Vescovo armeno: non si può avere una posizione neutrale, Azerbaigian responsabile dei crimini in Nagorno Karabakh (Spondasud.it 07.04.16)

Non ci può essere un posizione di par-condicio e di neutralità, adottata dalla stampa e diplomazia internazionale, nel riportare i gravi sviluppi nel Caucaso e sul confine Azero-Kharabakhiano. E’ quanto afferma Mons. Raphael Minassian,  vescovo armeno- cattolico a Erevan contattato via telefono dalla testata online AsiaNews.

“Molti fatti gravi di flagrante violazione del diritto internazionale sono stati omessi e censurati da gran parte della stampa” come ad esempio “i bombardamenti indiscriminati dell’artiglieria azera sui centri abitati da civili e di scuole, la decapitazione di un soldato armeno del Karabakh con esibizione trionfante della testa tagliata”, fotografata ed mostrata come trofeo sui social media, e soprattutto “la barbara esecuzione di una coppia di anziani armeni cattolici [Valera Khalapyan e sua moglie Razmela] nella loro casa a Talish, occupata il 2 aprile scorso dalle truppe dell”Azerbaijan. I due anziani sono stati uccisi con la loro figlia, a sangue freddo dopo aver loro amputato le orecchie”.

Secondo diversi osservatori, questo è il modus operandi dell’Isis, come già visto in Siria e in Iraq. Mons. Minassian ha chiesto di “pregare per i cristiani del Nagorno Karabakh la cui esistenza è a rischio come quella di tutti i cristiani d’oriente, e per il ripristino della Pace”.

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Nagorno-Karabakh: visita di solidarietà di Karekin II e Aram I (Radio Vaticana 07.04.16)

Il Catholicos di tutti gli Armeni, Karekin II, e il Catholicos della Grande Casa di Cilicia, Aram I, visiteranno insieme nei prossimi giorni il Nagorno-Karabakh, la regione a maggioranza armena annessa da Stalin all’Azerbaigian, dove negli ultimi giorni è riesploso violentemente il conflitto tra azeri e armeni. Lo riferisce un comunicato ufficiale del Catholicosato della Grande Casa di Cilicia, ripreso dall’agenzia Fides, in cui viene specificato che i due Capi della Chiesa apostolica armena realizzeranno la loro visita “per portare il proprio sostegno alle forze armate armene e alla popolazione dell’Artsakh (nome armeno con cui si indica la stessa regione, ndr)”.

Il cessate il fuoco del 1993 violato da attacchi e scaramucce di confine
La questione delle tensioni etnico-politiche intorno al Nagorno-Karabakh è riesplosa al momento della dissoluzione dell’Unione Sovietica. In quella regione a maggioranza armena, nel settembre 1991 il soviet locale, utilizzando la legislazione sovietica dell’epoca, aveva dichiarato la nascita della nuova Repubblica, dopo che l’Azerbaigian aveva deciso di fuoriuscire dall’Urss. Seguirono un referendum e le elezioni, ma nel gennaio dell’anno seguente la reazione militare azera accese il conflitto che provocò 30mila morti e si concluse con un accordo di cessate il fuoco nel 1993, da allora continuamente violato da attacchi e scaramucce di confine.

Gli ultimi scontri hanno causato 75 morti
Gli scontri degli ultimi giorni tra le forze azere e quelle delle autorità separatiste armene sono i più gravi accaduti dalla metà degli anni Novanta, e hanno prodotto almeno 75 morti, con vittime anche civili, fino ad una tregua firmata martedì 5 aprile. Al riaccendersi delle tensioni non è estraneo lo scontro geo-politico che oppone Russia e Turchia (sostenitrice dell’Azerbaigian) negli scenari mediorientali.

La solidarietà con il Nagorno-Karabakh di Karekin II e Aram I
​Nei giorni scorsi, il Catholicos Karekin ha condannato “le operazioni aggressive e premeditate dell’Azerbaigian, lungo le frontiere del Nagorno-Karabakh nei confronti anche delle zone abitate da civili e da popolazioni pacifiche”, che “minano la stabilità della regione e annullano gli sforzi per comporre la diatriba della lotta”. Il 6 aprile anche il Catholicos Aram I ha espresso la sua solidarietà al popolo dell’Artsakh in una conversazione telefonica con Bako Sahkyan, Presidente della Repubblica del Nagorno Karabakh, Stato “de facto” non riconosciuto da alcun membro dell’Onu. (G.V.)

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Gli abitanti del Nagorno-Karabakh temono che la tregua non regga (Internazionale.it 07.04.16)

Elmira Bagiryan sta lasciando il villaggio, nell’epicentro degli scontri cominciati quattro giorni prima tra l’Azerbaigian e le truppe armene, anche se le ostilità sono cessate. “Temiamo che ricominceranno a sparare”, dice mentre si prepara a salire in una macchina carica di tappeti, cuscini, coperte e mobili di casa.

