Presentazione del libro “Il lungo inverno di Spitak” a palazzo Moroni il 15 aprile 2016 (Padovaoggi 14.04.16)

Presentazione del libro “Il lungo inverno di Spitak” a palazzo Moroni il 15 aprile 2016 Eventi a Padova

In occasione del 101esimo anniversario del genocidio degli armeni, l’associazione Italiarmenia il comune di Padova promuovono una serie di iniziative a partire dalla cerimonia commemorativa del 22 aprile.

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Nel quadro storico del primo conflitto mondiale (1914-1918) si compie, nell’area dell’ex Impero Ottomano in Turchia, il genocidio del popolo armeno (1915-1923), il primo del XX secolo. Con esso il governo dei Giovani Turchi, che ha preso il potere nel 1908, attua l’eliminazione dell’etnia armena presente nell’area anatolica fin dal VII secolo a.C.
Gli storici stimano che persero la vita circa i due terzi degli armeni dell’Impero Ottomano, quindi circa un milione cinquecentomila persone. “Medz Yegern” (il Grande Male) è l’espressione con la quale gli Armeni nel mondo designano il massacro subito in Anatolia dal loro popolo.

TUTTI GLI EVENTI DELLA RASSEGNA

Venerdì 15 aprile verrà presentato il libro “Il lungo inverno di Spitak” di Mario Massimo Simonelli a palazzo Moroni.

IL PROGRAMMA

  • Venerdì 22 aprile, ore 11: cerimonia commemorativa a palazzo Moroni
    Deposizione di una corona di alloro, presso il bassorilievo in bronzo, a ricordo dei martiri del genocidio armeno;
    intervento del sindaco di Padova Massimo Bitonci e di Aram Giacomelli, presidente dell’associazione Italiarmenia;
    esecuzione musicale del maestro Aram Ipekdjian al duduk, strumento musicale della tradizione armena.

Iniziative collegate

 

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Nagorno Karabakh, soldato azero ucciso sulla linea del fronte (Askanews.it 14.04.16)

Roma, 14 apr. (askanews) – Un soldato azero è stato ucciso oggi sulla linea del fronte nel corso dei combattimenti nel Nagorno-Karabakh, regione nel sud del Caucaso contesa da Azerbaigian e Armenia. Dall’inizio del mese sono almeno 110 le vittime degli scontri e il cessate il fuoco concluso il 5 aprile tra l’Azerbaigian e le autorità separatiste del Nagorno-Karabakh appare sempre più fragile.

Il presidente azero, Ilham Aliyev, si è recato ieri a Istanbul per discutere della questione del Nagorno-Karabakh con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il suo più convinto alleato.

Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian per il Nagorno-Karabakh è antichissimo. Dopo la Rivoluzione Russa del 1917, il Karabakh fu inglobato nella Federazione Transcaucasica, che ben presto si divise tra Armenia, Azerbaigian e Georgia. Il territorio del Nagorno Karabakh venne rivendicato sia dagli armeni (che all’epoca costituivano il 98% della popolazione) sia dagli azeri.

Dopo la conquista bolscevica del 1920 il territorio venne assegnato, per volere di Stalin, all’Azerbaigian e nel 1923 venne creata l’Oblast Autonoma del Nagorno Karabakh.

Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, la questione del Nagorno Karabakh riemerse e il fronte militare si riaccese con conseguenze disastrose per la popolazione. La situazione insoluta si trascina sino ad oggi.

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Armenia. Protesta contro vendita di armi russe all’Azerbaijan (Euronews.it 14.04.16)

Centinaia di giovani armeni sono scesi per le strade della capitale Yerevan per denunciare la vendita di armi russe all’Azerbaijan. Dal due aprile Armenia e Azerbaijan sono tornate in guerra nella regione contesa del Nagorno-Karabakh.

La marcia si è spinta davanti all’ambasciata russa, è degenerata in tafferugli tra manifestanti e forze dell’ordine, diverse persone sono state fermate.

Una protesta che arriva a pochi giorni dalle parole del Premier russo Dmitri Medvedev secondo cui se la Russia fermasse la vendita di armi qualcun altro prenderebbe il suo posto alterando gli equilibri della regione.

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Agos, i 20 anni della voce armena in Turchia (Ansamed 14.04.16)

ISTANBUL – “La prima volta che abbiamo usato l’espressione genocidio armeno è stata dopo l’omicidio di Hrant Dink. Quel giorno, è cambiata la storia di questo giornale e di tutta la Turchia”. Yetvart Danzikyan siede dietro al suo computer e davanti a un arazzo dove le lettere dell’alfabeto armeno sono state ricamate una ad una su stoffa colorata. Dal febbraio del 2015 è il direttore di Agos, il primo giornale turco-armeno che 20 anni fa vedeva la luce in una Istanbul molto diversa. Allora, lui faceva parte della cerchia di intellettuali, giornalisti e piccoli imprenditori che si lanciarono nell’avventura di dare voce alla comunità armena della città – oggi circa 60 mila persone, anche se non esistono censimenti ufficiali – parlando in turco e ai turchi. A guidarli Hrant Dink, campione del dialogo interculturale assassinato il 19 gennaio 2007 davanti alla redazione di Agos da un fanatico nazionalista minorenne. “Dopo quasi 10 anni hanno condannato solo l’esecutore materiale e un mandante. Il vero processo, con agenti e funzionari statali imputati, sta iniziando solo adesso: perché noi siamo certi che dietro l’omicidio ci sono apparati dello Stato, e non ci stancheremo di cercare la verità”, dice Danzikyan in un’intervista ad ANSAmed.

Dopo aver contribuito alla fondazione di Agos, aveva iniziato a lavorare per diversi media nazionali. Ma l’omicidio Dink lo ha spinto a dare di nuovo il suo contributo, prima da editorialista e ora come direttore. “In Turchia ci sono 2 storici quotidiani armeni, Marmara e Jamanak. Agos, che è un settimanale, ha allargato la sfera d’interesse, occupandosi anche di altre minoranze e battaglie democratiche, con un approccio molto più politico”. Un impegno che ne ha fatto una delle voci più influenti del panorama dell’opposizione turca. L’attenzione per le opinioni espresse sul giornale va ben al di là delle 5 mila copie che in media circolano ogni settimana. Alla creazione delle 24 pagine in edicola ogni venerdì – 20 in turco e 4 in armeno – contribuiscono una decina di redattori, oltre a diversi editorialisti.

