Il Punto – L’ecumenismo è vivo in Armenia (La Voce 30.06.16)

Sul fronte dell’ecumenismo (il movimento di riunificazione di tutti i credenti in Cristo) da Mosca vengono segnali scoraggianti, almeno in un’ottica di breve periodo. Segnali ottimi invece vengono dall’Armenia. Pochi giorni fa c’è stata la visita di Papa Francesco in quel Paese. Bisogna sapere che laggiù i cattolici – in parte di rito romano, in parte di rito armeno – sono pochissimi; la maggior parte della popolazione appartiene alla Chiesa apostolica armena, affine per certi aspetti a quella ortodossa, ma separata anche da questa, perché gli armeni non accettarono il Concilio di Calcedonia (quinto secolo d.C.), l’ultimo comune a tutta la Chiesa indivisa. Da lì in poi, tra gli armeni, da una parte, e i cattolici e gli ortodossi, dall’altra, nasce una differenza dottrinale che non voglio neanche provare a riferire tanto è lontana dalla mia capacità di comprensione.

In ogni caso, in Armenia il Papa e il Patriarca di quella Chiesa si sono incontrati, puramente e semplicemente, come se appartenessero alla stessa Chiesa; dovunque andava il Papa, il Patriarca era accanto a lui come avrebbe fatto, in una nazione cattolica, il Primate locale. In onore del Papa, domenica scorsa il Patriarca ha celebrato una messa solenne in una grande piazza per il popolo dei suoi fedeli e il Papa assisteva pregando con lui, non come un estraneo, sia pure ospite, ma come uno di loro. È vero che il Papa non ha concelebrato né ha ricevuto l’eucarestia: questo ancora non è possibile perché non c’è ancora piena comunione.

Ma si è capito che basta un nulla per superare questi ultimi ostacoli. Alla fine, il Papa ha chiesto al Patriarca di benedire lui e con lui tutta la Chiesa cattolica, e il Patriarca lo ha fatto, come se il Papa appartenesse alla sua giurisdizione: non come superiore ma neppure come inferiore, solo come un fratello accanto al fratello. Perché stupirsi allora se il Papa ha ricordato ancora la tragedia dello sterminio degli armeni di un secolo fa? I turchi si sono risentiti, ma verrebbe da dire: peggio per loro. Il Governo tedesco mica si sente offeso quando si parla della Shoah: i tedeschi hanno riconosciuto quella colpa storica e hanno chiesto perdono. I turchi, mostrandosi offesi, paradossalmente si autodenunciano come colpevoli. Ma la Storia è contro di loro.

Pier Giorgio Lignani

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Papa Francesco in Armenia: non usare la fede per fare le guerre (Korazym 30.06.16)

Alle ore 20.30 di domenica 26 giugno papa Francesco è rientrato in Italia dal viaggio apostolico in Armenia, recandosi alla Basilica Santa Maria Maggiore per ringraziare la Vergine Maria per il suo Pellegrinaggio, che proprio nell’ultimo giorno ha visto le proteste della Turchia. Nel tempio liberiano il Papa si è raccolto in preghiera presso l’icona della ‘Salus populi romani’ per la 37^ visita. Al popolo armeno il papa ha twittato: “La Chiesa armena cammini in pace e la comunione tra noi sia piena”.

La giornata conclusiva ha visto papa Francesco e il Supremo Patriarca e Catholicos di tutti gli Armeni, Sua Santità Karekin II, firmare una dichiarazione congiunta in cui si dichiara pretestuosa una visione delle fede che fomenta l’odio, ricordando che “in una solenne liturgia nella Basilica di San Pietro a Roma il 12 aprile 2015, nella quale ci siamo impegnati ad opporci ad ogni forma di discriminazione e violenza, e abbiamo commemorato le vittime di quello che la Dichiarazione Comune di Sua Santità Giovanni Paolo II e Sua Santità Karekin II menzionò quale ‘lo sterminio di un milione e mezzo di Cristiani Armeni, che generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo’ (27 settembre 2001)”.

La dichiarazione sostiene che il popolo armeno non ha mai dimenticato la propria fede, nonostante le persecuzioni subite nei secoli, che devono essere conservate come memoria per costruire un mondo di solidarietà, pace e giustizia: “Tuttavia, siamo purtroppo testimoni di un’immensa tragedia che avviene davanti ai nostri occhi: di innumerevoli persone innocenti uccise, deportate o costrette a un doloroso e incerto esilio da continui conflitti a base etnica, politica e religiosa nel Medio Oriente e in altre parti del mondo.

Ne consegue che le minoranze etniche e religiose sono diventate l’obiettivo di persecuzioni e di trattamenti crudeli, al punto che tali sofferenze a motivo dell’appartenenza ad una confessione religiosa sono divenute una realtà quotidiana. I martiri appartengono a tutte le Chiese e la loro sofferenza costituisce un ‘ecumenismo del sangue’ che trascende le divisioni storiche tra cristiani, chiamando tutti noi a promuovere l’unità visibile dei discepoli di Cristo”.

Nella dichiarazione si rafferma che è grave far risaltare le religioni come fomentatrici di odio e si ribadisce che i popoli hanno bisogno di pane e non di armamenti: “Imploriamo i capi delle nazioni di ascoltare la richiesta di milioni di esseri umani, che attendono con ansia pace e giustizia nel mondo, che chiedono il rispetto dei diritti loro attribuiti da Dio, che hanno urgente bisogno di pane, non di armi. Purtroppo assistiamo a una presentazione della religione e dei valori religiosi in un modo fondamentalistico, che viene usato per giustificare la diffusione dell’odio, della discriminazione e della violenza.