Durante i quattro giorni di combattimenti nel Nagorno-Karabakh, la regione a maggioranza armena che vuole l’indipendenza dall’Azerbaigian, il villaggio di Talysh è rapidamente finito sotto il controllo delle truppe azere. Gli scontri si sono interrotti il 5 aprile, di pomeriggio, dopo una tregua bilaterale.

La Russia, che ha organizzato un incontro tra i capi di stato maggiore delle forze armate azere e armene, rivendica un ruolo cruciale nella mediazione. Il presidente Vladimir Putin ha addirittura telefonato ai presidenti di Azerbaigian e Armenia per esortarli a firmare la tregua.

Quelli di questa settimana sono stati gli scontri più violenti dai tempi del conflitto dell’inizio degli anni novanta. La paura è che scoppi una nuova guerra in quella regione, strategica perché da lì passano gasdotti e oleodotti che riforniscono i mercati di tutto il mondo.

A Talysh, a pochi chilometri dalla città azera di Barda, all’estremo nord del territorio dei separatisti, mercoledì pomeriggio le armi tacevano. Le truppe armene, che hanno ripreso saldamente il controllo del villaggio, se ne andavano in giro sorridendo.

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Ma la violenza degli scontri dei giorni precedenti ha lasciato il segno. Molte case sono state distrutte dalle granate. Lungo la strada c’era lo scheletro di un’auto bruciata, mentre nelle vicinanze si contavano parecchie carcasse di mucca.

Secondo Bagiryan, una donna armena sui 60 anni con i capelli grigi, tre abitanti del villaggio sono stati uccisi. Sull’orlo delle lacrime, racconta di aver passato giorni e notti nello scantinato di una vicina per proteggersi dalle granate.

Quando martedì è stato raggiunto l’accordo è tornata la calma, ma Bagiryan ha deciso di andarsene ugualmente. Anche altri abitanti del villaggio hanno approfittato della tregua per partire. Hanno caricato le loro cose su auto e camion e si sono allontanati dalla prima linea.

Gli abitanti del villaggio per giorni sono sono riparati dalle granate
nei cortili interni dei palazzi

La guerra degli anni novanta tra le due ex repubbliche sovietiche ha provocato migliaia di morti da entrambe le parti e centinaia di migliaia di profughi. Il conflitto si è concluso con un armistizio nel 1994, ma sporadici scoppi di violenza non sono mai mancati. La tregua è stata infranta il 1 aprile, quando l’esercito azero e i separatisti del Nagorno-Karabakh spalleggiati dall’Armenia hanno ingaggiato un duro scontro a fuoco che ha coinvolto l’uso dell’artiglieria e di carri armati, lanciarazzi ed elicotteri. Almeno 64 persone sono rimaste uccise.

Dall’altra parte del fronte rispetto al villaggio di Talysh, in una zona controllata dalle autorità azere, mercoledì non si è combattuto. Ma anche lì c’erano i segni della distruzione. Secondo Amina Suleimanly, un’insegnante di 46 anni che vive ad Akhmetagaly, da sabato gli abitanti del villaggio avevano cominciato a nascondersi nei cortili interni per ripararsi dalle granate lanciate dalle trincee separatiste, scavate a pochi chilometri di distanza.

“Sparavano senza sosta”, ha detto a un giornalista della Reuters che ha visitato il villaggio. Una casa vicino alla sua è stata colpita ed è stata distrutta, anche se era disabitata. Secondo Amina, un uomo del posto è stato ucciso da un colpo di artiglieria.

(Traduzione di Alberto Frigo)

Nagorno Karabakh: il conflitto dimenticato che nessuno vuole far finire. Intervista a Simone Zoppellaro. (Radioradicale 07.04.16)

Il Nagorno Karabakh è una piccola regione di 150mila abitanti da quasi trent’anni al centro di un conflitto tra Armenia e Azerbaijan (sostenuti rispettivamente da Russia e Turchia) scoppiato prima ancora del crollo dell’Urss.

Dopo il cessate il fuoco del 1994, e dopo 30mila morti e un milione tra sfollati e profughi, la guerra aperta ha lasciato il posto ad un conflitto a bassa intensità che ha continuato a provocare vittime e distruzioni.

Quello di questi giorni è l’ennesimo riaccendersi di un conflitto che più che “congelato”, come viene ripetuto troppo spesso, è “dimenticato”, che nessuno, per interessi politici, economici e di potere, ha veramente intenzione di far finire e che rischia di degenerare con conseguenze molto gravi non solo per il Caucaso, ma per tutta l’Europa.

