Russia e Armenia discutono su consegna aerei Superjet 100 a Yerevan (SputnikNews 20.11.16)

Mosca e Yerevan stanno discutendo sulle consegne degli aerei passeggeri Sukhoi Superjet 100 fabbricazione russa all’Armenia.

Lo rende noto il ministro russo dell’Industria e del Commercio, Denis Manturov. “Il nostro unico interesse è quello di promuovere i produttori russi. La priorità è il Superjet che è attualmente il principale prodotto dell’industria russa per quanto riguarda il settore dri velivoli civili. Abbiamo discusso questo problema in Armenia martedì e concordato di studiare a fondo per formulare una proposta concreta insieme ai nostri colleghi”, ha detto a margine del terzo All-Russian Light Industry Forum.

Leggi tutto: https://it.sputniknews.com/mondo/201611253684017-russia-armenia-discutono-su-consegna-superjet-yerevan/


Armenia, presidente: non sono necessarie nuove basi militari russe

Leggi tutto: https://it.sputniknews.com/politica/201611173648395-armenia-presidente-non-necessarie-nuove-basi-russe/


Armenia, il capo dello Stato chiarisce il ricorso ai missili russi

Leggi tutto: https://it.sputniknews.com/mondo/201611173644952-armenia-iskander-equilibrio/

Antonia Arslan, la storia e il coraggio delle donne (Corriere del veneto 19.11.16)

«Lettera a una ragazza in Turchia» il nuovo libro della scrittrice armena narra tre figure femminili indimenticabili che combattono per sopravvivere e difendere i loro ideali

A una ragazza turca di oggi si rivolge Antonia Arslan nel narrare tre storie di donne armene forti, determinate, mai sopraffatte. Nasce così il nuovo libro della scrittrice padovana di origine armena, Lettera a una ragazza in Turchia (Rizzoli, 144 pagine, 15 euro). Antonia Arslan sceglie una giovane donna contemporanea («ci sei nata e ci stai in quel magnifico Paese dove i miei antenati per millenni hanno vissuto, combattuto, creato regni e chiese di cristallo… Da dove noi siamo stati cacciati per sempre»), per tramandare le vicende di tre figure femminili indimenticabili, che combattono per sopravvivere ma anche per difendere i loro ideali.

«Dovrai scoprire il coraggio sotterraneo dei deboli», scrive alla ragazza turca. E riflettere sul fatto che «è possibile tu non sia solo turca, che il sogno inculcato dall’infanzia di una purezza di sangue che vi rende eredi dei conquistatori sia vano artificio retorico. Molto vi siete mescolati con il sangue dei conquistati». Così Arslan rivela e ribadisce che molte bambine armene rapite e inserite in famiglie turche che tolsero loro nome, identità, religione, costumi, sono strettamente intrecciate con le giovani turche di oggi, nonostante «la ferrea cupola della menzogna di Stato».

Antonia Arslan, non può fare a meno di tramandare la memoria della comunità armena scomparsa dal «Paese Perduto», gli erranti sopravvissuti al genocidio dei Turchi, con la nostalgia eterna di quella terra «di latte e miele» di cui si favoleggia nelle case degli esuli armeni sparsi nel mondo. «Sulle mie spalle si posa inflessibile il popolo scomparso », scrive Antonia Arslan. Raccontare diventa quindi urgenza, dovere, missione. E la memoria si fa antidoto contro la paura.

In questo periodo storico in cui minacce, violenza, attentati, si propagano da Oriente a Occidente, da Istanbul a Bruxelles, Antonia Arslan trascina in un viaggio nella storia, tra donne che hanno combattuto per il loro futuro. Hannah, bimba in fuga dall’Armenia, nata nel 1910 vicino al monte Ararat, sopravvissuta allo sterminio, «curiosa e ostinata », che «si promette di non arrendersi mai, di resistere a qualsiasi cosa le capiterà». Fame, stenti, violenza, solitudine, ma Hannah ce la farà, diventerà imprenditrice di successo negli Stati Uniti. «Tener duro si può, si deve. Sono una figlia d’Armenia ». E poi Iskuhi, la bellissima moglie di Khayel, «guance di pesca e occhi rotondi», che divora giornali e riviste, appassionata di Florence Nightingale, rivoluzionaria nelle idee e nella voglia di diffondere l’antica cultura armena, ma rinnovando la lingua dei padri. Morirà partorendo il secondo figlio, a 19 anni. E il suo primogenito Yerwant (medico geniale, nonno di Antonia Arslan), conserverà per sempre con nostalgia dentro si sé quel «profumo di mamma» che lo aveva lasciato a tre anni.

Infine la storia di Noemi, che si sposò con Levon (brillante giovane medico dei «felici dottori Arslanian»). Un amore splendente fino a quando i turchi cancellarono il loro futuro. Levon viene ucciso, ma Noemi rifiuterà il ricatto del maresciallo turco innamorato di lei, firmando così anche la sua condanna a morte. Figure potenti, quelle narrate da Antonia Arslan, restano impresse a fuoco nell’anima di chi legge. Voci femminili accomunate dalla volontà di decidere del proprio futuro, di affermarsi come donne. «Se sei donna ci vuole un’audacia straordinaria per restare libera e prendere in mano il tuo destino».

