Azerbaijan, il paese dalla pace apparente (Agoravox.it 26.01.17)

Arrivare nella capitale dell’Azerbaijan, la scintillante e luminosa Baku, la Dubai del Caspio, può creare l’illusione di un Paese al passo con i tempi: palazzi avveniristici, fontane multicolori, giochi di luci, traffico composto da molti suv. Ma la realtà è in agguato appena ci si allontana dal centro città.

di Federica Tammaro – Frontierenews

 

Piccoli paesi poveri pur nella dignità, unica ferrovia, un servizio di autobus che termina dopo le 15, un parco d’auto sovietico di annata, e quella di tassista una delle professioni più diffuse per sopperire agli scarsi collegamenti. Taxi che partono solo quando con i pochi “manat” dei passeggeri si riesce a fare il pieno. Per altro la benzina costa pochissimo rispetto ai nostri parametri, ma l’essere un forte produttore di petrolio e gas non pare risollevare l’economia del Paese, anche se un grande gasdotto servirà a breve Georgia, Turchia, Grecia e Albania per forse giungere in Italia bypassando la Russia.

M., un ragazzo laureato che sbarca il lunario facendo vari lavori e la guida non ufficiale, ci spiega che i motivi di questa crisi sono diversi: la vendita del gas per motivi geopolitici all’ Iran a prezzo “ribassato”, il crollo del prezzo del petrolio e le spese del comparto militare, dell’eterna mobilitazione-stato di guerra contro l’Armenia per il Nagorno-Karabak. Prudentemente M. non accenna a un quarto motivo: la corruzione e l’arricchimento spudorato della famiglia Alijev che dal momento dell’indipendenza alla dissoluzione dell’Urss, si è impadronita del potere con elezioni-plebiscito per lo meno dubbie, favorendo un culto della personalità dilagante nel Paese.

Non c’è negozio o palazzo pubblico che non abbia un ritratto del padre-padrone della nazione, o piazza importante senza una sua statua, talvolta abbracciato al figlio che in maniera dinastica gli è succeduto dal 2003 al potere. E fa bene M. ad esser prudente. Durante la nostra permanenza un blogger azero è stato rapito: aveva espresso critiche contro la corruzione. D’altra parte ci dice che non è delicato fare domande in giro sul governo e la guerra, né dire di essere stati in passato in Armenia. La ferita della perdita del Nagorno-Karabak è ben presente nei racconti di tutti, naturalmente da questo lato del confine nessuno dubita che l’Armenia sia l’aggressore e il Nagorno azero e culla della sua storia.

Vero è che gli abitanti della regione del Naxcivan, divisa dal resto del territorio azero da un corridoio armeno, per raggiungere il resto del Paese devono fare un lungo giro passando dall’Iran. E anche volendo far domande fuori da Baku quasi nessuno parla inglese, pochi i turisti, turchi e russi; il turista occidentale suscita però una benevola curiosità e tutti si fanno in quattro a gesti o con telefonate all’amico del parente che forse sa due parole in inglese per dare informazioni, vitto e alloggio.

La popolazione è quasi tutta sciita, vive con molta tranquillità e tolleranza la sua religione senza interpretazioni “fondamentaliste”, lo si nota nei costumi, nelle preghiere, nel fatto che esiste ancora una piccola comunità ebraica (detti ebrei della montagna) e una forte comunità zoroastriana, antichi adoratori del fuoco, il tempio di Ashgah vicino a Baku è una delle principali mete di pellegrinaggio dei fedeli di questo culto, e non è raro vedere azeri sciti unirsi agli zoroastriani per festeggiare il capodanno “nowruz” saltando da una parte all’altra di pire infuocate.

Certo, non è tutto così idilliaco, anche da qui sono partiti decine di combattenti che si sono uniti all’Isis, ma sicuramente in misura molto minore di altre repubbliche asiatiche vicine. Prima di abbandonare il Paese visitiamo il mausoleo di Baku ai caduti della guerra contro l’Armenia.

Un lungo muro all’aperto con moltissime lapidi e nomi. Ognuno ha un garofano rosso che viene cambiato ogni giorno. M. ci dice che praticamente ogni famiglia azera ha almeno un caduto in questa guerra. Rimane in silenzio per un po’, poi prima di salutarci dice che presto partirà anche lui per il confine per uno dei periodi di richiamo, che il servizio militare è obbligatorio e semi permanente.