Lo scorso anno la redazione di Agos si è trasferita nei locali di una storica scuola armena, in disuso per la mancanza di studenti. Qui oggi si trova anche la fondazione intitolata a Hrant Dink, che cerca di conservarne la memoria e stimolare il dialogo interculturale. Nella vecchia sede del giornale, vicino a cui Dink venne assassinato, nascerà invece un museo dedicato al suo lavoro.

“Dopo l’omicidio di Hrant, il governo ha fatto dei passi avanti, soprattutto risolvendo alcuni problemi legati alle proprietà che erano state confiscate dallo Stato alle minoranze religiose. Ma il centenario del genocidio non ha portato a delle vere scuse da parte della Turchia e il conflitto con i curdi, riesploso in estate, ha alimentato di nuovo i sentimenti nazionalisti. Molti media vicini al presidente Erdogan accusano gli armeni di combattere con il Pkk”. Dopo 20 anni, il futuro di Agos è incerto come quello di tutti i media. “Stiamo pensando a nuovi modelli, puntando sul web. Non è facile sopravvivere per un piccolo giornale. Ma anche in tempi così difficile, continueremo a impegnarci per far sentire la nostra voce”.

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Nagorno Karabagh. La guerra “lampo” del Caucaso: un’analisi (Spondasud.it 13.04.16)

di Bruno Scapini – ex ambasciatore d’Italia in Armenia

L’attacco sferrato il 2 aprile scorso dall’Azerbaijan contro il Nagorno Karabagh, Repubblica auto-praclamatasi indipendente all’indomani della scomparsa dell’Unione Sovietica, merita certamente un’analisi più approfondita, aldilà del circoscritto contesto negoziale messo in piedi dall’ OSCE con l’obiettivo di pervenire ad una soluzione concordata e condivisa.

Infatti, non si tratta solamente di condannare la violazione del “cessate-il-fuoco”  – la più grave in realtà degli ultimi vent’anni -, né di accertare le responsabilità per tale improvviso atto di guerra – sconcertante per dimensione assunta e per ampiezza delle incursioni azere portate questa volta in profondità nel territorio del Nagorno Karabagh -, né ancora di dirimere una controversia su di  un territorio conteso.  Ma si tratta anche – e forse più opportunamente – di ricontestualizzare l’inusitato attacco militare azero nel quadro delle dinamiche Est-Ovest per coglierne il senso ed il portato politico ad un più alto piano di osservazione. Il  Caucaso del resto, quale regione  di confrontazione tra Stati Uniti e Russia, non è nuovo ad iniziative di destabilizzazione dell’ordine politico sorto a seguito del riposizionamento di Mosca nell’era post-sovietica.  E valga per tutti, a dimostrazione delle tensioni esistenti, l’esempio offerto dalla guerra russo-georgiana dell’agosto del 2008 a seguito della quale, si è consolidata  – ricordiamolo – la dottrina “Putin”  sugli spazi già appartenuti all’Unione Sovietica quali aree di “interessi privilegiati” della Federazione Russa.

Oggi, come allora, si rileva un atto di provocazione: l’infelice tentativo nel 2008 dell’allora Presidente della Georgia, Mikheil Saakashvili, di riprendersi  – col sostegno della NATO e degli USA – i territori dell’ Ossezia del Sud e dell’Abcasia, ora, nel 2016, la tentata riconquista del Nagorno Karabagh, o di sua parte,  messa in atto dal Presidente dell’Azerbaijan, Ihlam Alijev, col sostegno dichiarato  di Erdogan e l’incoraggiamento più indiretto, ma sempre esplicito, di John Kerry.

Entrambi, possiamo dire, risultano tentativi  mirati di destabilizzazione dell’ordine caucasico ai danni di Mosca; entrambi, atti portati ad esecuzione da regimi di dichiarata simpatia pro-occidentale al fine precipuo, e sottilmente inteso, di imbarazzare Mosca creando altra occasione per indebolirne la capacità di reazione su più fronti, a tutto vantaggio di Washington e della NATO.

Ecco spiegato, dunque, il coraggio avuto da Baku oggi  di portare l’affondo militare ben oltre la linea di contatto per ricorrere a vere e proprie incursioni militari condotte su vasta scala, impiegando uomini e mezzi in numeri senza precedenti, e attivando senza scrupoli arsenali di guerra di ultime generazioni.

Che l’ attacco abbia comunque causato turbamento a Mosca è fuori di dubbio. Il Cremlino, nonostante l’ennesima provocazione della Turchia – che avrebbe appoggiato militarmente l’intervento azero – ha preferito ricondurre la pacificazione nel tradizionale alveo del processo negoziale già avviato dall’OSCE, rinunciando in tal modo, almeno per ora, ad un più diretto confronto con Ankara.  Ma l’imbarazzo di Putin si è anche rivelato nei rapporti direttamente intrattenuti con Yerevan e Baku.  Mosca è fornitore di armi per entrambi i Paesi. E tale circostanza non manca ora di suscitare animosità alquanto estese presso gli stessi armeni che lamentano oggi la spregiudicatezza di Mosca nel gestire con disinvoltura gli accordi di cooperazione strategica e, prima di tutti, il Trattato di Sicurezza Collettiva ( CSTO ), là ove si contempla l’impegno dei Paesi membri a non favorire alleanze e azioni pregiudizievoli per un altro Stato parte dello stesso  Trattato.

Ma una certezza comunque emergerebbe tra gli esiti di questa “guerra lampo”: la ripresa del negoziato per trovare una soluzione definitiva al conflitto non potrà più basarsi sui termini e sui criteri fin qui adottati. Da un lato, infatti, il Gruppo di Minsk ha dimostrato di non essere pienamente in controllo della situazione, né di essere sufficientemente convincente a livello propositivo. Dall’altro, la popolazione del Nagorno Karabagh, avendo ancora una volta sperimentato l’efferatezza degli atti di violenza commessi da parte delle unità azere anche sui civili, sarà indotta a rifiutare irreversibilmente qualunque scenario risolutivo che non includa una piena e riconosciuta indipendenza. Dunque una ripresa del negoziato –  se ripresa ci sarà – dovrà necessariamente partire dalle attuali condizioni del Nagorno Karabagh, ad esclusione di qualsiasi regressione di status, prevedendone peraltro la partecipazione – finora non ammessa –  al tavolo delle trattative. Dovessero tali pregiudiziali, infatti, rimanere insoddisfatte, potrebbe rivelarsi  un grave errore per Yerevan tornare al dialogo senza un minimo di garanzie per il futuro.