Vai al sito

“La terra dei Kurdi e degli Armeni…” di Virginia Iacopino (ntacalabia.it 18.11.16)

Di Virginia Iacopino.

SE GLI EUROPEI AVESSERO MOSSO UN DITO CONTRO LA DIASPORA DEL POPOLO CURDO E DI QUELLO ARMENO ABBANDONATI AI LORO DESTINI PROBABILMENTE IL MONDO ODIERNO NON SAREBBE PRECIPITATO IN TANTA BARBARIE. OGGI CURDI E ARMENI VIVREBBERO IN PACE NELLE LORO TERRE CON UN PROPRIO STATO. QUESTO DEBITO NON PESEREBBE SULLA COSCIENZA EUROPEA PREOCCUPATA A SPARTIRSI,IN COMPAGNIA DEI GUERRAFONDAI AMERICANI I RICCHI GIACIMENTI DI PETROLIO ECC.

La terra dei Kurdi e degli Armeni a loro non appartiene più. Rischia di sparire definitivamente dalle mappe geografiche.Un antico canto curdo recitava:sai curdo dove vive la tua stirpe? Ascolta tu descrivo la Patria del tuo popolo. Dall’occidente fino al mar nero della tua terra corrono i confini…A occidente giunge il Mediterraneo,al Sud fino al Golfo Persico e ad oriente include tutti i monti Zagros che si estendono in catene parallele tra Iraq e Iran ricchi di minerali e di petrolio ecc..Secondo la leggenda qui si arenò l’Arca di Noè.Bella è anche la poesia di ABDULLAH OCALAN che scrisse in terza elementare. Riporto solo alcuni versi: “O miei monti,radici del cielo mani protese della nostra terra bruciata! Al chiaro di luna quando saremo colmi della fragranza delle angurie in pezzi,narrateci la storia. Diteci donde vengono le nuvole basse..O miei monti,senza di voi non avremmo conosciuto la neve ne il coraggio…O monti se non foste esistiti dove mia madre avrebbe raccolto per noi frutti ed erbe selvatiche?”. Ocalan sognava il ritorno, tra il Tigre e l’Eufrate della civiltà babilonese. Il rapimento e la condanna a morte di questo uomo semplice ed altruista che rifiutava tutto ciò che era feudale per sopraffazione di classe,di casta,di lingua,di religione ebbe fine.Egli affermava che doveva avvenire prima una rivoluzione culturale dopo quella politica e militare pari a quella vissuta dalla nostra resistenza per convivere da diversi ed uguali tra italiani, turchi, arabi, persiani ed altri popoli nello stesso crogiolo di pace e di giustizia che lacera e divide il Nord, il Centro ed il Sud italiano attraverso infuocati discorsi di memoria mussoliniana che inculcano razzismo contro chi fugge da guerre atroci da cui l’Italia non è stata mai neutrale. Il territorio dell’ex impero ottomano nel 1916 se lo spartirono la Francia, l’Inghilterra e la Russia a cui è stato assegnato gran parte del territorio curdo.

L’Armenia faceva parte dell’Unione Sovietica nella quale sia i curdi che gli armeni e tutti i rifugiati perseguitati erano riconosciuti come minoranze protette. Si permise loro di avere un giornale sponsorizzato dallo Stato,una loro radio che trasmetteva eventi culturali,storici e religiosi.Con il crollo dell’URSS i Curdi e li Armeni finirono torturati e spogliati di tutti i loro privilegi. La maggior parte di loro fuggì dalla Russia. Gli Aleviti, gruppo religioso culturale turco-curdo-armeno in maggioranza credenti musulmani pacifici furono vittime per secoli da scontri religiosi.Vicini al concetto di fratellanza di Francesco d’Assisi e di Gandhi hanno il loro concetto di Dio che abbraccia l’uomo spirituale,l’uomo terreno,gli animali,le piante e i minerali.Non credono all’onta del peccato originale trasmessa a tutta l’umanità eccettuata Maria Vergine e tendono, gli Aleviti, ad avere una coscienza in cui nella forma materiale è immerso lo Spirito universale che controlla la moralità,l’agire corretto sia nei propri che negli altri riguardi. Credono all’esistenza di tre porte sacre: 1 la fratellanza spirituale, 2 la coscienza individuale e collettiva, 3 la realtà cioè la verità ovvero Dio. La prima porta da spalancare è considerata essenziale per procedere all’apertura delle altre due porte. Dopo di che si aprono danze e canti spirituali tutti si muovono in girotondo simbolo del moto di rivoluzione dei pianeti intorno al sole. E’ attraverso l’ebrezza della danza e dei canti liturgici che riescono a vincere e ad abbattere l’egoismo individuale necessario per raggiungere ed unirsi a Dio. Accendono dodici candele immerse nell’acqua spirito purificatrice e baciano i i telai delle porte sacre.Papa Francesco definisce genocidio il massacro degli Armeni e della loro deportazione perpetrata dall’Impero Ottomano tra il 1915-16 in risposta il governo Turco,risentito,in segno di protesta fece rientrare in Turchia l’ambasciatore presso la Santa Sede. Il presidente Erdogan ammonisce Papa Francesco affermando che quando i politici e i religiosi si fanno carico del lavoro degli storici non dicono delle verità ma delle stupidaggini. Perchè non si spiega quello che molti ignorano? Nel 1952 la Turchia fu annessa alla Nato come baluardo in funzione anti sovietica. Gli Stati Uniti costruirono sul suolo turco le proprie basi militari missilistiche con enormi depositi di armamenti nucleari.

