Inaugurato a Gerusalemme il campo “made” in VCO (Verbania Notizie 05.09.16)

Con una partita di calcio tra ragazzi arabi, armeni ed ebrei in squadre miste si è inaugurato ieri pomeriggio nel quartiere armeno della Città Vecchia di Gerusalemme il campo sportivo polivalente realizzato dal progetto Assist for peace – I support the Jerusalem sports playground con l’aiuto di alcuni dei più celebri campioni internazionali, ideato nel VCO.

All’inaugurazione erano presenti assieme ai promotori e ai rappresentanti delle comunità locali anche due esponenti delle istituzioni italiane quali il console Fabio Sokolowicz e il presidente della Figc Carlo Tavecchio (accompagnato dal presidente della Lazio Claudio Lotito), mentre il presidente del Coni Giovanni Malagò ha inviato un messaggio benaugurante e di sostegno.

Il progetto ha infatti visto lo sviluppo grazie a Luca Scolari, che nel 2007 aveva organizzato la maratona della Pace da Betlemme a Gerusalemme. Scolari ha coinvolto amici dello sport italiani e campioni internazionali nell’iniziativa, poi concretizzatasi grazie alla disponibilità del patriarcato armeno e all’impegno della Caritas di Gerusalemme

Il progetto ha ricevuto il sostegno tra gli altri di campioni quali Novak Djokovic, Sebastian Vettel, Kimi Raikkonen, Vincenzo Nibali, Giovanni Soldini, Javier Zanetti, Carlo Ancelotti, Gianluigi Buffon, Federica Pellegrini, Yakhouba Diawara, Roberto Donadoni, Danilo Gallinari, Valentino Rossi, Muhammad Ali, Luca Toni e di loro amici quali Antonello Venditti e Guido Barilla.

Luca Scolari, tra i promotori dell’iniziativa, commenta: “Appena abbiamo avuto la disponibilità a realizzare l’impianto ho coinvolto i miei amici sportivi che entusiasti hanno aderito al progetto finanziandolo. Ora spero che questo sia solo l’inizio di altri progetti per promuovere la pace e la fratellanza a partire dalle giovani generazioni. Nasca da qui il seme per il futuro. Ai giovani dico sono un sognatore, siatelo anche voi”.

Il presidente Figc Carlo Tavecchio ha commentato: “Sono molto onorato di essere qui, in un’iniziativa che vede impegnati anche calciatori italiani, il calcio può dare senso di pace unità, perché quando una palla rotola chi la segue non ha confini e non ha bandiera”

Obiettivo del progetto lanciare un messaggio di pace. E infatti all’inaugurazione si sono sfidate squadre giovanili miste di armeni, arabi ed ebrei. La singolarità consiste infatti nel recupero di un’area nel cuore della città vecchia. Il luogo simbolo dei tre monoteismi, ancora oggi conteso, ora ospita un campo aperto a tutti. Qui i bambini giocheranno assieme, senza distinzione di etnia e religione, trasformando un sogno in realtà.

Racconta Arat, 14enne del quartiere armeno: “E’ l’unico posto dove possiamo giocare a calcio e non solo nella città vecchia e quando la notizia si è sparsa anche ragazzi non armeni hanno iniziato a frequentare la zona”.

Il suo professore Harout Baghamian spiega che ha visto persone dai 6 ai 30 anni di ogni religione che incuriosite vengono a giocare a basket, calcio o ad accompagnare i figli. “E prossimamente avvieremo delle iniziative per promuovere lo sport femminile”.

Gigi Buffon, impegnato con la nazionale in vista dell’incontro di Haifa di lunedì 5 e tra i primi testimonial del progetto, ha annunciato la sua disponibilità a far visita alla nuova struttura che vede il suo nome sui muri tra i sostenitori che hanno reso possibile la realizzazione del progetto. Buffon è atteso martedì mattina verso le 10 (ora locale) prima di rientrare in Italia.

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Genocidio sugli armeni, il governo si distanzia dal Bundestag (Ticinonline 02.09.316)

BERLINO – Il governo tedesco avrebbe intenzione di compiere un gesto politico per distanziarsi dalla risoluzione sul genocidio armeno approvata dal Bundestag il 2 giugno scorso e consentire il via libera della Turchia alla visita dei deputati tedeschi ai soldati della Bundeswehr nella base di Incirlik. Lo rivela lo Spiegel.

