Armenia – Speciali di Rai Scuola, “Sussurri”, Genocidio e Diaspora (Assadakah 26.01.25)

Patrizia Boi (Assadakah News) – Domenica 26 Gennaio 2025 è andato in onda in prima visione lo Speciale di Rai Scuola Sussurri, un documentario scritto da Pietro De Gennaro e Alessandro Greco, diretto dalla Regista Alessandra Peralta, Produttore Esecutivo Luigi Bertolo. Lo Speciale, incentrato sul genocidio e sulla successiva diaspora del popolo armeno, ne ripercorre le tappe storiche, a partire da quel lontano 1915 fino ad arrivare all’epoca attuale nella quale, per fortuna, si è ormai realizzata l’integrazione completa del popolo armeno nei paesi dove la diaspora l’ha condotto.

Dal film sul trovatore armeno Sayat Nova

 

Dalla telecamera attenta e appassionata della nostra Regista, attraverso le analisi di storici, sociologi e scrittori, ma anche e soprattutto mediante le testimonianze di uomini e donne di origine armena – di seconda, terza e quarta generazione – discendenti da coloro che hanno subito quei massacri, Sussurri si pone l’obiettivo di mostrare e far conoscere la tragedia di questo popolo agli studenti, ai giovani, ai cittadini disinformati, agli stessi armeni che ne hanno sentito i “racconti sussurrati” dai genitori ai figli, dai nonni ai nipoti, dagli anziani ai bambini, affinché ne serbassero una debole memoria, crescendo consapevoli ma felici nonostante la tragedia.

 

Questi “sussurri” nel documentario sono interpretati in modo suggestivo dall’attrice Irene Muscarà.

Sussurri
Sussurri

Gli artefici di questo lavoro hanno analizzato le diverse sfaccettature della cultura armena, dagli aspetti politici, sociali e familiari fino a quelli religiosi e culturali. Il documentario è un atto di coraggio che mira a svelare al grande pubblico un crimine – il primo genocidio della Storia – celato all’Umanità, per molti anni, dal “fragoroso silenzio” che ne ha attutito il grido, l’urlo, il fastidioso rumore. Sussurri si propone di dare voce e spazio a chi non desidera più far cadere la memoria in quell’assordante silenzio.

Scena tratta dal film La masseria delle allodole, Regia di Paolo e Vittorio Taviani (2007)
Scena tratta dal film La masseria delle allodole, Regia di Paolo e Vittorio Taviani (2007)

Lo Speciale si apre con un’immagine del processo per i crimini contro il popolo armeno dopo la fine della guerra, descritto nel film (2007) di Paolo e Vittorio Taviani, tratto dal libro di Antonia Arslam, La Masseria delle allodole. Ricorda un processo relativo a un altro grande “Genocidio”, a tutti noi italiani ormai noto. Il militare al banco degli imputati afferma:

 

«Negano la verità, ma io ho visto, con i miei occhi, l’eccidio […], i sopravvissuti alla fame, alla sete e alla fatica furono massacrati tutti […]».

Gli Armeni sopravvissuti... Furono massacrati tutti!!
Gli Armeni sopravvissuti… Furono massacrati tutti!!

La prima testimonianza che viene portata nel documentario è quella di Sonya Orfalian, scrittrice, apolide, rifugiata, figlia della diaspora armena, nata cinquant’anni fa in Libia, che ha dedicato una grande parte del suo impegno e della sua ricerca al ricchissimo patrimonio culturale e alle tradizioni antiche della sua gente.

Sonya Orfalian, scrittrice, apolide, rifugiata, figlia della diaspora armena
Sonya Orfalian, scrittrice, apolide, rifugiata, figlia della diaspora armena

La Scrittrice racconta come, nelle famiglie della diaspora armena, il genocidio armeno non venga mai discusso apertamente. Nessuno parla a voce alta di ciò che è accaduto. Esiste un termine armeno, USHÈR, che significa “sussurri”, simbolizzando come gli adulti parlino a bassa voce per evitare che i bambini ascoltino gli orrori del passato. Tuttavia, i bambini, con le loro orecchie attente, captano questi sussurri, creando così quella che una studiosa del genocidio ha definito “il fragoroso silenzio”, un silenzio che, pur nel suo muto peso, grida.

Rupen Timurian, il decano della comunità armena di Bari, noto per il suo ruolo di custode delle tradizioni armene in Italia
Rupen Timurian, il decano della comunità armena di Bari, noto per il suo ruolo di custode delle tradizioni armene in Italia

Il secondo intervistato che compare nel documentario è Rupen Timurian, il decano della comunità armena di Bari, noto per il suo ruolo di custode delle tradizioni armene in Italia. Figura di riferimento per la diaspora armena, ha contribuito a mantenere vivo il patrimonio culturale e storico della sua comunità nella regione pugliese. Rupen afferma:

 

«Ci hanno parlato sempre di amore, di disponibilità verso il prossimo, di essere perfetti e corretti con tutta l’umanità».

Antonia Arslan, scrittrice e saggista italiana di origini armene, nota per il suo impegno nella narrazione del genocidio armeno
Antonia Arslan, scrittrice e saggista italiana di origini armene, nota per il suo impegno nella narrazione del genocidio armeno

Naturalmente non poteva mancare tra gli intervistati Antonia Arslan, scrittrice e saggista italiana di origini armene, nota per il suo impegno nella narrazione del genocidio armeno. Tra le sue opere più celebri spicca come già detto La masseria delle allodole, un romanzo che racconta la tragedia del popolo armeno attraverso una toccante saga familiare. La sua scrittura unisce memoria storica e sensibilità poetica.

 

La Arslan ci spiega come la dimensione armena fosse ancora latente dentro di sé finché leggendo un poeta armeno, chiamato Daniel Varoujan, è riemersa in lei quella parte sconosciuta che giaceva inascoltata dentro di lei. 

 

Daniel Varoujan (1884-1915) è stato un poeta armeno, uno dei più significativi del movimento letterario armeno moderno. La sua poesia, intrisa di passione e di una profonda connessione con la cultura armena, trattava temi di libertà, amore e la sofferenza del suo popolo. Varoujan fu vittima del genocidio armeno, ma la sua eredità poetica continua a vivere attraverso le sue opere. Ed è stata fondamentale per la nostra scrittrice, per far riemergere quella parte che prima forse era solo un sussurro.

 

Il documentario ci mostra i testimoni uno dopo l’altro e ad ognuno fa raccontare un pezzetto di storia, mostra allo spettatore frammenti, frammenti che sussurrano dentro la propria identità annientata in un tempo ormai lontano.

 

Dopo queste prime testimonianze, entra in scena lo storico che unisce i frammenti che spesso ai nostri testimoni potevano sembrare senza senso, ripesca i sussurri, e li ascolta a voce alta, ormai il vaso di pandora è scoperchiato e bisogna andare dentro alla storia.

Marcello Flores D'Arcais, un accademico e storico che ha svolto un importante ruolo nella ricerca sui genocidi e nella difesa dei diritti umani
Marcello Flores D’Arcais, un accademico e storico che ha svolto un importante ruolo nella ricerca sui genocidi e nella difesa dei diritti umani

Marcello Flores D’Arcais, un accademico e storico che ha svolto un importante ruolo nella ricerca sui genocidi e nella difesa dei diritti umani, è noto per il suo lavoro di ricerca sulla memoria storica, in particolare riguardo al genocidio armeno e ad altri crimini contro l’umanità. Ha scritto numerosi saggi, contribuendo alla diffusione della consapevolezza su questi temi cruciali. E ci narra la storia di quanto è realmente accaduto.

 

Nel 1915, durante la Prima guerra mondiale, l’Impero Ottomano, guidato dal governo dei Giovani Turchi, avviò lo sterminio sistematico della popolazione armena. Considerati una minaccia interna, gli armeni furono deportati dalle loro case verso i deserti della Siria, in marce forzate senza cibo né acqua.

 

Centinaia di migliaia morirono di fame, sete e stenti, mentre altri furono massacrati dai soldati ottomani e da milizie irregolari. Le case armene furono saccheggiate, le chiese distrutte, le donne violentate e i bambini uccisi o islamizzati con la forza. Si stima che oltre 1,5 milioni di armeni siano stati sterminati.

 

Alla fine della guerra, i responsabili non furono mai puniti, e la Turchia moderna continua a negare ufficialmente il genocidio. La diaspora armena, dispersa tra Europa, Medio Oriente e Americhe, ha tramandato il ricordo di questa tragedia, spesso in sussurri, per paura o dolore. Ancora oggi, la memoria del genocidio armeno è una ferita aperta, un monito contro l’oblio e l’indifferenza.

 

Flores ci spiega che, nel 1915, la parola “genocidio” non esisteva ancora. Fu Raphael Lemkin, un giurista ebreo-polacco, ad inventare del termine “genocidio”.

