Siria, ancora sangue a Deir Ezzor: il teritorio maledetto, l’Auschwitz degli armeni (IlGazzettino 17.01.16)

La nuova, terribile, strage dei terroristi del sedicente Stato islamico a Deir Ezzor è avvenuta in una delle aree più insanguinate di tutto il Medio Oriente. Deir Ezzor, un tempo un luogo di passaggio per le carovane viene considerata l’Auschwitz degli armeni.

Un tempo era territorio dell’impero ottomano, oggi è territorio siriano. Negli anni 1915-1918 in quei luoghi desertici si è consumato il piano di sterminio del popolo armeno pianificato da Costantinopoli: le famigerate marce della morte dei deportati armeni che costarono la vita a 1 milione e mezzo di persone, partivano dalla Turchia per finire nel deserto mesopotamico, proprio nei pressi di Deir Ezzor dove erano presenti diversi campi di concentramento.

I miliziani islamici, due anni fa, nel silenzio pressoché unanime della comunità internazionale (e della Turchia soprattutto), hanno intenzionalmente raso al suolo la chiesa armena dei Martiri, un santuario sacro, particolarmente importante poiché includeva al suo interno un monumento commemorativo del genocidio e un mausoleo con i resti delle vittime delle atrocità ottomane.A Deir Ezzor, solo nel 1916, morirono 200 mila armeni. Continua

ARMENIA: Che succede dopo Voch? La democrazia armena all’indomani delle proteste (Eastjournal 15.01.16)

Michael, 21 anni, studente di economia all’università statale di Yerevan. Ha preso parte alla protesta di Voch come indipendente. Una delle facce di un’Armenia giovane e risoluta che chiede democratizzazione reale.

Cos’è stato Voch?

Voch (“no” in armeno) è stata la campagna contro le modifiche costituzionali proposte nel referendum del 6 dicembre scorso, ritenendo che queste modifiche fossero un tentativo del presidente Serj Sargsyan di mantenere il potere. È stato lanciato da due partiti principali, Eredità e Congresso Nazionale Armeno, e da partiti minori, movimenti e membri della società civile. Un’altro gruppo parlamentare, Ruolo della legge, si è dichiarata contro le riforme, ma senza unirsi ufficialmente alla campagna.

Oltre che dal partito di governo, il Partito Repubblicano, il fronte del “Sì” era composto da due partiti nominalmente all’opposizione, Federazione Armena Rivoluzionaria e Armenia Prospera.

Infine, il Partito del Patto Civile, pur definendo il referendum una finta priorità ha votato contro le riforme e alcuni suoi membri hanno aderito attivamente a Voch.

Come valuti il risultato del referendum?

Secondo i dati ufficiali, più del 63% dei votanti è stato a favore delle riforme: la nuova costituzione verrà adottata. Tuttavia, molti osservatori internazionali hanno notato irregolarità nelle procedure di voto, definendo “illegittimo” il referendum. Sono state riportate numerose violazioni, incluse intimidazioni agli elettori, protocolli falsificati e inserimenti di schede pre-compilate nelle urne elettorali. Addirittura sono state pubblicate foto che mostravano inequivocabilmente le stesse persone votare due volte in abiti diversi. Continua

Il caso serissimo del Dialogo Ebraico Cristiano (Tempi 14.01.16)

A giorni papa Francesco si recherà in visita alla Sinagoga di Roma. L’evento si preannunzia rilevante, anche in relazione al successo mediatico che, in modo inedito, accompagna detti, gesti e azioni di questo pontificato.

Per comprendere il Dialogo ebraico-cristiano, il significato della visita papale, le attese che vi sono da parte ebraica e da parte cristiana, gli scenari che tale avvenimento potrà aprire, occorrerebbe forse offrire una disamina dei molti documenti e pronunciamenti – alcuni recentissimi – circa il positivo re-incontro tra ebrei e cristiani, partendo dalla Dichiarazione Conciliare Nostra Aetate, testo che ha impresso una svolta e una cesura netta con un passato negativo plurisecolare.