Secondo quanto scrive il settimanale, Cancelleria e ministero degli Esteri avrebbero concordato una dichiarazione pubblica del portavoce del governo Steffen Seibert, che definirebbe “una proclamazione politica” e “priva di ogni significato politico” la risoluzione approvata dal Bundestag che classificava come genocidio il massacro degli armeni del 1915

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Risoluzione sull’Armenia, il governo tedesco smentisce la presa di distanza dal parlamento

BERLINO – Pur non sentendosi vincolato “giuridicamente” a seguirla nei suoi rapporti con la Turchia, il governo tedesco ha negato che intende “distanziarsi” dalla risoluzione del parlamento di Berlino che definisce un “genocidio” le stragi di armeni perpetrate sotto l’impero ottomano facendo infuriare Ankara.

Il portavoce dell’esecutivo tedesco Steffen Seibert, nella conferenza stampa governativa del venerdì, ha ricordato che – nell'”intenso flusso informativo di stamattina” – “viene sostenuto in maniera sbagliata che il governo federale vuole distanziarsi dalla risoluzione sull’Armenia del parlamento tedesco: di questo non se ne parla nemmeno”. “Il parlamento tedesco ha diritto di esprimersi su qualsiasi tema”, ha aggiunto, ma le sue risoluzioni “non sono giuridicamente vincolanti”.

“I rapporti con la Turchia, a causa dell’elevato numero di legami politici, economici, culturali e soprattutto umani fra i nostri due stati, sono molto importanti”, ha ricordato dal canto suo il portavoce del ministero degli Esteri, Martin Schäfer.

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Ani: la Capitale Armena Medievale delle 1001 Chiese completamente Abbandonata (Vanillmagazine 29.08.16)

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Ani: la Capitale Armena Medievale delle 1001 Chiese completamente Abbandonata

Nasce in Armenia il Dilijan Art Observatory. 21 giorni di ricerche alla caccia del genius loci (Atribune.com 28.08.16)

La residenza coinvolgerà artisti provenienti da tutta Europa. I risultati saranno presentati nella cittadina armena e poi a Berlino e a Parigi tra l’autunno 2017 e la primavera 2018

L’osservatorio sull’arte contemporanea armena inventa un progetto di residenza originale per operare una riflessione profonda sull’arte del proprio paese. Il Dilijan Art Observatory, curato da Clémentine Deliss, sarà una 21 giorni di studi, ricerche , confronti e molto altro che si svolgerà fino all’11 settembre nella cittadina da cui prende il nome il progetto. A volerlo, il filantropo Ruben Vardanyan e Veronika Zonabend, entrambi fondatori di United World College, di RVVZ e di IDeA, fondazione a scopo benifico, ma anche iniziatori della Dilijan Development Foundation. Un gruppo di storici dell’arte e professionisti lavorerà fianco a fianco con i cittadini per individuare quello che noi definiamo il genius loci, indagando la memoria e la sua trasmissione, l’architettura sovietica e il design, l’artigianato, la grafica, le conoscenze culinarie, la botanica e i prodotti futuri per la sopravvivenza. Insomma, per dirla ancora con le nostre retoriche, l’identità. L’osservatorio non si limiterà a investigare la città di Dilijan, ma si allargherà ai villaggi vicini, utilizzando come quartier generale “Impuls”, una fabbrica di elettronica in disuso, un classico esempio di architettura sovietica, successivamente privatizzata.

UN DIBATTITO APERTO ALL’EUROPA
Non saranno solo artisti e studiosi locali ad essere coinvolti nel progetto che ha invitato a questa disamina e riflessione sul territorio creativi e studiosi da tutta Europa e non solo: ci sono infatti tra gli altri, Haig Aivazian (Canada), Erik van Buuren (Olanda), Katerina Chuchalina (Russia), Mohamad Deeb (Lebanon), Clémentine Deliss (GB), Arpad Dobriban (Germania), Andrew de Freitas (Nuova Zelanda), Natasha Gasparian (Libano), Raphaela Grolimund (Svizzera), Misha Hollenbach, Perks e Mini (Austria), Christoph Keller (Germania), Augustin Maurs (Francia), Ioana Mitrea (Romania), Maria Mkrtycheva (RussiaMarcello Spada (Italia), Joanna Sokolowska (Polonia), Vangjush Vellahu (Albania), Jasmine Werner (Germany), Nork Zakarian (Egitto). Nei giorni 10 e 11 settembre una due giorni di appuntamenti aperti al pubblico presenterà, infine, i risultati del lavoro condotto dall’osservatorio con una serie di eventi quali concerti, performance e manifestazioni culinarie, mostre, dibattiti e tavole rotonde che saranno poi esposti presso la National Gallery of Contemporary Art e l’Hamburger Bahnhof di Berlino a Novembre 2017 e il Centre Pompidou, a Parigi nell’estate 2018.