La Russia non possiede più basi militari all’estero. La loro politica non ha un carattere globale offensivo e aggressivo ma di auto difesa per non soccombere. La partita Russia-America verte sull’Eurasia, l’Ucraina e la Crimea che costituiscono i perni di questa guerra ibrida. La Nato, acerrima nemica della Russia sta cercando di forzare le difese tra il Baltico e il mar Nero e si configura come l’organizzazione mondiale della guerra contro il terrorismo.Spende milioni di dollari che sottrae alla fascia più debole degli americani.Il ritiro delle truppe americane con le relative armi atomiche dall’Europa occidentale potrebbe essere la fine dell’America pericolosa e sovversiva che,a parole,diffonde l’idea della democrazia essendo consapevole che nessuno può muovergli guerra.

Papa Francesco con la sua umiltà ed intelligenza ricordando la storia della strage avvenuta nella notte di San Bartolomeo, potrebbe prenderla come esempio nelle sue omelie. La cattolicissima Caterina de Medici ha legato il suo nome al peggiore dei massacri religiosi appoggiata dal Papa che mirava a riconquistare l’Italia.

Vai al sito

Cinema: Festival Cairo,la lunga storia degli armeni d’Egitto (Ansa 18.11.16)

IL CAIRO, 18 NOV – ”Io forse ho dato poco a questo Paese, ma a me l’Egitto ha dato moltissimo. Mi sento 100 per 100 egiziana e 100 per cento armena: della matematica mi curo poco”. A parlare è Eva Dadrian, giornalista e scrittrice che insieme a Waheed Sobhi e Hanan Ezzat firma We are Egyptian Armenians, film documentario che ripercorre la storia degli ultimi 200 anni di presenza armena nel Paese.

Il film è stato presentato ieri sera al Festival internazionale del Cinema del Cairo (in corso fino al 24 novembre) in una sala gremita di spettatori egiziani di origine armena accorsi per vedere raccontata la loro storia. A farlo, insieme alla stessa Dadrian, le terze generazioni di armeni, nati – o giunti in in Egitto – dopo il 1915. Fuggiti dalla Turchia durante il genocidio iniziato il 24 aprile di quell’anno per mano ottomana, che in tre anni porto al massacro di 1,5 milioni di persone.

”La nostra presenza – racconta la regista – risale però a molto più indietro, sin dall’epoca mamelucca”. Una comunità apprezzata e pacifica che crebbe soprattutto nell’Ottocento, sotto Mohamed Ali, contribuendo allo sviluppo dello Stato moderno, tramite i suoi funzionari, traduttori – grazie alla facilità con cui parlano arabo, armeno, francese e inglese – artigiani e anche ministri. Fu proprio il khedive a scegliere come suo ministro degli Esteri (dal 1808 al 1844) un armeno, Boghos Youssoufian. ”In 4050 giunsero a Port Said il 15 settembre del 1915, portati in salvo dalla Marina militare francese”, ricorda Dadrian. Nel 1925, dieci anni dopo il genocidio, la comunità armena in Egitto era aumentata notevolmente. ”Eravamo circa 12 mila”. Vivevano nei quartieri popolari del Cairo come anche in quelli di Alessandria, sviluppano commerci, professioni, diventano editori, commercianti, artigiani, produttori di sigarette e, soprattutto, gioiellieri. Mettono in piedi chiese, scuole e centri culturali per non perdere le loro tradizioni e mantenere viva la loro tradizione. Le immagini che scorrono e le parole riportano a un epoca, quella dell’inizio del 900 in cui l’Egitto era cosmopolita, aperto, tollerante e in cui vivevano fianco a fianco – non si stancano di ripetere i protagonisti – varie minoranze straniere, ebrei, italiani, greci, maltesi. ”Momenti difficili – rammentano – vi furono. Nel 1919 – con i primi movimenti indipendentisti egiziani – venimmo sospettati di sostenere gli inglesi e di avere ordito l’assassinio del primo ministro anti-britannico Saad Zaghloul” nel 1927.

Altro momento delicato fu dopo la presa di potere di Nasser.

Le nazionalizzazioni colpirono infatti anche la comunità armena.

Oggi gli egiziani di origini armene sono pochi, ma la loro presenza continua a essere testimonianza di un Egitto che lotta per tenere in piedi la sua tradizione di tolleranza. (ANSAmed).