La giustificazione di tali crimini sulla base di idee religiose è inaccettabile, perché ‘Dio non è un Dio di disordine, ma di pace’ (1 Cor 14,33). Inoltre, il rispetto per le differenze religiose è la condizione necessaria per la pacifica convivenza di diverse comunità etniche e religiose. Proprio perché siamo cristiani, siamo chiamati a cercare e sviluppare vie di riconciliazione e di pace. A questo proposito esprimiamo anche la nostra speranza per una soluzione pacifica delle questioni riguardanti il Nagorno-Karabakh”.

I due ‘capi’ delle Chiese sorelle confermano i progressi avvenuti in questi decenni, auspicando di sviluppare più intensamente le relazioni con una più decisiva collaborazione non solo nella preghiera, ma anche nella teologia: “Esortiamo i nostri fedeli a lavorare in armonia per promuovere nella società i valori cristiani, che contribuiscono efficacemente alla costruzione di una civiltà di giustizia, di pace e di solidarietà umana. La via della riconciliazione e della fraternità è aperta davanti a noi. Lo Spirito Santo, che ci guida alla verità tutta intera, sostenga ogni genuino sforzo per costruire ponti di amore e di comunione tra noi”.

Ancora una volta la Chiesa ha auspicato la riconciliazione tra le nazioni e la collaborazioni tra le religioni, cosa che in sottofondo è apparsa non gradita alla Turchia, che attraverso il vice premier, Nurettin Canlikli, ha criticato l’uso del termine ‘genocidio’ per tutto il Caucaso e il Medio Oriente: “Possiamo ravvisare tutti i segni e i riflessi della mentalità dei crociati nelle azioni del Papa… Non è una dichiarazione obiettiva che corrisponda alla realtà”.

Ma la storia non vuole i colpevoli, in quanto cerca di ristabilire della verità, come ha affermato il presidente armeno, Serzh Sargsyan, nel saluto iniziale al papa: “Noi non cerchiamo colpevoli… Vogliamo semplicemente che le cose siano chiamate con il loro nome, il che consentirà due popoli confinanti di muoversi verso una vera riconciliazione e un comune futuro prospero, riconoscendo il passato e abbracciando il perdono e una coscienza pulita”.

In più nel colloquio con i giornalisti durante il viaggio di ritorno, papa Francesco ha precisato: “In Argentina quando si parlava di sterminio armeno sempre si usava la parola genocidio e nella cattedrale di Buenos Aires, nel terzo altare a sinistra, abbiamo messo una croce di pietra ricordando il genocidio armeno. Io non conoscevo un’altra parola. Quando arrivo a Roma sento l’altra parola ‘Grande Male’ e mi dicono che genocidio è offensiva.

Io sempre ho parlato dei tre genocidi del secolo scorso: quello armeno, quello di Hitler e quello di Stalin. Ce n’è stato un altro in Africa ma nell’orbita delle due grandi guerre ci sono quei tre. Alcuni dicono che non è vero, che non è stato un genocidio. Un legale mi ha detto che è una parola tecnica, che non è sinonimo di sterminio. Dichiarare un genocidio comporta azioni di riparazione. L’anno scorso, quando preparavo il discorso per la celebrazione in San Pietro, ho visto che san Giovanni Paolo II ha usato la parola, e io ho citato tra virgolette ciò che aveva detto.

Non è stato ricevuto bene, è stata fatta una dichiarazione del governo turco che ha richiamato in pochi giorni l’ambasciatore ad Ankara, ed è un bravo ambasciatore! E’ tornato alcuni mesi fa. Tutti hanno diritto alla protesta. Non c’era la parola nel discorso. Ma dopo aver sentito il tono del discorso del presidente armeno, e per il mio uso della parola, sarebbe suonato molto strano non dire lo stesso che avevo detto l’anno scorso.

Ma venerdì scorso ho voluto sottolineare un’altra cosa: in questo genocidio, come negli altri due successivi, le grandi potenze internazionali guardavano da un’altra parte. Durante la Seconda Guerra mondiale, alcune potenze avevano la possibilità di bombardare le ferrovie che portavano ad Auschwitz, e non l’hanno fatto”.

In ciò papa Francesco ha compiuto gli stessi gesti di san Giovanni Paolo II durante il viaggio apostolico del 2001, che nella dichiarazione congiunta con Sua Santità Karekin II aveva affermato: “Il martirio per amore di Cristo divenne così una grande eredità per molte generazioni di Armeni. Il tesoro più prezioso che una generazione poteva trasmettere alla successiva era quello della fedeltà al Vangelo cosicché, con la grazia dello Spirito Santo, i giovani divenissero risoluti quanto i loro antenati nel rendere testimonianza alla verità.

Lo sterminio di 1.500.000 di Cristiani Armeni, che generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo, e il successivo annientamento di migliaia di persone sotto il regime totalitario, sono tragedie ancora vive nel ricordo della generazione attuale. Gli innocenti che furono massacrati senza motivo non sono canonizzati, ma molti di loro sono stati certamente confessori e martiri per il nome di Cristo…

A motivo della sua fede e della sua Chiesa, il popolo Armeno ha sviluppato un’unica cultura cristiana, che di fatto è un preziosissimo apporto al tesoro del cristianesimo nel suo insieme… Questa testimonianza sarà ancor più convincente se tutti i discepoli di Cristo potranno professare insieme l’unica fede e sanare le ferite della divisione fra loro. Che lo Spirito Santo guidi i Cristiani, ed anzi tutte le persone di buona volontà, sulla via della riconciliazione e della fraternità.