 

Lemkin, profondamente colpito dalla Shoah e dal genocidio armeno, coniò il termine “genocidio” nel 1944, combinando la parola, derivante dal greco γένος (ghénos, “razza”, “stirpe”) e dal latino caedo (“uccidere”), per definire l’intenzionale distruzione di un gruppo etnico o culturale. La sua spinta a definire legalmente il genocidio ha portato alla Convenzione delle Nazioni Unite per la prevenzione e la repressione del genocidio nel 1948.

Charles Aznavour, nome d'arte di Shahnourh Varinag Aznavourian, cantautore, attore e diplomatico francese di origine armena
Charles Aznavour, nome d’arte di Shahnourh Varinag Aznavourian, cantautore, attore e diplomatico francese di origine armena

Improvvisamente si torna indietro nel tempo, nel senso che pur mantenendosi nella contemporaneità, il documentario ci mostra il video di una vecchia intervista a un famoso personaggio che ci ha lasciato nel 2018, Charles Aznavour, nome d’arte di Shahnourh Varinag Aznavourian (in armeno: Շահնուր Վաղինակ Ազնավուրյան), il cantautore, attore e diplomatico francese di origine armena che tutti abbiamo conosciuto e amato per la sua voce tenorile vibrata, che un critico musicale ha descritto come una “divinità del pop francese“.

 

In questa intervista Aznavour racconta:

 

«Mia madre ha pianto tutta la vita, perché nel genocidio ha perso suo padre, sua madre, sua sorella e i suoi due fratelli. Lei si è salvata, aveva 15 anni».

Armenia
Armenia

La madre è venuta da Adanazari, il padre dalla Georgia, da Tiflis, si sono incontrati a Istanbul e sposati lì. Adanazari è una città situata nel nord-ovest della Turchia, nella regione di Marmara. È la capitale della provincia di Sakarya ed è un importante centro industriale e agricolo, con una rilevante storia culturale, conosciuto per la sua posizione strategica tra Istanbul e Ankara.

 

Tbilisi (spesso scritto anche come Tiflis in passato) è la capitale e la città più grande della Georgia, situata nel Caucaso meridionale, circondata da montagne. Ha una storia che risale a più di 1.500 anni ed è famosa per la sua architettura unica che mescola stili antichi e moderni, i suoi vicoli pittoreschi e una ricca tradizione di arte, musica e cucina.

 

E prosegue Marcello Flores spiegando che ci sono trecentomila gli armeni che riescono a fuggire in altri paesi riempiendo Europa, Medioriente e Nord America di profughi.

 
Armeni su una nave
Armeni su una nave

Sonya Orfalian quindi riprende il testimone per raccontare la storia della sua famiglia che riflette quella di molte famiglie armene della diaspora. Suo bisnonno, coinvolto in una lotta di autodifesa a Urfa, fu imprigionato e deportato in Libia insieme ad altri uomini, mentre le donne della famiglia rimasero a Urfa, senza ulteriori notizie. La deportazione mirava a estirpare il “seme armeno” dalle terre d’origine. In Libia, allora colonia ottomana, il bisnonno fu liberato dopo l’arrivo degli italiani nel 1911, iniziando una nuova vita in un paese sconosciuto.

Solidarietà
Solidarietà

Flores spiega come l’eliminazione degli uomini avvenisse quasi sempre tramite fucilazione immediata, mentre la deportazione causava la morte principalmente degli anziani, delle donne e dei bambini. Le donne subivano ripetute aggressioni sessuali, spesso seguite dalla loro uccisione. I bambini, invece, venivano in parte uccisi, in parte inviati nei campi e in parte affidati a famiglie turche affinché fossero cresciuti nella fede musulmana e nella tradizione nazionalista turca.

Dal film sul trovatore armeno Sayat Nova
Dal film sul trovatore armeno Sayat Nova

Quando la famiglia Orfalian, composta solo da maschi (il padre e tre figli), arriva in Libia, il padre resta incarcerato nelle carceri turche, mentre i figli, tra cui il nonno – che all’epoca aveva 12 anni – trovano impieghi grazie alle loro abilità artigianali nel lavorare il rame.

Agop Manoukian, un sociologo, comasco d’adozione, noto per il suo impegno culturale e sociale, Presidente onorario dell’Unione degli Armeni d’Italia
Agop Manoukian, un sociologo, comasco d’adozione, noto per il suo impegno culturale e sociale, Presidente onorario dell’Unione degli Armeni d’Italia

Agop Manoukian, un sociologo, comasco d’adozione, noto per il suo impegno culturale e sociale, Presidente onorario dell’Unione degli Armeni d’Italia, che ha ricevuto il Premio Internazionale Empedocle per il suo contributo alla conoscenza e valorizzazione della cultura armena e al dialogo tra le comunità, spiega che in Italia ci sono Armeni per tanti secoli, ma dal 1900 si segnala una presenza distribuita di armeni da Torino fino a Venezia.

Isola di San Lazzaro degli Armenia a Venezia
Isola di San Lazzaro degli Armenia a Venezia

A questo punto viene intervistato Padre Hamazasp Keshishian, monaco mechitarista armeno che risiede presso il monastero dell’Isola di San Lazzaro degli Armeni a Venezia. I monaci mechitaristi, appartenenti a un ordine apostolico armeno fondato nel XVIII secolo, sono noti per il loro impegno nella preservazione e promozione della cultura armena. Padre Hamazasp è uno dei dodici monaci che attualmente vivono sull’isola, dove si dedicano a studi teologici, attività culturali e alla gestione di una ricca biblioteca di manoscritti armeni. Recentemente, ha espresso preoccupazione per la situazione nel Nagorno Karabakh, sottolineando il rischio di pulizia etnica e l’importanza di proteggere la popolazione armena nella regione.

Padre Hamazasp Keshishian, monaco mechitarista armeno che risiede presso il monastero dell'Isola di San Lazzaro degli Armeni a Venezia
Padre Hamazasp Keshishian, monaco mechitarista armeno che risiede presso il monastero dell’Isola di San Lazzaro degli Armeni a Venezia

Mekhitar di Sebaste (1676-1749) fu un monaco armeno, teologo e fondatore dell’Ordine Mekhitarista. Nato a Sebaste (l’odierna Sivas, in Turchia), entrò giovanissimo in monastero, spinto dal desiderio di approfondire la cultura e la spiritualità armene. Deluso dall’arretratezza dell’educazione religiosa del tempo, sognò di riformare il monachesimo armeno attraverso lo studio, la preghiera e la diffusione del sapere.

 

Nel 1700, con un gruppo di seguaci, si trasferì a Costantinopoli, ma l’ostilità delle autorità ottomane lo costrinse a cercare rifugio altrove. Dopo varie peregrinazioni, trovò protezione a Venezia, dove nel 1717 gli fu concesso di stabilirsi sull’isola di San Lazzaro degli Armeni. Qui fondò l’Ordine Mekhitarista, una congregazione monastica dedita alla ricerca, alla traduzione e alla pubblicazione di testi sacri e letterari armeni.

 

Grazie alla sua guida, l’isola di San Lazzaro divenne un centro culturale straordinario, contribuendo alla rinascita dell’identità armena in esilio. I mekhitaristi si distinsero nella conservazione della lingua, della storia e della spiritualità del popolo armeno, pubblicando opere fondamentali come dizionari, grammatiche e traduzioni di testi classici.

 

Mekhitar morì nel 1749, lasciando un’eredità culturale e spirituale ancora viva oggi. Il suo ordine continua a custodire e diffondere il patrimonio della civiltà armena nel mondo.

L'espressione drammatica di Rupen Timurian
L’espressione drammatica di Rupen Timurian

Anche Rupen Timurian racconta come arrivarono un centinaio di armeni che non potevano tutti alloggiare nel villaggio Nor Arax perchè era troppo piccolo. Narra anche come la sofferenza (che mostra istantaneamente nel volto, come si percepisce dalla foto) si era trasformata in amore perché erano stati accolti e avevano anche potuto studiare.

 

Ma come era nato questo Villaggio di Nor Arax in Puglia?

 

L’intervista di un altro personaggio, Carlo Coppola, ci svela la storia di Nor Arax, villaggio creato grazie all’impegno di un poeta.

 

Coppola è uno studioso italiano, esperto di cultura e letteratura armena, Ambasciatore della Memoria del Genocidio Armeno in Italia. Nato a Bari, si è dedicato alla ricerca sulla storia degli armeni, con particolare attenzione alla figura di Hrand Nazariantz, poeta armeno rifugiato in Italia dopo il genocidio del 1915.

 

Coppola ha scritto numerosi articoli e saggi per diffondere la conoscenza del patrimonio culturale armeno e promuovere il dialogo interculturale. È inoltre coinvolto in iniziative accademiche e culturali legate alla comunità armena in Italia.

 

Egli racconta la storia di Hrand Nazariantz, nato a Costantinopoli nel 1886. A causa delle persecuzioni contro gli armeni nell’Impero Ottomano, si trasferì in Italia, stabilendosi a Bari. Venne in Italia al seguito della propria moglie Maddalena De Cosmis originaria della Puglia, e questo trasferimento gli permise di sfuggire al genocidio armeno del 1915.