Vai al sito

Festival Cairo, la lunga storia degli armeni d’Egitto (Ansamed 17.11.16)

(di Cristiana Missori)

IL CAIRO – ”Io forse ho dato poco a questo Paese, ma a me l’Egitto ha dato moltissimo. Mi sento 100 per 100 egiziana e 100 per cento armena: della matematica mi curo poco”. A parlare è Eva Dadrian, giornalista e scrittrice che insieme a Waheed Sobhi e Hanan Ezzat firma We are Egyptian Armenians, film documentario che ripercorre la storia degli ultimi 200 anni di presenza armena nel Paese.

Il film è stato presentato al Festival internazionale del Cinema del Cairo (in corso fino al 24 novembre) in una sala gremita di spettatori egiziani di origine armena accorsi per vedere raccontata la loro storia. A farlo, insieme alla stessa Dadrian, le terze generazioni di armeni, nati – o giunti in in Egitto – dopo il 1915. Fuggiti dalla Turchia durante il genocidio iniziato il 24 aprile di quell’anno per mano ottomana, che in tre anni porto al massacro di 1,5 milioni di persone.

”La nostra presenza – racconta la regista – risale però a molto più indietro, sin dall’epoca mamelucca”. Una comunità apprezzata e pacifica che crebbe soprattutto nell’Ottocento, sotto Mohamed Ali, contribuendo allo sviluppo dello Stato moderno, tramite i suoi funzionari, traduttori – grazie alla facilità con cui parlano arabo, armeno, francese e inglese – artigiani e anche ministri. Fu proprio il khedive a scegliere come suo ministro degli Esteri (dal 1808 al 1844) un armeno, Boghos Youssoufian. ”In 4050 giunsero a Port Said il 15 settembre del 1915, portati in salvo dalla Marina militare francese”, ricorda Dadrian. Nel 1925, dieci anni dopo il genocidio, la comunità armena in Egitto era aumentata notevolmente. ”Eravamo circa 12 mila”. Vivevano nei quartieri popolari del Cairo come anche in quelli di Alessandria, sviluppano commerci, professioni, diventano editori, commercianti, artigiani, produttori di sigarette e, soprattutto, gioiellieri. Mettono in piedi chiese, scuole e centri culturali per non perdere le loro tradizioni e mantenere viva la loro tradizione. Le immagini che scorrono e le parole riportano a un epoca, quella dell’inizio del 900 in cui l’Egitto era cosmopolita, aperto, tollerante e in cui vivevano fianco a fianco – non si stancano di ripetere i protagonisti – varie minoranze straniere, ebrei, italiani, greci, maltesi.

”Momenti difficili – rammentano – vi furono. Nel 1919 – con i primi movimenti indipendentisti egiziani – venimmo sospettati di sostenere gli inglesi e di avere ordito l’assassinio del primo ministro anti-britannico Saad Zaghloul” nel 1927. Altro momento delicato fu dopo la presa di potere di Nasser. Le nazionalizzazioni colpirono infatti anche la comunità armena.

Oggi gli egiziani di origini armene sono pochi, ma la loro presenza continua a essere testimonianza di un Egitto che lotta per tenere in piedi la sua tradizione di tolleranza.

Vai al sito

“Vi racconto il genocidio degli armeni con le storie di tre donne” (Lastampa.it 17.11.16)

Ricordare è una grazia e una condanna, raccontano i sopravvissuti all’Olocausto. È lo stesso per chiunque sia stato braccato dallo sterminio e ne abbia avuto ragione. Per la scrittrice Antonia Arslan è il genocidio armeno, la Storia, la memoria della madre, gioie, pene, aspettative frustrate di un popolo che nell’ostinarsi a testimoniare la propria epopea ha seminato sulle piaghe la speranza. Classe 1938, un passato da accademica confluito nella critica letteraria prima e poi nella narrativa con il felice La masseria delle allodole, la Arslan ricorda per professione di fede. Scrivo dunque sono. Il suo ultimo Lettera a una ragazza in Turchia (Rizzoli) è un dialogo in tre storie con il presente, l’hic et nunc in cui la violenza del passato può sottrarsi all’oblio e trovare la catarsi.

Il libro inizia sull’aereo dove decide di rivolgersi a un’interlocutrice immaginaria. Ha bisogno di un non-luogo per parlare dell’identità armena a una turca?

«In aereo non riesco a leggere, specie nei viaggi lunghi. Preferisco guardare un film o scrivere. Ero lì, sospesa, né sopra né sotto, né con i fantasmi del genocidio armeno né con le loro appendici moderne, le storie che avevo in testa, tutte vere, sono uscite fuori così».

Scrive a una ragazza, la quintessenza della modernità turca, che si declini nell’emancipazione di segno occidentale o nel risveglio religioso. Pensa a un’attivista stile Gezi Park o a un’assertiva militante di Erdogan?

«Penso a Gezi Park e alle tante ragazze turche di quel genere che ho incontrato negli anni. Alcune hanno lasciato il Paese, altre ci stanno pensando per sfuggire alla nuova persecuzione di accademici e intellettuali. Penso a quelle che vedono il loro orizzonte oscurarsi».

Eppure le religiose, non sono meno determinate nel rivendicare la propria indipendenza.

