Giulio Majano, che era nato lì.

Con Majano ha lavorato in due sceneggiati Rai di culto, “La cittadella” di Cronin e “David Copperfield” di Dickens, che le diedero grande popolarità. Che ricordi ha di quella stagione?

Gli sceneggiati davano una popolarità enorme. All’epoca c’era un solo canale Rai e tutta Italia stava davanti alla tv. Entrambi ebbero un grande successo e in tanti ancora ricordano Dora Copperfield, che nel libro è una moglie bambina, una sciocchina, invece Majano seppe rendere il personaggio sfaccettato. Quando sono morta, era sempre quello il mio destino in tv, tutti si commossero. In occasione di una replica pure mia figlia Marianna, all’epoca piccolina, si mise a piangere.

Gli sceneggiati erano teatro filmato, l’ideale per lei che veniva dalla scuola di recitazione di Strehler al Piccolo di Milano. Rimpianti per aver lasciato il palcoscenico?

Ho fatto teatro per tre anni. Appena diplomata al Piccolo nel 1959, a 19 anni, ebbi subito delle proposte di scrittura e fui chiamata da Franco Enriquez. Però mi resi conto presto che il teatro era troppo stressante. Per fortuna ho avuto la televisione, che mi si addiceva come mezzo. Ma anche lì l’emozione non mancava. Con “Le Troiane” recitammo in diretta e ricordo il panico mentre andava in onda Carosello.

Negli anni Sessanta era una diva, la fidanzata d’Italia, per gli sceneggiati ma soprattutto per i musicarelli con Gianni Morandi.

Avevo già interpretato un musicarello con Bobby Solo. Ero recidiva. Un produttore importante, Goffredo Lombardo, che con la Titanus spaziava da “Il Gattopardo” ai filmetti a basso costo, di fronte al successo strepitoso di “Una lacrima sul viso” decise di fare un musicarello con me e con Gianni, che era una stella emergente. Io protestai: “Ma come? Devo fare la fidanzata di un altro dopo esser stata la fidanzata di Bobby Solo?”. Gianni era in Giapppone e quando tornò, Balestrazzi, addetto stampa della Titanus, andò a prenderlo all’aeroporto, gli mise su la divisa da militare e me lo portò a casa. Io aprii e vidi questo pupazzetto, sembrava disegnato, magro magro, con le braccia lunghe e le mani grandi. È iniziato tutto lì. Alla fine delle riprese di “In ginocchio da te” ci rendemmo conto di essere innamorati.

Seguirono altri musicarelli e il matrimonio.

È stata una cosa buffa. Quando i discografici seppero che lui aveva una fidanzata più grande di quattro anni, all’epoca sembrava strano, gli dissero: “Se ti sposi perderai tutte le ammiratrici”. Invece accadde il contrario. Siamo stati molto amati dal pubblico proprio come coppia, perché eravamo giovani e innamorati e facevamo sognare le ragazzine. Ancora oggi i musicarelli piacciono e quando la tv li ripropone c’è un passaparola sui social tra nonne, mamme, nipoti. Siamo alla terza generazione di fan.

Di cosa parla il nuovo libro?

Sono alcuni degli incontri della mia vita. Ritratti scritti inizialmente senza pensare a un libro. Nel libro non c’è solo gente di spettacolo. Ma c’è Giancarlo Giannini, mio marito David Copperfield. E Vittorio De Sica, artefice del mio nome d’arte semplificato, con la f al posto del ph.

In Africa si occupa molto degli altri.

Comprai 23 anni fa una casetta in un villaggio in Kenya. All’inizio, come tutti i turisti, ero affascinata dal paesaggio. Quando ho cominciato a interessarmi alle persone ho capito che sono di una povertà inimmaginabile. Allora ho cercato di aiutare. Faccio quello che posso. Anni fa ho fatto operare al Rizzoli di Bologna un ragazzo malato di un tumore osseo. Quando Katana si è ammalato di nuovo per me è stata una sconfitta. Ma è stato proprio lui a consolarmi. Nel libro c’è anche la sua storia.

La sua famiglia ha origini armene. Suo nonno riuscì a sfuggire al genocidio compiuto dai turchi nel 1915. In famiglia se ne parlava?