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come è avvenuto nel caso di molti cristiani armeni all’epoca del Genocidio, salvati da numerosi ebrei. Circa il cristianesimo armeno, occorre che il Dialogo tra ebrei e cristiani si alimenti della sua storia e della sua tradizione vivente, poiché è l’unica Chiesa che ha una sua precisa caratteristica identitaria linguistico-nazionale imprescindibile e irrinunciabile e che ha esperito sorti analoghe, per certi versi, al Popolo Ebraico: la diaspora e l’esperienza di minoranza assoluta, la dhimmitudine sotto l’Islàm, il genocidio, il ritorno nella terra dei propri padri, l’essere sopravvissuta a una lunga e dolorosa storia, l’aver prodotto una autonoma cultura – e specificatamente una cultura credente – in osmosi creativa con altre culture, il rapporto, infine, tra diaspora e ritrovata sovranità nazionale.

Azerbaijan, la lista nera (Osservatorio Balcani e Caucaso 14.01.16)

La pubblicazione in Italia di una lista di giornalisti cui è vietato l’ingresso in Azerbaijan riporta in primo piano la grave situazione dello stato della libertà di espressione nel paese caucasico

L’ambasciata azera in Italia ha da poco pubblicato un elenco di personae non gratae, cittadini italiani cui è vietato l’ingresso nel territorio della Repubblica dell’Azerbaijan. Nella lista ci sono nomi di spicco della cultura e del giornalismo italiano, da Antonia Arslan a Milena Gabanelli, scrittori e artisti. Nell’elenco c’è anche il corrispondente di Osservatorio Balcani e Caucaso da Yerevan, Simone Zoppellaro, reo di essersi recato in Nagorno Karabakh per svolgere il suo lavoro di reporter con il collega de La Stampa Roberto Travan.

La lista rappresenta un attacco diretto alla libertà di stampa, restringendo la possibilità di movimento degli intellettuali e dei giornalisti coinvolti, e in quanto tale è stata immediatamente segnalata al Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, Nils Muižnieks, e alla Rappresentante OSCE per la Libertà dei Media, Dunja Mijatović.

Le persone incluse nella lista, secondo le motivazioni addotte dalle autorità azere, avrebbero violato le leggi dell’Azerbaijan essendosi recate illegalmente nella regione contesa del Nagorno Karabakh, la repubblica de facto che secondo il diritto internazionale fa parte del territorio azero. Non è tuttavia possibile recarsi in Nagorno Karabakh se non attraverso l’Armenia, dunque quello che viene colpito dalle autorità azere è il diritto/dovere dei giornalisti di informare dalla e sulla regione. Alcuni dei nominativi delle persone messe all’indice, inoltre, sono più noti per aver denunciato violazioni dei diritti umani in Azerbaijan, o per aver mostrato sostegno alla causa del riconoscimento del genocidio armeno, che per essersi recati in Nagorno Karabakh, tanto da far apparire pretestuose le stesse motivazioni addotte per compilare la lista di proscrizione.

Poco dopo essere stato inserito nella lista nera dell’Ambasciata azera, il nostro corrispondente è stato oggetto di due articoli della stampa azera, il nove e il ventidue dicembre che lo descrivono come “pseudo giornalista” e chiedono di bandirlo a vita dal paese. Martedì scorso un altro articolo dello stesso tenore sui media azeri.

L’Azerbaijan si trova al numero 162 (su 180) della lista annuale compilata da Reporter senza Frontiere sulla libertà di espressione nel mondo. I casi di Leyla e Arif Yunus, di Emin Huseynov, e di Khadija Ismayilova sono solo i più noti in una lunga teoria di persecuzioni dei media indipendenti.

Secondo il più recente rapporto di Freedom House, Freedom on the Net (2015), l’Azerbaijan è un paese solo “parzialmente libero”, dove giornalisti, attivisti per i diritti umani e rappresentanti di partiti di opposizione vengono arrestati in un contesto di “crescente intimidazione”.