«La donna è il fulcro della Turchia contemporanea, non per forza progressista. Ci sono donne fanatiche, nel cui caso pesa forse la paura di gettarsi in una modernità più apparente che di sostanza dove sembra non ci siano limiti. Ci sono donne tenere ma ce ne sono di assai più dure degli uomini. Le armene che sopravvissero al genocidio, quando sparirono tutti i maschi tra 15 e 65 anni, erano tostissime. La seconda protagonista del mio libro testimonia l’impegno nell’alfabetizzazione delle bambine armene già nell’800».

 

 

La prima delle sue protagoniste, Hannah, ha 15 anni nel 1915, quando Istanbul si chiama Costantinopoli. Ma il suo esodo verso l’America ricorda la marea odierna dei profughi siriani. Dopo un secolo siamo ancora lì?

«In un certo senso 100 anni sono passati per niente, la storia non è mai maestra di vita ma procede per andate e ritorni. I video con le decapitazioni filmate oggi nel Califfato mi ricordano una foto dell’800 in cui il Sultano tiene le teste di 7 armeni su un elegante tavolinetto liberty circondato da impettiti soldati: anche allora si tagliava la testa per simboleggiare l’azzeramento del nemico. E’ un terribile déjà-vu. Abbiamo già visto anche la fuga dei disperati dai non-luoghi di morte, la marcia in cui si perdono pezzi, i figli, le madri condannate a sopravvivere. Cento anni fa però, l’America aprì le porte, c’era Ellis Island ma funzionava: l’Europa adesso è così malata da non saper fare neppure i controlli. Ho paura che non ci siano più neppure filantropi tipo l’ex ambasciatore Usa nell’impero ottomano Henry Morgenthau, un ebreo che tra il 1916 e il 1920 salvò migliaia di armeni spendendo oltre 20 milioni di dollari».

Nella seconda storia, ambientata nel 1862, Khayel respira l’indipendenza greca e pensa a quella armena. Sarà deluso.

«Contro gli armeni hanno giocato in primis motivi geografici. Essendo una penisola, la Grecia riuscì a staccarsi più facilmente dall’impero. Il cuore degli armeni invece è dentro, nell’est dell’Anatolia. Si può dire che abbiamo scontato il nostro posizionamento perché in quell’800 in cui la Grecia e gli Stati balcanici forzavano l’indipendenza gli ottomani strinsero ancor più la morsa su di noi. Poi ci sono motivi politici. La lotta dei greci fiorisce all’alba del romanticismo, Byron, Santorre di Santarosa, l’utopia: la Grecia ha beneficiato del fatto che la sua causa divenne allora la causa della libertà».

Khayel s’innamora di Iskuhi, vera suffragetta ante litteram. È reale anche il padre di lei, che la sostiene al punto di ridere del suo disprezzo per il cucito?

«I padri armeni sono così, assecondano le figlie, è una loro caratteristica. Spesso consegnano alle mogli il proprio salario perché lo amministrino».

Noemi, l’ultima tragica protagonista, ci riporta al 1915, i Giovani Turchi, la caccia agli armeni. È lei più della realizzata Hannah l’eco della Storia?

«Noemi è la piena metafora del genocidio armeno. Ho scoperto la sua storia da poco tra le pagine del grande storico Raymond Kévorkian, uno che ha incrociato milioni di dati ritrovando tutti i nomi. Nessuno ormai può più negare che si sia trattato di sterminio».

 

Per la Turchia resta un tabù.

«La classe dirigente turca è attestata su un negazionismo pervicace. Fino al 2014 c’erano delle aperture, ora zero. La folla viene caricata contro i gulenisti ma quando si scatena se la prende con gli ebrei, gli armeni, una spirale che prelude sempre a saccheggi, pogrom».

Per gli armeni sono peggio i kemalisti o il partito di Erdogan?

« Uguali. L’ex presidente Gul era andato in Armenia per una partita di calcio, poi è arrivato Erdogan e oggi siamo fermi. In sé sarebbero peggio i kemalisti perché, se è vero che non perseguitò direttamente gli armeni, Atatürk nel 1930 fece la stessa cosa ai curdi a Dersim. Erdogan aveva fatto ben sperare. Il 24 aprile di due anni fa si era detto dispiaciuto per gli armeni ma ora è cambiato tutto. Anche la società civile che aveva raccolto 40 mila firme online per scusarsi con i connazionali armeni è silenziata. Oggi capita che per screditare qualcuno Erdogan gli attribuisca la mamma armena…».

Dove sta andando la Turchia?

«Dipende da tante cose. Quale idea di sviluppo ha Erdogan che con la moglie accanto parla dell’inferiorità delle donne? La questione armena è la cartina di tornasole del rapporto tra Turchia e modernità».

E l’occidente, dove va?

«Cento anni fa l’occidente ci accolse. Certo noi armeni rispettavamo alla lettera le leggi dei Paesi in cui emigravamo, ma oggi l’occidente è timido. Le democrazie più compiute paiono in soggezione con i dittatori. C’è molta cecità politica, conta il domani e non il dopodomani. In più abbiamo tutti meno fiducia in noi stessi, vige un nichilismo d’accatto. Ma l’Europa è in pace da 70 anni».