Nonno Akop scappò bambino dall’orrenda persecuzione turca. Ma non ne parlava mai. Come accade alle vittime delle persecuzioni di massa, aveva il cuore sigillato. Arrivò in Italia coi piedi feriti, deformati dalla lunga fuga. Io non capivo perché i suoi piedi fossero così, e perché avevamo questo cognome. Ma dov’è l’Armenia, mi chiedevano a scuola. Ancora oggi me lo chiedono. Ho amato molto papa Francesco quando ha detto che c’era stato un genocidio, ho sentito una vicinanza vera agli armeni, popolo che ha adottato per primo il Cristianesimo come religione di Stato e sulla cui terra c’è un luogo simbolico come il monte Ararat. Crescendo ho avvertito il bisogno di saperne di più. Nel sottoscala di casa a Treviso c’era un baule da non aprire mai. Nonno morì che io avevo otto anni. A 17 anni ho aperto il baule e ho scoperto la storia di due famiglie attraverso il bellissimo epistolario, 66 lettere, tra il nonno e mia nonna Laura Altan, contessina veneziana di famiglia impoverita, figlia di un pittore. Ho raccontato la storia familiare nei libri “Come l’olmo e l’edera” e “L’altra metà della mia vita”.

Compare nel film dei Taviani “La masseria delle allodole”, dall’omonimo libro di Antonia Arslan.

Quando seppi che giravano il film dissi: “Sono l’unica attrice armena in Italia e non mi chiamate?”. I Taviani risposero che non lo sapevano e mi chiesero un cameo.

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Commemorazione e liturgia per l’anniversario del Genocidio degli Armeni a Padova il 24 aprile 2017 Eventi a Padova (Padovaoggi 07.04.17)

Commemorazione e liturgia per l’anniversario del Genocidio degli Armeni a Padova il 24 aprile 2017 Eventi a Padova

Lunedì 24 aprile ricorre la commemorazione del 102esimo anniversario del Genocidio degli Armeni, in occasione della quale vengono organizzate due iniziative a cura dell’associazione Italiarmenia e del comune di Padova

Nel quadro storico del primo conflitto mondiale (1914-1918) si compie, nell’area dell’ex Impero Ottomano in Turchia, il genocidio del popolo armeno (1915-1923), il primo del XX secolo.
Con esso il governo dei Giovani Turchi, che ha preso il potere nel 1908, attua l’eliminazione dell’etnia armena presente nell’area anatolica fin dal VII secolo a.C.
Gli storici stimano che persero la vita circa i due terzi degli armeni dell’Impero Ottomano, circa un milione e cinquecentomila persone.

Medz Yegern – il Grande Male, è l’espressione con la quale gli Armeni nel mondo designano il massacro subito in Anatolia dal loro popolo.

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CERIMONIA COMMEMORATIVA

Lunedì 24 aprile, ore 11 – palazzo Moroni
Deposizione di una corona di alloro, sul bassorilievo in bronzo, in ricordo dei martiri del genocidio armeno.
Interventi:

  • Paolo De Biagi, commissario straordinario del comune di Padova
  • Aram Giacomelli, presidente dell’associazione Italiarmenia

A seguire, musiche armene eseguite dal maestro Aram Ipekdjian.

LITURGIA IN LINGUA ARMENA

Lunedì 24 aprile, ore 9.30 – Chiesa di Sant’Andrea
Liturgia in rito armeno in memoria dei martiri del Genocidio degli Armeni, officiata dai Padri della Congregazione Mechitarista di San Lazzaro degli Armeni – Venezia.

INFORMAZIONI

Ufficio relazioni esterne – Settore Gabinetto del Sindaco
049.8205232 – 8205095
relazioni.esterne@comune.padova.it
Associazione Italiarmenia
info@italiarmenia.it
www.italiarmenia.it

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Se questa è la vostra libertà, vi odiamo (Lavocedelpopolo.it 07.04.17)

“59 missili americani lanciati in nome della libertà”. Esordisce così con amarezza mons. Antonio Antraning Ayvasian, vicario generale dell’Alta Mesopotamia per i Cattolici di Rito Armeno, che questa sera a Brescia, all’interno del programma dei Quaresimali proposti dai Custodi delle Sante Croci, parla del sangue della Siria. “In Siria San Paolo è diventato cristiano. In Siria Gesù si è fatto vivo dopo la sua ascensione in cielo. In Siria abbiamo grandi Santi, filosofi e teologi. La Siria – spiega mons. Antonio – è un Paese tollerante. Non abbiamo mai avuto problemi né con gli ebrei né con i musulmani. Hanno voluto dividere un Paese. E oggi, che cosa abbiamo? Prima eravamo liberi, adesso siamo tornati 1500 anni indietro. Voi cosa preferite? Il barbarismo e la distruzione dei simboli religiosi? Se questa è la vostra libertà, noi vi odiamo”.