Le rapide ombre gelide dell’inverno che si allungano sulla piazza sembrano evocare un futuro incerto per questo Paese, che ancora nel 2017 sconta i danni della storia, della politica stalinista e della dissoluzione dell’URSS.

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ARMENIA: Il nazionalismo armeno, tra repressione e distensione (East Journal 26.01.17)

Con la distensione che caratterizza l’ultimo periodo della Guerra fredda, il Cremlino allenta la presa sulle Repubbliche che costituiscono l’URSS, determinando profonde implicazioni nell’area caucasica. È dunque negli anni ’80 che giunge a compimento il lungo processo di sviluppo del nazionalismo armeno, che culmina nel 1991 con la nascita di uno Stato indipendente.

Emersione e repressione dell’etno-nazionalismo

A partire dal 1922 la Repubblica socialista sovietica di Armenia entra a far parte della Repubblica federativa transcaucasica. In epoca staliniana, i rapporti tra la regione armena e l’URSS sono caratterizzati dal tentativo di Mosca di reprimere ogni localismo e, in particolare, ad essere fatta oggetto di costanti attacchi è la Chiesa armena. Con l’avvento della Seconda guerra mondiale, viene timidamente dato spazio ad una prima manifestazione del nazionalismo armeno, con la concessione di parziale libertà a gruppi etnici interni nel tentativo di non creare fratture subnazionali.

La figura di Raffi

Solo con il disgelo post-staliniano, tuttavia, la graduale apertura di Mosca determina la riabilitazione di alcune figure cardine del nazionalismo armeno. È infatti con Kruscev che si dà avvio alla ripubblicazione delle opere dell’intellettuale armeno-iraniano Raffi. Questi era stato ritenuto colpevole dalla leadership staliniana di aver fomentato il patriottismo caucasico con i suoi scritti che, redatti nella seconda metà dell’Ottocento, contengono ampi riferimenti ai secoli della storia armena.

Il talento narrativo di Yacob Malik Yacobean (meglio noto con lo pseudonimo di Raffi) emerge nei racconti in cui vengono descritte le gesta dei melik’, gli organizzatori della resistenza armena. Nei romanzi come nelle poesie, l’autore non di rado si lancia in elaborate invettive contro i nemici storici del suo popolo. Le opere di Raffi, pertanto, descrivendo la resistenza condotta dalle popolazioni armene contro turchi e persiani nel corso dei secoli, sono spesso ritenute la base ideologica dell’indipendentismo nella regione del Larabal e nei territori limitrofi.

La politicizzazione del nazionalismo

A metà degli anni ’60, con il cinquantenario del genocidio, si assiste ad una politicizzazione del sentimento nazionalista armeno. È nel 1965 che scoppiano a Yerevan proteste la cui violenza senza precedenti conduce il Soviet supremo a decidere di autorizzare la costruzione del Memoriale sulla collina di Tsitsernakaberd. Inoltre, in una notte del 1967, viene abbattuta senza preavviso da alcuni soldati la statua di Stalin che da anni sovrastava la piazza centrale della città. A sostituirla è la statua di Mays Hayastan (Madre Armenia), visibile ancora oggi, che impugna la spada e guarda verso il confine turco.

La “seconda distensione”

Con l’avvio della seconda distensione (1985-1991) nel contesto della Guerra fredda, la sentita esigenza di cambiamento si estende anche alla periferia dell’URSS. In area caucasica, il rinnovamento va configurandosi come pulsione verso l’indipendenza – coronamento di un processo plurisecolare. Il nazionalismo della popolazione armena del Nagorno-Karabakh, territorio sottoposto all’autorità azera, confluisce in un movimento indipendentista che mira alla riunificazione con la terra d’origine e prende il nome di miatsum (unificazione). La componente militaristica del nazionalismo armeno costituita dal conflitto con l’Azerbaijan, tuttavia, ne rappresenta soltanto un aspetto secondario e sarebbe semplicistico non considerare il carattere antico e complesso del fenomeno.

Dall’analisi dell’evoluzione storica del nazionalismo armeno emerge dunque con chiarezza il modo in cui, tra repressione e distensione, il sentimento nazionale armeno abbia conosciuto contrazioni e momenti espansivi, fasi ideologiche e politico-militari. Il successo negli anni ‘90 del processo indipendentistico non è che il coronamento di un fenomeno molto più complesso, basato sul sentimento di un’origine comune.