 

In Italia, Nazariantz si prodigò affinché un vecchio lanificio in crisi accogliesse gli armeni che a loro volta potessero rilanciare il settore essendo abili tessitori di tappeti. Fu ribattezzato Nor Arax  da Arasse, il nome del fiume che scorre alle pendici del monte Ararat.

 

Carlo Coppola, studioso italiano, ha approfondito la vita e le opere di Nazariantz, in quanto presidente del centro Studi Hrand Nazariantz, evidenziando il suo ruolo nella diaspora armena e la sua attività letteraria in Italia.

La giornalista e ricercatrice Siranuh Quaranta
La giornalista e ricercatrice Siranuh Quaranta

La giornalista e ricercatrice Siranuh Quaranta spiega come nel 1924, Nazariantz avesse fondato “Nor Arax“, un insediamento armeno nella campagna barese, con l’obiettivo di offrire rifugio e opportunità economiche agli armeni sopravvissuti al genocidio. Il villaggio divenne un centro di produzione di tappeti orientali e merletti, contribuendo allo sviluppo economico della regione e preservando le tradizioni artigianali armene.

Un lavorante su un tappeto armeno
Un lavorante su un tappeto armeno

Insomma il poeta riesce a recuperare e sviluppare un settore importante dell’economia nazionale armena.

"Nor Arax", un insediamento armeno nella campagna barese
“Nor Arax”, un insediamento armeno nella campagna barese

Questi tappeti si distinguono per l’uso di materiali naturali di alta qualità, come lana e cotone, e per l’impiego di colori vegetali che conferiscono tonalità vivaci e durature. I disegni sono caratterizzati da motivi geometrici e floreali stilizzati, spesso ispirati a simboli tradizionali armeni.

 

La tecnica di annodatura, tramandata di generazione in generazione, garantisce la robustezza e la longevità dei tappeti. Ogni regione dell’Armenia ha sviluppato stili distintivi, influenzati dalla storia e dalla cultura locale. Ad esempio, i tappeti del Karabakh sono noti per i loro motivi audaci e i colori intensi.

 

La fama dei tappeti armeni è dovuta alla loro capacità di unire estetica e funzionalità, rappresentando un patrimonio culturale che ha influenzato e arricchito le tradizioni tessili di molte altre regioni.

 

Gli autori hanno anche intervistato la pittrice e ricercatrice Kaianik Adagian che proviene proprio dal villaggio “Nor Arax” e che racconta come si tessevano i tappeti, suo nonno creava la trama del tappeto e sua nonna tesseva…

 

Inoltre i suoi genitori sono rimasti come custodi del villaggio, un’antica memoria, un territorio sacro che ha visto piangere uomini, donne e anziani che erano stati “violentati nella loro dignità”.

 

Una caratteristica degli armeni anche durante la diaspora è quella di andare sempre alla ricerca di una chiesa, una comunità cristiana con cui condividere la loro spiritualità.

 

Come spiega Padre Hamazasp Keshishian, la nazione armena fu la prima ad adottare il cristianesimo come religione di Stato grazie a San Gregorio l’Illuminatore, che convertì il re Tiridate III e, attraverso di lui, l’intero popolo armeno. Dal V secolo, la Chiesa armena si separò da quella romana, pur mantenendo nei secoli importanti contatti con la Chiesa occidentale, soprattutto in epoca medievale. Durante il regno armeno di Cilicia, vi furono persino tentativi di unione con la Chiesa romana.

La chiesa armena, canti, messa, fedeli

 

Dopo il Concilio di Calcedonia del 451 d.C., infatti, la Chiesa Armena non accettò le decisioni conciliari, portando a una separazione dalle altre chiese cristiane.

 

Durante il Regno Armeno di Cilicia (1080-1375), ci furono tentativi di riavvicinamento e unità con la Chiesa Romana, soprattutto nel periodo delle Crociate, ma tali sforzi non portarono a una unione duratura.

 

La Chiesa armena è portatrice di una sua storia, dopo più di mille anni è rimasta identica, ha mantenuto la sua integrità.

Chiesa di San Nicola da Tolentino a Roma, centro della Chiesa Armena Cattolica a Roma
Chiesa di San Nicola da Tolentino a Roma, centro della Chiesa Armena Cattolica a Roma

A Roma la comunità armena frequenta la Chiesa di San Nicola da Tolentino che gli è stata concessa da Papa Leone XIII nel 1883. Questa chiesa, situata vicino a Via Veneto, originariamente apparteneva agli Agostiniani Scalzi, ed è stata affidata agli Armeni Cattolici per offrire loro un luogo di culto nella città eterna. Da allora, è diventato un punto di riferimento importante per la diaspora armena in Italia.

 

A Roma, la chiesa armena tradizionale è San Biagio degli Armeni, situata in via Giulia, nel rione Ponte. Conosciuta anche come San Biagio della Pagnotta, questa chiesa è stata affidata al clero armeno nel 1836 da papa Gregorio XVI ed è considerata la chiesa nazionale della comunità armena a Roma.

 

Una parola a parte merita il simbolo della croce armena che, come afferma sempre Padre Hamazasp Keshishian:

 

«…di solito viene presentata come l’albero della vita, cioè fiorita, senza Cristo come simbolo di risurrezione e queste croci sono scolpite su pietre, ma sono soprattutto espressione della fede cristiana e nello stesso tempo espressione dell’arte cristiana armena».

 

Il Khachkar (o Kačkar, in armeno Խաչքար, che si pronuncia “khachkar“) è una tipica stele di pietra scolpita con una croce al centro, circondata da motivi decorativi e spesso da iscrizioni. Il termine deriva da khach (Խաչ), che significa “croce”, e kar (քար), che significa “pietra“, quindi letteralmente significa pietra di croce.

 

I khachkar sono un elemento distintivo dell’arte e della cultura armena e hanno una forte valenza religiosa e commemorativa. Venivano eretti:

 
  • Come simboli di fede cristiana.

  • Per commemorare eventi importanti, come battaglie, costruzione di chiese, o per ricordare i defunti.

  • Per segnare luoghi sacri o di pellegrinaggio.

     

I khachkar hanno avuto origine nel IX secolo e hanno raggiunto il massimo splendore tra il XII e il XIV secolo. Ne esistono migliaia in Armenia e nella diaspora. Uno dei luoghi più famosi è il cimitero di Noratus, che ospita centinaia di khachkar.

 

Nel 2010, l’arte dei khachkar è stata riconosciuta dall’UNESCO come Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità, per la sua unicità e il suo valore simbolico.

 

Oggi, i khachkar continuano a essere scolpiti e utilizzati, rappresentando un forte legame tra il popolo armeno e la sua storia.

La Scrittrice Manuela Avakian, autrice del romanzo Una terra per Siran, pubblicato nel 2003 da Prospettiva Editrice
La Scrittrice Manuela Avakian, autrice del romanzo Una terra per Siran, pubblicato nel 2003 da Prospettiva Editrice

Nel finale del documentario viene intervistata anche la Scrittrice Manuela Avakian, autrice del romanzo Una terra per Siran, pubblicato nel 2003 da Prospettiva Editrice, che narra la storia di Siran, una donna di origine armena nata in Etiopia da profughi sopravvissuti al genocidio armeno. Negli anni Sessanta, Siran si trasferisce in Italia, ma sente sempre la mancanza della sua terra d’origine, l’Armenia. Il romanzo esplora temi di sradicamento e ricerca identitaria, rendendo omaggio al nonno materno dell’autrice, Cricor, sopravvissuto al genocidio.

 

Rammentiamo che prima degli anni ’60 in Armenia sovietica, la parola “genocidio” non poteva essere pronunciata pubblicamente, né si poteva apertamente commemorare il massacro degli Armeni del 1915. L’Unione Sovietica, di cui l’Armenia faceva parte, scoraggiava qualsiasi nazionalismo locale che potesse minare l’ideologia comunista e l’unità sovietica.

 

Solo nel 1965, con le grandi manifestazioni a Yerevan, la capitale dell’Armenia, per il 50° anniversario del genocidio armeno, si ebbe una svolta. Per la prima volta, migliaia di armeni scesero in piazza chiedendo il riconoscimento ufficiale della tragedia e la costruzione di un memoriale. Questo portò alla decisione del governo sovietico di erigere il complesso commemorativo di Tsitsernakaberd, inaugurato nel 1967, che divenne il principale luogo di memoria del genocidio in Armenia.

 

Da allora, il 24 aprile è riconosciuto ufficialmente in Armenia e nella diaspora come giornata di commemorazione del genocidio armeno.

 

Il monumento alla memoria, un complesso commemorativo di Tsitsernakaberd, alla periferia di Yerevan

 

Il monumento alla memoria di Tsitsernakaberd, alla periferia di Yerevan, è un complesso composto da diversi elementi simbolici:

 

Il Viale delle Piaghe – Un lungo viale che porta al monumento principale, circondato da 12 colonne, simboleggianti le province armene perdute durante il genocidio.