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Ancora venti di guerra nel Nagorno Karabakh [di Ani Manuokyan] (Sardegnasoprattutto.com 07.04.16)

E’ una storia antica quella del Nagorno Karabakh, in armeno Artsakh, territorio nella zona nord-orientale dell’altopiano armeno. Decima provincia dell’Armenia storica fin da tempi antichi,  sviluppatasi dal 189 a.C al 387 d.C. Intorno al 1000 fu proclamato Regno di Artsakh, uno degli ultimi regni medioevali armeni orientali autonomo dopo le invasioni turche. Solo a metà del 18° secolo le tribù nomadi turche iniziarono a penetrare i confini settentrionali del Karabakh, dando vita a decenni di guerre sanguinose.  Ragione per cui i  “Melik” governatori del Karabakh, accettarono la protezione degli Zar russi  Nel 1805 il territorio storico dell’Artsakh  fu  annesso all’impero russo.

A seguito del suo crollo il Nagorno Karabakh divenne teatro di scontri continui fra la Repubblica Indipendente di Armenia e la neonata Repubblica Democratica di Azerbaijan, che rivendicava il possesso di territori da sempre armeni nell’area transcaucasica. Gli azeri ebbero l’appoggio dei turchi, già autori del genocidio armeno, e furono compiuti massacri  a Baku e in altre località abitate da armeni. Fu poi una risoluzione della Società delle Nazioni ad attribuire al Nagorno Karabakh lo status di territorio conteso, accettato dalle parti in causa.  Nel 1921 l’Armenia dichiarò il Nagorno Karabakh sua parte inseparabile e l’Assemblea della Società delle Nazioni ne ratificò l’adesione con una risoluzione.

La  geopolitica russa accolse in seguito le istanze dell’ Azerbaijan, disconoscendo l’unificazione del Nagorno Karabakh con l’Armenia e  accettando nel 1923 l’istituzione di una regione autonoma solo in una parte ridotta del territorio. Le altre sono state assimilate alle regioni amministrative dell’Azerbaijan Sovietico.

La questione del Karabakh non è mai stata davvero risolta, restando congelata per decenni. La maggioranza armena del Nagorno Karabakh ha presentato negli anni innumerevoli istanze alle autorità centrali di Mosca, non cessando mai la lotta per essere liberata dall’ Azerbaijan.  E’ stato  solo a seguito del crollo dell’Unione Sovietica che gli  armeni del Nagorno-Karabakh votarono per l’indipendenza,  nel dicembre 1991. Da allora il Nagorno-Karabakh si definisce uno stato indipendente,  pur non essendo riconosciuto a livello internazionale. Non sono mai cessati però gli scontri tra azeri e armeni per il controllo dell’area e ammontano a diverse decine di migliaia i morti  di ambo le parti in conflitto nell’alternanza di scontri e tregue.

Le incursioni nei giorni scorsi dell’Azerbaijan contro il Nagorno Karabakh confermano che il conflitto è in atto, insieme alle violazioni del “cessate-il-fuoco” messe in atto, nel corso degli anni, con frequenza crescente dagli azeri a fronte dell’impegno delle Organizzazioni Internazionali nel processo di pace condiviso. Non si è trattato di un incidente di frontiera  o di un atto di provocazione ma di azioni di violenza inaudita.

Dopo le incursioni militari un gruppo di azeri ha fatto irruzione nel villaggio armeno di Talish uccidendo una coppia di anziani, tagliandogli poi le orecchie. Altri hanno decapitato un soldato armeno ventenne, la cui testa è stata esibita nei social dai soldati azeri. Nulla da invidiare alla truculenza dell’ISIS! Le incursioni sono ad ampio spettro e c’è stato il ricorso alle armi pesanti, specialmente ai missili TR-107 di produzione turca.

Il Nagorno Karabakh combatte su quattro diversi fronti: militare, diplomatico, economico, informativo. Il popolo armeno, sia quello del Nagorno, dell’Armenia o della diaspora,  è pronto a combattere in prima linea per difendere i territori della Madre Armenia. I militari armeni sono addestrati e motivati ma la debolezza consiste nel non avere, nello scacchiere internazionale,  un peso economico e diplomatico equivalente a quello dell’Azerbaijan, forte delle sue risorse petrolifere e del sostegno della Turchia.

La guerra è durata 4 giorni, adesso  c’é la tregua col cessate il fuoco. E’ apparso chiaro a molti osservatori internazionali il tentativo di parte azera di destabilizzare il processo di pace. Se confermate assumono una inquietante gravità  le dichiarazioni del portavoce presidenziale Davit Babayan che ha affermato: “Ci sono motivi per affermare che anche i mercenari dello Stato Islamico e di altre organizzazioni terroristiche hanno partecipato alle azioni aggressive che l’Azerbaigian ha scatenato contro il Nagorno Karabakh.”.