Antonia Arslan, «Lettera a una ragazza in Turchia», Rizzoli, pp. 144, €15

Vai al sito

Pace ospite all’ambasciata armena in Italia (Basilicatanet 15.11.16)

Il consigliere regionale del Gruppo misto riceve i ringraziamenti della rappresentanza diplomatica a seguito della approvazione da parte del Consiglio regionale della mozione sul genocidio del popolo armeno

 

ACR “A poco meno di due mesi dalla presentazione ed approvazione della mozione a mia firma relativa al genocidio del popolo armeno avvenuto nel 1915, mozione votata all’unanimità dal Consiglio della Regione Basilicata nella seduta del 27 settembre scorso, oggi sono ospite presso l’ambasciata per ricevere i ringraziamenti ufficiali dalla rappresentanza diplomatica”.

A darne notizia è il consigliere regionale del Gruppo misto Aurelio Pace. A riceverlo l’ambasciatrice Victoria Bagdassarian “che ha voluto rimarcare – aggiunge il consigliere -, con il suo invito, ‘l’importanza del riconoscimento della condanna del genocidio armeno quale crimine contro l’umanità ed il ringraziamento alla mia persona ed a tutto il Consiglio regionale, della dichiarazione d’identificazione delle atrocità commesse contro il popolo armeno dell’Impero Ottomano durante la prima guerra mondiale e la rinnovata consapevolezza di una nuova vittoria morale che ha visto realizzarsi la possibilità di vincere l’impari lotta al negazionismo attraverso il democratico strumento legislativo’”.

Pace ha ricordato che “la mozione approvata nella seduta del Consiglio regionale lucano, condannando il genocidio armeno, ha riaffermato il valore della verità storica, ridando al popolo armeno la dignità dell’esistenza umana e della persona e l’onorabilità della memoria. L’uso di strumenti criminali volti verso un popolo e le rovine generate da ogni conflitto, rappresentano la sconfitta della civiltà ed un freno ai processi di pace, che non hanno colore politico e rappresentano un dovere improrogabile necessario al conseguimento di un’esistenza che, nella sua completezza, necessita che si debba garantire il diritto alla vita, alla libertà, all’uguaglianza e alla dignità personale e sociale”.

“L’ambasciatrice Victoria Bagdassarian – dice Pace – ha riconosciuto che la costruzione dei processi condivisi di crescita e collaborazione per le nostre piccole realtà, quella lucana e quella armena, sarà di vicendevole arricchimento”. Pace, dal canto suo, condividendo il principio, ha concluso il suo intervento aggiungendo che “i valori di pace e di giustizia, raggiunti attraverso percorsi compartecipati, riguardano l’umanità nella sua interezza e sono valori che devono essere alla base di ogni processo di globalizzazione ed a monte di ogni modello educativo. Questo nostro incontro rappresenta un avanzamento rispetto a quel percorso di arricchimento reciproco che trova nel confronto e nel sostegno gli strumenti per una crescita democratica”.

Vai al sito

Armenia: lungo la strada dell’alta moda (Osservatorio Balcani E Caucaso 11.11.16)

In occasione del primo Fashion Trade show al neo-inaugurato spazio Expo di Yerevan, OBC Transeuropa ha incontrato Vahan Khachatryan, stilista armeno giovane ma già affermato, che in Italia ha lavorato per Dolce&Gabbana, per poi tornare in Armenia e lanciare un proprio marchio.

Vahan, come è iniziata la tua avventura nel mondo della moda? Quando hai scoperto questo tuo talento?

Tutto è cominciato quando avevo 15 anni. Un gruppo di amici aveva messo insieme un complesso rock, e volevano dei costumi di scena. Mi sono offerto di dare una mano e la cosa è andata molto bene… ho cominciato a essere richiesto, collaborando con atelier a Yerevan. Ho fatto il percorso inverso al solito, ho cominciato con il settore celebrities! Man mano che il tempo passava ampliavo un po’ le mie attività, divenendo direttore artistico presso pubblicazioni di moda. A un certo punto però mi sono sentito di dover indirizzarmi e strutturarmi meglio in un settore solo.

C’è stata quindi una seconda svolta significativa, dopo un esordio così giovanile e casuale?

Sì. Nel 2008 mi sono chiesto cosa volevo davvero fare. Mi rendevo conto che mi mancavano degli strumenti creativi e tecnici. Ho deciso di studiare. La mia scelta è stata l’Accademia Italiana di Firenze. Ho lasciato quindi Yerevan per l’Italia.
All’Accademia mi sono venuti incontro sul curriculum studiorum: normalmente è di 3 anni, ma siccome io non ero un esordiente assoluto mi hanno abbuonato un anno e mezzo. A Firenze ho appreso molto di quello che volevo sapere sulla sartoria, e anche sull’industria della moda. Ora mi aspettava il mondo del lavoro con nuovi strumenti. Prima di lasciare l’Italia per tornare a Yerevan ho quindi inviato curriculum in giro, nella speranza che qualcuno si facesse avanti.