 

Il Monumento Centrale – Un obelisco inclinato di 44 metri che rappresenta la lotta per la sopravvivenza del popolo armeno. La forma inclinata simboleggia il dolore e la sofferenza che hanno segnato la storia degli armeni, ma anche la speranza di resistenza.

 

La Fiamma Eterna – Alla base dell’obelisco, una fiamma eterna brucia per ricordare le vittime del genocidio e rappresenta il fuoco della memoria che non si spegne mai.

 

La Sala della Memoria – Una sala sotterranea, dove si trovano le iscrizioni in diverse lingue, tra cui l’armeno, che commemorano le vittime. È anche un luogo per raccogliere i pensieri e le riflessioni di chi visita il sito.

 

Ogni anno, il 24 aprile, milioni di armeni e discendenti di armeni si radunano al memoriale per onorare le vittime del genocidio, specialmente il giorno della Commemorazione del Genocidio Armeno, come luogo di memoria, ma anche come simbolo della resistenza, della resilienza e dell’identità del popolo armeno, che continua a lottare per il riconoscimento ufficiale del genocidio da parte di molti paesi e della comunità internazionale.

 

Ma vorrei terminare questo articolo con alcuni versi del poema di Hrand Nazariantz che sia simbolo di pace e fratellanza per chiunque desideri che ogni popolo sia rispettato e incluso nella storia.

Ogni popolo sia libero di volare
Ogni popolo sia libero di volare

maggio 05, 2014

Dal poema “Essere Fratelli, Amare” di Hrand Nazariantz (versione originale dalle carte d Antonio Basso)

 

Tutto muore…Tutto passa…Essere Fratelli, Amare!

 

Essere Fratelli, dividere il Pane ed il Cuore,

 

il destino della Vita, il destino dell’Anima,

 

Essere Fratelli, dividere il sangue del cuore

 

il sangue dello spirito,

 

il profumo delle lagrime e l’incenso delle preghiere,

 

il calice la sorgente viva, la grazia degli dei,

 

i sogni e le rose: Essere Fratelli, Amare..!

 
 
 

[…]essere Fratelli, e non dire mai: “Venite domani!”

 
 

[…]E poi, chiudere gli occhi di carne per aprire quelli dello spirito….

 
 

(dal volume il Ritorno dei Poeti, casa editrice Kursaal 1952)

 
 
 

Qua sotto si può visionare il documentario scritto da Pietro De Gennaro e Alessandro Greco, diretto dalla Regista Alessandra Peralta, Produttore Esecutivo Luigi Bertolo, pubblicato su Raiplay:

 
 

Anche l’Armenia vuole l’Europa, ma si deve ancora liberare della Russia (L’Inkiesta 24.01.25)

L’Armenia vuole entrare nell’Unione europea e molto probabilmente presenterà una domanda formale di adesione. «Si tratta di un’iniziativa della società civile; le organizzazioni hanno raccolto le cinquantamila firme necessarie, trasformando automaticamente l’iniziativa popolare in un disegno di legge che sarà sottoposto al voto del parlamento», ha dichiarato il ministro degli Esteri Ararat Mirzoyan durante una conferenza stampa congiunta a Mosca con il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov. «Si prevede che la maggioranza di governo voterà a favore», ha aggiunto. La commissaria per l’allargamento dell’Unione europea, Marta Kos, ha dichiarato a proposito che «la domanda di adesione sarà accettata, se verrà presentata» e che ha in programma di visitare ufficialmente Yerevan, la capitale dell’Armenia, nel primo semestre di quest’anno. La risposta dalla Russia è secca: un’eventuale adesione dell’Armenia all’Unione europea significherebbe la fine della sua partecipazione all’Unione economica eurasiatica (Uee), anche perché Unione eurasiatica e Unione europea usano sistemi tariffari differenti, e fra di loro incompatibili.

L’Armenia, che dipende infatti fortemente dalla Russia, dovrà quindi affrontare sfide geopolitiche e interne per discostarsi politicamente dal Cremlino. Storicamente sottoposta a Mosca, l’Armenia ha iniziato solamente negli ultimi anni un percorso di avvicinamento all’Unione europea, e in generale con i Paesi occidentali, firmando accordi strategici con gli Stati Uniti e rafforzando le relazioni commerciali con l’Ue. Siamo di fronte quindi a una significativa evoluzione nelle storiche alleanze geopolitiche tradizionali del Paese.

Come spiega a Linkiesta Nona Mikhelidze, responsabile di ricerca presso l’Istituto affari internazionali (Iai), i negoziati risalgono al 2013 quando la Russia riuscì a fare pressione sull’Armenia affinché non sottoscrivesse un Accordo di associazione con l’Unione europea e aderisse invece all’Unione economica eurasiatica (Uee). Serzh A. Sargsyan, allora presidente armeno, considerava infatti «la Russia come garante in caso di un attacco militare degli azeri».

Il 2017 segna invece un iniziale, seppur debole, cambiamento di rotta, con l’Accordo di partenariato globale e rafforzato tra l’Unione europea e l’Armenia (Cepa), firmato a margine del Vertice del Partenariato orientale tenutosi a Bruxelles nel novembre 2017 ed entrato in applicazione prima in via provvisoria l’1 giugno 2018, e poi ufficialmente l’1 marzo 2021. Parallelamente, aggiunge Mikhelidze, la rivoluzione in Armenia depone la vecchia guardia cleptocratica filorussa, e porta al potere il giovane riformatore Nikol Pashinyan.

Ma è nel 2023, quando le tensioni tra Armenia e Azerbaijan culminano in una nuova offensiva azera nella regione del Nagorno-Karabakh, che le cose cambiano davvero. La Russia infatti, che avrebbe dovuto assistere l’Armenia secondo i patti dell’Otsc, nonostante le aspettative di Yerevan basate sull’alleanza strategica e sugli impegni di sicurezza reciproca, non ha fornito gli aiuti necessari, sia per le pressioni derivanti dalla guerra in Ucraina sia per la volontà di non inimicarsi la Turchia, forte alleata di Baku. In altre parole, Mosca ha abbandonato l’Armenia a se stessa. L’operazione si è infatti conclusa con la resa delle forze separatiste armene e l’esodo di decine di migliaia di armeni dal Karabakh: un cambiamento storico nella regione, e la fine de facto, almeno per ora, della presenza armena nell’enclave.

Riguardo alla mancata azione russa durante il conflitto, Pashinyan aveva detto che «l’Otsc non ha adempiuto ai suoi obblighi», alimentando quindi discussioni su un possibile allontanamento di Yerevan da Mosca. La Russia al tempo aveva tuttavia respinto le critiche, sostenendo che l’alleanza opera secondo interessi collettivi, e che, dato che l’attacco non aveva interessato espressamente il territorio armeno ma solamente la zona del Nagorno Karabakh, un intervento era al di fuori dagli accordi. Scuse che tuttavia non sembra siano piaciute all’Armenia. Il Paese ha infatti avviato ufficialmente il processo per presentare domanda di adesione all’Unione europea.

Il 15 gennaio 2025, il governo armeno ha presentato un disegno di legge per l’adesione: un passo significativo verso l’integrazione europea. Questa iniziativa si inserisce comunque nel contesto di precedenti mosse volte a ridurre la presenza del Cremlino, come il ritiro delle guardie di frontiera russe da alcuni valichi e dall’aeroporto di Yerevan. Nonostante ciò, l’Armenia continua a dipendere dalla Russia per il commercio e l’energia. Ma il primo ministro era già stato chiaro lo scorso settembre, quando aveva commentato che l’Otsc «rappresenta una minaccia per la sicurezza dell’Armenia, nonché per la sua esistenza futura, sovranità e statualità. […] Esiste un concetto noto come “punto di non ritorno”: non lo abbiamo ancora raggiunto, ma la possibilità che ciò accada è molto alta». Che la decisione di presentare il disegno di legge segni proprio questo punto di non ritorno?

Aggiungiamo anche che l’Armenia ha recentemente firmato un Accordo di cooperazione strategica con gli Stati Uniti, siglato a Washington D.C, e sottoscritto dal ministro degli Esteri Mirzoyan e dall’ex presidente Joe Biden poco prima che lasciasse l’incarico. Questa decisione segna un importante Patto di partenariato strategico volto a incrementare la collaborazione nell’ambito energetico, politico e, in particolare, di sicurezza e difesa.

Ma è anche dal punto di vista economico che l’Armenia guarda verso occidente. Dal 2024 sono infatti aumentate le esportazioni armene verso quattordici Stati membri dell’Unione europea, come ha dichiarato il ministro dell’economia Gevorg Papoyan. I Paesi che hanno visto un incremento degli scambi includono Francia, Italia, Belgio, Polonia e Romania. Papoyan ha anche sottolineato che le esportazioni verso altre economie globali, come Stati Uniti, India, Giappone e Cina, sono cresciute, mentre quelle verso paesi come Russia e Kazakhstan sono diminuite. Tutti segni di un avvicinamento. Ma la Russia?