Altri osservatori si chiedono se l’attacco azero, senza precedenti per dimensione e intensità, con la  consapevolezza della capacità di risposta militare dell’Armenia, non sia riconducibile ad un più ampio scenario geopolitico che vedrebbe ancora una volta il confronto fra tra USA e  Russia  con lo spettro del ritorno ad una nuova “guerra fredda”. Altri ancora considerano l’ Azerbaijan un paese ricco per via del petrolio ma corrotto, con un presidente-dittatore al governo. Le paghe dei lavoratori però sono più basse che in Karabakh. Per distrarre la popolazione azera dai tanti problemi interni le autorità del paese avrebbero intensificato le tensioni col Karabakh e l’Armenia. L’ultima escalation, rilevano, ha coinciso con la pubblicazione dei “Panama Papers” che riportano gli estremi di miliardi di dollari riciclati, collegati al clan del presidente azero Ilham Aliyev.

Con questi presupposti sarebbero ancora una volta gli armeni a pagare il prezzo più alto, con la popolazione del Nagorno Karabakh costretta a vivere fra continue guerre e tregue, e  l’Armenia al centro dei complicati rapporti fra Russia e Occidente, in balia di eventi che non ha contribuito a determinare, impegnata ad assicurare un futuro di pace alla sua popolazione.

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La tensione tra Turchia e Russia riaccende gli scontri nel Caucaso (Eastonline 07.04.16)

Una fiammata, e subito una tregua. Ma la paura, quella resta alta, perché nella regione del Nagorno-Karabakh – enclave armena (cristiana e filo-russa) all’interno dell’Azerbaijan (musulmano e filo-turco, anche se in buoni rapporti con Mosca) – la conflittualità congelata da ventidue anni di stallo è pronta a deflagrare da un momento all’altro. Specialmente se qualcuno, anche in maniera occulta, si mette a soffiare sul fuoco.


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Storicamente l’inclusione del Nagorno-Karabakh all’interno dell’Azerbaijan è imputabile a una pensata – contestata, ma inutilmente – di Stalin negli anni ’20 del secolo scorso. Sessant’anni di pax sovietica hanno tenuto sotto il tacco di Mosca le pretese e le aspirazioni dei popoli caucasici ma, nel 1988, quando l’Urss iniziava a sgretolarsi dall’interno, le violenze nella regione sono esplose, causando oltre 30 mila morti e un milione di sfollati. All’iniziale pulizia etnica di ambo le parti seguirono le dichiarazioni di indipendenza, dell’Azerbaijan nel 1991 e del Nagorno-Karabakh nel 1992. Baku tentò di riconquistare con la forza il territorio perduto ma emerse sconfitto dallo scontro con l’Armenia. Le armi furono messe a tacere nel 1994, grazie allo sforzo della comunità internazionale, con gli Accordi di Pace di Bishkek. Il Nagorno-Karabakh è de facto una repubblica autonoma, anche se non riconosciuta dalla comunità internazionale. Da allora rivendica il proprio diritto all’autodeterminazione (anche se lo status quo di fatto già la favorisce). Da allora l’Azerbaijan lamenta la mutilazione del proprio territorio, potendo in questo contare sul supporto di Ankara (che pone il ritiro dalla regione come precondizione per stabilire relazioni diplomatiche l’Armenia). Sulla delicata situazione è incaricato di vigilare, e di cercare di mediare un accordo, il Gruppo di Minsk, organo istituito dall’OSCE nel 1992 e guidato dalla co-presidenza di Russia, Francia e Stati Uniti. Finora non sono stati ottenuti risultati significativi. Anzi, periodicamente le violenze si riaccendono, anche se mai come in questi ultimi giorni, con decine di caduti da ambo i lati nei pesanti scontri avvenuti dal 1 al 5 aprile

Uno degli elementi più preoccupanti è la corsa al riarmo, speculare nei due Paesi, che ha caratterizzato l’ultimo decennio e sottratto risorse ad altre possibili voci di investimento (come sviluppo economico, sanità o istruzione). “Sostenuto dall’abbondanza di petrolio e gas, l’Azerbaigian ha aumentato la sua spesa militare più di venti volte tra il 2004 e il 2014”, spiega Magdalena Grono, direttrice del programma Europa e Centro Asia per l’International Crisis Group. “Il presidente azero IlhamAliyev si è vantato che la spesa per la Difesa nel 2014è stata due volte l’intero bilancio statale dell’Armenia”. In questa escalation il Cremlino ha ingrassato di materiale bellico entrambi i contendenti.“L’Azerbaijan ha comprato la maggior parte delle armi dalla Russia, con cui storicamente mantiene buoni rapporti”, prosegue Grono. “L’Armenia, tradizionale alleato della Russia, ha cercato di tenere il passo (rifornendosi sempre da Mosca, che in cambio ha ottenuto il controllo su importanti infrastrutture energetiche e la possibilità di posizionare due basi militari strategiche nel Paese ndr.), pur essendo economicamente indebolita dalla mancanza di sviluppo economico e dalle frontiere chiuse con la Turchia e l’Azerbaigian. In ogni caso le forze di etnia armena hanno mantenuto il controllo delle alture strategiche nei dintorni del Nagorno-Karabakh, il che gli dà un forte vantaggio tattico e ha reso lo sbilanciamento complessivo in termini di armamenti meno”.