Da lontano si fatica a comprendere la situazione… L’opinione pubblica è stata colpita dall’utilizzo delle armi chimiche…

Hanno bombardato un deposito di armi, al cui interno c’erano anche materie chimiche. Gli americani due settimane fa hanno ucciso 240 tra donne e bambini a Mosul ma nessuno ne parla. C’è una regia unica di tutti i mass media per far cadere il governo di Assad… ma chi vi ha dato questa procura? Noi siamo liberi, vogliamo essere liberi. Tutto il mondo prende le notizie solo da Rami Abdul Rahman che vive a Londra e parla a nome dell’opposizione siriana.

Siete delusi dall’Occidente?

Che cosa fate voi stranieri in un Paese sovrano e indipendente? Con quale ragionamento? L’Europa, purtroppo, non può uscire dall’obbedienza agli Stati Uniti e alla Nato. Non ci aspettavamo che proprio l’Occidente, campione della libertà, ci togliesse questa libertà.

E l’Isis?

Nell’Isis sono rappresentati 103 Paesi ma non ci sono siriani: che cosa fanno in Siria? La nostra ferita è profonda.  L’Isis finisce quando gli americani mettono fine alle telecomunicazioni. Hanno rubato il petrolio che è stato rivenduto ai turchi. Hanno venduto a metà prezzo, anche agli italiani, le opere d’arte. Si disinteressano se muoiono le persone.

Quali sono i rapporti della Chiesa con Assad?

Non abbiamo rapporti, ma vediamo in lui la figura che unisce il popolo siriano. Non fa distinzioni tra musulmani e cristiani. Ci rispetta.

Che ruolo giocano i ribelli siriani?

Ma quali ribelli? Questa è una barzelletta… Hanno pescato alcuni venditori di verdure, ma noi siamo 24 milioni di abitanti.

Cosa ha imparato in questi anni?

Ho imparato che non dobbiamo avere fiducia in nessuno al di fuori della nostra appartenenza alla Chiesa cattolica. Se non fossi stato un cattolico, avrei imbracciato le armi contro gli americani.

Visti i molteplici interessi in gioco, da dove possiamo ripartire?

Uno, per capire, deve venire sul posto. Erdogan è il capo dei Fratelli Musulmani. E’ lui che apre i confini e addestra, pagato dall’Arabia e dal Golfo, questi signori. Le armi sono fabbricate in Turchia e finanziate dall’Arabia. La Turchia sta bene economicamente. Erdogan odia la Siria perché noi siamo una famiglia con più etnie.

La Chiesa non ha smarrito la speranza

Non abbiamo più beni. Facciamo un lavoro sociale e paramedico perchè ci confrontiamo con grandi povertà e miserie. Le persone hanno perso tutto. I curdi hanno confiscato le case dei cristiani, hanno occupato i terreni agricoli. Siamo quasi isolati. Non abbiamo la libertà di scendere nelle strade e di uscire dai quartieri cristiani senza rischiare di essere presi e sfruttati per il traffico di armi. Per questo la gente, con rammarico, fugge.

Anche il Papa dimostra continuamente la sua vicinanza…

L’unico nunzio apostolico (mons. Mario Zenari) che porta il titolo di cardinale è in Siria. Poco tempo fa, mons. Zenari ha detto: Quelli che non credono nell’Inferno, vengano in Siria e lo vedranno”.

C’è una quotidianità difficile da raccontare…

Le scuole sono aperte. Di giorno ci muoviamo, di notte no. Non osiamo. Sappiamo che dal cielo può cadere qualcosa. Anche tutti i riti della Pasqua, che comunque celebreremo, li faremo di giorno.

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“The Promise” proiettato in Vaticano (Laterradihayk.com 06.04.17)