Il persistere dell’attuale situazione ingenererebbe il convincimento nella dirigenza azera di poter gestire il rischio di guerra a proprio piacere, sostenuta in questo da un esplicito appoggio  dichiarato da Ankara, mentre la popolazione del Nagorno Karabagh resterebbe “sine die”  preda di una pericolosa condizione esistenziale posta tra “pace e guerra” ; una situazione tra l’altro suscettibile di riesplodere in un ben più grave ed esteso atto di guerra qualora sulle ambizioni irrefrenabili di Baku di “recuperare” il territorio del Nagorno Karabagh  si innestassero dinamiche destabilizzanti nel quadro di quella partita che vede confrontarsi nella regione euro-asiatica i noti maggiori “global player”.

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Sollevamento pesi, Europei 2016: doppietta per l’Armenia nella categoria fino a 77kg maschile (oasport 13.04.16)

Doppietta per l’Armenia nella -77 kg maschile ai Campionati Europei di sollevamento pesi in corso di svolgimento a Førde, in Norvegia: oro per Andranik Karapetyan, argento invece per Tigran Martirosyan. 

Il primo ha allungato sul resto della compagnia già dai 170 chili sollevati nello strappo, ben 10 lunghezza oltre la misura del connazionale, suo più immediato inseguitore. Da lì in avanti, per lui, è stata una prova in totale gestione con i 197 dello slancio a suggellare il risultato: oro nei due esercizi e nel totale.

Martirosyan ha chiuso alle sue spalle in entrambi gli esercizi, pur fermandosi a 160 e 129 kg per un totale 352 che l’ha collocato poco sopra il rumeno Dumitru Captari (156, 192, 348).

Per l’Italia era impegnato Pierluigi Mannella, 20esimo. Niente da fare per le prime posizioni con risultati di 125 e 150 chili rispettivamente in strappo e slancio.

Le classifiche:

Strappo:
1)  Andranik Karapetyan (Arm) 170
2) Tigran Martirosyan (Arm) 160
3) Dumitru Captari (Rou) 156

Slancio:
1)  Andranik Karapetyan (Arm) 197
2) Tigran Martirosyan (Arm) 192
3) Dumitru Captari (Rou) 192

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Venti di guerra tra Armenia e Azerbaijan (Blastingnews.it 13.04.16)

All’inizio di  questo mese l’Azerbaijan ha lanciato una grande offensiva militare nella regione contesa del Nagorno Karabakh, zona autonoma popolata in alta percentuale da armeni dopo la tregua seguita alla guerra dei primi anni novanta. L’elemento sorpresa associato all’enorme dispiegamento di mezzi, ha causato pesanti perdite in vite umane, soprattutto tra gli abitanti di alcuni villaggi, rimasti uccisi sotto i bombardamenti dell’artiglieria pesante azera. Nonostante la tregua mediata dai russi alcuni giorni fa, le violazioni del cessate il fuoco in queste ore sono state molteplici.

Le possibili conseguenze

Negli ultimi giorni, oltre alla violazione del cessate il fuoco, sicuramente l’evento più allarmante è stato l’attacco dell’esercito azero nei confronti di villaggi all’interno dei confini della repubblica armena, non solo nell’enclave del Nagorno Karabakh. Le implicazioni di una tale guerra di aggressione, soprattutto alla luce del patto di mutua difesa che intercorre tra Russia e Armenia, potrebbero essere disastrose se il governo russo decidesse di intervenire nel conflitto in aiuto degli alleati. Ovviamente prima di sparare proiettili di artiglieria contro villaggi armeni, il governo azero era pienamente consapevole dei rischi connessi a commettere tali atti di guerra contro un paese nell’orbita russa. Questo potrebbe confermare il tacito appoggio da parte degli Stati Uniti e della NATO, con l’esplicito interesse nel colpire il presidente russo Putin e i suoi alleati.

Crimini di guerra

L’Azerbaijan possiede alcune delle più grandi riserve di petrolio al mondo, e grazie a queste può permettersi di comprare le armi più moderne e letali, con l’obiettivo di riconquistare un territorio che storicamente non gli appartiene. Inoltre ci sono prove che l’esercito azero si sia servito di mercenari provenienti dalla Turchia e addirittura di membri dell’ISIS provenienti dalla Siria, che si sarebbero resi responsabili di atrocità nei confronti della popolazione civile di alcuni villaggi del Nagorno Karabakh. L’Armenia e l’enclave contesa forse dovranno affrontare una guerra contro un paese come l’Azerbaijan che ha potenti alleati, tra i quali il presidente turco Erdogan e gli Stati Uniti. Dei nemici che sarebbero felici di vedere armeni e russi sprofondare nell’oblio.

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Genocidio Armeno, il Consiglio comunale potrebbe essere inserito nella “lista dei giusti” (Aostasera.it 13.04.16)

Dopo il riconoscimento del Genocidio armeno il Consiglio comunale di Aosta potrebbe ora essere inserito nella lista dei “Giusti” per
la memoria del Medz Yeghern (il grande male). Ad annunciarlo è l’Ambasciatore della Repubblica d’Armenia in Italia, S.E. Sargis Ghazaryan con una missiva inviata al Presidente del Consiglio comunale di Aosta, Michele Monteleone.

Nella lettera di ringraziamento l’Ambasciatore della Repubblica d’Armenia in Italia, S.E. Sargis Ghazaryan, sottolinea come l’atto adottato dal Consiglio comunale di Aosta sia “un risultato che va oltre il mero iter amministrativo e fa del Consiglio comunale di Aosta un incontro di uomini giusti. Soprattutto in questo 2016, Centunesimo anniversario del Genocidio armeno”.