Il Cremlino ha subito criticato gli Stati Uniti per il loro ruolo destabilizzante nel Caucaso meridionale, accusandoli di cercare di attrarre l’Armenia nella loro sfera di influenza. Nonostante ciò, il portavoce di Vladimir Putin Dmitry Peskov ha, allo stesso tempo, ribadito che la Russia apprezza la sua relazione con l’Armenia e intende continuare a svilupparla. Se però si considerano gli sviluppi interni della politica armena, e la realtà sul campo in Nagorno-Karabakh, questi commenti sembrano più le ultime grida di un uomo ormai sconfitto. A sottolinearlo c’è anche il caso dell’Ucraina. Sebbene sulla carta sia ancora sotto l’influenza della Russia, l’Armenia non sostiene la guerra di Mosca all’Ucraina, e ha inviato aiuti umanitari a Kyjiv. Mentre il ministro degli Esteri armeno ha lodato l’impegno degli Stati Uniti nella risoluzione del conflitto con l’Azerbaijan.

Gli sviluppi futuri, tuttavia, dipenderanno anche dall’evoluzione dei rapporti tra Mosca e la nuova amministrazione Trump. Il nuovo Presidente aveva dichiarato in campagna elettorale di voler «proteggere tutti i cristiani perseguitati», e che si sarebbe quindi impegnato a ripristinare la pace tra Armenia e Azerbaijan. Se da un lato, quindi, è probabile che Trump continui sulla strada del partenariato iniziata da Biden, dall’altro non sappiamo però fin dove le sue trattative con Putin sull’Ucraina possano portarlo, e quali saranno i contraccolpi nella regione.

Un ultimo aspetto da considerare riguarda la percezione dell’Unione europea da parte del popolo armeno. Secondo l’indagine annuale del 2024 sull’opinione pubblica in Armenia del dipartimento del Vicinato orientale dell’Unione europea – la sezione che mira a rafforzare le relazioni politiche, economiche e sociali con i paesi dell’Europa orientale e del Caucaso – il sessantadue per cento degli armeni ripone fiducia nell’Unione: più che in qualsiasi altra istituzione internazionale. L’indagine ha anche rilevato che l’ottanta per cento degli armeni era a conoscenza del sostegno finanziario dell’Unione europea al loro paese (rispetto al sessantadue per cento nel 2016), e che il quarantotto per cento riteneva che fosse efficace (con un aumento di undici punti rispetto all’anno scorso). Non solo il governo sembra avere quindi le idee chiare.

La comunità armena di Bari dona il sangue, ‘atto di solidarietà’ (Ansa e altri 24.01.25)

Trenta volontari, membri e simpatizzanti alla comunità armena di Bari oggi hanno donato il sangue nel Centro trasfusionale dell’ospedale Di Venere del capoluogo pugliese aderendo all’iniziativa ‘Uniti dalla gratitudine: un abbraccio lungo un secolo’, organizzata e promossa dal Consolato onorario della Repubblica d’Armenia in Bari, in collaborazione con la Asl e con il patrocinio della Regione Puglia, come “atto di solidarietà e appartenenza alla Puglia”.
“Il nostro sistema sanitario – ha detto il governatore, Michele Emiliano – non lascia indietro nessuno, cura tutti coloro che ne hanno bisogno, senza distinzioni.

Oggi, una piccola comunità compie un grande gesto con cui esprime la propria gratitudine per le cure ricevute dalle donne e dagli uomini che come un secolo fa, ogni giorno, nei nostri ospedali, lottano contro la sofferenza e sostengono i più fragili e bisognosi, spesso migranti ed extracomunitari”.


Bari, la comunità armena al Di Venere per un gesto di solidarietà (Pugliapress)


Uniti nella gratitudine (TgrRai)


All’ospedale Di Venere la comunità armena protagonista di una giornata di donazioni del sangue (Ruvochanel)

Armenia tra Russia e Ue: Il Ritorno della Geopolitica in Europa (EastJournal 23.01.25)

’Armenia sta rivoluzionando il proprio ruolo nel mondo e guarda all’Europa. Paese storicamente filorusso, aveva trovato in Mosca una garanzia per la propria sicurezza (o per meglio dire sopravvivenza) dal periodo imperiale fino a questi ultimi anni. Oggi questi schemi sono completamente saltati. Non c’entra l’identità e non c’entra la condivisione dei valori democratici. È semplicemente il percorso di un paese che si sente tradito e smarrito in un mondo in cui tornano a contare i rapporti di forza, è una questione geopolitica

L’Armenia vuole integrarsi in Europa ma parola d’ordine è ‘multipolarismo’

Pochi giorni fa il governo armeno ha approvato un disegno di legge che annuncia l’inizio del processo di adesione all’Unione Europea. L’obiettivo è disegnare con Bruxelles un percorso di integrazione, segnando la volontà armena di allinearsi sempre più l’acquis europeo. Il Primo Ministro ha però sottolineato che l’approvazione della legge non implica che il Paese entrerà letteralmente nell’Ue, in quanto una decisione del genere può essere presa solo tramite referendum, come previsto dalla Costituzione. Si tratta però di una scelta di campo da non sottovalutare.

Il piccolo paese caucasico aveva già sospeso la sua partecipazione al CSTO come conseguenza al terremoto geopolitico innescato in seguito alla perdita dell’Artsakh (ai più noto come Nagorno Karabakh). Yerevan aveva rimproverato Mosca per la mancata protezione, e per non aver svolto il suo ruolo di peacekeeper. Un immobilismo già evidente nel 2020 e che aveva convinto Baku a portare a termine la “questione del Karabakh” con l’offensiva finale del 2023. Il governo di Nikol Pashinyan è arrivato a definire, in una intervista al quotidiano “la Repubblica”, l’alleanza con Mosca “un errore strategico”, e ha mostrato la sua intenzione a intensificare i rapporti con i paesi occidentali. Vista la totale inaffidabilità della Russia, l’Armenia sta cercando di perseguire una politica estera multivettoriale, percepita come maggiore garanzia per la propria sicurezza.

Nell’ultimo anno Yerevan ha intensificato i rapporti con Teheran portandoli ad un livello di partnership strategica, ha iniziato ad importare armi da Nuova Dehli, e ha partecipato al vertice BRICS a Kazan. Dall’altra parte ha stretto importanti accordi con Parigi, svolto esercitazioni militari con Washington e dichiarato di non opporsi all’adesione all’Unione Europea. La diplomazia armena è in una fase di dinamismo che non ha precedenti. Se si fa un viaggio nella città di Kapan, capoluogo della provincia di Syunik a sud del paese, dove si avverte un diffuso clima di paura per una possibile invasione, si vede la rappresentazione plastica di questo dinamismo in politica estera in quanto proprio in quella città l’Iran ha già aperto una sede consolare e la Francia ha intenzione di fare lo stesso per dimostrare la propria vicinanza a Yerevan.

I rapporti con Bruxelles, infine, sono migliorati molto soprattutto in seguito all’ultimo conflitto con Baku, ma se si guarda il quadro di insieme si vede una Armenia che persegue una politica estera multilaterale, proprio per riempire un vuoto di sicurezza che non vuole ripetere.

“Dimmi, Armenia, è vero che hai voglia di Europa?”

Interpretare l’approvazione della legge come la volontà di Yerevan di gettarsi acriticamente tra le braccia dell’Occidente per una non chiara condivisione di valori sarebbe quindi fuorviante. È certamente vero che l’Armenia si sta avvicinando all’Europa sempre di più e come mai aveva fatto prima, fino al punto di considerare la possibilità di aderire all’Ue; ma è bene attenersi alle logiche della realpolitik per capire questa svolta. Soprattutto perché nel mondo di oggi tornano a contare, forse più di prima, i rapporti di forza nelle relazioni tra stati. Non c’entra l’identità, e non c’entra la condivisione dei valori democratici.

Camminando per le strade della capitale si percepisce come gli armeni si sentano altra cosa rispetto agli europei, e nel resto del paese l’Ue viene percepita come qualcosa di lontano e spesso di ipocrita. La questione è geopolitica. Dopo l’esito delle elezioni in Georgia, il governo dello “sbarbato Pashinyan”, si conferma l’ultimo esecutivo filoeuropeo nel Caucaso del Sud. Per questo motivo sia i paesi europei stessi, in prima linea la Francia, sia le istituzioni europee hanno tutto l’interesse a non chiudere le porte al piccolo paese caucasico. Va ricordato che Parigi vede nel Caucaso una possibilità di rilancio della propria politica estera dopo il proprio ridimensionamento nella regione africana del Sahel. Inoltre, l’Armenia, in quanto confinante con l’Iran, potrebbe avere un ruolo di transito per l’eventuale evacuazione di cittadini europei dalla Repubblica Islamica nel caso in cui la situazione in Medio Oriente dovesse veramente esplodere e andare fuori controllo. Infine, Bruxelles, già a luglio 2024, aveva attivato per la prima volta lo Strumento Europeo per la Pace, atto a sostenere attivamente le forze armate armene. La decisione fa parte di un approccio pragmatico dell’Ue che da un lato non vuole instabilità regionale, dall’altro non vuole perdere l’ultimo potenziale alleato nella regione.