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Al Monte un concerto di musica armena Eventi a Cesena (Cesenatoday 26.08.16)

Al Monte un concerto di musica armena Eventi a Cesena

Nel chiostro dell’abbazia di Santa Maria del Monte, sabato 27 agosto alle 21, si terrà un concerto di musica armena dedicato alla figura del grande musicista armeno padre Komitas, a cura della Società Amici del Monte in collaborazione con la Comunità monastica.

Suoneranno Giuseppe Dal Bianco (duduk, shofar, flauti etnici) e Giuseppe Laudanna (tastiere e percussioni). Voce narrante di Mauro Lazzaretti, che leggerà brani di Antonia Arslan ed altri autori armeni.
Introdurrà lo spettacolo Baykar Sivazliyan dell’Università di Milano ed eminente esponente della Diaspora.
Dal 2005 la musica del Duduk è nella lista del patrimonio culturale dell’Unesco. Si tratta di uno strumento a fiato in legno di albicocco dal suono dolcissimo e struggente, simbolo dell’Armenia.

Il 24 aprile 2015, in Armenia e nel mondo, si è celebrato il centenario dall’inizio del genocidio degli armeni, il Metz Yeghern, che significa “il grande male”. Un male che ha portato alla morte circa un milione e mezzo di persone. Nella notte fra il 23 e il 24 aprile del 1915 vennero arrestati anche alcune centinaia di intellettuali per essere in seguito deportati e uccisi. Tra questi c’era anche padre Komitas. Komitas non venne ucciso, si salvò, ma dovette assistere alle peggiori atrocità verso il suo popolo e all’uccisione di molte persone per le quali nutriva molto affetto. Nel 1919, a causa di tali sofferenze, Komitas accusò una grave malattia mentale che lo porterà alla morte nel 1935. Il concerto è dedicato alla memoria di questo grande musicista armeno.

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Eurovision 2017: giuria di star eurovisive per la selezione in Armenia (Eurofestivalnews 22.08.16)

In attesa di conoscere in quale città ucraina si terrà l’Eurovision Song Contest 2017 (in lizza Kiev, Dnipro e Odessa), l’Armenia svela novità sulla selezione nazionale attraverso la quale verrà scelto il nuovo rappresentante eurovisivo del paese caucasico.

Dopo cinque scelte interne, la rete armena AMPTV tornerà ad un format televisivo, intitolato Depi Evratesil (in italiano, Verso l’Eurovision). Un vero e proprio talent, in partenza a settembre, della durata di tre mesi.

Depi-Evratesil

I provini sono aperti: entro il 25 agosto gli interessati – cittadini armeni o di origini armene, come espressamente richiesto dal regolamento – potranno iscriversi al programma e sperare di prendere parte alle audizioni.

La giuria è ricca di stelle già viste sul palco dell’Eurovision: Iveta Mukuchyan (2016), Essaï (membro dei Genealogy, 2015), Aram Mp3 (2014), le sorelle Inga & Anush (2009) e Hayko (2007).

I concorrenti saranno provinati e smistati in squadre, ognuna guidata da uno dei giurati. Solo uno, però, sarà decretato vincitore assoluto e investito dell’onore di rappresentare il proprio paese nella kermesse canora europea.

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Bourj Hammoud: dal genocidio armeno alla crisi siriana (Lantidiplomatico.it 21.08.16)

Bourj Hammoud si trova nella parte nord-orientale della capitale libanese a poca distanza dal mare e dal porto della città, oltre il Beirut River. Il quartiere deve il suo nome a quello dell’unico edificio presente prima della progressiva urbanizzazione della zona: la torre (in arabo Bourj) costruita dalla famiglia libanese Hammoud che, in uno dei punti d’accesso alla città, permetteva di tenere sotto controllo il territorio circostante

di Maurizio Vezzosi e Giacomo Marchetti

 

Beirut – La vernice rossa scalfisce i muri del quartiere armeno di Bourj Hammoud. La Turchia è colpevole di un genocidio, Turkey is guilty of genocide.