Nel ringraziare la Presidenza del Consiglio, tutto il Consiglio comunale e l’intera cittadinanza di Aosta, “per aver deciso di combattere il negazionismo con lo strumento del riconoscimento, mettendo cioè in prima linea la propria coscienza e il proprio altissimo senso morale” l’Ambasciatore armeno evidenzia come sia stato “compiuto un atto di verità ma soprattutto un sincero atto di solidarietà che fa della
vicinanza ai discendenti dei sopravvissuti del Genocidio del mio popolo, Medz Yeghern (il Grande Male) un messaggio di speranza nel futuro. Con il riconoscimento del Genocidio Aosta non vuole solo commemorare, ma si impegna affinché non abbiano a ripetersi nuovi ed efferati crimini contro l’umanità”.

Ora l’Ambasciata Armena in Italia trasmetterà l’Ordine del giorno approvato dal Consiglio di Aosta alla Direzione del memoriale del Genocidio della capitale armena Yerevan, affinché il Comune di Aosta sia inserito nella lista dei “Giusti”.

L’ordine del giorno approvato il 23 marzo scorso riconosce come “i massacri degli Armeni – che hanno avuto luogo a partire dal 24 aprile 1915 nel contesto dell’Impero ottomano durante la Prima Guerra mondiale provocando la deportazione di circa due milioni di Armeni, un milione e mezzo dei quali sono stati uccisi – sono da considerare genocidio di massa ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la repressione del suddetto crimine contro l’umanità adottata a New York nel 1948”

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Aosta: Consiglio comunale ‘Giusto’ per popolo Armeno

Il Comune di Aosta sarà inserito nella lista dei ‘Giusti’ scritta sulla lapide nel Memoriale del Genocidio Armeno. Lo ha reso noto con una nota stampa Michele Monteleone, Presidente del Consiglio comunale di Aosta, precisando che “Una lettera di ringraziamento firmata dall’Ambasciatore della Repubblica Armena, Sargis Ghazaryan, è pervenuta alla Presidenza seguito dell’approvazione del Consiglio Comunale di Aosta lo scorso 23 marzo, dell’ordine del giorno riguardante il riconoscimento del genocidio perpetrato contro il popolo armeno”.

Monteleone ricorda che “con una delibera il Consiglio comunale ha riconosciuto che i massacri degli Armeni sono da considerarsi genocidio di massa ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine contro l’umanità adottata a New York nel 1948”. Il genocidio iniziò il 24 aprile 1915, nel contesto dell’Impero ottomano durante la Prima Guerra mondiale, provocando la deportazione di circa due milioni di Armeni, un milione e mezzo dei quali furono uccisi.

L’Ambasciatore armeno nella missiva di ringraziamento evidenzia come l’atto adottato dal Consiglio comunale di Aosta sia “un risultato che va oltre il mero iter amministrativo e fa del Consiglio comunale di Aosta un incontro di uomini giusti. Soprattutto in questo 2016, Centunesimo anniversario del Genocidio armeno”.

Nel ringraziare la Presidenza del Consiglio, il Consiglio comunale e l’intera cittadinanza di Aosta, “per aver deciso di combattere il negazionismo con lo strumento del riconoscimento, mettendo cioè in prima linea la propria coscienza e il proprio altissimo senso morale” l’Ambasciatore armeno evidenzia come sia stato “compiuto un atto di verità ma soprattutto un sincero atto di solidarietà che fa della vicinanza ai discendenti dei sopravvissuti del Genocidio del mio popolo, Medz Yeghern (il Grande Male) un messaggio di speranza nel futuro. Con il riconoscimento del Genocidio Aosta non vuole solo commemorare, ma si impegna affinché non abbiano a ripetersi nuovi ed efferati crimini contro l’umanità”.

L’Ambasciata armena in Italia trasmetterà l’ordine del giorno approvato dal Consiglio di Aosta alla Direzione del memoriale del Genocidio della capitale armena Yerevan, affinché il Comune di Aosta sia inserito nella lista dei ‘Giusti’ per la memoria del Medz Yeghern.

Nagorno Karabakh, conflitto pericoloso a livello globale (Sputniknews.com 13.04.16)

I media si accorgono solo ora della crisi nella regione Nagorno Karabakh, contesa fra Armenia e Azerbaigian, ma si tratta di un conflitto che in realtà durava da anni e dove non si è mai raggiunta una vera pace.

Il conflitto è riesploso e gli scontri armati in pochi giorni hanno provocato centinaia di vittime. Il Nagorno Karabakh si è proclamato indipendente dall’Azerbaigian negli anni ’90, ma non è riconosciuto da alcun Paese, a parte l’Armenia.

La crisi nella regione si è riaccesa e rischia di provocare gravissime conseguenze in uno scenario dove ad essere coinvolti sarebbero più attori, fra cui anche la Russia e la Turchia. Una guerra dimenticata da tutti, in questo momento diventa un fattore molto rischioso a livello regionale e globale.

Per fare il punto della situazione Sputnik Italia ha raggiunto Aldo Ferrari, Direttore delle ricerche su Russia, Caucaso e Asia Centrale all’ISPI, professore alla Ca’Foscari di Venezia.

Il conflitto nel Nagorno Karabakh si è inasprito, ma la tensione fra Armenia e Azerbaigian dura da anni. Quali sono le particolarità di questo conflitto e a quali conseguenze può portare? 

                                                                                          

Quello che vediamo oggi è un nuovo peggioramento di un conflitto che non è mai terminato fra gli armeni e gli azerbaigiani nel Nagorno Karabakh, il quale ha visto nel 1994 una conclusione di un armistizio e non di una pace. È uno dei cosiddetti conflitti congelati, che congelati non sono per niente e riesplodono periodicamente. Questa riesplosione è però la più violenta che ci sia stata fino ad ora.

Anche se la tregua sembra ora sostanzialmente reggere, indubbiamente il fatto è molto grave. Ci sono varie ragioni per cui è riscoppiato il conflitto in questo momento, ma la situazione è complessa, perché bisogna conoscere bene che in questo conflitto sono presenti gli armeni e gli azerbaigiani, ma altre potenze hanno voce in capitolo, penso alla Russia, alla Turchia e agli Stati Uniti. Sono tutti fattori che complicano la situazione, più che semplificarla e risolverla.