Qui, nella Santa Etchmiadzin, noi rinnoviamo il nostro impegno solenne a pregare e a operare per affrettare il giorno della comunione fra tutti i membri del gregge dei fedeli di Cristo, con riguardo autentico per le nostre rispettive tradizioni sacre”. Sempre la Chiesa ha ribadito il massacro degli armeni alle cancellerie europee, come ha dimostrato l’impegno di papa Benedetto XVI, che aveva scritto al Sultano la sua preoccupazione:

“Maestà, tra le afflizioni che ci procura la grande guerra nella quale si trova coinvolto il potente impero di Vostra Maestà assieme alle grandi nazioni d’Europa, ci spezza il cuore l’eco dei dolorosi lamenti di un intero popolo, che nel territorio governato dagli ottomani è sottoposto a indescrivibili dolori. La nazione armena ha già visto molti dei suoi figli giustiziati, mentre molti altri sono stati arrestati o mandati in esilio.

Tra di loro ci sono anche numerosi religiosi e perfino alcuni vescovi… Noi crediamo, Maestà, che eccessi di questo genere si siano verificati contro la volontà del governo di Vostra Maestà. Per questa ragione ci rivolgiamo, colmi di fiducia nella Vostra Maestà, invitandovi fervidamente, nella Vostra sublime Magnanimità, a dimostrare compassione e a intervenire a favore di un popolo che proprio grazie alla religione nella quale si riconosce, viene invitato a servire fedelmente e devotamente la persona della Vostra Maestà.

Dovessero risultare tra gli armeni dei traditori della patria o persone responsabili di altri crimini, costoro dovranno essere giudicati e puniti in conformità al diritto vigente. Possa quindi la Vostra Maestà in virtù del suo grande senso di giustizia non lasciare che degli innocenti ricevano la stessa pena di chi è colpevole e possa la Vostra sovrana clemenza raggiungere anche coloro che hanno commesso delle mancanze”. Ma la supplica di papa Benedetto XV non trovò riscontro positivo né dal Sultano né dalle diplomazie europee, come ha detto papa Francesco.

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Aznavour, Papa meraviglioso sull’Armenia (Ansa 30.06.16)

MILANO, 30 GIU – “Non voglio disturbare la gente con i miei problemi, se ne parla già molto, il Papa ne ha parlato due volte in modo meraviglioso e lo stesso ha fatto la Merkel”: così Charles Aznavour, oggi a Milano, ha parlato del suo sostegno alla causa armena. Il 92enne artista e diplomatico è di origine armena ed è stato anche ambasciatore presso le Nazioni Unite per il suo popolo.
“La Francia ha riconosciuto il genocidio e lo stesso stanno per fare altri Paesi – ha detto Aznavour, oggi a Milano per presentare il concerto del 14 settembre all’Arena di Verona – non c’è bisogno di me per questo. Non sono un nemico dei turchi, sono solo un uomo che reclama la verità e ho – ha concluso l’artista, che nel 1998 ha fondato l’associazione Aznavour per l’Armenia – tanti amici turchi”.

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Armenia, Georgia e Azerbaigian. Papa: pace è venirsi incontro a piccoli passi (Radio Vaticana 30.06.16)

Nel corso dell’udienza giubilare il Papa ha parlato anche della sua recente visita in Armenia e dei suoi prossimi viaggi apostolici in Polonia, per la Giornata mondiale della gioventù, e in Georgia e Azerbaigian. Il servizio di Sergio Centofanti:

“Pellegrino di fraternità e di pace”, Papa Francesco ricorda la sua intensa visita in Armenia (24-26 giugno), “prima nazione ad avere abbracciato il cristianesimo, all’inizio del quarto secolo. Un popolo – ha detto – che, nel corso della sua lunga storia, ha testimoniato la fede cristiana col martirio”.

Dal 30 settembre al 2 ottobre completerà il suo viaggio nella regione caucasica recandosi anche in Georgia e Azerbaigian, dove i cattolici sono una piccola minoranza tra ortodossi e musulmani, accogliendo l’invito a visitare questi Paesi “per un duplice motivo: da una parte valorizzare le antiche radici cristiane presenti in quelle terre – sempre in spirito di dialogo con le altre religioni e culture – e dall’altra incoraggiare speranze e sentieri di pace”:

“La storia ci insegna che il cammino della pace richiede una grande tenacia e dei continui passi, cominciando da quelli piccoli e man mano facendoli crescere, andando l’uno incontro all’altro. Proprio per questo il mio auspicio è che tutti e ciascuno diano il proprio contributo per la pace e la riconciliazione”.

Come cristiani – ha sottolineato – “siamo chiamati a rafforzare tra noi la comunione fraterna, per rendere testimonianza al Vangelo di Cristo e per essere lievito di una società più giusta e solidale”:

“Per questo tutta la visita è stata condivisa con il Supremo Patriarca della Chiesa Apostolica Armena, il quale mi ha fraternamente ospitato per tre giorni nella sua casa”.