La storia torna in Europa

Il 2024 è stato l’epilogo del ritorno della storia in Europa. Non solo la guerra in Ucraina e il massacro in Medio Oriente, anche il referendum in Moldavia e la rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca oltre ai cambiamenti geopolitici nel Caucaso, sono segnali che Bruxelles deve affrettarsi nella definizione di una propria politica di sicurezza, iniziando a lavorare insieme per guidare una Unione della Difesa e cooperando tra loro in tre aree chiave di interesse comune: Mediterraneo, Est Europa, e Caucaso del sud. In poche parole, le regioni parte della Politica Europea di Vicinato (PEV). Rilanciare la PEV attraverso una cooperazione allargata che guardi a Mediterraneo e contenimento della Russia sarebbe un’operazione straordinaria in un mondo in cui tornano a contare i rapporti di forza. La legge approvata dal governo di Pasinyan non implica che l’Armenia entrerà in Ue, ma è il segno che l’Europa può e deve fare di più nelle relazioni esterne.

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Una nuova costituzione per l’Armenia (Osservatorio Balcani e Caucaso 23.01.25)

l 2025 dovrebbe essere un anno decisivo per le riforme costituzionali in Armenia. In cima alla lista di priorità, le modifiche sul Karabakh spinte dall’Azerbaijan, ma anche e soprattutto l’eliminazione di anomalie legislative che rendono vulnerabile la democrazia nel paese

23/01/2025 –  Marilisa Lorusso

Il 2025 sarà un anno frenetico per la storia costituzionale dell’Armenia. Il premier Nikol Pashinyan aveva promesso un’ampia riforma della carta fondamentale dopo la rivoluzione di velluto, ma gli eventi hanno travolto questo processo ambizioso.

Adesso ci sono nuove pressioni in questo senso, con l’Azerbaijan che preme per la rimozione dei riferimenti nella costituzione armena alla questione del Karabakh. Il governo Pashinyan pare risoluto a una nuova stesura della costituzione, e il ministero di Giustizia di Yerevan ha comunicato a inizio 2025 l’intenzione di redigere il nuovo testo costituzionale entro le elezioni del 2026.

Fra le questioni che la nuova costituzione dovrebbe affrontare c’è il riordino degli organi di sicurezza del paese. L’istituzionalizzazione degli apparati di sicurezza, sia esercito che forze di polizia, ha risentito di due fattori: la mancata tradizione democratica che si è fatta a fatica strada nei tre decenni d’indipendenza dopo il settantennio sovietico, e le guerre che hanno contribuito sia alla militarizzazione della società che a uno squilibrio di potere fra l’apparato civile e quelli armati, inclusi i veterani.

Un numero consistente di veterani di guerra non hanno deposto le armi, e questo rappresenta un rischio per il paese, sia per il governo a cui si oppongono, sia per i privati cittadini.

Anomalie istituzionali

Una anomalia istituzionale di lunga data, poi sanata, è stata che per decenni l’Armenia non ha avuto un ministero degli Interni. Il ministero di norma ha il controllo delle forze di polizia e di sicurezza interna.

In Armenia era stato inizialmente istituito dal primo presidente Levon Ter-Petrosyan e includeva anche le truppe sovietiche e una forza paramilitare (che in Russia si è poi trasformata nella Guardia Nazionale, posta sotto il controllo del presidente). La vita del nuovo ministero durò una decina d’anni. Il Dipartimento di polizia non ha avuto un ministero dedicato fino al riordino istituzionale voluto da Nikol Pashinyan dopo la rivoluzione di velluto.

Nel 2019 è partito un piano triennale di riforma della polizia, che ha portato nel 2022 alla ri-creazione del ministero degli Interni, responsabile davanti al parlamento, una misura volta a mantenere una maggiore responsabilità dell’organo di polizia.

Una seconda anomalia è nata con la riforma costituzionale del 2015. Fino ad allora, le forze armate erano sotto il controllo del presidente, come è normale che sia in una Repubblica. Nel 2015 l’Armenia è diventata una repubblica parlamentare: il capo dell’esecutivo è quindi una figura politica e generalmente partitica, e non è la massima istituzione dello stato.

Proprio per questo le repubbliche parlamentari mantengono comunque le forze armate sotto il controllo della presidenza e non del governo: sono organi super-partes che vengono coordinati dall’azione di governo, attraverso il ministero della Difesa, ma il cui comandante supremo è la massima figura istituzionale del paese e non rappresentate una fazione, ma l’intera nazione, quindi il presidente.

Serzh Sargsyan aveva invece voluto la riforma con lo scopo di diventare primo ministro, terminati i suoi due mandati presidenziali nel 2018, e si era portato dietro le forze armate. Sargsyan è passato, ma la riforma è rimasta.

Secondo l’articolo 155 della Costituzione, la decisione sull’impiego delle forze armate spetta al Governo. In caso di necessità urgente, il premier, su raccomandazione del ministro della Difesa, decide sull’impiego delle forze armate e ne informa immediatamente i membri del governo.

Il più alto ufficiale militare delle forze armate è il Capo di stato maggiore, nominato dal presidente della Repubblica su proposta del primo ministro, e in caso di guerra il Capo di stato maggiore è subordinato al ministro della Difesa. In tempo di guerra, il premier funge da comandante in capo delle forze armate.

Questo spiega perché sia stato Pashinyan a firmare il cessate il fuoco con i presidenti russo e azero nel 2020, in quanto capo del governo e comandante supremo delle forze armate.

Democrazia e sicurezza

Se la creazione del ministero degli Interni va nella direzione del controllo civile sulle forze di polizia attraverso il parlamento, sono molte le sfide che riguardano l’apparato di sicurezza del paese. L’esercito, per come è stabilita la catena di comando nella costituzione, potrebbe essere uno strumento di governo e non dello stato, per cui potenzialmente uno strumento di parte, anche se finora è stato il contrario.

Pashinyan si è dovuto scontrare con l’ex capo di stato maggiore nel 2021, che ne chiedeva le dimissioni dopo la firma del cessate il fuoco. Onik Gasparyan, l’allora capo di stato maggiore, aveva raccolto le firme di una quarantina di ufficiali e, dopo che il suo vice era stato rimosso da Pashinyan, si è mosso in quello che a tutti gli effetti è stato considerato un embrionale colpo di stato militare contro l’autorità civile.

Dopo una lunga trattativa e una sentenza della Corte costituzionale, Gasparyan è stato costretto ad accettare la propria rimozione.

Ma non è solo dai ranghi dei combattenti regolari che arrivano rischi per la democrazia armena. Le guerre per il Karabakh hanno creato coorti di veterani, alcune delle quali si sono organizzate politicamente e hanno dato filo da torcere alle autorità.

Ed è la presenza di milizie più o meno organizzate, e di armi non rese dopo la guerra che preoccupa un governo che corre sempre sul filo del rasoio dell’impopolarità. Nonché l’uso a fini criminali delle armi scomparse durante la guerra.

Nel 2016 i veterani del gruppo Sasna Tsṙer assalirono una centrale di polizia, uccidendo una persona, ferendone due e tenendone in ostaggio nove, avanzando richieste di natura politica, fra cui le elezioni anticipate. Veterani sono pure comparsi nel 2024 lungo il confine armeno-azero durante il processo di demarcazione e delimitazione, partecipando alle proteste anti-governative.

A settembre è emerso un tentativo di golpe armato  , questa volta organizzato da cittadini ed ex residenti del Karabakh che sarebbero stati addestrati in Russia. Dopo l’addestramento, avrebbero cominciato a reclutare potenziali combattenti per il Battaglione Armenia (unità mercenaria russa) con lo scopo di rovesciare il governo. Fra gli arrestati figurava il comandante del battaglione di volontari del Karabakh “Pantere Nere”  e veterano di guerra del Nagorno Karabakh Serob Gasparyan.

Gasparyan è il fratello del veterano di guerra del Nagorno Karabakh, ex deputato armeno (2007-2017, partito “Armenia Prospera”) Rustam Gasparyan, morto con suo figlio in un attacco UAV (attacco aereo senza pilota) azero durante la guerra dei 44 giorni nell’ottobre 2020.

Nel 2024 in Armenia è stato registrato un aumento del 55% dei crimini a mano armata. Secondo il ministro degli Interni Vahe Ghazarian  mancano all’appello qualcosa come 17mila fucili d’assalto distribuiti durante la guerra del 2020.

Finita la guerra i combattenti avrebbero dovuto deporre le armi e renderle allo stato, cosa che chiaramente in migliaia di casi non è successa.

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Armenia, progetti europei e difficoltà economiche (Osservatorio Balcani e Caucaso 22.01.25)

L’Armenia ha annunciato l’intento di diventare membro dell’Unione europea: tuttavia le strette relazioni con Mosca, in particolare in ambito economico ed energetico, complicano la possibilità che Yerevan intraprenda la strada europea

22/01/2025 –  Onnik James Krikorian

Il governo armeno ha annunciato l’intento di entrare a far parte dell’Unione europea. Alcune forze politiche extraparlamentari ritenute vicine al primo ministro Nikol Pashinyan hanno raccolto firme per un referendum sulla questione: nonostante siano solo 60mila, il parlamento è comunque obbligato a discutere l’iniziativa.