Secondo il diritto internazionale i territori possono dichiarare che vogliono l’indipendenza, ma poi scoppia la guerra. In questi casi secondo lei che vie d’uscita esistono, l’autonomia o una soluzione federale?

Sono problemi molto gravi per i quali non esiste a mio giudizio un’unica soluzione. Secondo me la comunità internazionale dovrebbe trovare degli strumenti elastici e flessibili di volta in volta. Questi conflitti mettono a contrasto due principi giuridici contingenti: da una parte il diritto dei popoli all’autodeterminazione, dall’altra il riconoscimento del diritto internazionale dell’integrità territoriale degli Stati. I due principi sono spesso in contrasto, normalmente si tende a preferire il principio dell’integrità territoriale degli Stati, se pensiamo ai disastri che scoppierebbero se si desse il via libera a tutte le forme di separatismo.

Il riferimento principale all’integrità territoriale e nazionale è legittimo, però ci sono dei casi in cui il contrasto arriva alla guerra e allora probabilmente la comunità internazionale dovrebbe trovare strumenti più flessibili che non ha ancora trovato. Ognuno di questi casi è diverso dall’altro.

La comunità internazionale ha ritenuto che nel caso del Kosovo o del Sudan meridionale ci fossero le condizioni per giungere alla separazione. Nel Caucaso meridionale, come anche nel caso del Donbass la comunità internazionale ritiene che questi principi non esistono. Non è per niente una questione semplice, perché al di là del diritto internazionale, contano i diversi interessi fra gli Stati più forti e quindi si fa molta fatica ad individuare un percorso.

Sarebbe opportuno all’inizio tenere più presente la realtà sul terreno. Laddove si crea dopo un conflitto una situazione che rispecchia la realtà dei fatti, probabilmente sarebbe opportuno che la comunità internazionale ne tenesse conto, come ha fatto per l’appunto con il Kosovo. La mia personalissima posizione è che fermo restante che l’integrazione territoriali degli Stati vada tenuta presente, si possono e si devono fare delle eccezioni, le quali evidentemente sacrificano questo principio, ma rendono possibile il superamento del conflitto.

La guerra nel Nagorno Karabakh che ruolo può giocare a livello geopolitico nella regione, vista la presenza di più attori coinvolti?

Noi sappiamo bene che esiste nel Caucaso meridionale una sorta di contrapposizione fra la Russia che ha un alleato principale nell’Armenia e un asse occidentale che ha negli Stati Uniti e nella Turchia una linea contingente che si appoggia alla Georgia e all’Azerbaigian. È una semplificazione del quadro, ma entro certi limiti funziona. Il problema è che il quadro internazionale in questi ultimi mesi si è ulteriormente complicato e aggravato. Sappiamo com’è grave il conflitto siriano, che i rapporti fra Russia e Turchia sono entrati in una fase molto difficile e ci sono alcuni analisti che leggono il conflitto Nagorno Karabakh come una sorta di estensione delle difficoltà che la Turchia e la Russia hanno tra di loro. Mi sembra un’analisi un po’ esagerata.

A mio avviso questa recrudescenza del conflitto ha soprattutto cause locali, Armenia e Azerbaigian sono sempre ai ferri corti, le violazioni del cessate il fuoco sono quotidiane e non necessariamente quest’ultima recrudescenza va inserita in un contesto così vasto. Allo stesso tempo il conflitto nel Karabakh è pericolosissimo proprio perché Armenia è alleato della Russia, l’Azerbaigian ha dietro di sé la Turchia che a suo volta fa parte della NATO. L’aggravamento del conflitto potrebbe avere effetti devastanti non solo sulla regione, ma a livello globale.

L’opinione dell’autore può non coincidere con la posizione della redazione.

Leggi tutto: http://it.sputniknews.com/mondo/20160413/2468441/Nagorno-Karabakh.html#ixzz45jqWCNgg

La Russia e le relazioni con le repubbliche del Caucaso meridionale (Notiziegeopolitiche.net 13.04.16)