Salutando, infine, i pellegrini polacchi, il Papa ha ricordato il suo viaggio in Polonia, dal 27 al 31 luglio, in occasione della Giornata mondiale della gioventù:

“Vi prego di continuare a pregare per me e per i giovani che in Polonia e in tutto il mondo cristiano si stanno preparando per il nostro, ormai imminente, incontro a Cracovia”.

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In Arzebaigian per incoraggiare speranze e sentieri di pace (Farodiroma 30.06.16)

Fra tre mesi compirò, a Dio piacendo, un altro viaggio in Georgia e Azerbaigian, altri due Paesi della regione caucasica” per “incoraggiare speranze e sentieri di pace”. Lo ha annunciato Papa Francesco questa mattina all’ultima Udienza giubilare tenuta in piazza San Pietro prima della pausa estiva. “La storia – ha spiegato Bergoglio dopo aver ricordato che la sua missione di pace è iniziata la settimana scorsa in Armenia, prima Nazione ad aver abbracciato il cristianesimo nel 300 – ci insegna che il cammino della pace richiede una grande tenacia e dei continui passi, cominciando da quelli piccoli e man mano facendoli crescere, andando l’uno incontro all’altro”. “Proprio per questo – ha scandito – il mio auspicio è che tutti e ciascuno diano il proprio contributo per la riconciliazione”, perché come cristiani tutti sono chiamati a rafforzare la comunione fraterna per una società più giusta e solidale. Lo stesso appello Francesco lo ha lanciato sempre in Armenia rivolgendosi al popolo armeno e agli altri paesi della regione caucasica interessati da molti anni da un conflitto drammatico e distruttivo per tutti.

Il conflitto del Nagorno Karabakh nasce con la decisione sovietica del 1923 di assegnare la piccola enclave cristiana alla Repubblica musulmana dell’Azeirbagian. Con la fine dell’Urss, la regione ha deciso di rendersi autonoma federandosi con l’Armenia e questo ha dato avvio a un conflitto armato che a fasi alterne continua ancora.

Domenica scorsa, di ritorno dall’Armenia, nella conferenza stampa tenuta sull’aereo, il Papa ha affermato che la Chiesa “deve chiedere scusa di aver benedetto tante armi”. E nel discorso all’incontro ecumenico in piazza della Repubblica a Yerevan, capitale di un paese di fatto in guerra con il vicino Azerbaigian per il possesso del Nagorno Karabakh, Francesco ha ripetuto la sua condanna del traffico degli armamenti parlando “di conflitti sempre fomentati dalla piaga della proliferazione e del commercio di armi, dalla tentazione di ricorrere alla forza e dalla mancanza di rispetto per la persona umana, specialmente per i deboli, per i poveri e per coloro che chiedono solo una vita dignitosa”. Conversando con i giornalisti il Papa ha poi ripetuto il suo augurio di pace agli armeni: “Io auguro – ha detto – a questo popolo la giustizia e la pace. E prego per questo, perché è un popolo coraggioso. E prego perché trovi la giustizia e la pace. Io so che tanti lavorano per questo. E io sono stato anche molto contento, la settimana scorsa, quando ho visto una fotografia del Presidente Putin con i due Presidenti armeno e azero: almeno si parlano. E anche con la Turchia: il Presidente della Repubblica Armena nel suo discorso di benvenuto ha parlato chiaro; ha avuto il coraggio di dire: ‘Mettiamoci d’accordo, perdoniamoci e guardiamo al futuro’. Questo – ha concluso il Papa – è un coraggio grande! Un popolo che ha sofferto tanto!”.

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Difesa: Armenia, parlamento ratifica accordo per sistema antiaerei congiunta con Russia (Agenzianova 30.06.16)

Erevan, 30 giu 12:03 – (Agenzia Nova) – L’Assemblea nazionale armena ha ratificato oggi un accordo per la creazione di un sistema unificato di difesa aerea nella regione del Caucaso insieme alla Russia. Su un totale di 131 deputati, 102 hanno votato a favore, mentre solo 8 hanno espresso un parere negativo. “In tempo di pace, le due parti saranno in grado di assumere decisioni autonome su come usare le proprie truppe. Sarà necessaria una comunicazione fra Mosca e Erevan in merito alle rispettive decisioni e azioni intraprese nella regione”, ha spiegato il vice ministro della Difesa armeno Ara Nazaryan, introducendo i termini dell’accordo al parlamento. “L’Armenia avrà il diritto di usare i propri sistemi di difesa aerea per tutte le condizioni che ritiene necessarie”, ha aggiunto Nazaryan. (Res

Il Papa in Armenia al Giardino dei Giusti (Gariwo 29.06.16)

Durante i tre giorni della visita di Papa Francesco in Armenia, sono stati numerosi i gesti che hanno colpito la mente e il cuore degli armeni, in patria e in diaspora. Uno tra i tanti, dopo la presenza silenziosa e raccolta davanti alla fiamma perenne del memoriale del genocidio, segnata da poche brevi preghiere con il Katolikos di tutti gli armeni, Karekin II, il suo cammino verso il Giardino dei Giusti che si trova all’ingresso del viale che conduce al memoriale, e il gesto semplice e forte di piantare un albero e di versare un po’ d‘acqua per farlo vivere e far vivere insieme la speranza della pace. Un messaggio agli armeni, ai turchi, ma anche a tutto il mondo.