Questo clima di intimidazione è inaccettabile, gli attacchi diretti contro i giornalisti azeri, italiani o di altri paesi, devono cessare. La lista pubblicata dall’ambasciata azera non fa che riportare alla luce l’allarmante situazione della libertà di espressione in Azerbaijan che, secondo RSF, è la “più grande prigione in Europa per gli operatori dell’informazione” per numero di giornalisti e blogger imprigionati.

Resource Centre

E’ online il Resource Centre sulla Libertà dei Media. Sviluppato da OBC e da European Centre for Press and Media Freedom (ECPMF) è uno strumento che favorisce la diffusione e la fruizione di contenuti rilevanti sulla libertà di stampa in Europa

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Caucaso: in mezzo alla crisi tra Russia e Turchia (Rivistaeuropae.eu 13.01.16)

L’abbattimento, qualche settimana fa, del bombardiere russo Su24 ha scatenato una grave crisi diplomatica tra Mosca e Ankara. I rapporti bilaterali sembrano compromessi nel lungo termine e la crisi avrà effetti anche su altre regioni, a partire dal Caucaso, che divide fisicamente i due Paesi.

Una crisi già in atto

Già prima di questa crisi la situazione era molto difficile. Negli ultimi due anni la tensione ha raggiunto livelli allarmanti in particolare in due punti: l’Ossetia Meridionale e il Nagorno Karabakh. Il cosiddetto confine amministrativo che separa l’Ossetia Meridionale dal resto della Georgia è gestito dalle forze armate russe, che regolarmente lo spostano verso Sud, arrivando quest’estate ad annettere un tratto del oleodotto Baku-Supsa.

Ancora più alta è la tensione sulla linea di contatto che separa il Nagorno Karabakh e gli altri sette distretti occupati dalle forze armene dal resto dell’Azerbaijan. Negli ultimi due anni gli scontri sono diventati sempre più frequenti e più violenti e si sono estesi anche sul confine di Stato tra Armenia e Azerbaijan.

Russi e turchi nel Caucaso

A prima vista il Caucaso sembra uno scacchiere perfetto per una guerra tra Russia e Turchia: Georgia e Azerbaijan fanno parte di un’alleanza con la Turchia, mentre l’Armenia è membro dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC), una sorta di Patto di Varsavia in formato ridotto, comprendente Russia, Armenia e altre quattro repubbliche post sovietiche. Continua

Dal Natta al Sudafrica e all’Armenia (Ecodibergamo.it 11.01.16)

Alla voce «residenza» la sua carta di identità riporta Zandobbio. Ma la realtà è che Daniela Fracassetti, 34 anni, trascorre quasi la metà dell’anno tra Sudafrica, Armenia e Spagna, impegnata in convegni e ricerche.

Sì, perché nell’ultima decade ha dedicato la sua vita ad analizzare il vino, diventando una delle massime esperte di chimica enologica a livello internazionale. Ventitré pubblicazioni all’attivo, intraprende la carriera accademica quasi per caso. «Dopo il diploma al Natta, mi iscrissi ad Agraria alla Statale di Milano. Durante la laurea specialistica iniziai ad approfondire un lievito alterativo, appartenente al genere Brettanomyces, responsabile di difetti sensoriali e alterazioni del gusto nelle birre e nel vino. L’esame andò bene». Continua

Siria, bombe sui cristiani: “Sono attacchi mirati, ma noi siamo uniti” (Il Foglio, 04.01.2016)

Attentati in Siria, il lutto e la resistenza. Parla il capo dell’eparchia armeno-cattolica di Qamishli: “Siamo in lutto totale”