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Hrant Dink, il Giusto degli Armeni (Reteveneta.it 26.01.17)

Insegnare ai ragazzi cosa significa essere giusti. Nell’ambito delle manifestazioni organizzate in città per ricordare la morte di Giorgio Perlasca, scomparso 25 anni fa, un centinaio di ragazzi nella Sala della Gran Guardia hanno potuto assistere alla conferenza su Hrant Dink, considerato uno dei Giusti degli Armeni, assassinato ad Istanbul nel 2007. Un incontro anche per i più giovani per imparara a costruire ponti invece che muri.

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Cittadinanza onoraria ad Antonia Arslan (Torinooggi.it 23.01.17)

Antonia Arslan, scrittrice di origine armena, è da oggi una cittadina torinese. Il Consiglio comunale ha infatti unanimemente approvato il provvedimento, proposto da Silvio Magliano (Moderati) e altri consiglieri, che le conferisce la cittadinanza onoraria del capoluogo piemontese.

Antonia Arslan, già docente di letteratura italiana presso l’Università di Padova, ha dato voce con i suoi scritti – a partire dal romanzo “La masseria delle allodole”, portato sul grande schermo dai fratelli Taviani – all’identità nazionale armena. Soprattutto, la scrittrice ha grandemente contribuito a far conoscere nel nostro Paese la tragica storia del genocidio ai danni del popolo armeno, messo in atto durante la Prima guerra Mondiale dal governo turco, che ha provocato secondo varie fonti storiche più di un milione di morti.

Uno sterminio di massa organizzato ai danni di una popolazione inerme, il cui carattere genocida è ancor oggi negato dalle autorità turche, benché riconosciuto in sede storica ed anche istituzionale, con atti ufficiali di Parlamento Europeo, Camera dei Deputati della Repubblica Italiana, Città del Vaticano e altri.

Anche il Consiglio comunale di Torino, cinque anni fa, si era associato al riconoscimento del genocidio armeno.

Il conferimento della cittadinanza onoraria ad Antonia Arslan, spiega la deliberazione adottata in Sala Rossa, oltre a rappresentare un gesto simbolico verso la giustizia e la verità storica, è soprattutto “il riconoscimento di una personalità straordinaria sia dal punto di vista umano sia dal punto di vista del suo contributo alla letteratura e alla cultura”.

Prima della votazione, sono intervenuti, oltre al primo firmatario Magliano, i consiglieri Monica Canalis, Viviana Ferrero, Roberto Rosso, Maura Paoli.

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Osce: presidente di turno Kurz, conclusione negoziati di pace Nagorno-Karabakh è questione prioritaria (Agenzia Nove 20.01.17)

Osce: presidente di turno Kurz, conclusione negoziati di pace Nagorno-Karabakh è questione prioritaria

Erevan, 20 gen 16:09 – (Agenzia Nova) – L’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) non ha alcuna intenzione di ridurre i suoi sforzi per raggiungere una soluzione pacifica al conflitto che sta avendo luogo nella regione di Nagorno-Karabakh, contesa fra Armenia e Azerbaigian. Lo ha dichiarato oggi il presidente di turno dell’organizzazione, il ministro degli Esteri austriaco Sebastian Kurz, in un’intervista rilasciata all’agenzia di stampa armena “Mediamax”. “Nonostante il nostro impegno nel tentare di risolvere questa situazione, bisogna ammettere che il 2016 ha visto il conflitto aggravarsi: i combattimenti continuano e aumentano le difficoltà per la popolazione locale. L’Austria, alla quale è stata affidata la presidenza dell’Osce nel 2017, chiede ufficialmente alle parti in causa di schierarsi dalla parte del dialogo e della diplomazia”, ha affermato Kurz, sottolineando l’importanza, per tutti i paesi coinvolti, dell’avvio di un processo di pacificazione nella zona. “Come presidente di turno, ho intenzione di recarmi in visita in Armenia e in Azerbaigian nei prossimi mesi, e spero che il mio viaggio possa contribuire ad accelerare i negoziati di pace”, ha concluso il ministro austriaco.