E di nuovo hai cominciato da là dove per molti si arriva dopo anni…

E’ andata inaspettatamente bene! La mia candidatura spontanea ha destato l’interesse di Dolce&Gabbana. Sono tornato in fretta e furia in Italia per il colloquio e mi sono trovato a lavorare a Milano, all’Ufficio Stile Alta Moda. Un’esperienza intensissima che è durata un anno. Di nuovo ho imparato tantissimo, forse quello che ancora mi mancava dopo Firenze. Ho potuto seguire come nasce, cresce e si materializza una collezione, ho conosciuto moltissime persone che mi hanno aiutato a formarmi e a continuare il mio percorso professionale e creativo. E poi ho deciso per una nuova svolta: tornare in Armenia e provare a mettere in piedi nella mia città un marchio tutto mio.

Sei diventato imprenditore: com’è stato l’inizio?

Ovviamente è diverso dall’essere esclusivamente un creativo. Ho dovuto re-settare le mie ambizioni sulla base della fattibilità del mio progetto, trovare un sostegno economico. Non ho trovato programmi governativi per start-up di giovani imprenditori, quindi mi sono dovuto rivolgere a privati. Fra questi ho trovato una persona che aveva disponibilità di investimento, e che mi ha aiutato divenendo mio partner.

Sicuramente ci sono riuscito perché nel mio curriculum c’era l’esperienza a D&G. Una firma così è stato un biglietto da visita che ha reso possibile attivare un processo che altrimenti sarebbe stato molto difficile far partire: una collezione mia, uno spazio dove creare e vendere e – nel 2013 – cominciare a sfilare.

E’ nata quindi la Vahan Khachatryan … 

Sì, dal 2013 riesco a fare 2 collezioni all’anno e a presentarle in Armenia e ora anche all’estero. Finora ho presentato quattro collezioni al Kiev Mercedez Benz Fashion Days. Uscire dall’Armenia è un grande sforzo, anche economico, che faccio non solo per vendere e affacciarmi su un altro mercato, ma anche perché Kiev è già più inserita nel circuito della moda internazionale, almeno come garanzia di visibilità del marchio, rispetto a Yerevan. Ed è stata la scelta giusta: sono stato notato, anche nella stampa internazionale. Le mie collezioni risentono del gusto italiano, la mia formazione e inclinazione estetica emergono, e si uniscono a chiari riferimenti all’arte e alla cultura armena. Questa miscela pare destare interesse.

Anche in Italia, dove il tuo lavoro è stato riconosciuto anche dopo il tuo ritorno in Armenia..

Sì. Vogue Italia per due volte mi ha voluto nell’inserto di settembre, quello dedicato agli stilisti emergenti, così come ho partecipato all’Expo a Milano per Pitti Immagine/Vogue Italia, selezionato dalla talent scout Sara Maino, mentre Simonetta Gianfelice mi ha voluto alla settimana dell’Alta Moda di Roma.

Ci hai accennato alla tua estetica. Come descriveresti le tue collezioni?

Ogni collezione ha una sua dimensione estetica, quasi un percorso narrativo. E forse questo è già un elemento molto armeno: la nostra arte è piena di simbologia, ha una ritualità implicita che va decifrata. Ho già accennato al fatto che questo si sia poi fuso con tutto quello che ho visto e amato in e dell’Italia. E poi ci sono i messaggi o i ricordi che voglio trasmettere attraverso le mie sfilate. Ho dedicato una collezione al centenario del genocidio. E una collezione speciale è stata ispirata e realizzata in omaggio al centenario della nascita di mio nonno, Suren Stepanyan, pittore ufficiale dell’Unione Sovietica: i quadri in mezzo ai quali sono nato sono divenuti stampe su tessuti italiani.

E adesso? Quali sono i prossimi passi artistici e imprenditoriali?

Oltre a mantenere il mio progetto sostenibile, mi piacerebbe differenziarlo, lanciare una linea pretaporter per una fascia economica media, aprire un secondo negozio dedicato a questa a Yerevan. E uno a Firenze, una cooperazione italo-armena.

Sono programmi ambiziosi, e ci sono davvero molti ostacoli per un imprenditore armeno che opera su un mercato transfrontaliero. Le tasse di importazione mi costano di più della produzione, di cui buona parte si concentra in Italia. Secondo me questo strozza davvero l’imprenditorialità armena.

Vahan, c’è qualcosa che trovi importante aggiungere sul tuo percorso, a bilancio della tua avventura finora?

Voglio dire a chi ci ha letto che davvero niente è impossibile. Io 15 anni fa – con pur tutte le difficoltà che ci sono state e con cui continuo a confrontarmi – non avrei mai immaginato che il mio sogno si sarebbe potuto realizzare. Un percorso come il mio mi sarebbe sembrato una cosa titanica, per uno sconosciuto, in un paese come l’Armenia, piccolo, con un minuscolo mercato e fuori dai circuiti internazionali della moda. Per cui continuate a lavorare e non smettete di credere: se è successo a me può succedere anche a voi.

E poi spero di poter essere l’apripista, che da uno i nomi di stilisti che emergono dall’Armenia diventino sempre di più, oltre agli armeni già affermati che provengono dalla diaspora.