Papa Francesco ha toccato l’animo di un popolo che lo attendeva con tutta la gioia e l’accoglienza di cui è capace. Cerimonie, incontri, scambi di Doni, liturgie solenni e una preghiera ecumenica che ha radunato nella grande piazza della “libertà”, piazza della Repubblica di Yerevan, migliaia di persone. Applausi spontanei di una popolazione colma di gratitudine per papa Francesco che ancora una volta, dopo il 12 aprile del 2015, ha ricordato lo sterminio di un milione e mezzo di innocenti e ha pronunciato la parola tanto attesa, “genocidio”. Nello stesso tempo il Pontefice ha scritto indelebili parole di pace sul Libro d’Onore del Memoriale: Qui prego col dolore nel cuore, perché mai più vi siano tragedie come questa, perché l’umanità non dimentichi e sappia vincere con il bene il male. La memoria non va annacquata né dimenticata; la memoria è fonte di pace e di futuro. Un esempio di come si può stare dalla parte della verità, della libertà, della giustizia. Il riconoscimento di come deve essere chiamato il crimine contro l’umanità con cui si è aperto il Novecento, accompagnato dal richiamo alla memoria del Bene capace di prevenire altre tragedie, di demolire il muro del negazionismo, di aprire la strada al dialogo e alla riconciliazione tra i popoli. Le menti e i cuori di tre milioni di armeni in patria e di otto milioni in diaspora, figli, nipoti, pronipoti dei sopravvissuti, sono stati profondamente toccati.

Identità cristiana, quella del popolo armeno, assunta non come un abito, ma come fonte di verità e illuminazione capace di creare l’unità del popolo e di alimentare la sua cultura. Papa Francesco ha manifestato per tutta la durata della sua visita, gesti di fratellanza sincera e il popolo ha sentito fortemente la sua vicinanza.

Mi ha colpito l’insistenza di papa Francesco sulla necessità non solo di camminare insieme, ma di “correre” insieme. Sono tempi in cui si impone alle Chiese universali, ai politici, a tutti noi, di unire le forze, di guardare a questa contemporaneità su cui si sono addensate le nubi oscure del terrorismo, delle guerre, dei nazionalismi, dei muri, dei fili spinati che fermano il nuovo nemico, l’immigrato, e di reagire.
Come? Papa Francesco ha indicato la strada e l’ha indicata soprattutto alle nuove generazioni: Cari giovani, questo futuro vi appartiene, ma facendo tesoro della grande saggezza dei vostri anziani, ambite a diventare costruttori di pace, non notai dello status quo, ma promotori attivi della cultura dell’incontro e della riconciliazione.

Nel 1995 mi ero recato insieme a Mischa Wegner a Yerevan per deporre, nel Muro della memoria dei Giusti di Dzizernagapert, le ceneri di Armin Theophil Wegner, il padre di Mischa, un “Giusto” per gli armeni e per gli ebrei. Dopo una commovente cerimonia, al suono del “duduk”, ci siamo diretti verso il giardino dove si onoravano i capi di Stato e le personalità di tutto il mondo che avevano voluto condividere la memoria della tragedia del popolo armeno, uno spazio che è diventato anche il Giardino dei Giusti, di fronte al monte Ararat, il sacro simbolo degli armeni di tutto il mondo. A partire da questo primo riconoscimento dell’opera di un testimone di verità, ho fondato il Comitato dei Giusti per gli Armeni “La Memoria è il Futuro”, al quale è seguito nel 2001, grazie all’incontro con Gabriele Nissim, il Comitato Gariwo, la foresta dei giusti. Proprio con Nissim, presidente di Gariwo, al Memoriale di Yerevan, abbiamo piantato un albero in memoria dei Giusti. Ogni anno ho portato la terra tombale di altri Giusti di tutto il mondo che hanno salvato gli armeni o testimoniato la verità del genocidio e l’ho tumulata nel Muro della memoria a loro dedicato. Nel 2012, un giardino dei Giusti è sorto anche nella città di Gyumri, visitata da papa Francesco, che porta ancora i segni delle distruzioni provocate dal terribile terremoto del !988. Con l’aiuto del console italiano a Gyumri, Antonio Montalto, alla presenza di alcuni intellettuali turchi, un cippo è stato dedicato a Hrant Dink, il giornalista assassinato a Istanbul nel 2007, impegnato a far crescere il dialogo tra turchi e armeni.

Gli alberi al Memoriale di Yerevan oggi sono numerosi, il “Giardino” è diventato un bosco; e al Monte Stella di Milano e in tanti altri luoghi in Italia e in Europa, grazie all’impulso di Gariwo, si moltiplicano i Giardini dedicati alla memoria del Bene.

Il gesto del Papa che solleva la terra e si prende cura del nuovo albero è un grande messaggio: avere cura della memoria del Bene, “fonte di pace”, aprire lo sguardo sul mondo di oggi e cercare di sanare le ferite, servendoci attivamente dell’esempio dei Giusti che in tutti i genocidi e totalitarismi del Novecento, ma anche oggi, nelle tragedie del Medio Oriente e in tante altre parti del mondo, cercano di fermare il male.