Il gruppo di Minsk dell’Osce ha riferito in una nota che le violazioni del cessate il fuoco nel Nagorno-Karabakh sono in contrasto con gli impegni riconosciuti dai governi dei due paesi. In seguito alla recente escalation della tensione dopo i fatti del 29 dicembre scorso, quando Erevan e Baku si sono reciprocamente accusate di avere compiuto una violazione territoriale, i copresidenti sollecitano i leader di Armenia e Azerbaigian a rispettare rigorosamente gli accordi raggiunti durante il summit di Vienna e San Pietroburgo nel 2016, compresi gli obblighi di finalizzare nel più breve tempo possibile, un meccanismo investigativo diretto dall’Osce. I copresidenti, inoltre, hanno sollecitato la restituzione, senza indugio, delle vittime degli ultimi scontri, in accordo con le intese raggiunte durante il vertice di Astrakhan del 2010, tenuto conto della natura esclusivamente umanitaria di questa problematica. “Lanciamo un appello alle parti perché cessino le accuse reciproche e adottino tutte le misure necessarie per stabilizzare la situazione sul terreno”, conclude la nota in cui i copresidenti estendono le loro condoglianze alle famiglie dei militari caduti e a tutti i cittadini armeni e azeri.

I copresidenti del Gruppo di Minsk dell’Osce stanno inoltre tenendo delle consultazioni per individuare il momento più opportuno per visitare la linea di contatto nel Nagorno-Karabakh, secondo quanto dichiarato nei giorni scorsi dall’ambasciatore Richard Hoagland, che dal primo gennaio detiene per conto degli Stati Uniti la copresidenza del gruppo ad interim. “Io e i miei colleghi della copresidenza ci stiamo consultando attentamente per trovare il momento più opportuno per la nostra prossima visita nella regione”, ha detto Hoagland all’agenzia di stampa azera “Apa”. La situazione lungo la linea di contatto nella zona di conflitto del Nagorno-Karabakh è peggiorata drammaticamente durante la notte del 2 aprile, quando sono iniziati dei duri scontri. Le parti in conflitto hanno lanciato delle reciproche accuse di violazione della tregua.

In particolare il ministero della Difesa azero aveva denunciato bombardamenti attuati dalle Forze armate dell’Armenia, mentre il ministero della Difesa di Erevan aveva riferito di “azioni offensive” dal lato azero. L’aggravarsi della situazione ha subito una battuta d’arresto con il cessate il fuoco del 5 aprile. Tuttavia, periodicamente emergono reciproche accuse di attacchi. Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian per l’area contesa è iniziato nel febbraio 1988, quando la regione autonoma del Nagorno-Karabakh ha dichiarato la propria indipendenza dalla Repubblica sovietica dell’Azerbaigian. Nel settembre 1991, a Stepanakert – autoproclamata capitale – è stata annunciata la costituzione della Repubblica del Nagorno-Karabakh.

Nel corso del conflitto sorto in seguito alla dichiarazione unilaterale di indipendenza, l’Azerbaigian ha perso de facto il controllo della regione: Stepanakert, infatti, conta poco più di 50 mila abitanti, tutti di origine armena, dato che quelli di origine azera sono stati costretti a lasciare la città in seguito al conflitto. Dal 1992 proseguono i negoziati per la soluzione pacifica del conflitto all’interno del Gruppo di Minsk, formato che opera sotto l’egida dell’Osce. L’Azerbaigian insiste sul mantenimento della sua integrità territoriale, mentre l’Armenia protegge gli interessi della repubblica separatista, dal momento che la Repubblica del Nagorno-Karabakh, in quanto non riconosciuta come entità statale, non fa parte dei negoziati.

Lo scorso 20 giugno la Russia ha tentato di assumere un ruolo di mediazione diretta nel conflitto fra Armenia e Azerbaigian relativo alla regione contesa del Nagorno-Karabakh: il presidente Vladimir Putin ha accolto, infatti, a San Pietroburgo gli omologhi armeno e azero, rispettivamente Serzh Sargsjan e Ilham Alyev. In questa occasione, i tre capi di stato hanno concordato sulla necessità di dare nuovo impeto al processo di pace nel Nagorno-Karabakh. I presidenti dei tre paesi hanno concordato su una dichiarazione trilaterale che esprime l’impegno nel cercare progressi concreti per la pacificazione politica. L’iniziativa russa esula dal formato regolare dei negoziati, gestiti dal Gruppo di Minsk, che si era riunito l’ultima volta lo scorso 16 maggio.