Roma. “Un massacro terroristico senza precedenti”, ha detto il patriarca siro-cattolico Ignace Youssef III Younan, commentando quanto avvenuto il 30 dicembre scorso a Qamishli, nord della Siria, a non troppa distanza dai confini con la Turchia a settentrione e l’Iraq a oriente. Tre diversi attentati, subito rivendicati da gruppi che si sono richiamati alla dottrina dello Stato islamico, hanno lasciato a terra diciotto morti, tra cui tredici cristiani. Una quarantina i feriti, alcuni dei quali senza più gambe o braccia. “Quella sera ci si preparava con gioia ed entusiasmo a salutare l’anno nuovo, come da tradizione con le feste e il folclore tipico delle nostre comunità cristiane”, dice al Foglio monsignor Antranig Ayvazian, capo della eparchia cattolico-armena di Qamishli: “Quasi tutti i locali, ristoranti e club giovanili stavano portando a termine i preparativi per il giorno seguente. Alle 20.40, la prima esplosione, al Café Miami, forse per opera d’un attentatore suicida fattosi saltare in aria, ha riferito l’agenzia France Presse. Tre o quattro minuti dopo, la seconda, al ristorante Gabriel. Più tardi, l’attentato al Youth Restaurant, nella parte occidentale della città. Le bombe erano state nascoste all’interno di alcune valigie, posizionate qua e là tra i tavoli, in mezzo ai clienti che si preparavano a tornare a casa”.

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Batte in Armenia il cuore solidale di Verona (L’Arena, 04.01.2016)

«Scuola Verona. L’Arena, ottobre 1989». Alla bella storia si aggiunge un capitolo. Batte forte in Armenia il cuore di Verona. E del nostro giornale, L’Arena. In prima linea, dopo il disastroso terremoto del 7 dicembre 1988 che colpì duramente lo Stato allora dell’Unione Sovietica (40mila morti; 700mila senzatetto) nel promuovere una sottoscrizione con i lettori. Grazie alla quale, con 300 milioni di lire raccolti, fu costruita una scuola in cartongesso, nel villaggio di Krasar, a duemila metri di altitudine, nel nord-ovest dell’Armenia. Vicino alla scuola in muratura, distrutta. In quella scuoletta in prefabbricato, in un luogo in cui d’inverno il termometro scende anche a meno 20, hanno studiato in 26 anni duemila bambini e ragazzi.

Ora, per iniziativa di Garen Kökciyan, 56 anni, ingegnere armeno nato a Istanbul, in Turchia, dal 1978 in Italia, ad Avigliana (Torino), e di numerosi benefattori di tutta Italia, verrà costruito un nuovo edificio scolastico in muratura, nel luogo del precedente. Ma quella tabella di plastica verde, con la scritta «Scuola Verona. L’Arena, ottobre 1989», affissa all’ingresso del prefabbricato reso ormai impraticabile a causa delle infiltrazioni d’acqua, verrà collocata all’entrata della nuova scuola in muratura.

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«Veronesi in prima linea E ora aiutiamo i siriani vicini dopo il genocidio»

La modenese Antonella Monzoni sul trono del premio Scanno dei Fotografi (Gazzettadimodena.it 04.01.16)

MODENA. Antonella Monzoni è la vincitrice del Premio Internazionale di Fotografia “Scanno dei Fotografi 2015”, che nelle prime sei edizioni è andato a Lynn Saville, Jill Hartley, Giovanni Marrozzini, Stefano Schirato, Mazen Jannoun e Claudio Marcozzi. Un riconoscimento di prestigio in un luogo d’incanto, come Scanno, in Abruzzo, uno dei borghi più belli d’Italia ma soprattutto il borgo più famoso al mondo per la fotografia del 900, grazie agli scatti “eterni” di grandissimi autori come Henri Cartier-Bresson, Mario Giacomelli, Fulvio Roiter, Pepi Merisio, Gianni Berengo Gardin, Ferdinando Scianna, e tanti altri. Unico paese in Italia ad avere una strada dedicata ai fotografi.