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L’Azerbaijan nel braccio di ferro Russia-Turchia? (L’Indro 29.06.16)

Papa Francesco aveva appena lasciato l’Armenia quando la tensione con l’Azerbaijan è tornata a salire. La ragione dello scontro è sempre il Nagorno-Karabakh, ma questo riaccedersi di provocazioni e tensioni potrebbe essere riconducibile anche allo scontro diplomatico tra Russia e Turchia e all’insofferenza della Turchia verso il Pontefice, il quale, lasciando l’Armenia ha confermato che in autunno sarà in Azerbaijan. Tutto ciò in un momento in cui la Turchia, che da sempre considera Azerbaijan giardino di casa, si sente minacciata dalla Russia, con la quale ha perso la guerra diplomatica iniziata lo scorso autunno.

Secondo quanto riferito dall’agenzia ‘Nova’ le Forze armate armene hanno violato 17 volte il regime di cessate il fuoco nelle ultime 24 ore: lo ha riferito ieri il Ministero della Difesa dell’Azerbaigian in una nota, secondo cui l’Esercito avrebbe subito attacchi da postazioni situate nei pressi di alcune località popolate nella regione contesa del Nagorno-Karabakh e nelle zone adiacenti controllate dalla parte armena. La situazione lungo la linea di impegno nella zona di conflitto del Nagorno-Karabakh è peggiorata drammaticamente durante la notte al 2 aprile, quando sono iniziati dei duri scontri. Le parti in conflitto hanno lanciato delle reciproche accuse di violazione della tregua. In particolare il Ministero della Difesa azero aveva denunciato dei bombardamenti attuati dalle Forze armate dell’Armenia, mentre il Ministero della Difesa di Erevan aveva riferito di ‘azioni offensive’ dal lato azero. L’aggravarsi della situazione ha subito una battuta d’arresto con il cessate il fuoco del 5 aprile. Tuttavia, periodicamente emergono reciproche accuse di attacchi. Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian per l’area contesa è iniziato nel febbraio 1988, con il crollo dell’Unione Sovietica, Armenia e Azerbaijan hanno combattuto una guerra per la regione del Nagorno-Karabakh, conclusasi nel 1994. Da allora, la regione, che è ufficialmente parte dell’Azerbaijan, è stata sotto il controllo delle forze locali di etnia armena e dei militari armeni.  Le forze armene si sono impadronite anche di porzioni significative del territorio dell’Azerbaijan al di fuori della regione del Nagorno-Karabakh. Gli sforzi internazionali per la negoziazione di una composizione non hanno avuto successo, e la regione ha continuato a essere teatro di scontri sporadici -l’improvvisa esplosione di violenza dello scorso aprile è stata la peggiore dalla guerra del 1994, con almeno 75 soldati uccisi da entrambe le parti. L’Azerbaijan ha fatto affidamento sul sostegno della Turchia, la quale ha continuato a imporre un paralizzante blocco sull’Armenia fin dall’inizio del conflitto per il Nagorno-Karabakh, inasprendo le difficoltà economiche della Nazione. Dal 1992 proseguono i negoziati per la soluzione pacifica del conflitto all’interno del Gruppo di Minsk, formato che opera sotto l’egida dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce). L’Azerbaigian insiste sul mantenimento della sua integrità territoriale, mentre l’Armenia protegge gli interessi della Repubblica separatista, dal momento che la Repubblica del Nagorno-Karabakh, in quanto non riconosciuta come entità statale, non fa parte dei negoziati. Lo scorso 20 giugno la Russia ha tentato di assumere un ruolo di mediazione diretta nel conflitto fra Armenia e Azerbaigian relativo alla regione contesa del Nagorno-Karabakh: il Presidente Vladimir Putin ha accolto, infatti, a San Pietroburgo gli omologhi armeno e azero, Serzh Sargsjan e Ilham Alyev. In questa occasione, i tre capi di Stato hanno concordato sulla necessità di dare nuovo impeto al processo di pace nel Nagorno-Karabakh. I Presidenti dei tre paesi hanno concordato su una dichiarazione trilaterale che esprime l’impegno nel cercare progressi concreti per la pacificazione politica. L’iniziativa russa esula dal formato regolare dei negoziati, gestiti dal Gruppo di Minsk (composto da Stati Uniti, Russia e Francia), che si era riunito l’ultima volta lo scorso 16 maggio.

Papa Francesco ha scelto l’Armenia, la prima Nazione ad adottare il Cristianesimo come religione ufficiale di Stato nel 301, come meta del suo primo viaggio nell’ex Unione Sovietica.
Sebbene i cattolici siano una ristretta minoranza in Armenia, dal momento che la maggior parte dei suoi 3 milioni di abitanti segue il rito orientale ortodosso, il Vaticano ha definito questa piccola Nazione nel Caucaso meridionale il baluardo della cristianità nella regione.