Se attualmente il Caucaso viene considerato l’estrema propaggine sud-orientale dell’Europa, questo si deve principalmente al fatto che negli ultimi due secoli di storia la regione ha vissuto quasi ininterrottamente sotto il dominio russo. Fu proprio l’Impero zarista ad avviare a partire dalla metà del XIX secolo il processo di occidentalizzazione di una regione che fino a quel momento veniva comunemente considerata storicamente e culturalmente parte del Medio Oriente, essendo rientrata per secoli nelle sfere d’influenza di imperi come quello ottomano e quello persiano, che hanno fatto del Caucaso una terra di conquista.
Verso l’inizio del XIX secolo, consolidate le recenti acquisizioni territoriali (territori di Rostov, Astrakhan e Krasnodar), e approfittando della contemporanea crisi che stava colpendo le due principali potenze regionali, ovvero i già citati imperi ottomano e persiano, l’Impero russo decise di provare a espandere ulteriormente i propri confini verso sud, nella regione del Caucaso, dove già aveva creato qualche avamposto militare. Il primo paese ad essere annesso all’Impero fu la Georgia, che già dal 1783 era diventata un protettorato russo. Invocato dal sovrano locale, nel 1801 lo zar Alessandro I entrò a Tbilisi con l’esercito, ponendo fine a una violenta guerra civile e incorporando il Regno di Kartli-Kakheti (Georgia centro-orientale) all’Impero russo. Nel 1810 i russi annetterono anche il Regno di Imereti (Georgia centro-occidentale), completando la conquista del paese. Nel frattempo l’Impero russo aveva intrapreso l’ennesima guerra contro i persiani (1804) per alcune dispute territoriali riguardanti proprio l’annessione della Georgia, uscendone qualche anno dopo vincitore. A porre fine al conflitto fu il Trattato di Gulistan, stipulato nel 1813, che obbligò l’Impero persiano a riconoscere il dominio russo sulla Georgia e a cedere allo zar il Dagestan, buona parte dell’Azerbaigian e parte dell’Armenia settentrionale.
Nel 1817 le truppe zariste guidate da Aleksey Yermolov diedero il via alla conquista del Caucaso settentrionale, abitato principalmente da popoli montanari che però riuscirono a opporre una tenace resistenza all’invasione russa. Nel 1826 scoppiò l’ultima delle guerre russo-persiane, che terminò due anni dopo con il Trattato di Turkmenchay, in seguito al quale l’Impero russo acquisì i khanati di Erivan, Nakhcivan e Talysh, oltre alla provincia di Iğdır; mentre un anno dopo i russi ebbero la meglio anche sugli ottomani, che dovettero cedere i porti di Anapa e Poti e parte della Georgia meridionale. Dopo quasi mezzo secolo di dure battaglie, i russi riuscirono infine a piegare anche la tenace resistenza dei montanari del Caucaso settentrionale, sconfiggendo prima gli uomini dell’Imam Shamil nel 1859 e poi spezzando definitivamente nel 1864 la resistenza dei circassi, arrivando a conquistare l’intera regione. Le ultime acquisizioni territoriali nel Caucaso avvennero in seguito alla Guerra russo-turca del 1877-78, quando gli ottomani dovettero cedere allo zar l’Agiara e la provincia di Kars.
In seguito alla Rivoluzione russa del 1917, che segnò la fine dell’Impero zarista, i popoli del Caucaso vissero un breve quanto effimero periodo di indipendenza, segnato da numerose guerre interetniche. Tra il 1919 e il 1921 l’Armata Rossa riuscì a riconquistare la regione, che entrò in seguito a far parte dell’Unione Sovietica. Il Caucaso settentrionale venne inglobato all’interno della RSS Russa, mentre in quello meridionale, dopo la breve esperienza della RSFS Transcaucasica, vennero create le RSS di Georgia, Armenia e Azerbaigian. Il dominio russo nel Caucaso meridionale durò per altri settant’anni, fino a quando nel 1991, in seguito al collasso dell’Unione Sovietica, le tre repubbliche non proclamarono la propria indipendenza.
Nonostante siano passati ormai 25 anni dalla dissoluzione dell’URSS, per una serie di fattori storici, politici e culturali Mosca continua a esercitare tutt’ora una forte influenza nel Caucaso meridionale, che rappresenta una regione chiave sotto molti punti di vista, verso la quale la Russia nutre ancora grandi interessi economici e geostrategici. Per queste ragioni anche dopo l’esperienza sovietica Mosca ha sempre cercato di mantenere i paesi del Caucaso all’interno della propria sfera d’influenza, usando la diplomazia,cercando di stringere negli anni accordi mirati a rafforzare la cooperazione reciproca, ed esercitando quando necessario il proprio potere coercitivo, garantitole dal ruolo di principale potenza regionale.

Il difficile rapporto con la Georgia.
In seguito alla decisione del governo di Tbilisi di rompere ogni relazione in seguito alla Seconda Guerra in Ossezia del Sud del 2008, Mosca continua a non avere alcun rapporto diplomatico ufficiale con la Georgia. Nonostante l’assenza di relazioni ufficiali, parte delle forti tensioni accumulatesi in seguito alla guerra sono state comunque stemperate negli ultimi anni, soprattutto in seguito alla salita al potere del partito del Sogno Georgiano dopo le elezioni parlamentari del 2012. L’ascesa del Sogno Georgiano, guidato dal miliardario Bidzina Ivanishvili, l’uomo più ricco del paese, ha di fatto posto fine agli anni di governo di Saakashvili, da sempre ostile nei confronti del Cremlino, e del suo Movimento Nazionale Unito, che l’anno successivo ha poi perso anche le elezioni presidenziali. La débâcle degli uomini di Saakashvili ha fatto credere a molti analisti politici in un possibile cambio di rotta di Tbilisi in politica estera e ad un conseguente riavvicinamento alla Russia; tale riavvicinamento non si è però mai concretizzato, a causa delle inconciliabili posizioni che hanno impedito finora lo sviluppo di un dialogo costruttivo tra Mosca e Tbilisi.
Il principale motivo di scontro tra i due paesi è la questione delle repubbliche separatiste di Abkhazia e Ossezia del Sud, il cui status è tuttora disputato. Tbilisi considera le due regioni parte integrante del proprio territorio, continuando a denunciare l’occupazione da parte delle milizie locali e dell’esercito russo; il Cremlino invece, in seguito al confitto del 2008 ne ha riconosciuto l’indipendenza, stringendo nel tempo rapporti sempre più stretti con i due governi locali. Come affermato recentemente dai vertici del governo georgiano, Tbilisi non ha intenzione di ripristinare i rapporti con Mosca né ora né in un prossimo futuro, almeno finché la situazione non cambierà. Il governo georgiano si aspetta infatti che la Russia faccia un passo indietro, ritrattando il riconoscimento delle due repubbliche o perlomeno ritirando le proprie truppe dalle regioni occupate; dal canto suo Mosca, principale alleato di Sukhumi e Tskhinvali, non sembra essere disposta a prendere in considerazione le richieste di Tbilisi.
La rottura dei rapporti diplomatici con Mosca ha finito per influire fortemente anche sull’economia georgiana, considerando che fino al 2006 la Russia è stata uno dei più importanti partner commerciali di Tbilisi. Il primo segno di rottura è avvenuto proprio in quell’anno, con l’embargo economico imposto da Mosca nei confronti dei vini georgiani per presunte violazioni delle norme sanitarie. La situazione è poi nettamente peggiorata in seguito al conflitto russo-georgiano, quando Mosca ha deciso di aumentare sensibilmente il prezzo del gas destinato alla Georgia, paese che non dispone di materie prime, la quale per pronta risposta ha iniziato a importare in misura sempre maggiore dall’Azerbaigian (attualmente Tbilisi importa il 90% del gas naturale da Baku, mentre solo il restante 10% proviene dalla Russia, diretto in Armenia). Recentemente, dopo che la domanda di gas nel paese è aumentata, il governo di Tbilisi ha provato a intavolare una trattativa con Gazprom per aumentare la quantità di gas russo commercializzabile nel mercato georgiano, per fare concorrenza all’Azerbaigian e ottenere prezzi più competitivi; la decisione di trattare con la compagnia russa è stata però fortemente contestata dall’opposizione, che è scesa in piazza per protestare contro la trattativa, costringendo il governo a prendere accordi per un aumento di fornitura con la compagnia azera SOCAR.
A fine anno in Georgia si terranno le elezioni parlamentari, con il Sogno Georgiano arrivato al termine del proprio mandato con Giorgi Kvirikashvili come primo ministro, dopo la parentesi di Garibashvili, che proverà a riconfermarsi alla guida del paese nonostante il crescente calo di consensi, difendendosi ancora una volta dall’assalto del Movimento Nazionale Unito dell’ex presidente Saakashvili, ora guidato dal suo delfino Davit Bakradze. L’esito di queste elezioni potrebbe avere un importante impatto nel bene o nel male sulle future relazioni tra Mosca e Tbilisi.