L’accusa mossa contro Ankara riguarda l’orribile genocidio avvenuto tra il 1915 e il 1916.

Il grande crimine – come viene ricordato dagli armeni il primo genocidio del Novecento – costò la vita a più di un milione e mezzo di persone e fu l’inizio della diaspora di questo popolo, durante la quale migliaia di armeni arrivarono in Siria ed in Libano mentre l’Impero ottomano si sgretolava.

Ancora oggi Ankara nega il genocidio, e chi ne denuncia le responsabilità, soprattutto in Turchia, riceve in cambio intimidazioni e misure repressive, rischiando in alcuni casi l’esilio e addirittura la vita. Anticipando l’arrivo del 1948 e del 1967 dei rifugiati palestinesi, quella armena è stata la prima comunità ad arrivare in Libano dopo la dissoluzione dell’Impero ottomano, facendo di Beirut uno dei suoi epicentri nel mondo arabo.

Bourj Hammoud si trova nella parte nord-orientale della capitale libanese a poca distanza dal mare e dal porto della città, oltre il Beirut River. Il quartiere deve il suo nome a quello dell’unico edificio presente prima della progressiva urbanizzazione della zona: la torre (in arabo. Bourj) costruita dalla famiglia libanese Hammoud che, in uno dei punti d’accesso alla città, permetteva di tenere sotto controllo il territorio circostante.

Nel suo fitto reticolato di strade sventolano i colori arancione, blu e rosso della bandiera armena, e spesso si specchiano nei cristalli delle decine di gioiellerie del quartiere. In Armenia Street un grande striscione plastificato ricorda il grande crimine. Nei locali, nei negozi, sui muri l’arabo cede il passo all’armeno. I nomi di molte strade che lo attraversano rimandano a quelli dei villaggi dai cui provenivano i primi abitanti arrivati qui un secolo fa, dopo un periodo di quarantena in una zona fuori città ad est del quartiere.

Provvedendo alla progressiva bonifica della zona, grazie alla loro forte coesione comunitaria ed alla loro straordinaria capacità artigianale riuscirono a rendere umano un contesto non certo favorevole, peraltro dovendo fare i conti con una barriera linguistica pressoché insormontabile e trovando un impiego solo nelle mansioni più umili.

Il senso di disorientamento non riguardava solo gli armeni: gli stessi libanesi videro una zona disabitata e insalubre ai margini della città venire popolata da persone completamente estranee alla società libanese del tempo. Il fiorente sviluppo della capitale libanese, ed il successo delle attività  economiche degli armeni, permise agli abitanti di Bourj Hammoud di mutare radicalmente la propria condizione nel giro di qualche decennio. In seguito le buone possibilità di trovare un’occupazione fecero arrivare qui anche non pochi libanesi sciiti provenienti dalle zone più povere del sud del paese.

Nel corso del tempo l’urbanesimo informale che faceva assomigliare Bourj Hammoud alle periferie di molte città italiane venne gradualmente razionalizzato da una ristrutturazione complessiva che dette alle singole famiglie del quartiere un alloggio salubre e sufficientemente spazioso. Nonostante ciò restano ancora ben visibili le tracce della fondazione del quartiere.

La dimensione della comunità e la volontà di rendere le nuove generazioni consapevoli delle proprie radici ha spinto gli armeni di Beirut a costruire e far vivere chiese, scuole in lingua armena e centri culturali dentro e fuori Bourj Hammoud.

Ad Hamra, nel centro di Beirut, dalla metà degli anni ’50  ha sede l’università armena Haigazian,

costruita in ideale continuità con gli istituti armeni presenti in Anatolia e distrutti dai turchi durante il genocidio.

A Bourj Hommoud non si respira l’ostilità sociale che caratterizza altre zone di Beirut, sopratutto quelle più abbienti. Nel quartiere vivevano circa  100.000 persone tra armeni, libanesi e diverse comunità di immigrati asiatici e africani, ma con la crisi siriana sono arrivati qui ben 30.000 profughi siriani e armeno-siriani.

Alcuni dei profughi provenienti dalla Siria trascorrono qui solo qualche tempo, nell’attesa di ricongiungersi con amici e parenti delle grandi comunità armene in Europa, negli Stati Uniti e in Canada. Altri hanno messo radici già da qualche tempo.