Considerata questa situazione di stallo armato, in cui sia Armenia che Azerbaijan sono fortemente dipendenti dalla stessa super-potenza – la Russia -, la domanda che ha preso a circolare in ambienti diplomatici dopo l’esplosione delle violenze di inizio aprile è perché la polveriera del Nagorno-Karabakh ha ripreso a sprigionare pericolose scintille. Da un punto di vista razionale, l’Azerbaijan non può sperare di soggiogare militarmente la regione su cui ha perso il controllo senza affrontare una lunga e dispendiosa guerra. In un momento in cui il greggio è ai minimi storici, e in cui la Russia – dovendo scegliere – appoggerebbe l’Armenia cristiana contro l’Azerbaijan turcomanno (e sostenuto politicamente da Ankara, che parla apertamente di “un popolo, due Stati”), la guerra aperta non sembra una scelta sensata. L’Armenia dal canto suo ha tutto l’interesse al mantenimento dello status quo, che la vede in situazione di vantaggio. Ancora lo scorso 21 marzo Olena Melkonian, esperta di Caucaso del Centro Studi Internazionali, scriveva: “Ad oggi, è molto più plausibile la continuazione di una politica volta al mantenimento dello status quo, poiché un ulteriore escalation della violenza porterebbe ad un disastro degli equilibri geopolitici dell’area”. E quindi, cui prodest?

Una tesi che circola in ambito Nato è che dietro la recente fiammata di violenze (e nel suo immediato spegnimento) ci sia una manovra del Cremlino che, palesando in questo modo la propria assoluta centralità in qualsiasi dinamica nell’area, mira ad allontanare Baku da Ankara. Putin otterrebbe così un duplice risultato: isolare ancor di più Erdogan – con cui ha ingaggiato un duro scontro, da quando le agende dei rispettivi Paesi sono entrate in conflitto nello scenario siriano –, allontanandolo da un Paese che è fondamentale per l’approvvigionamento energetico della Turchia (e con cui condivide legami etnici, politici e religiosi); e acquisire un alleato prezioso – l’Azerbaijan, a cui la Russia potrebbe concedere qualcosa a livello geopolitico, penalizzando un’Armenia che ha poco da offrire da un lato e una quasi totale dipendenza da Mosca dall’altro – in vista di una possibile futura competizione ancor più serrata con Ankara. Il tutto in un momento in cui la Turchia ha poche chance di reagire, considerato l’impegno sul fronte siriano, su quello dei profughi e sulla guerra interna contro il Pkk curdo. Una seconda tesi sostiene invece che ci sia lo zampino proprio della Turchia dietro la recente condotta aggressiva dell’Azerbaijan. Erdogan starebbe mirando a destabilizzare il Caucaso, costringendo Mosca alla trattativa. In questo caso Ankara avrebbe una merce di scambio importante con la Russia da poter spendere anche nella partita sulla Siria.

In entrambi i casi gli osservatori occidentali esprimono una grande preoccupazione. Nel Caucaso sono mescolate popolazioni cristiane e musulmane, slave, iraniche, armene e turcomanne. Un’eventuale esplosione di violenza settaria in una regione anche piccola rischierebbe di scatenare una reazione a catena che potrebbe destabilizzare diversi Paesi. A quel punto il caos, tracimato dal Medio Oriente ai confini meridionali dell’ex Unione Sovietica, esploderebbe e le sue schegge impazzite (potenzialmente affascinate da un’affiliazione col jihadismo internazionale) potrebbero arrivare anche in Occidente.

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L’Azerbaigian rompe la tregua in Nagorno Karabakh: uccisi tre soldati armeni in meno di 24 ore (Spondasud 07.04.16)

Il cessate il fuoco sancito martedì scorso tra azeri e armeni in Nagorno-Karabakh, regione contesa del sud Caucaso, è stato violato dall’esercito di Baku. Dopo l’uccisione di due soldati armeni nella regione di Karvachar (Suren Aramyan e Grigor Avetisyan), nella notte un altro armeno (Armen Gasparyan)  è rimasto vittima del fuoco azero vicino al villaggio di Talish, non lontano dal luogo del massacro della famiglia Khalapyan. Anche il ministero della difesa della Repubblica del Nagorno-Karabakh ha denunciato numerose violazioni da parte dell’esercito dell’Azerbaigian.