La cooperazione con Abkhazia e Ossezia del Sud.
ossezia e abkazia fuoriUn discorso a parte meritano Abkhazia e Ossezia del Sud, territori che la Russia riconosce ufficialmente come repubbliche indipendenti. In seguito al riconoscimento Mosca ha intensificato i rapporti diplomatici e commerciali con Sukhumi e Tskhinvali, assumendosi inoltre l’incarico di difenderei loro confini, nonché ponendosi come principale garante del loro status quo. Negli anni immediatamente successivi al conflitto con la Georgia, per cercare di far ripartire il settore economico dei due paesi Mosca ha provveduto a elargire una serie di importanti finanziamenti ai due governi, mentre per cercare di aggirare il loro isolamento politico (oltre alla Russia l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud sono riconosciute solo da Nicaragua, Venezuela e Nauru) ha provveduto a distribuire passaporti russi ai cittadini abkhazi e sud-osseti, permettendogli di spostarsi agevolmente all’interno della Federazione Russa e di viaggiare all’estero.
Nel 2014 la Russia ha stretto con l’Abkhazia un importante accordo di cooperazione che ha ulteriormente rafforzato i legami economici tra i due paesi, all’interno del quale è stato definito un prestito di circa 5 miliardi di rubli (più o meno 65 milioni di euro); parte dello stesso accordo è stata anche la creazione di uno spazio comune di difesa e sicurezza, con la decisione di Mosca di aumentare la militarizzazione del confine abkhazo-georgiano. L’anno successivo la Russia ha firmato un secondo accordo “sull’alleanza e l’integrazione” con l’Ossezia del Sud, attraverso il quale Mosca ha deciso di attuare un’unione doganale tra i due paesi per venire incontro alla precaria economia osseta, togliendo inoltre i controlli alla frontiera per rendere più agevole il transito delle persone. L’accordo ha riguardato anche la sicurezza, con la decisione di accorpare le milizie sud-ossete alle forze armate russe e agli altri corpi di sicurezza che presidiano la regione, andando a formare un vero e proprio esercito unico.
Questi ultimi accordi hanno portato le due repubbliche caucasiche a raggiungere un elevato grado d’integrazione con Mosca, spingendo diversi analisti politici a ipotizzare soprattutto nel caso dell’Ossezia del Sud una possibile futura annessione alla Russia; ipotesi rafforzata dalle parole del presidente sud-osseto Leonid Tibilov, che lo scorso ottobre ha fatto capire che il suo paese sarebbe pronto a votare l’unione alla Russia, definita come “il sogno di tante generazioni di osseti”. Finora questa ipotesi è stata però sempre smentita da Mosca, la quale è conscia del problematico impatto che una mossa di questo tipo avrebbe sulla comunità internazionale e sui rapporti con la Georgia.

L’alleanza con l’Armenia in chiave euroasiatica e la questione del Nagorno-Karabakh.
Intrappolata in una morsa formata da due paesi ostili come la Turchia a ovest e l’Azerbaigian a est, fin dal momento della sua indipendenza l’Armenia ha sempre cercato di intrattenere buoni rapporti con la Russia, unico alleato affidabile nella regione in grado di proteggere Yerevan dai bellicosi vicini ed evitarle l’isolamento politico. Nonostante questo, l’Armenia ha mantenuto per anni una posizione piuttosto ambigua in politica estera, legandosi in modo sempre più stretto a Mosca ma cercando di seguire contemporaneamente la strada dell’integrazione europea.
Dopo diverse indecisioni, nel 2013 il governo di Yerevan ha finalmente scelto il percorso da intraprendere, annunciando di volere aderire all’Unione Doganale Euroasiatica, interrompendo così il processo di integrazione europea a soli due mesi dal vertice del Partenariato Orientale tenutosi quell’anno a Vilnius, in cui l’Armenia avrebbe dovuto firmare l’Accordo di associazione con l’Unione Europea. L’anno successivo il paese è entrato ufficialmente all’interno della neonata Unione Economica Euroasiatica, aggiungendosi a Russia, Bielorussia e Kazakistan.
Il recente ingresso dell’Armenia nell’Unione Euroasiatica ha contribuito a rafforzare ulteriormente i già solidi rapporti con Mosca, che rappresenta attualmente il primo partner commerciale di Yerevan sia per quanto riguarda le importazioni che le esportazioni. Negli ultimi anni la Russia ha inoltre concesso una serie di sostanziosi finanziamenti mirati a rilanciare l’economia dell’Armenia, che in cambio ha garantito a Mosca l’esclusiva in diversi settori economici tra cui alcuni di fondamentale importanza come quello dell’approvvigionamento energetico. La maggior parte del gas e del petrolio consumato nel paese caucasico viene infatti importata da Mosca, che al momento vanta il diritto esclusivo a utilizzare tutte le infrastrutture energetiche presenti nel paese, compreso il gasdotto che collega Yerevan a Teheran, rilevato lo scorso anno da Gazprom attraverso la filiale armena Armrosgazprom. In mano a una compagnia russa è anche il settore dell’energia elettrica, che viene gestito dalla Inter RAO.
Putin con Sargsyan grandeTra la Russia e l’Armenia si registra una grande cooperazione anche nel settore della sicurezza. Considerato il progressivo riarmo azero, nonché l’aumento dell’instabilità nella regione del Nagorno-Karabakh, recentemente teatro di violenti scontri, nell’ultimo periodo Mosca ha concesso a Yerevan una serie di prestiti mirati a finanziare l’acquisto di armamenti di produzione russa, intensificando inoltre le esercitazioni congiunte con l’esercito armeno. In cambio del supporto militare l’Armenia ha concesso alla Russia di mantenere attiva la 102ª Base Militare di Gyumri, nel nord-ovest del paese, così come la 3624ª Base Aerea di Erebuni, situata alle porte di Yerevan. Recentemente l’Armenia ha inoltre firmato con Mosca un accordo che prevede la creazione di un sistema regionale comune di difesa aerea, che assicurerà lo scambio di informazioni tra i due paesi su tutto lo spazio aereo del Caucaso, e aiuterà lo sviluppo dei sistemi missilistici di difesa aerea e dei sistemi radar armeni.
La Russia gioca inoltre un ruolo di primo piano nel processo di pacificazione del Nagorno-Karabakh, territorio conteso tra Armenia e Azerbaigian che fu teatro nella prima metà degli anni Novanta di un sanguinoso conflitto armato, terminato nel 1994 in seguito a un cessate il fuoco negoziato proprio dal Cremlino. Il fatto che in oltre vent’anni i governi di Armenia e Azerbaigian non siano mai riusciti ad avviare un dialogo costruttivo, aspettando che qualche organizzazione o paese terzo risolvesse la questione per conto loro, ha così finito per conferire gradualmente alla Russia un ruolo di fondamentale importanza nel processo di risoluzione del conflitto.
Attualmente Mosca insieme a Francia e Stati Uniti siede alla presidenza del Gruppo di Minsk, struttura creata nel 1992 dall’OSCE (all’epoca CSCE) per cercare di risolvere la questione del Nagorno-Karabakh attraverso vie diplomatiche, la quale finora non è però riuscita a conseguire risultati importanti. Ma il ruolo di primo piano di Mosca va oltre i negoziati portati avanti dal Gruppo di Minsk; in seguito alle reciproche provocazioni e ai conseguenti incidenti che si sono verificati negli ultimi anni lungo la linea di confine armeno-azera, il Cremlino, quale principale potenza regionale,è sempre stato pronto a prendere in mano la situazione, finendo quindi per essere legittimato dalle due parti nel ruolo di principale mediatore del conflitto.