Già prima della sua visita, Francesco è diventato un eroe per gli armeni quando ha denunciato come genocidio il massacro di 1,5 milioni di armeni ad opera dei turchi ottomani nel 1915.
Anche Papa Giovanni Paolo, durante un viaggio in Armenia 15 anni fa, utilizzò la parola ‘genocidio’ per descrivere tale strage.
La Turchia nega che l’uccisione degli armeni durante la prima guerra mondiale sia stata un genocidio: sostiene, infatti, che sia stata parte di ostilità più ampie e ne contesta il bilancio dei morti. Furiosa è stata la reazione della Turchia al voto del Parlamento tedesco, il quale, all’inizio del mese, si è espresso a favore del riconoscimento del massacro degli armeni come genocidio.
Durante una messa nell’aprile del 2015, Francesco aveva ricordato il centenario del massacro degli armeni per mano dei turchi ottomani descrivendolo come ‘il primo genocidio del XX secolo’, e già allora la Turchia l’aveva presa malissimo. Francesco aveva anche fatto appello alla comunità internazionale affinché lo descriva apertamente come tale. La Turchia aveva risposto richiamando il suo Ambasciatore dal Vaticano. Non vi erano dubbi, quindi, che sarebbe stata infastidita dal discorso di Francesco a Yerevan.
Prima di venerdì scorso, giorno dell’arrivo del Papa in Armenia, il Vaticano aveva mantenuto il riserbo sulla possibilità che Francesco ripetesse la parolagenocidio‘ durante la sua visita di tre giorni. Nel suo discorso presso il Palazzo presidenziale armeno poco dopo il suo arrivo, Francesco ha affermato che il genocidio degli armeni è stata la prima di una serie di catastrofi nel XX secolo. I leader politici e religiosi armeni che hanno presenziato alla cerimonia hanno accolto le sue parole con una standing ovation. Il Presidente armeno Serzh Sargsyan ha poi acclamato Francesco per aver portato al mondo ‘il messaggio della giustizia’.
La reazione della Turchia non si è fatta attendere ed è stata durissima: in un comunicato diffuso dal Ministero degli Esteri turco, si afferma «Il fatto che Papa Francesco sia andato al ‘monumento del genocidio’ durante la sua visita in Armenia tra il 24 e il 26 giugno facendo dichiarazioni infelici sui fatti del 1915, facendo riferimenti inaccettabili ai fatti del 1915 in una dichiarazione congiunta con il Chatolicos degli armeni e dicendo menzogne ​​e calunnie mentre tornava, ha dimostrato che Papa Francesco si attiene in modo incondizionato alla narrazione armena. Ciò non è conforme ai fatti storici o alla legge sui fatti del 1915».

In quella che era stata concepita come una missione per la costruzione della pace, inizialmente Papa Francesco aveva pianificato di visitare anche il vicino musulmano dell’Armenia, l’Azerbaijan, in occasione dello stesso viaggio. Le tensioni delle ultime settimane hanno consigliato il Vaticano di modificare il programma della visita. Si è deciso che Francesco avrebbe visitato solo l’Armenia per poi tornare nella regione due mesi dopo, dal 30 settembre al 2 ottobre, a visitare Azerbaijan e Georgia

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Announcement: Genocidio armeno (Italianotizie 29.06.16)

Il viaggio apostolico del Papa in Armenia ha riproposto ancora una volta il problema del negazionismo turco riguardo il genocidio armeno. Questo terribile fatto avvenne nel corso Prima Guerra Mondiale quando la Turchia era in guerra con la Russia zarista. Avvenne che nell’Armenia dell’impero turco serpeggiava una forte spinta ad appoggiare la Russia cristiana nella quale vivevano la maggior parte degli Armeni (l’odierna repubblica armena). I turchi si sentirono traditi dagli armeni che erano considerati i più leali dei sudditi del sultano: esclusero prima dall’esercito le reclute di origine armena e temendo una rivolta generale alle spalle dell’esercito turco che combatteva ai confini del Caucaso decisero di deportare l’intera popolazione armena (circa un milione di persone) in altri territori dell’impero, in Siria. In mancanza di mezzi adeguati il trasferimento si risolse nella strage della maggior parte dei deportati per fame, sfinimento, eccidi diretti a cui presero parte anche i Curdi, tradizionali nemici degli Armeni.

Il genocidio però non si può addebitare all’estremismo islamico (come qualcuno crede erroneamente) ma al modello di stato-nazione importato in quegli anni dall’Europa. Da migliaia di anni in Anatolia vi erano Armeni e Greci: il nazionalismo orientato in senso moderno e occidentale è riuscito a cancellare la loro presenza nello spazio di qualche anno mentre il fanatismo religioso lo aveva conservato attraverso i secoli.

I fatti storici sono incontrovertibili, anche perché nei territori abitati da millenni in Anatolia dagli armeni ora ci sono solo Turchi e nessun armeno.

I Turchi stessi riconobbero subito dopo la guerra la strage degli Armeni tanto che per questo furono condannati i massimi dirigenti politici che però ripararono all’estero dove furono raggiunti da emissari armeni che li assassinarono (o giustiziarono, se preferite).
In seguito, con Kemal Ataturk, si respinse l’accusa e si arrivò a considerare un reato solo sostenerlo.
Il problema del negazionismo armeno e del tutto analogo a quello della Shoah.

Non è tanto il fatto in sé che è negato ma la sua interpretazione e classificazione.
Se diciamo che i Turchi hanno sterminato un milione di essere umani per il solo fatto che appartenevano a una certa etnia (genocidio) ci troviamo di fronte a un crimine orrendo, un fatto del tutto eccezionale nella storia. Se invece diciamo che nel conflitto morirono insieme a molti milioni di Turchi, Russi, Francesi, ecc., anche un milione di Armeni allora siamo tutti colpevoli, è un fatto dovuto alla terribile logica della guerra.

Analogamente per la shoah: i negazionisti dicono che nei lager moriva tanta gente di tutte le etnie (ad esempio l’80% dei tedeschi arresisi a Stalingrado), allora la morte degli ebrei non è una fatto eccezionale, non esiste una shoah distinta da tutti gli altri fatti.

Un elemento essenziale sarebbe anche la volontà, la consapevolezza di operare un genocidio: i Turchi volevano deportare gli Armeni per ragioni belliche, non volevano sterminarli.