La comunità internazionale preme per il rispetto dei patti, cercando di mantenere una posizioni equidistante e non ha ancora condannato in modo fermo i crimini commessi dai militari azeri, ampiamente documentati dai vari organi di stampa armeni e internazionali. La tregua potrebbe essere garantita con l’arrivo degli osservatori dell’OCSE, che nel 1992 ha dato vita al cosiddetto Gruppo di Minsk, una struttura di lavoro creata allo scopo di incoraggiare una soluzione pacifica e negoziata dopo la guerra del Nagorno-Karabakh.

Gli osservatori dell’OCSE – come ha ricordato di recente Marco Di Liddo, analista del Centro studi internazionali – sono però poco graditi dall’Azerbaigian perché sostiene che il gruppo di Minsk sia eccessivamente pro-armeno, “in quanto i Paesi che lo co-presiedono – cioè Russa, Francia e Stati Uniti – hanno al loro interno delle grandi diaspore armene, che quindi permettono loro di fare lobby politica”.

Il presidente armeno Sargsyan continua a rivendicare il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione del Nagorno Karabakh, sostenuto dalla Russia. Le autorità di Erevan parlano di attacchi contro la popolazione civile e mostrano le prove dei crimini commessi dalle truppe azere.Le uccisioni, eseguite dalle truppe dell’Azerbaijan sono infatti una grave violazione del diritto internazionale e della Convenzione di Ginevra sul trattamento dei civili in zone di guerra.

Le modalità crudeli con cui sono avvenute spingono a dare credito alle allarmanti notizie riguardanti l’arrivo in Azerbaijan di combattenti azeri dell’Isis, fuggiti dalla Siria via Turchia. “Gli azeri” secondo un’analista occidentale che ha scelto l’anonimato “non hanno fatto differenza tra soldati e civili”.

La Turchia di Erdogan soffia sul conflitto, anche in posizione anti russa, sostenendo in pieno la rivendicazione azera di rientrare in possesso di una regione che considera il proprio territorio. L’Armenia – pur non riconoscendo ufficialmente il Nagorno-Karabakh per ragioni di buon senso diplomatico – spinge affinché il Nagorno-Karabakh possa ricongiungersi con la madre patria e non accetta la sua autonomia all’interno dell’Azerbaigian perché la popolazione cristiana e armena finirebbe per essere perseguitata.

Il presidente azero continua a parlare di provocazione da parte degli armeni, mentre il nuovo ambasciatore azero in Italia, Mammad Ahmadzada, ha chiesto alle autorità del nostro paese di esprimere “una dura condanna all’Armenia per la sua aggressione continua contro l’Azerbaigian, spingendola a compiere quanto richiesto dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu”.

Una posizione che stride con la realtà dei fatti. L’Azerbaigian in questi ultimi anni, dopo la sconfitta con l’Armenia nel 1994, ha ricostituito completamente l’apparato militare  non certo in funzione difensiva. Si pensi che il 3.8% del suo PIL nel 2014 è stato destinato proprio a rinforzare il suo arsenale. La questione del Nagorno Karabakh è quindi qualcosa di più di una semplice guerra: dietro il conflitto si cela infatti il senso di rivalsa e vendetta che da anni cova all’interno dell’élite di potere di Baku.

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La Russia riduce il prezzo del gas all’Armenia a 150 $ per mille metri cubi (Spuntniknews 07.04.16)

Finora il prezzo del gas era di 165 dollari per mille metri cubi. Pertanto la riduzione del costo del gas per l’Armenia è pari al 9%.

La Russia ha ridotto il prezzo del gas naturale che fornisce in Armenia fino a 150 dollari per mille metri cubi, ha riferito il primo ministro armeno Hovik Abrahamyan dopo un incontro con il premier russo Dmitry Medvedev.

“Prima il costo del gas era di 165 $, ora si è ridotto a 150 $. I negoziati continuano. Si sta discutendo se la riduzione del costo si sentirà fino al consumatore finale”, — ha detto Abrahamyan. La riduzione del prezzo del gas che la Russia offre all’Armenia è pari al 9%.

A gennaio le autorità armene si erano rivolte alla Federazione Russa con la richiesta di ridurre il prezzo del gas. In precedenza, in base al protocollo russo-armeno sottoscritto il 7 settembre 2015, il prezzo base del gas fornito al Paese caucasico era sceso da 189 dollari a 165 dollari per mille metri cubi. Tuttavia la riduzione non si era sentita tra i consumatori finali: la popolazione continua a pagare la compagnia “Gazprom Armenia” più di 320 dollari per mille metri cubi di gas, mentre le imprese pagano 272 dollari.