Pashinyan si è limitato a dire che l’Armenia è pronta ad “avvicinarsi all’UE nella misura in cui quest’ultima lo ritenga possibile”, forse consapevole del fatto che Bruxelles non dà priorità all’adesione nel prossimo futuro. Ha anche affermato che qualsiasi referendum potrebbe avvenire solo dopo i colloqui con l’UE. Sebbene l’Armenia si stia emancipando da Mosca come unico referente per la sicurezza, fare altrettanto nelle sfere economica ed energetica non sarà così semplice.

Secondo i media, l’anno scorso il 42% del commercio estero è avvenuto con la Russia, solo il 7,3% con l’UE. L’Armenia dipende inoltre esclusivamente dalla Russia per il gas e combustibile nucleare. Senza sbocco sul mare e bloccata dall’Azerbaijan e dalla Turchia, Yerevan non ha rotte sufficienti per beneficiare del mercato UE e dipende da Georgia e Iran. La Russia ha chiarito che l’adesione all’UE significherebbe l’esclusione dall’Unione economica eurasiatica (EEAU).

Alcuni analisti sottolineano che la crescita economica in Armenia è in gran parte trainata dalla riesportazione di beni dalla Russia ai mercati esteri e viceversa, in violazione delle sanzioni internazionali. Prima della guerra in Ucraina, il fatturato commerciale tra Yerevan e Mosca era di 2,5 miliardi di dollari. Si prevedeva che avrebbe raggiunto i 12,5 miliardi di dollari nel 2024.

Tuttavia, il governo armeno ha annunciato “l’inizio di un processo di adesione” all’UE. Il vice primo ministro russo Alexei Overchuk ha invece definito questo sviluppo come l’inizio dell’uscita dell’Armenia dall’EEAU. Aumenterebbero i prezzi del gas, attualmente venduti all’Armenia a prezzi inferiori a quelli di mercato, così come il costo di altre importazioni come il grano. “La gente comune perderà reddito, impiego e pagherà di più per beni di prima necessità”, ha avvertito Overchuk.

Imperterrito, Gagik Melkonyan, parlamentare del Contratto civile di Pashinyan, afferma di credere che la Russia abbia più bisogno dell’Armenia che il contrario. “Ci spaventano sempre. Taglieremo il gas o chiuderemo la strada. Vivere così non è vivere”, ha affermato Melkonyan. “Dobbiamo scegliere una strada che non sarà mai chiusa”.

Il 17 gennaio, Pashinyan e il presidente russo Vladimir Putin hanno parlato al telefono e, si legge in una dichiarazione del Cremlino, hanno discusso di un “ulteriore approfondimento dell’integrazione e della cooperazione” e dei “significativi benefici pratici derivanti dal lavoro congiunto all’interno dell’Unione economica eurasiatica, anche per l’economia armena”. L’ufficio di Pashinyan ha affermato di aver discusso della presidenza armena dell’EAEU nel 2024 e delle “prossime questioni”. La chiamata sarebbe stata avviata da Yerevan.

La Commissaria per l’allargamento dell’UE, Marta Kos, ha risposto dicendo che tutte le domande vengono considerate attentamente e che ha intenzione di visitare l’Armenia nella prima metà di quest’anno. Pashinyan ha dichiarato che spera di discutere una “roadmap” per l’adesione, sebbene l’opposizione sostenga che tali speranze siano irrealistiche.

Anche Gagik Tsarukyan, uno dei principali oligarchi sotto le precedenti amministrazioni degli ex presidenti Robert Kocharyan e Serzh Sargsyan, ha espresso preoccupazioni simili. “Ciò significa posti di lavoro persi, aziende in bancarotta, incapacità di pagare le tasse universitarie dei figli, problemi con il pagamento dei mutui, il pagamento delle cure mediche e del riscaldamento delle case e l’impossibilità di andare in vacanza in estate”, ha affermato.

Anche la presenza della Missione dell’Unione europea in Armenia (EUMA) lungo il confine con l’Azerbaijan rimane una questione delicata. L’attuale mandato biennale della missione, che succede al dispiegamento temporaneo della European Union Monitoring Capacity (EUMCAP) nel 2022, scade il mese prossimo. Oltre alle preoccupazioni russe e iraniane sulla presenza dell’UE nella regione, l’Azerbaijan ha recentemente chiesto che venga ritirata se verrà firmato un accordo di pace.

Ciò sembra improbabile al momento, sebbene il mese scorso Pashinyan abbia suggerito a Baku che l’EUMA può essere ritirata da quella parte del confine tra Armenia e Azerbaijan demarcata l’anno scorso. Tuttavia, una più stretta integrazione tra l’Armenia e l’UE comporta anche dei rischi, soprattutto in ambito economico e di sicurezza. Ciò dipenderà probabilmente da eventuali riavvicinamenti tra Mosca e la nuova amministrazione Trump.

Poco prima che l’ex presidente Joe Biden lasciasse l’incarico, il ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan e l’ora ex segretario di Stato americano Antony Blinken hanno firmato una storica Carta di partenariato strategico a Washington D.C.

Approvata in fretta prima che Trump entrasse in carica, la Carta traccia un quadro istituzionalizzato della futura cooperazione e fa anche riferimento alla cooperazione nucleare civile, tema chiave per qualsiasi diversificazione energetica.

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Gugerotti inviato dal Papa in Siria per portare ai cattolici il sostegno della Chiesa (Vaticanews e altro 22.01.25)

Vatican News

Il cardinale Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali, è stato incaricato dal Papa di recarsi in Siria, “per portare il suo abbraccio e la sua benedizione ai cattolici” del Paese. Lo riferisce un comunicato del dicastero che il porporato presiede, specificando che il Pontefice desidera, “nella condizione attuale in cui versa la Siria”, che i fedeli “sentano l’affetto e il sostegno dell’intera Chiesa cattolica e, in particolare, del Vescovo di Roma, il quale non cessa di pregare per loro”. Il porporato sarà in visita nella nazione dal 23 al 29 gennaio e sarà accompagnato dall’arcivescovo segretario del dicastero, monsignor Michel Jalakh, dell’ordine antoniano maronita, e dall’addetto alla sua segreteria personale, padre Emanuel Sabadakh, francescano minore.

L’impegno della Chiesa cattolica

Appartenenti a Chiese antichissime, “i cristiani hanno offerto un contributo fondamentale” alla crescita della cultura e della società dell’area” asiatica fin dai primi secoli, sperimentando “uno sviluppo straordinario di fede, di scienza, di economia”. Ora chiedono “di poter continuare ad apportare il loro contributo a una Siria che resista ai rischi di settarismo e alle forze centrifughe e promuova una concorde unità nella diversità”, si legge nel comunicato del Dicastero per le Chiese Orientali. Per questo il Papa auspica che “siano finalmente rimosse le limitazioni che hanno portato i siriani all’indigenza e favorito una drammatica emigrazione” e “invita a ricostruire un Paese pacifico, la cui prosperità sia assicurata da tutte le sue componenti, nel rispetto della libertà, della dignità della persona umana, e della varietà, a partire dalla elaborazione della nuova Costituzione”. Il Pontefice, inoltre, “assicura che la Chiesa cattolica impiegherà ogni sforzo per aiutare, in ogni modo possibile, la rinascita” del Paese.

Il programma della visita

Durante la sua permanenza, il cardinale Gugerotti con il nunzio apostolico, il cardinale Mario Zenari, visiterà i vescovi, i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i fedeli cattolici in ciascuna delle rispettive cattedrali: greco-melkita – incontrandosi con il patriarca Youssef Absi e partecipando alla Divina Liturgia) – maronita, caldea, sira, armena e latina, unendosi alla preghiera in ciascuna di esse. A Damasco e ad Aleppo, si riunirà con i responsabili, i sacerdoti, i religiosi e i laici delle comunità e con gli organismi di promozione della carità delle Chiese locali. Prenderà, poi, parte all’Assemblea Plenaria dei vescovi cattolici che si raduneranno ad Homs. Nel visitare i patriarchi delle Chiese ortodosse, Mor Ignazio Afram II, patriarca della Chiesa siro-ortodossa di Antiochia e di tutto l’Oriente, Giovanni X, patriarca greco-ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente, ed altri vescovi delle Chiese ortodosse, tra cui i presuli della Chiesa armena apostolica, il prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali porterà il saluto di Papa Francesco, assicurando che per il Pontefice “l’unità dei cristiani”, nel momento attuale, “è un imperativo imprescindibile e che la Chiesa cattolica è pronta ad ogni collaborazione”. Il 25 gennaio, festa della conversione di San Paolo ed ultimo giorno dell’ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani, il porporato presiederà l’Eucaristia al Memoriale di San Paolo, “edificato sul luogo che la tradizione attribuisce all’evento che segnò la vita dell’Apostolo delle genti”. Inoltre venererà le reliquie dei santi martiri di Damasco nella Chiesa latina e nella cattedrale maronita a Bab Touma. Infine, come all’andata, a conclusione del suo viaggio, il cardinale prefetto si recherà a Beirut, in Libano, presso la locale Nunziatura Apostolica.