Rigorosa la motivazione del premio alla modenese (l’unica donna nella mostra “Modena e i suoi fotografi”, nel 2014, presso Fondazione Fotografia), perché “rispetto, fiducia e complicità risultano con forza dai suoi lavori… Ma è l’intimità con cui riesce ad accostarsi anche agli sconosciuti che alla fine lascia il segno in quanti osservano la sua produzione, quelle voci, quel respiro che par di sentire, tanta è la vicinanza con la gente che incrocia e la fusione con i i luoghi in cui essa vive. Quelli che sono vicino a lei diventano inevitabilmente vicini a noi. Per sempre”. Proprio come accade nei suoi reportage, tra cui “Ferita Armena”, con le immagini che raccontano le ferite, la storia, l’orgoglio di un popolo. Tutti le hanno parlato della grande ferita, del genocidio compiuto dal governo ottomano dei Giovani Turchi nel 1915 in Armenia, quando oltre un milione e mezzo di persone furono sterminate. “Antonella c’è andata, e ha camminato – nota la scritrice Antonia Arslan – lungo le strade e nei cimiteri, i troppi cimiteri d’Armenia. Ha fotografato…”. Ne è nato un libro presentato, nel 2015, a Castiglioncello, nel Castello, per RosignanoFotoFestival, a Mia Fair di Milano, a Foro Boario di Modena per Fondazione Fotografia, alla Libreria Todo Modo di Firenze, al Photolux Festival di Lucca. E, con mostra, nel Palazzo del Plenipotenziario di Mantova, nel Palazzo Pincini Carlotti di Garda, alla Galleria Municipio di Storo (Trento) e alla QR Gallery di Bologna.

La Monzoni è stata invitata a parlare della sua esperienza al Seminario sull’arte armena, in programma da febbraio ad aprile, all’Università Ca’ Foscari di Venezia. E fotografie, scelte dai suoi libri “Ferita Armena” e “Lalibela”, saranno esposte, in marzo, all’Accademia delle Scienze, Lettere e Arti, per la rassegna “Intreccio di Incroci” tra Armenia, Italia e Etiopia, che vedrà protagonisti, oltre alla Monzoni, il musicista italo-armeno Massimo Nalbandian fautore del progetto, la storyteller e cantate italo-etiope Gabriella Ghermandi, il musicista armeno Aram Ipekdjian…. Continua

Te Deum laudamus per il mio popolo mite e fantasticante (Tempi, 03.01.2016)

Antonia Arslan immagina la notte dell’inverno del 1915 in cui l’illusoria quotidianità degli armeni di Turchia maturò all’improvviso nella cosciente rassegnazione dei martiri. Un secolo fa nella cattedrale di Costantinopoli

Scenario: una notte dell’inverno 1915, a Costantinopoli, la capitale dell’impero ottomano, ma scossa dalla pesante sconfitta che l’onnipotente ministro della Guerra, Enver Pasha, aveva subìto intorno a Natale a Sarikamish, in mezzo alle nevi del Caucaso.

Le truppe russe avevano avuto facilmente ragione della terza armata turca, male armata e male equipaggiata, e dei visionari e fragili sogni di vittoria di quel presuntuoso incapace del ministro, ansioso di emulare le gesta di Alessandro Magno e di Cesare, di cui teneva i busti nel suo studio. Confidando nel suo genio militare, si era gettato a corpo morto nella folle impresa di conquistare il Caucaso d’inverno, sfidando l’esercito russo, ben più assuefatto a quei luoghi e a quei climi. Ormai accerchiato dai cavalieri cosacchi, Enver si era visto perduto, ma era stato salvato all’ultimo istante da un manipolo di soldati armeni che lo avevano circondato e tratto in salvo.

Di ritorno a Costantinopoli, il patriarca della Chiesa armena fece celebrare in suo onore un solenne Te Deum nella cattedrale. Non solo Enver partecipò al rito, ma elogiò pubblicamente il valore dei soldati che lo avevano salvato: eppure in quegli stessi giorni, con gli altri due triumviri che governavano il paese, Talaat Pasha e Djemal Pasha, stava progettando la “soluzione finale” per tutto il popolo armeno, che sarebbe iniziata nel successivo gennaio 1915, proprio con il disarmo, la destinazione a campi di lavoro forzato e il successivo annientamento dei soldati e ufficiali di etnia armena arruolati nell’esercito ottomano.

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