La tragedia del popolo armeno spiegata agli studenti del Tosi (Varesenews 18.01.17)

Non ci sarà Antonia Arslan all’incontro con gli studenti del Liceo Arturo Tosi di Busto Arsizio in programma per il prossimo 20 gennaio dalle ore 10.00 alle 13.00, presso il Teatro Sociale di Busto Arsizio.

A spiegare ai ragazzi la situazione del popolo armeno sarà il Console Onorario della Repubblica di Armenia in Italia, Pietro Kuciukian, medico chirurgo, figlio di un sopravvissuto al genocidio del1915, fondatore del Comitato internazionale dei Giusti per gli armeni. La memoria è il futuro (Yerevan,1996) e cofondatore, insieme a Gabriele Nissim, di Gariwo, la foresta dei Giusti (Milano, 2001), (http://www.balcanicaucaso.org/aree/Armenia/Pietro-Kuciukian-i-giusti-tra-gli-ottomani-160727).

Le opere della scrittrice, che ha inviato uno scritto per l’occasione, con la storia del popolo armeno, saranno in ogni caso al centro dell’evento, così come il tema del dialogo interreligioso, tanto caro a Pietro Kuciukian, insignito con l’Ambrogino d’oro per la sua attività di ricerca dei “Giusti per gli armeni” (2003).

Il Console onorario ha pubblicato numerosi libri sugli armeni tra i quali si ricorda Voci nel deserto. Giusti e testimoni per gli Armeni, premiato con il premio S. Vidal (dialogo tra i popoli  le religioni).

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Osa ricordare il genocidio: deputato armeno sospeso dal parlamento turco (Globalist.it 17.01.16)

Nemmeno in Parlamento si può esprimere il proprio pensiero: Garo Paylan, membro armeno del Parlamento turco, è stato sospeso dalle autorità per avert ricordato il “genocidio contro le minoranze” durante un suo intervento mentre si discutevano gli emendamenti sul progetto di riforma costituzionale.
Paylan, che è deputato eletto nel partito filo-curdo Hdp aveva detto: “C’è stato un periodo di 10 anni di caos tra il 1913-1923 durante il quale abbiamo perso quattro popoli: armeni, greci, assiri ed ebrei. Essi furono deportati tra massacri e genocidi. Una volta eravamo il ​​40% della popolazione, ora siamo uno su mille. Senza dubbio, qualcosa di terribile è successo. Io lo chiamo genocidio, ma si può chiamare come vogliamo. Diamogli un nome condiviso e andiamo avanti. Il popolo armeno sa cosa è successo. Io so cosa è successo ai miei antenati, a mio nonno”.
Un discorso fatto per chiedere una costituzione pluralista. Ma durante il suo discorso, Paylan è contestato dai parlamentari del partito di governo Akp e dagli ultranazionalisti di Mhp.
Così Garo Paylan è stato sospeso dal parlamento e non potrà  partecipare a tre sessioni plenarie. Salvo il rischio di finire sotto processo in un paese che ha abolito l’immunità parlamentare e dove i deputati non sono liberi di poter esprimere fino in fondo le loro opinioni in Parlamento.

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ASIA/TURCHIA – Deputato cita il Genocidio armeno nel Parlamento turco: sospeso per 3 sessioni

Ankara (Agenzia Fides) – Il deputato armeno del Parlamento turco Garo Paylan, rappresentante del Partito Democratico dei Popoli (HDP, partito d’opposizione che unisce forze filo-curde e forze di sinistra) lo scorso 13 gennaio è stato sospeso per tre sessioni parlamentari dopo fatto riferimento al Genocidio armeno, nel corso del dibattito in aula sul tema della nuova Costituzione turca.
In un suo intervento, secondo quanto ripostato anche dall’Agenzia d’informazione nazionale Anadolu – il deputato ha citato il periodo in cui, a partire dal 1913, armeni, assiri, greci e ebrei presenti nella Penisola anatolica sono stati “esiliati da queste terre o sottoposti a violenze, fino a subire grandi massacri e il genocidio”. Il popolo armeno – ha sottolineato Paylan “sa molto bene quello che è accaduto…. io lo chiamo genocidio, qualunque sia il modo in cui lo definite voi”.
Il discorso di Paylan ha causato le risentite reazioni dei deputati dell’AKP, il Partito di governo, che hanno chiesto e ottenuto la misura disciplinare adottata contro il deputato armeno. (GV) (Agenzia Fides