Il monopolio per la fornitura e la distribuzione di gas proveniente dalla Russia in Armenia attraverso la Georgia è detenuto dalla compagnia “Gazprom Armenia” (posseduta al 100% da “Gazprom”). Nel dicembre 2013, “Gazprom” e “Gazprom Armenia” avevano firmato un contratto a decorrere dal 2014 fino al 2018, in base al quale la holding russa deve annualmente fornire in Armenia 2,5 miliardi di metri cubi di gas.

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Kim Kardashian può fermare la guerra tra armeni e azeri? (Il Foglio 07.04.16)

Un tweet della moglie di Kenye West scatena una mezza crisi diplomatica tra Stati Uniti e Azerbaijan. Il messaggio di solidarietà all’Armenia (che contende la regione di Nagorno-Karabakh allo stato confinante) e quel momento che cambia la vita di una celebrità: quando alla qualifica della professione si aggiunge “attivista”.

di Manuel Peruzzo

Kim Kardashian

Forse il battito d’ali d’una farfalla a Los Angeles non provoca un uragano in Azerbaijan, ma di sicuro il cinguettio di Kim Kardashian su Twitter ha conseguenze diplomatiche tra Stati Uniti e l’ambasciatore azero a Washington. Ne abbiamo avuto certezza quando la moglie di Kenye West ha twittato ai suoi 66 milioni di follower su Instagram e ai 43 milioni su Twitter (la popolazione totale dell’Azerbaijan è di 9.417 milioni), un messaggio di solidarietà nei confronti dell’Armenia, che è attualmente in guerra con lo stato confinante, l’Azerbaijan, con cui si contende la regione di Nagorno-Karabakh. di Kim Kardashian a favore dell’Armenia

“È molto famosa e amata, ma questioni di guerra e pace sono un po’ troppo serie per una star di un reality show”, ha detto l’ambasciatore azero Elin Suleymanov. Piccolo dettaglio: Kardashian è armena. In un articolo per il Time (sì, Kardashian ha scritto per il Time quindi non facciamo troppo gli schizzinosi) raccontò della promessa fatta al nonno, emigrato negli Stati Uniti per sfuggire al genocidio armeno (mai ammesso ufficialmente dal governo turco): qualsiasi persona sarebbe lei diventata, non avrebbe dovuto mai cambiare quel cognome.

ARTICOLI CORRELATI Dunham e Kardashian, le due declinazioni del femminismo che fa fare soldi I nudi di Kim Kardashian e la femminista francese che mette gli animali prima delle donne D’accordo, oggi quel cognome è riconoscibile per tutto fuorché per il genocidio armeno, ma se hai una storia famigliare di quel genere è uno spreco non usarla per migliorare la tua immagine. Una celebrità senza causa è come una gattara senza gatti: incompleta. Brigitte Bardot si è ritirata nel 1974 e si è dedicata a tempo pieno ai diritti degli animali, appunto. Su looktothestars.org si può scorrere la lista: Sting (33 cause, 43 charities), Bono (30 cause, 40 Charities). Angelina Jolie (26 cause, 29 charities) ha detto a Forbes di aver smesso di combattere se stessa e di aver iniziato a combattere per qualcosa di più importante.

C’è un passaggio fondamentale nella vita di una celebrità che è il momento in cui alla professione si aggiunge “attivista”. Se sei solo un attore non stai facendo nulla di buono per nessuno, se sei attore-attivista significa che hai raggiunto lo status impegnato. A quel punto ti si chiederà un’opinione su qualsiasi cosa: politica nazionale, estera, imperialismo, ingegneria nucleare, riforme energetiche. L’argomento critico a questo punto diventa: “Ma chissenefrega dell’opinione di George Clooney sul Darfur, o di Hillary Clinton criticata da un’analista politica improvvisata quale Susan Sarandon, o di Bjork che parla di referendum energetico in Islanda”, e così via.

La responsabilità è anche della politica. Se per diventare presidente degli Stati Uniti spasimi per un selfie con Kardashian-West o per un intervento in cui Eva Longoria arringa gli immigrati messicani, non puoi chiedere alle celebrità di tacere fuori campagna elettorale. Ognuno ha convenienza in questo accordo tra brand: i politici nell’acquisire prestigio e coolness (tutti tranne Obama e Trump: il primo si è trasformato da politico a celebrità naturalmente cool, il secondo da celebrità a politico marcatamente uncool), e le celebrità cercano l’impegno per invecchiare riparate. Non ha tutti i torti chi critica la svalutazione dell’expertise e la riduzione dell’intelligenza nel discorso pubblico. Finiremo a far scrivere editoriali sul Finacial Times a Cristiano Ronaldo?