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Il cardinale Gugerotti in Siria per portare l’abbraccio del Papa (Romasette)

Medio Oriente: da domani il card. Gugerotti in Siria(AgenSir)

 

 

 

In campo con MkhitaryanLa battaglia sociale per sostenere i prigionieri politici armeni sotto processo in Azerbaijan (L’Inkiesta 22.01.25)

«Libertà per Ruben Vardanyan». Il messaggio è circolato su molti profili di attivisti armeni la settimana scorsa, quando stava per iniziare a Baku, in Azerbaijan, il processo contro Ruben Vardanyan e altri quattordici esponenti del governo dell’ormai dissolta Repubblica dell’Artsakh, nella regione del Nagorno-Karabakh. Tra i numerosi attivisti che hanno diffuso il messaggio c’è stato anche Henrikh Mkhitaryan, trentaseienne centrocampista dell’Inter e di gran lunga il più noto calciatore armeno di tutti i tempi. Mkhitaryan ha ricondiviso sui suoi canali social il comunicato di Vardanyan contro la propria detenzione, taggando i profili dell’Onu, della Corte Penale Internazionale, di Amnesty International e di altre ong che si occupano di diritti umani, e inviando loro un unico messaggio: «Agite».

Vardanyan era stato ministro dell’Artsakh tra il novembre 2022 e il febbraio 2023, ma anche dopo il termine del suo breve mandato politico aveva continuato a sostenere attivamente la repubblica filo-armena nella regione del Nagorno-Karabakh, fino all’offensiva azera del settembre 2023. In quell’occasione lui e altre figure di spicco del governo dell’Artsakh erano stati arrestati e portati a Baku, dove ora è iniziato il processo. Un procedimento giuridico che gli attivisti armeni definiscono come una farsa, ritenendo Vardanyan e gli altri dei prigionieri politici.

L’impegno politico di Mkhitaryan
Come molti altri personaggi che circondano il conflitto del Nagorno-Karabakh, che va avanti almeno dal 1991, anche Vardanyan non è esente da controversie. Ex dipendente, tra le altre, della Cassa di Risparmio di Torino, è divenuto un ricco imprenditore ed è arrivato a essere molto vicino a Vladimir Putin. Troika Dialog, la sua banca d’investimento, è stata accusata di riciclare denaro per conto della Russia, e dopo l’invasione dell’Ucraina è stato pure inserito in una black list di Kyjiv con gli oligarchi maggiormente legati alla Russia. La sua situazione riflette in piccolo le contraddizioni politiche del conflitto tra Armenia e Azerbaijan, con la prima che è storicamente appoggiata dalla Russia mentre il secondo intrattiene proficui rapporti con l’Unione europea (sebbene il governo di Baku sia tutt’altro che differente, nei metodi, da quello di Mosca).

In mezzo a questa storia, come si è raccontato più volte, c’è anche il calcio. Mkhitaryan è diventato in questi anni uno dei più importanti ambasciatori dell’Armenia nell’Europa occidentale, grazie alle sue prestazioni con Borussia Dortmund, Manchester United, Arsenal, Roma e, adesso, anche Inter. Ambasciatore dell’Unicef fin dal 2016, il centrocampista è noto per il suo impegno politico orientato soprattutto al conflitto nel Nagorno-Karabakh: nell’ottobre 2020, quando giocava con i giallorossi, aveva chiesto l’intervento della comunità internazionale contro l’offensiva azera nella regione, accusando Baku di crimini di guerra. «L’esercito dell’Azerbaijan sta deliberatamente puntando obiettivi come scuole e asili, residenze civili, ospedali ed altre infrastrutture, nella capitale e in altri centri densamente abitati», aveva scritto Mkhitaryan. «Siamo lasciati soli nella nostra battaglia contro il terrorismo internazionale».

Figlio di un ex noto calciatore armeno di epoca sovietica, Hamlet Mkhitaryan, il centrocampista dell’Inter aveva già fatto discutere quando, nel maggio 2019, si era rifiutato di giocare la finale di Europa League tra il suo Arsenal e il Chelsea, dato che l’incontro si sarebbe tenuto a Baku. La decisione era stata presa per timore di rischi per la sicurezza del giocatore, nonostante le autorità azere avessero provato a rassicurare l’Arsenal. Nel caso era intervenuta addirittura Leyla Abdullayeva, portavoce del Ministero degli Esteri del regime di Ilham Aliyev, con il consueto messaggio sull’errore di mescolare sport e politica.

Calcio e politica tra Armenia e Azerbaijan
Curiosamente questa mescolanza non aveva mai indispettito prima di quel momento il governo di Baku, che anzi ne ha fatto ampio uso. L’organizzazione a Baku dei Giochi Europei del 2015 venne considerata talmente rilevante per la buona immagine diplomatica di Aliyev che fu proprio in quell’occasione che degli attivisti politici coniarono il termine “sportwashing”. L’organizzazione nello stesso luogo della finale di Europa League di quattro anni dopo è stata un altro tassello nel progetto sport-politico del governo azero, a cui nell’estate del 2021 si sono aggiunte anche tre partite dell’Europeo itinerante di calcio. Il tutto senza parlare del noto caso del Qarabağ, club divenuto da alcuni anni una presenza fissa nelle competizioni Uefa, e che è ritenuto uno strumento del soft power azero nelle sue rivendicazioni sul Nagorno-Karabakh.

Nonostante la recente piccola ascesa in Conference League del FC Noah – una squadra originariamente collocata nell’Artsakh ma trasferitasi a Yerevan a causa della guerra – l’Armenia non è mai riuscita ad avere un vero e proprio corrispettivo del Qarabağ, ed è così spesso toccato a Mkhitaryan difendere la causa del proprio Paese nell’ambiente calcistico. D’altronde il centrocampista dell’Inter è molto legato alla politica armena: sua moglie Betty è la figlia dell’imprenditore e politico Mikael Vardanyan, che è solo un omonimo di Ruben Vardanyan ma proviene da una delle più ricche e influenti famiglie del Paese caucasico. Lo zio della moglie di Mkhitaryan è infatti Karen Vardanyan, ex deputato e proprietario di Gran Holding, la più importante azienda dell’Armenia, che prima dell’offensiva azera del 2023 aveva investito molto nello sviluppo di Stepanakert, la capitale dell’Artsakh.

Mosca pronta a contribuire alla normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Azerbaigian (Eunews 21.01.25)

Martedì il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha ospitato a Mosca il suo omologo armeno Ararat Mirzoyan per colloqui per discutere delle relazioni bilaterali e degli ultimi sviluppi nelle tensioni tra Armenia e Azerbaigian

La Russia si è detta pronta a contribuire alla normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Azerbaigian. Lo ha riferito il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov martedì durante i colloqui con l’omologo armeno Ararat Mirzoyan a Mosca. L’incontro nella capitale russa avviene in un periodo di tensioni tra Yerevan e Baku e dopo l’intenzione del primo ministro armeno Nikol Pashinian di abbandonare l’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Csto).

“Siamo pronti a fornire l’assistenza necessaria alla normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Azerbaigian”, ha detto il capo della diplomazia russa, sulla scia “dello sviluppo di quegli accordi trilaterali che sono stati raggiunti dai leader dei tre Paesi nel 2020-2022”. “Crediamo che questi accordi siano ancora rilevanti, soprattutto alla luce dell’attuale situazione nella regione”.

Lavrov: Mosca si impegna a rispettare tutti gli accordi con Armenia, anche in ambito militare

Lavrov ha aggiunto che la Russia si impegna a rispettare tutti gli accordi con l’Armenia, anche in ambito militare. “Da parte nostra, abbiamo sottolineato il nostro impegno nei confronti dell’intera serie di accordi con Yerevan, anche in ambito politico militare, formalizzati a livello bilaterale e nel quadro delle nostre associazioni di integrazione comune. Allo stesso tempo, naturalmente, siamo interessati a garantire che le nostre relazioni bilaterali non siano influenzate negativamente da attori extraregionali che non vogliono vedere rafforzata l’alleanza russo-armena”, ha concluso Lavrov.

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Robbiate: sala gremita per riflettere sul genocidio armeno (Merateonline 21.01.25)

Ad aprire la serie di appuntamenti che il comune di Robbiate ha organizzato per la “Giornata della memoria” è stata la narrazione di Stefano Panzeri sulla tragedia del popolo armeno.
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L’attore meratese di Ronzinante, che ha al suo attivo diversi riconoscimenti per la sua bravura e professionalità, ha saputo raccogliere l’attenzione del pubblico assiepato la sala consigliare.
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Un monologo che ha lasciato tutti in silenzio, emozionato e fatto comprendere il dramma di quanto si è consumato durante questo primo genocidio del XX secolo.