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Turchia, deputato sospeso per aver menzionato “genocidio” armeni (Askanews 14.01.17)

Istanbul 14 gen. (askanews) – Garo Paylan, deputato filocurdo del Parlamento turco, è stato sospeso per tre sedute per aver fatto allusione al “genocidio” degli armeni durante un dibattito: è quanto pubblica la stampa turca.

Il deputato dell’Hdp ha sottolineato come quattro comunità siano state “scacciate da queste terre con dei massacri su vasta scala e dei genocidi”, riferendosi ad armeni, assiri, greci ed ebrei, secondo quanto riferito dall’agenzia di Stato, Anadolu.


Turchia, parla di ‘genocidio armeno’: sospeso da Parlamento deputato Hdp (La Presse 14.01.17)

Un deputato turco-armeno appartenente al partito turco di opposizione filocurdo Hdp, Garo Paylan , è stato sospeso per tre sedute dal Parlamento della Turchia per avere definito in aula “genocidio armeno” il massacro avvenuto sotto l’impero ottomano. Secondo quanto riferisce il quotidiano turco Hürriyet, Paylan ha fatto riferimento al genocidio durante il dibattito sulla riforma costituzionale che il partito al governo, l’Akp del presidente Recep Tayyp Erdogan, intende adottare. Nel suo intervento, il deputato ha ricordato che gli armeni un tempo costituivano il 40% della popolazione, mentre adesso sono appena l’uno per mille.

“Ovviamente qualcosa ci è successo e lo definisco un genocidio. Il popolo armeno sa molto bene che cosa gli è successo. Io so molto bene quello che è successo ai miei nonni”, ha detto Paylan. A chiedere l’espulsione del parlamentare è stato l’Akp, che lo ha accusato di “insultare la nazione turca”. Secondo gli armeni e la maggioranza degli storici internazionali, sono fra un milione e un  milione e mezzo gli armeni uccisi durante la Prima guerra mondiale dalle truppe ottomane. La Repubblica di Turchia, che è succeduta all’impero ottomano, si rifiuta di definire ‘genocidio’ l’accaduto e accusa molti armeni di essersi uniti ai russi nella guerra.

CULTURA: L’Armenia di Antonia Arslan, dopo il successo della Masseria delle allodole (East Journal 14.01.17)

La voce di Antonia Arslan è prima di tutto quella di una scrittrice, non di uno storico, un accademico – per quanto insegni letteratura italiana presso l’università di Padova – o un attivista. È una scrittrice – principalmente nota per La masseria delle allodole (ed. Rizzoli, 2004) – che si definisce “100% italiana e 100% armena” e che sente su di sé il dovere della memoria, della testimonianza verso la storia della propria famiglia e del proprio popolo.

Lo stesso senso del dovere che dovettero sentire le due donne, fortunate superstiti del genocidio, che nel 1915 portarono in salvo l’importantissimo “Libro – o Omiliario – di Mush”, reperto medievale (datato 1202), eletto a tesoro della cultura armena. La storia del recupero dell’imponente testo – alto un metro e pesante quasi 30 kg – è stata, non a caso, soggetto per l’omonimo libro della Arslan (Il libro di Mush, ed. Skira, 2012).

Il manoscritto miniaturato è una raccolta di omelie commissionata da un ricco mercante al monastero di Avakvank, che andò prima rubato durante l’invasione mongola e poi riacquistato a caro prezzo dai monaci del Monastero della valle di Mush. Nel 1915 l’armata turca, reduce della sconfitta nel Caucaso contro i russi, sfogò la rabbia sui villaggi armeni della valle, dando alle fiamme anche il monastero. Si salvarono due donne che, ritrovando intatto il “libro di Mush”, decisero di portarlo con sé – dividendolo in due per l’imponente peso – oltre i monti del Caucaso: oggi è conservato a Yerevan.