Vai al sito

Mondiali 2018: Armenia-Montenegro 3-2 (Ansa 11.11.16)

L’Armenia ha battuto 3-2 il Montenegro (rimontando dallo 0-2) in una partita delle qualificazioni al Mondiale di calcio 2018, giocata e Yerevan (gruppo E). Il Montenegro non ha saputo difendere il doppio vantaggio maturato nel primo tempo grazie alle reti di Kojasevic (36′) e dell’interista Jovetic (38′). Nella ripresa la reazione dei padroni di casa ha portato prima Artak Grigoryan ad accorciare le distanze (5′) e poi al pari di Haroyan (29′). Al 3′ di recupero è arrivato il terzo gol, siglato da Ghazaryan.
Dopo tre sconfitte, l’Armenia ha così colto il primo successo nelle qualificazioni. Il Montenegro resta a 7 punti.
   Vai al sito


 

Under 19: Italia batte Armenia 2-1 (Ansa 11.11.16)

(ANSA) – ROMA, 12 NOV – Un finale al cardiopalma contro l’Armenia regala la seconda vittoria all’Italia Under 19, il primo posto nel Gruppo 7 e un passo in più verso la qualificazione alla fase finale dell’Europeo di categoria. E’ sempre il solito Cutrone protagonista delle azioni che portano gli Azzurrini alle due realizzazioni, segnando nella prima e procurando poi al 90′ il rigore messo a segno da Marchizza: fra le due reti il punto di Petrosyan, che aveva riaperto la partita. L’altro match tra Svizzera e Ungheria si è concluso a favore di quest’ultima per 2-1, un risultato che rimanda all’ultima partita il passaggio all’élite round della squadra Azzurra.

Vai al sito

 

 

Seminario sulle elezioni americane e conferenze sul genocidio degli Armeni (Trieste.diarioweb 08.11.16)

TRIESTE – Mercoledì 9 novembre 2016, dalle 18 alle 20, nell’Aula Magna del Dipartimento di Scienze Giuridiche, del Linguaggio, dell’Interpretazione e della Traduzione dell’Università di Trieste, in Via Filzi 14 a Trieste, avrà luogo un seminario dedicato alle elezioni presidenziali americane dal titolo ‘The day after. Le incredibili presidenziali del 2016’.

Relatori e informazioni
Introduce e modera Pierluigi Sabatti, Presidente del Circolo della Stampa di Trieste
Partecipano: Leonardo Buonomo (Università di Trieste), Annalisa Mogorovich (Dottorato Interateneo Trieste-Udine ‘Storia delle società, delle istituzioni e del pensiero’) Elisabetta Vezzosi (Università di Trieste) Ilaria Zamburlini (Dottorato Interateneo Trieste-Udine ‘Storia delle società, delle istituzioni e del pensiero’)
Il seminario è organizzato dall’Università di Trieste e dal Collegio Universitario Luciano Fonda di Trieste in collaborazione con: Associazione Italo-Americana del Friuli Venezia Giulia, Associazione di Studi Nordamericani, Centro Interuniversitario di Storia e Politica Euro-Americana
Cliccare qui per la locandina.

Il genocidio degli armeni, appuntamento a Gorizia e Trieste
Sempre il 9 novembre, quinto appuntamento con ‘Storia in città a Trieste e a Gorizia’, dal titolo ‘Dal genocidio degli armeni allo scambio di popolazioni greco – turco’.
Gli anni compresi tra le Guerre balcaniche (1912-13) e la Guerra greco-turca (1919 -22) rappresentano per il settore orientale del Mediterraneo e per il bacino del Mar Nero un periodo segnato da forte instabilità e dal largo uso della violenza. Fu in quel contesto che si consumò quello viene riconosciuto come il primo genocidio moderno, ovvero quello degli Armeni nell’Impero ottomano.

Relatori e luoghi
Di questo parlerà il prof. Marco Dogo, già docente di Storia dell’Europa Orientale all’Università di Trieste, dalle 17 alle 19, a Trieste nella sala conferenze di androna Baciocchi.
Sarà invece previsto a Gorizia l’intervento di Erica Mezzoli, dottore di ricerca e cultore della materia in Storia dell’Europa Orientale, dalle 11.00 alle 13.00 nella sala Della Torre della Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia.
L’iniziativa è organizzata dall’Università di Trieste e finanziata dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e Fondazione CRTrieste.

Visite guidate sulle deportazioni e gli esodi
Sono previste anche visite guidate gratuite nei luoghi simbolo di deportazioni, migrazioni e esodi: Risiera di San Sabba; Piazza Oberdan e Silos; Centro Raccolta Profughi di Padriciano; Civico Museo della Civiltà istriana, fiumana e dalmata e Magazzino 18 in Porto Vecchio.
Appuntamento in Piazza Oberdan mercoledì 9 novembre alle ore 14.30 con lo storico Roberto Spazzali dell’Istituto regionale per la storia del Movimento di liberazione.
Per partecipare alle visite è necessaria la prenotazione:
bit.ly/VisiteGuidateStoriaInCittà
bit.ly/StoriaInCittà16
Programma e video su www.farespazio.org

 

Vai al sito