Un altro elemento importante è che si riducono le proporzioni degli eccidi: non tutti gli armeni ma solo una certa parte perse la vita mentre gli altri si sarebbero salvati fuggendo un po’ dovunque.

Il riconoscimento del genocidio armeno è stato posto come una delle condizioni dell’ingresso della Turchia nella Ue, ingresso che appare poi del tutto problematico per cui pare che sia più che altro una pretesto ben sapendo che difficilmente per ragioni politiche un governo turco potrebbe mai riconoscerlo ufficialmente.

In questa cornice il parlamento tedesco qualche mese fa ha votato una risoluzione che riconosce ufficialmente il genocidio armeno. Si può pensare che il retro pensiero fosse quello di allontanare l’ingresso della Turchia nella UE, ma sarebbe meglio chiarire che l’ostacolo politico è che la Turchia ora non ha standard democratici accettabili ed esercita una dura repressione della minoranza curda per fatti avvenuti 100 anni fa.

Penso poi tutto il male possibile del fatto che organi politici si pronuncino su verità storiche, come su qualsiasi altro tipo di verità.
Fondamento della democrazia è che lo stato non possiede la verità né in campo religioso né in nessun altro. Solo i regimi totalitari hanno questa pretesa.
È fondamento di tutte le libertà democratiche che ciascuno possa credere in quello che vuole, anche che il genocidio armeno non sia mai avvenuto.

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Papa Francesco, la Turchia e il genocidio armeno (Formiche.net 29.06.16)

‘approfondimento di Antonino D’Anna

La questione non riguarda solo la definizione di genocidio perpetrato dagli Ottomani contro gli Armeni nel corso della Grande Guerra; riguarda anche assetti e proprietà che dopo il Genocidio il governo turco ha confiscato agli armeni in Turchia e che ancora oggi è oggetto di discussione. Francesco va in Armenia a dare un messaggio al mondo rappresentato da Recep Tayyip Erdogan con un viaggio che però rischia di essere controproducente, secondo alcuni osservatori. Questo perché appoggiare le richieste armene tout court significa tarpare le ali al negoziato turco per l’ingresso in Europa e soprattutto esporre la comunità cristiana turca a nuove persecuzioni.

Ricordate? Era il 2006 e don Andrea Santoro, un sacerdote fidei donum (diremmo “Missionario volontario”) in Turchia, venne assassinato nella sua chiesa da un giovane per il quale l’omicidio voleva essere una vendetta per le vignette satiriche su Maometto pubblicate in Danimarca qualche mese prima. E malgrado l’omicidio, di don Santoro, ecco che cosa racconta Wikileaks: nel dicembre 2006 il cablo 06VATICAN256_a annuncia che “anche se non appoggia ufficialmente l’entrata della Turchia nell’Unione europea, la Santa Sede continua a supportare il dialogo e il processo di riforma collegato a questo tema”. Quindi: “Le autorità, incluso il Papa (allora Benedetto XVI, ndr), hanno parlato positivamente in pubblico e privato dell’integrazione europea. Anche se sono critici sulla situazione della libertà religiosa in Turchia, le gerarchie vaticane riconoscono che l’entrata nell’Ue della Turchia offrirà al paese l’opportunità di superare questi problemi”. Appena 24 ore prima Joseph Ratzinger si esprime dicendo di sperare che Ankara: “Sarà un ponte di amicizia e cooperazione fraterna tra Est ed Ovest”.

Insomma, le premesse c’erano tutte. Poi però, con l’arrivo nel 2013 di Papa Francesco le cose sono cambiate. Il 12 aprile 2015 ha definito quello del 1915 un genocidio nel corso della Messa per i fedeli di rito armeno. Lo fa citando Giovanni Paolo II e il catolicos (il capo dei fedeli di rito armeno) Karekin II, i quali nel tardo settembre 2001 parlano anch’essi di genocidio. Ma stavolta la reazione turca si fa puntuta: Erdogan dichiara di “condannare” il Papa e lo invita “a non ripetere più quest’errore”. Eppure l’anno prima Erdogan, pur senza nominare la parola “genocidio”, aveva inviato le sue condoglianze ai parenti delle vittime armene in occasione del 99° anniversario della strage.

Ma dicevamo delle proprietà. Finita la Grande Guerra (nella quale vennero sequestrate chiese e conventi), il governo turco nel 1936 ha ordinato alle Onlus (allora non si usava questo termine) di inviare una lista di tutte le loro proprietà regolarmente accatastate. Poi nel 1974 la giunta militare, durante la crisi di Cipro, ritenne che le proprietà acquisite dalle minoranze dopo il 1936 fossero state ottenute illegalmente e quindi dovessero essere sequestrate da Ankara. Fu così che 1.410 immobili finirono proprietà statale; solo nel 2011 il governo ha deciso di restituire 162 di questi vani.

Poca cosa. E il 21 marzo di quest’anno il governo turco ha approvato una legislazione per l’espropriazione urgente del distretto del Sur nella provincia di Diyarbakir nell’est del Paese. Proprietà che 110 anni fa erano di armeni pacificamente viventi in Turchia e che oggi raccolgono siti Unesco (chiese). In particolare la chiesa apostolica armena di San Giragos, divenuta oggi luogo di ritrovo per armeni e cristiani che disapprovano le poliche di Erdogan.

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La tragedia armena, il Papa, la Turchia e la parola genocidio (Unimondo 29.06.16)