– VATICANO: Il film “The Promise”, il primo film sul Genocidio Armeno realizzato ad Hollywood grazie al filantropo Kirk Kerkorian, scomparso nel 2015, è stato proiettato martedì scorso in Vaticano, alla presenza del regista Terry George e del produttore Eric Esrailian, come riporta in esclusiva il sito Variety.
Gli attori principali del film, Christian Bale e Oscar Isaac, non hanno partecipato alla proiezione, riservata per pochi intimi. Hanno partecipato, invece, le star Shoreh Aghdashloo e James Cromwell insieme al cantautore Chris Cornell.
La proiezione è avvenuta ad un anno di distanza dalla visita del Papa in Armenia, in cui pronunciò la parola “Genocidio” durante un discorso, provocando la reazione diplomatica turca.
Il film, il cui budget stimato è di circa 100 milioni, rappresenta un evento storico ad Hollywood, dopo decenni di tentativi di realizzare film dedicati al Genocidio Armeno, tutti falliti a causa di quella che il regista George chiama la “lobby negazionista”, una macchina molto efficiente attualmente guidata dal premier turco Erdogan.
Pur non avendo potuto fermare la produzione di “The Promise”, la lobby turca è riuscita a produrre un film con elementi simili, intitolato “The Ottoman Lieutenant”, che invece racconta gli eventi successivi al 1915 dal punto di vista dei negazionisti.
Il critico Dennis Harvey ha scritto su Variety che nel film prodotto principalmente con soldi turchi “gli eventi storici, politici ed etnici – senza parlare di quel perpetuo elefante nella stanza, il Genocidio Armeno, iniziato nel 1915 – sono sorvolati in favore di una generica aura “Cosa vuoi farci…la guerra è brutta” che implica una coscienza dei fatti senza in realtà dire nulla”.
La casa di produzione Survival Pictures ha lanciato una campagna denominata #KeepThePromise reclutando personaggi famosi del calibro di Elton John, Sylvester Stallone, Andre Agassi, Cher, Barbara Streisand, per dare al film la visibilità opportuna, visti anche i suoi scopi filantropici.

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Al liceo Cornaro una mostra sul genocidio armeno con le foto di Armin Wegner (Ladifesapopolo.it 06.04.17)

Martedì 4 aprile al liceo Alvise Cornaro di Padova, è stata inaugurata la mostra Armin T. Wegner e gli armeni in Anatolia, 1915. Immagini e testimonianze. Per l’occasione si è svolto anche l’incontro “Genocidi dimenticati”, in cui si è riflettuto con gli studenti, alla presenza di esperti e testimoni, del genocidio armeno e ruandese. La mostra, che è visitabile fino all’8 aprile, è stata esposta per la prima volta nel 1995 in occasione dell’ottantesimo anniversario del genocidio armeno, perpetrato nel 1915 dal governo dei giovani turchi (gruppo appartenente al movimento politico dell’Ittihad, Comitato unione e progresso, sorto in seno all’impero ottomano).

L’esposizione è costituita da carte geografiche, schede storiche, testi e circa 80 fotografie scattate dall’ufficiale tedesco Armin T. Wegner, testimone oculare del genocidio in cui hanno perso la vita più di un milione e mezzo di persone. Si trattò del primo genocidio del ventesimo secolo.

«La vedova di Stefano Serapian, un sopravvissuto al genocidio – ha affermato, in riferimento alla genesi della mostra, Anna Maria Samuelli che, con Pietro Kuciukian, ne ha curato la parte storica – aveva consegnato a Pietro Kuciukian un centinaio di foto: immagini che l’ufficiale tedesco Armin T. Wegner aveva scattato tra Costantinopoli e Bagdad nel 1915, quando assistette impotente alla deportazione dell’intero popolo armeno. Stefano Serapian aveva ricevuto le fotografie direttamente dalle mani di Armin Wegner».

La professoressa Samuelli ha poi affermato che diverse persone espressero dubbi sull’autenticità delle stesse immagini: «Avvenne successivamente che il figlio di Armin Wegner, Mischa, contattato da Kuciukian, gli consegnò le lettere che Armin Wegner aveva inviato alla madre in Germania in cui si descrivevano i terribili massacri a cui assistette e che erano state raccolte in un libro, La via senza ritorno. Un martirio in lettere, pubblicato nel 1919. Si constatò quindi che alcuni passaggi delle lettere si riferivano alle immagini e ciò avvalorò la veridicità delle stesse.

Così Kuciukian decise di procedere alla realizzazione di una mostra, per far conoscere a più persone possibili la tremenda strage».La studiosa ha aggiunto che nell’aprile 1995 la mostra fu inaugurata al museo archeologico di Milano e, dopo moltissime altre tappe, è giunta in questi giorni a Padova. Gli organizzatori si augurano che la riflessione e la memoria di questi fatti storici, soprattutto da parte delle giovani generazioni, possa essere un’ulteriore occasione per comprendere fino a che punto il male dell’uomo può manifestarsi e colpire, e quanto esso debba essere riconosciuto e debellato sul nascere. –

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Genocidi dimenticati: mostra al liceo scientifico Alvise Cornaro di Padova Eventi a Padova (Padovaoggi 04.04.17)

In occasione del 102° anniversario del Genocidio degli Armeni, che ricorre il 24 aprile, il liceo scientifico Alvise Cornaro di Padova ospita la mostra fotografica “Armin T. Wegner e gli Armeni in Anatolia, 1915”, a cura dell’Associazione Italiarmenia, che intende ricordare quei tragici eventi.
Dopo l’inaugurazione della mostra, in programma martedì 4 aprile alle ore 10, viene organizzata “Genocidi dimenticati”, una conferenza, riservata agli studenti, sul tema dei genocidi armeno e rwandese.