Mosca e l’Azerbaigian, amici in conflitto d’interessi.
Aliyev con Medvedev grandeIl rapporto che l’Azerbaigian ha intrattenuto con la partire dalla fine dell’epoca sovietica si può definire ambivalente: da un lato Baku ha sempre cercato di mantenere rapporti amichevoli con Mosca, a cui è in parte ancora legata dal recente passato e poiché consapevole dell’importante peso del Cremlino in chiave regionale; dall’altro il paese caucasico ha sviluppato negli anni una politica di progressivo allontanamento dalla Russia, per avvicinarsi invece alla Turchia e ai paesi occidentali, specialmente europei, con i quali intrattiene importanti rapporti economici. Considerati quindi i legami che uniscono Baku a Mosca e i rapporti commerciali che allo stesso tempo la avvicinano all’Europa, i vertici del paese caucasico negli ultimi anni hanno preferito promuovere una linea neutrale in politica estera, decidendo di non schierarsi apertamente né con l’una né con l’altra parte. La posizione di neutralità assunta dall’Azerbaigian è stata confermata dalla decisione di aderire nel 2011 al Movimento dei paesi non allineati, unico caso tra le repubbliche del Caucaso.
In ambito economico i rapporti tra Russia e Azerbaigian sono segnati dal conflitto d’interessi nel settore energetico causato dal tentativo dei paesi dell’Unione Europea di diversificare il proprio approvvigionamento cercando fornitori alternativi a Mosca, e dal fatto che Bruxelles abbia individuato proprio in Baku il partner ideale per la realizzazione di questo progetto. Nel 2006, con la realizzazione dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, l’Azerbaigian è riuscito a fare arrivare il proprio petrolio fino al bacino del Mediterraneo e quindi ai mercati europei, aggirando per la prima volta la Russia. Inoltre, a partire dal 2007, in seguito all’inizio dello sfruttamento del grande giacimento off-shore di Shah Deniz, il più grande giacimento di gas naturale del paese, l’Azerbaigian ha deciso di interrompere le forniture di gas russo, rivelatesi ormai non più necessarie, diventando a sua volta uno dei più importanti produttori regionali. Con la definitiva rinuncia da parte della Russia al progetto South Stream, che avrebbe dovuto trasportare il gas russo in Europa attraverso il Mar Nero e i Balcani, l’Azerbaigian ha colto l’opportunità di prendere parte alla creazione un proprio Corridoio Meridionale del Gas, progetto reso possibile dall’inizio dei lavori di realizzazione dei gasdotti TANAP e TAP, che trasporteranno il gas azero fino in Italia. Nonostante il conflitto d’interessi nel settore energetico, negli ultimi anni Mosca e Baku hanno comunque firmato diversi accordi commerciali che hanno portato a un continuo aumento degli scambi economici tra i due paesi.
Tra i settori chiave in cui i due paesi collaborano maggiormente vi è sicuramente quello della sicurezza. Baku negli ultimi anni ha incrementato esponenzialmente le proprie spese militari, stringendo importanti accordi con Mosca ma anche con Israele per l’acquisto di nuovi armamenti mirati ad ammodernare il proprio esercito e per l’organizzazione di esercitazioni militari congiunte. Nel 2012 la Russia è stata comunque costretta a rinunciare alla propria presenza militare nel paese caucasico, con la chiusura della stazione radio di Qabala in seguito al mancato accordo per il rinnovo del contratto d’affitto dell’impianto. Nonostante i due paesi abbiano sempre collaborato nel settore della sicurezza, vi sono anche punti su cui essi si trovano in disaccordo. Su tutti vi è la questione del Nagorno-Karabakh, del cui processo di pacificazione la Russia svolge un ruolo chiave. Secondo il governo dell’Azerbaigian infatti, il Gruppo di Minsk, co-presieduto da Mosca, sarebbe troppo sbilanciato su posizioni filo-armene; inoltre a Baku non viene visto di buon occhio il consistente supporto militare che la Russia fornisce all’Armenia, con l’obiettivo di far fronte proprio al riarmo azero, così come continua a creare tensioni il progressivo avvicinamento di Yerevan a Mosca, culminato con l’ingresso dell’Armenia all’interno dell’Unione Economica Euroasiatica.

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