Per le strade moltissimi manifesti ricordano uno dei sanguinosi conflitti esplosi dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica: la guerra scatenata contro gli armeni del Nagorno-Karabak. Ritornato recentemente alla ribalta delle cronache dopo le sue fasi di stallo: quello del Nagorno-Karabak è un conflitto mai risoltosi e a lungo ignorato dalla comunità internazionale.

Durante la guerra civile libanese la comunità armena si limito ad autodifendersi, con una posizione neutrale, che non gli risparmiò comunque lutti e sofferenze. Alle fine anni ’70, durante una delle fasi più critiche della guerra, la popolazione armena era l’unica ad essere rimasta estranea dal conflitto godendo della tutela internazionale dell’Unione Sovietica. A Beirut le milizie falangiste intendevano far diventare Bourj Hommoud un deposito di munizioni: di fronte al rifiuto armeno circondarono gli accessi al quartiere minacciando di bombardarlo.
A quel punto si racconta che a Bashir Gemayel, capo dei falangisti, arrivò una telefonata dell’allora Ambasciatore sovietico a Beirut Andrej Kolotosha, e che il diplomatico si rivolse a Gemayel con un’unica affermazione, senza aspettare risposte. “Se non volete capovolgere le sorti della vostra guerra, andate via da Bourj Hammoud”.
La telefonata fu sufficiente a convincere i falangisti a sciogliere l’assedio il mattino seguente.

 

Due occasioni per parlare della storia e delle tradizioni dell’Armenia (Histonium.net 17.08.16)

Il 18 agosto alle ore 18 presso l’Aula Convegni del Basilica Madonna dei Miracoli e il 19 agosto alle ore 20:30 presso le Casetta Santini di Casalbordino (versante nord adiacente la pineta), si parlerà della storia e delle tradizioni del popolo armeno.

Gli argomenti degli incontri saranno nello specifico rispettivamente “Italiani e Armeni, un rapporto poco conosciuto che dura da secoli” e “La mia Armenia: ritorno alle radici e incontri di pace”.

A presiedere entrambi gli appuntamenti interverrà la dott.sa Fimi Arakelian, portavoce della cultura armena, che ci parlerà delle tradizioni del suo popolo, ma avrà anche il gravoso compito di raccontarne il terribile massacro subito, non nascondendo “il profondo dolore che a tutt’oggi significa rievocarne la storia”.

Gli incontri, patrocinati dal Comune di Casalbordino, dalla Basilica-Santuario Santa Maria dei Miracoli di Casalbordino e dal Ristobar Finis Terrae di Casalbiordino Lido, saranno arricchiti dai reportage fotografici sul viaggio del Papa nel paese caucasico, un secolo dopo il genocidio che cancellò l’antica comunità cristiana.

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Cittadini dei Paesi ex Urss valutano la vita prima e dopo il crollo del comunismo (Sputnik 17.08.16)

Secondo il sondaggio all’interno del progetto “Sputnik.Opinioni”, in 9 Paesi su 11 appartenuti all’Unione Sovietica gli abitanti di età superiore ai 35 anni ritengono che la qualità della vita nell’Urss era migliore rispetto a quella dopo il crollo dell’impero comunista.In Russia il 64% degli intervistati ha valutato la qualità della vita nell’Unione Sovietica migliore. In Ucraina sostiene questa idea il 60% degli intervistati, mentre le più alte percentuali di nostalgici della vita nell’Urss si registrano in Armenia (71%) e Azerbaigian (69%). Gli intervistati tra quelli che non ricordano la vita in URSS, di età compresa dai 18 ai 24 anni, ritengono al contrario che la vita è migliorata dopo il crollo dello Stato sovietico. In Russia la pensa in questo modo il 63% dei giovani intervistati. © Sputnik/ Era meglio prima? I dati sono stati ottenuti in base alle rilevazioni condotte dalle società di ricerca VTsIOM, M-Vector, GFK Kazakistan, Moreinfo e Qafqaz in 11 Paesi dell’ex URSS su commissione dell’agenzia stampa e radio Sputnik. In quasi tutti i Paesi, la maggior parte delle persone di età superiore ai 35 anni ritiene che in Unione Sovietica si viveva meglio: in Armenia i nostalgici sono al 71% contro il 23%, in Azerbaigian 69% contro 29%, in Russia 64% contro 28%, in Kazakistan 61% contro 27% in Ucraina 60% contro 23% in Kirghizistan 60% contro 30%, in Bielorussia 53% contro 28%, in Georgia 51% contro 46%. Solo i cittadini di Tagikistan (39% contro 55%) e Uzbekistan (4% contro 91%) oltre i 35 anni ritengono migliore la vita dopo il crollo dell’Urss. Gli intervistati (fino a 25 anni) che sono nati dopo o poco prima del crollo dell’Unione Sovietica sostengono che si viva meglio ora: in Armenia 48% contro 47% in Kirghizistan 48% contro 37% in Kazakistan 56% contro 35%, in Bielorussia 57 % contro 34%, in Georgia 79% contro 20% in Ucraina 39% contro 18%, in Russia 63% contro 25%, in Azerbaigian 68% contro 14%, in Tagikistan 84% contro 13% e in Uzbekistan 89% contro 5%.