La mostra ha la collaborazione del comune di Padova – Giardino dei Giusti del Mondo.

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Programma

  • Mostra fotografica “Armin T. Wegner e gli Armeni in Anatolia, 1915”
    Inaugurazione: martedì 4 aprile, ore 10
    Modalità di accesso alla mostra: nei giorni 5, 6 e 7 aprile, dalle ore 15 alle 17, previa prenotazione obbligatoria via email all’indirizzo pdps06000v@istruzione.it.
  • Conferenza “Genocidi dimenticati”
    Relatori: Vartan Giacomelli, Giuliano Pisani, Anna Maria Samuelli, Lucia Bressan e Jean De Dieu Harelimana.
    La conferenza è riservata agli studenti.

Per informazioni

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‘Imparare a memoria’: la lezione dell’arte sugli armeni (bari.repubblica.it 06.04.17)

‘Imparare a memoria’, per non dimenticare. E’ il senso provocatorio e poetico del progetto che Agnese Purgatorio presenta fino al 25 aprile a Milano, nella comunale Casa della memoria (dal lunedì al venerdì 9-17; info 02.864.530.05). L’artista barese prosegue qui la sua sofisticata riflessione sulla tragica storia degli Armeni, dal genocidio a una diaspora di cui le coste del Mediterraneo recano ancora testimonianze. In sei collage digitali inserisce i protagonisti di una campagna americana proarmeni all’interno di cine-teatri in abbandono (photo courtesy Podbielski Contemporary). Mentre in uno dei due video, J’ai utilisé la mémoire, documenta una sua performance realizzata in Armenia con due sopravvissute allo sterminio. E nell’altro, Rimani mi dicesti ed io resta, reca omaggio allo scomparso Hrand Nazariantz, uno dei più importanti poeti armeni, vissuto per diversi anni a Bari (Antonella Marino)

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“I disobbedienti”, presentazione del libro di Kuciukian alla Casa della Memoria (Gariwo 05.04.17)

Giovedì 5 aprile, si inaugura alla Casa della Memoria di Milano la mostra fotografica “Learning by Heart”, realizzata da Agnese Purgatorio per commemorare il centenario del genocidio armeno. La mostra, per la prima volta in città, è curata da Martina Corgnati e organizzata dal Comune di Milano. (Apertura dal 6 al 25 aprile, lun-ven 9.00-17.00; sab-dom 10.00-18.00).

Contestualmente, si terrà la presentazione del libro di Pietro Kuciukian “I disobbedienti. Viaggio tra i Giusti ottomani del genocidio armeno”. L’autore dialogherà con Martina Corgnati a partire dalle ore 17.00, nella sede di via Federico Confalonieri 14 (MM5-Isola, ingresso libero fino a esaurimento posti).

Learning by heart, “Imparare a memoria”, è un progetto video e fotografico composto da sei collage digitali che migrano letteralmente da una posizione all’altra e da un ruolo all’altro: in questo caso sono luoghi, cine-teatro abbandonati, occasioni visive di fascino e di degrado, in cui sono stati ambientati personaggi e particolari tratti dalla campagna che il presidente americano, all’epoca Thomas Woodrow Wilson, aveva lanciato a sostegno degli armeni. Oltre a questi elementi, le immagini contengono testi e numeri, computi delle vittime.

L’artista presenta due video, J’ai utilisé la mémoire, dedicato alle donne armene sopravvissute al genocidio e frutto di una performance realizzata dall’artista in Armenia al confine con la Turchia davanti alla antica città di Ani; e Rimani mi dicesti ed io restai, dove il suono ovattato di un contrabbasso sembra commentare i versi del poeta armeno Hrand Nazariantz, recitati da un giovane uomo amplificato da un vecchio megafono fra poltrone, altrettanto vecchie, di un cinema teatro abbandonato.

Contestualmente al MIC – Museo Interattivo del Cinema, Fondazione Cineteca Italiana il 7 aprile si terrà una giornata di proiezioni, che prevede alle 16 “Ararat – Il monte dell’Arca” (2002), di Atom Egoyan e alle 18.30 “La masseria delle allodole” (2007), trasposizione cinematografica dei fratelli Taviani dell’omonimo romanzo di Antonia Arslan.

L’ingresso alle proiezioni è libero per i visitatori di Casa della Memoria tramite tagliando rilasciato presso Casa della Memoria. Ingresso intero 5.50 euro.

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