L’idea, la stessa di Antonia Arslan, era quella di “salvare almeno la cultura armena”. Ma non solo quella armena. Infatti, accanto agli armeni nei libri della scrittrice compaiono sempre personaggi greci, verso i quali si sente ugualmente debitrice: “si parla sempre di genocidio degli armeni, ma ci si dimentica che assieme ad essi vennero eliminati anche gli assiri (o siriaci) e i greci del Ponto (sul Mar Nero) e che invece il milione di greci che viveva sulle sponde dell’Egeo venne costretto ad andarsene in Grecia, dove non venne affatto accolto con ospitalità”.

L’ultimo libro di Antonia Arslan, Lettera a una ragazza in Turchia (ed. Rizzoli, 2016), come i precendenti, raccoglie le voci e le storie che l’autrice sentì in infanzia, soprattutto quella del nonno paterno, e vari documenti cercati e collezionati; eppure, è forse il libro che più degli altri si vuole ricollegare al presente. La cornice “epistolare” all’interno della quale si inseriscono i racconti suggerisce un interesse al dialogo con la Turchia di oggi. “L’orizzonte per il singolo in Turchia si sta rapidamente oscurando” afferma la Arslan con preoccupazione.

La scelta di scrivere fittiziamente ad una “ragazza in Turchia”, piuttosto che ad una “ragazza turca”, va in questa direzione. “La Turchia di Erdogan si sta orientando sempre più verso un’ideologia nazionalista e monoetnica, mentre la realtà è che la gente che vive oggi in Turchia, come in qualsiasi altra parte del mondo, è il più lontano possibile dall’appartenere ad una sola etnia”.

Non è solo il nazionalismo a preoccupare la scrittrice, ma anche la deriva autoritaria del governo: si parla, infatti, ormai di presidenzialismo (ne abbiamo parlato qui); inoltre, quest’anno la terza forza in parlamento è stata privata dell’immunità parlamentare. Anche sul golpe di luglio la Arslan ha qualche riserva: “non può essere stato un tentativo sovversivo reale, poiché il giorno successivo erano già pronte le liste delle persone da incarcerare”.

Non dimentica anche la questione femminile sull’uso del velo in università: “ora è stato revocato il divieto di portare il velo in università, ma da qui all’introduzione dell’obbligo di portarlo il passo è breve”. Ricorda infine il destino del suo best seller La masseria delle allodole in Turchia: “il libro è stato tradotto in 22 lingue, 23 se si considera quella turca, che è stata stampata, ma a cui non è mai stato dato il permesso di circolare sul mercato; l’editore è ora in esilio in Svezia e la sua fabbrica è stata ripetutamente oggetto di devastazioni da parte di individui non bene identificati”.

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La scrittrice armena Arslan incontra i liceali del Tosi (Varesenews.it 13.01.17)

Venerdì 20 gennaio, presso il Teatro Sociale di Busto Arsizio dalle 10.00 alle 13.00 gli studenti del Liceo Scientifico Arturo Tosi di Busto Arsizio, con i loro insegnanti, incontreranno la studiosa e scrittrice di origine armena Antonia Arslan.

Ad aprire l’incontro sarà  Mirella Giuggioli, docente di letteratura e lingua italiana e latina presso il Liceo Tosi, ideatrice ed organizzatrice dell’evento; a raccontare la tragica storia del popolo armeno sarà Antonia Arslan: la scrittrice entrerà nel dettaglio delle origini, delle tradizioni e delle specificità del popolo armeno, soffermandosi anche e soprattutto sulla difficile convivenza, nel corso dei secoli, con popoli ed etnie confinanti a causa dei diversi rivolgimenti dello scenario geo-politico internazionale e locale.

Interverranno, inoltre, Stefania Battistini e Simone Zoppellaro, giornalisti esperti e sensibili osservatori della contemporaneità, con esperienza diretta nei territori dell’Armenia attuale, per focalizzare l’attenzione sulle altrettanto gravi problematiche attuali di convivenza tra popoli armeni, curdi, ecc. e Stati confinanti, in particolare la Turchia, con collegamenti inevitabili al discorso della minaccia terroristica.

Al termine dell’incontro è previsto uno spazio per domande e chiarimenti.

L’incontro, nei limiti del possibile, è aperto alla cittadinanza.

Un ringraziamento speciale va al Comune di Busto Arsizio per aver messo a disposizione l’ampio e confortevole spazio pubblico del Teatro Sociale

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