L’alternativa non può essere “parli solo chi è titolato”. Se a sostenerlo fosse stato Mark Zuckerberg, Facebook oggi sarebbe una mailing list. Il punto è che se a parlare di guerra nel Caucaso è Kardashian c’è il rischio che interessi a qualcuno. Forse un selfie non salverà il mondo ma avrà più risonanza di qualsiasi comunicato stampa che finisce a pagina cento nelle notizie estere. E lo dimostra una verità incontrovertibile: la parola più googlata nel 2015 in Armenia, Turchia e Azerbaijan non c’entra nulla con le diatribe geopolitiche, o forse un po’ sì: è “Kim Kardashian”. Datele un ruolo diplomatico e farà finire ogni guerra dichiarando un unico stato indipendente. Kardashianistan non suona male.

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Spettacolo: da Roma in tournée Tatul Altunyan Ensemble (La Folla.it 06.04.16)

Il più rinomato gruppo di danza e musica armena, Tatul Altunyan Ensemble, sarà per la prima volta in Italia ad aprile per un tour, che vedrà 46 ballerini professionisti, cantori e musicisti con strumenti tradizionali Armeni, impegnati in numerose località italiane. Il tour partirà dalla Capitale con una serata imperdibile il 14 Aprile alle ore 21,00 presso il Teatro Orione.

Fondato nel 1938 da Altunyan, l’Ensemble vanta una lunga storia ricca di successi e consensi ed è tra le più alte espressioni dell’arte coreografica e musicale armena grazie a performance corali di altissimo livello che trasportano lo spettatore all’interno dell’arte e della cultura del popolo dell’Arca.

Quasi ottant’anni di produzione artistica, hanno reso questo straordinario gruppo, testimone dell’eredità culturale armena con l’uso di strumenti tipici, la lirica tradizionale e la riproposizione di spettacolari e suggestive coreografie che trascinano e seducono il pubblico.

Dopo numerosi concerti in Francia, Inghilterra, Austria, Svizzera, Belgio, Germania, Portogallo, Australia, Russia, Libano e tanti altri paesi, il “Tatul Altunyan Ensemble” arriva finalmente anche in Italia. Il tour è organizzato nell’ambito delle manifestazioni commemorative del Genocidio Armeno. (Proprio in occasione del centunesimo anniversario del Genocidio Armeno, il Tatul Altunyan Ensemble parteciperà anche alla manifestazione organizzata il 24 Aprile in Piazza Della Rotonda -Pantheon). Le tappe successive della tournée toccheranno Firenze (15 Aprile, ore 21,00 Teatro Puccini) Gubbio (17 Aprile, ore 21,00 Teatro Comunale), Bologna (18 Aprile, ore 21,00 Teatro Duse), Padova (20 Aprile, ore 21,00 Teatro ai Colli), Milano (21 Aprile, ore 21,00 Teatro Sala Fontana).

STORIA TATUL ALTUNYAN Il gruppo folkloristico armeno Tatul Altunyan vanta una lunga e ricca storia. Negli anni ha ottenuto grandi successi in patria, grazie alle maestria del gruppo dei suoi musicisti e ballerini, portando le canzoni e i balli nazionali Armeni in giro per tutta la madre patria e non solo. L’Ensemble, infatti, ha rappresentato la cultura nazionale armena in molti paesi del mondo e ha, senza dubbio, soddisfatto non solo gli Armeni della diaspora, ma anche gli stranieri, grazie alle appassionanti tradizioni nazionali e alle loro storie di eroismo, coraggio e prontezza a lottare per difendere la terra armena. Le danze si distinguono per la loro rappresentazione e per l’eleganza nel riportare l’ identità nazionale armena attraverso i significativi movimenti del corpo. Le canzoni armene sono di diversa natura: liriche, leggere e melodiche e allo stesso tempo, eroiche e grandiose. Durante gli ottant’anni di vita del gruppo, la direzione artistica è stata curata da eminenti figure del mondo culturale armeno, che si sono impegnate a favore della continua innovazione e del continuo il miglioramento dell’ Ensemble, sempre mantenendo intatto il patrimonio culturale Altunyan e le caratteristiche nazionali dell’Ensemble.

TOURNÉE TATUL ALTUNYAN ENESEMBLE: ROMA (14 Aprile, ore 21,00) – Teatro Orione (via Tortona, 3) FIRENZE (15 Aprile, ore 21,00) – Teatro Puccini (via delle Cascine, 21), GUBBIO (17 Aprile, ore 21,00) – Teatro Comunale (via del popolo, 7) BOLOGNA (18 Aprile, ore 21,00) – Teatro Duse (via Cartoleria, 42) PADOVA (20 Aprile, ore 21,00) – Teatro ai colli (via Monte Lozzo, 16) MILANO (21 Aprile, ore 21,00) – Teatro Sala Fontana Teatro Orione (via Tortona, 3) – ore 21,00 Costo del biglietto: € 20,00 Organizzatore Kevork G. Orfalian keran.srl@hotmail.it