Leggi tutto: http://it.sputniknews.com/mondo/20160817/3275623/Russia-sondaggio-Sputnik.html


Sondaggio in 11 Paesi dell’ex Urss: si stava meglio in Unione Sovietica

L’analisi, condotta dal Centro panrusso di studi dell’opinione pubblica, ha coinvolto 12.645 persone

[17 agosto 2016]

Urss

Secondo un sondaggio di Sputnik.Opinions, «la maggioranza degli abitanti dei Paesi dell’ex Unione Sovietica  di età oltre i 35 anni stimano che il livello di vita nell’Urss fosse più elevato che dopo il suo crollo». Il sondaggio è stato realizzato in 11 Paesi dell’ex Unione Sovietica dal Centro panrusso di studi dell’opinione pubblica (VTsIOM), M-Vector, Ipsos, Expert Fikri e Qafqaz  su richiesta dell’agenzia di informazione e radio Sputnik dal 4 luglio al 15 agosto 2016 ha coinvolto 12.645 persone.

Nella Russia di Putin, che ha mantenuto molti dei simboli e degli atteggiamenti autoritari dell’Urss ma non i suo stato sociale, il 64% delle persone che ha vissuto in epoca sovietica considera il livello di vita nell’Urss più elevato di quello attuale.  Perfino il 60% degli ucraini, il cui governo è apertamente anticomunista, anti-sovietico e anti-russo, dicono che nell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche si viveva molto meglio di ora.  Quelli che hanno più nostalgia dello Stato sociale comunista sono gli armeni (71%) e i loro vicini-nemici dell’Azerbaigian, due Paesi divisi dal conflitto per il Nagorno Karabakh, dalla religione (cristiani gli armeni e musulmani gli azeri) e dall’energia, ma uniti nella nostalgia per i bei tempi dell’Urss, anche perché la qualità della loro democrazia non è aumentata di molto – soprattutto in Azerbaigian – dopo il crollo dell’Unione Sovietica.

Solo in Tagikistan e Uzbekistan la maggioranza della popolazione pensa che la qualità della vita nel loro Paese sia considerevolmente  aumentata dopo la fine dell’Urss. Infatti, in questi problematici Paesi chi ha più di 35 anni pensa che per nell’attuale situazione di caos e pseudo-democrazia si stia meglio che ai tempi del comunismo: la pensano così il  55% dei tagiki (contro il  39% di nostalgici dell’Urss) e ben il 91% degli uzbeki (con solo il 4% che rimpiange lo Stato sovietico), ma in questi due Paesi giocano probabilmente motivazioni etniche e religiose già presenti in epoca comunista che sono molto più deboli negli altri Stati dell’ex Urss dell’Asia centrale, rimasti alleati di ferro di Mosca.

Il ricordo dell’Unione Sovietica sembra invece sbiadito nelle giovani generazioni: i giovani tra i 18 e i 24 anni, nati dopo la caduta dell’Urss pensano che la qualità della vita sia migliorata dopo il crollo del comunismo. E’ di questa opinione il 63% dei giovani russi, il 48% degli armeni e dei Kirghisi, il 56% dei kazaki, il 57% dei bielorussi, il 79% dei georgiani, il 60% degli ucraini, il 68% degli azeri, l’84% dei tagiki e degli uzbeki.

Una convinzione che non deriva spesso da un miglioramento “democratico” rispetto al regime sovietico, visto che molti di questi giovani post-sovietici vivono in Paesi che sono Stati autoritari, finte democrazie o vere e proprie dittature.

La nostalgia dell’Urss era già stata confermata ad aprile da un altro sondaggio VTsIOM, secondo il quale i due terzi dei russi volevano ripristinare l’Unione Sovietica, ma più che come entità politica l’Urss manca loro per cose molto concrete: la protezione dell’infanzia, le vittorie sportive, la mancanza di traffico automobilistico e i picnic in città, il cinema sovietico, le ragazze “senza grilli per la testa”, i prodotti sovietici sempre scarsi ma ora tornati di moda, l’architettura sovietica, il lavoro agricolo estivo per gli studenti, le grandi manifestazioni di massa pacifiche, i vecchi abiti russi spazzati via dagli ambiti jeans occidentali.

Più che nostalgia per il comunismo sembra nostalgia per la sicurezza, l’unità e la tradizione di un mondo che non c’è più, quando l’Unione Sovietica si spartiva il pianeta con gli Usa.

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Edo, dall’Armenia l’angelo della Casa degli angeli: “Imparavo l’italiano con Celentano” (Primonumero.it 16.08.16)

Anche a Ferragosto Varazdat Sargsyam (questo il suo vero nome), custode della struttura di via Monte San Gabriele, è stato alla mensa della Caritas insieme agli ospiti su cui veglia notte e giorno ormai da due anni. Dalla sua terra a Campobasso con la famiglia, dice dei molisani: “Siete accoglienti”

Campobasso. Varazdat Sargsyam. Con questo nome, che prese a 18 anni in ricordo di un fratello morto bambino, nessuno lo conosce. Ma, se lo si chiama Edoardo, alla Casa degli angeli “Papa Francesco” tutti sanno chi è.
51 anni, armeno, il custode dell’ex asilo di via Monte San Gabriele a Campobasso, che ospita il dormitorio e la mensa della Caritas, è molto amato. Sempre disponibile, per volere di don Franco D’Onofrio (il responsabile diocesano) è un vero e proprio tuttofare. L’ultima sua creazione è il giardino di fiori e spezie realizzato con grande fantasia nelle aiuole della struttura: scarpe e borse in disuso, cassette di legno recuperate qua e là, tutte colorate, ora ospitano azalee e gerani, basilico e rosmarino.
«Faccio ogni cosa con grande passione, per me è una vocazione – racconta Edoardo -. Ai migranti che passano di qui, soprattutto ai più giovani, dico sempre di non fare sciocchezze e di imparare qualcosa che possa aiutarli nel loro percorso, non di bivaccare. Anche quest’anno ho trascorso il mio Ferragosto alla mensa. Tra lasagne, bignè e tanta musica, insieme agli altri volontari, ho cercato di alleviare la solitudine degli ospiti. Lo scorso anno fu mia moglie a preparare i dolci, ma ora è in Armenia. Qui a Campobasso mi trovo molto bene, voi molisani non siete razzisti. Però ho il cuore pulito, mi sento cittadino del mondo e ho trasmesso questa convinzione ai miei due figli. Il primo parla ben cinque lingue e mantiene i rapporti via Skype con tutti i parenti sparsi nel mondo».
Sì, perché i membri della famiglia di Edo, è questo il diminutivo usato dagli amici che a volte lo chiamano anche san Edoardo, dall’Armenia sono emigrati un po’ ovunque. «Anni fa – continua – ho scelto di venire in Italia, per la precisione a Roma, perché la vostra storia antica mi ha sempre affascinato.

Ho cominciato a parlare italiano attraverso le canzoni di Celentano e Toto Cutugno. Però, restando in tema di cantanti, nel mio cuore c’è sempre Charles Aznavour».
Edoardo è riservato ma lascia trasparire grande emozione quando parla del suo Paese d’origine dove faceva il poliziotto. «Al giorno d’oggi – dice con fermezza –, con tutto quello che sta succedendo, ci vorrebbero più persone solidali come lui (sempre Aznavour, ndr) che, dopo il terremoto del 1988 che fece migliaia di vittime, ha praticamente ricostruito un’intera città. Dalle mie parti la situazione è difficile da sempre, e non è mai stata affrontata in maniera adeguata dalla politica internazionale. L’unica cosa che possiamo fare noi è ricordare. In Armenia, il genocidio viene tramandato di padre in figlio. Il 24 aprile commemoriamo la mattanza di un milione e mezzo di concittadini ad opera dell’Impero ottomano ma noi ricordiamo 365 giorni l’anno. La memoria resta il punto di partenza». (gv)