Mkhitaryan eletto miglior giocatore dell’Armenia per la 12esima volta (FcInter1908.it 27.12.24)

Mkhitaryan è stato proclamato, per la dodicesima volta, miglior giocatore dell’Armenia. La Federcalcio armena ha pubblicato i risultati della votazione per il miglior calciatore del Paese nel 2024 in una nota stampa pubblicata sul sito ufficiale. 

Mkhitaryan eletto miglior giocatore dell’Armenia per la 12esima volta- immagine 2

“Il centrocampista dell’FC Inter Milan  Henrikh Mkhitaryan  è al primo posto con 87 punti. Il centrocampista della nazionale armena e dell’SK Slovan  Tigran Barseghyan  è al secondo posto con 62 punti. Il centrocampista della nazionale armena e dell’FC Krasnodar  Eduard Spertsyan  (24 punti) si è classificato al terzo posto”, si legge sul sito ufficiale.

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La Russia arretra in Armenia e con la caduta di Assad si rischiano contraccolpi anche in Africa (AgenziaNova 26.12.24)

Dall’Armenia alla Siria, con potenziali contraccolpi sull’Africa: la Russia è chiamata a guardare oltre il conflitto in Ucraina per riuscire a mantenere la sua influenza in alcuni territori storicamente vicini. La Russia sta progressivamente perdendo la sua posizione di alleato strategico in Armenia. La recente riluttanza di Mosca a intervenire nel conflitto del Karabakh – culminato con la vittoria dell’Azerbaigian – ha suscitato profonda insoddisfazione a Erevan. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha chiaramente preso le distanze dall’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Csto), l’alleanza militare guidata dalla Russia. L’Armenia, in passato uno dei più fedeli alleati di Mosca, oggi valuta alternative per garantirsi sicurezza e stabilità. Secondo la rivista statunitense “Newsweek”, l’abbandono dell’Armenia rappresenta un ulteriore esempio della crescente incapacità di Mosca di mantenere l’influenza in regioni storicamente considerate nella sua sfera d’interesse. L’inerzia russa ha dato spazio a nuovi equilibri geopolitici, con Erevan che guarda con maggiore interesse verso partner occidentali, come dimostrato dal progressivo rafforzamento dei legami con l’Unione europea.

Per la Russia, poi, c’è la questione siriana. La caduta del regime di Bashar al Assad rappresenta una grave battuta d’arresto per la Russia. Dopo aver investito risorse militari e finanziarie per sostenere Assad, Mosca si ritrova ora con una perdita sia strategica che simbolica. Come si legge in un’analisi di Chatham House, il fallimento della Russia nel garantire la sopravvivenza del regime siriano mette in discussione il suo ruolo di “garante della stabilità” per altri regimi autoritari. Dal 2015, l’intervento militare russo in Siria aveva consolidato la presenza di Mosca come potenza regionale. Tuttavia, la caduta di Assad ha inferto un colpo alla reputazione della Russia come alleato affidabile e ha compromesso la sua posizione nel Mediterraneo orientale. Le basi di Tartus e Khmeimim, fondamentali per l’accesso russo alle rotte logistiche verso l’Africa, sono ora a rischio. Insomma, si tratta di una fase di evidente difficoltà per il presidente Vladimir Putin. La perdita di Damasco non solo indebolisce l’influenza russa nel Medio Oriente, ma impatta anche le operazioni militari e logistiche in Africa, un continente in cui Mosca aveva recentemente cercato di espandere la propria presenza.

L’instabilità siriana rischia di avere un effetto a catena. La base aerea di Khmeimim era un tassello cruciale nella strategia russa per proiettare potenza verso l’Africa. La perdita di questa infrastruttura obbligherà Mosca a ristrutturare le sue operazioni logistiche, un processo che richiederà tempo, risorse finanziarie e un ripensamento strategico. Tuttavia, secondo Chatham House, la Russia potrebbe considerare la situazione in Siria come un’opportunità per ritirarsi da un conflitto ormai insostenibile. Con l’attenzione focalizzata sulla guerra in Ucraina, Putin difficilmente avrebbe potuto permettersi di continuare a finanziare il regime di Assad. In questo contesto, il crollo del regime siriano permette a Mosca di evitare un impegno finanziario e militare simile a quello sovietico in Afghanistan.

L’incapacità della Russia di mantenere il controllo su alleati chiave come l’Armenia e la Siria riflette un più ampio declino della sua influenza geopolitica. La perdita di questi partner non è solo un problema strategico, ma rappresenta anche un colpo alla narrazione russa di essere un’alternativa affidabile all’Occidente. L’influenza di Mosca, peraltro, risulta minacciata anche in altri Paesi, come la Moldova e la Georgia, dove il sentimento antirusso sta crescendo. Le recenti proteste in Abkhazia – regione georgiana occupata dal 2008 – contro l’aumento della presenza russa sono un’ulteriore spia del malcontento nelle ex spazio sovietico.

L’indebolimento della posizione russa in Armenia e in Siria evidenzia le crescenti difficoltà di Mosca nel mantenere il controllo geopolitico. La perdita di Assad non solo mina la sua influenza in Medio Oriente ma ostacola anche le ambizioni africane del Cremlino. Parallelamente, l’allontanamento dell’Armenia dimostra come la leadership di Putin stia perdendo terreno anche nelle regioni storicamente vicine alla Russia. Se queste tendenze dovessero continuare, le mire del Cremlino di formare un fronte alternativo alla comunità occidentale potrebbero essere messe in seria discussione: dall’invasione dell’Ucraina, infatti, Mosca cerca con il sostegno di Paesi come Cina e India di fare fronte comune contro l’isolamento cui è stata sottoposta sulla scena globale.

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Il ruolo dell’oro nella resistenza della Russia alle sanzioni (InsiderOver 25.12.24)

Mentre il dibattito pubblico si concentra sulle sanzioni economiche e sulle implicazioni geopolitiche del conflitto russo-ucraino, un elemento cruciale passa spesso inosservato: l’importanza strategica dell’oro nelle dinamiche economiche e militari della Russia. Questo metallo prezioso, oltre a essere una risorsa economica, è diventato una leva fondamentale che il Cremlino utilizza per aggirare le sanzioni occidentali, mantenere il funzionamento della macchina bellica e consolidare la propria influenza geopolitica, soprattutto in Africa.

L’oro come ancora economica

Secondo il World Gold Council, la Russia è il secondo produttore mondiale di oro, con 324,7 tonnellate estratte nel 2023, una quantità che rappresenta una risorsa di enorme valore economico e strategico. Grazie a un sistema di commercio sofisticato e al supporto di Paesi amici come Emirati Arabi, Cina e Turchia, Mosca riesce a utilizzare l’oro per ottenere valuta forte, beni strategici e armi, aggirando in modo efficace le restrizioni imposte dalle sanzioni internazionali.

Il legame tra il rublo e l’oro, stabilito dal Cremlino, rafforza ulteriormente la resilienza economica della Russia, consentendo al governo di mantenere un minimo di stabilità interna e di finanziare le operazioni militari in Ucraina. Ogni tonnellata d’oro vale circa 65 milioni di dollari, una cifra che permette al Cremlino di accedere a risorse critiche senza dipendere dai tradizionali circuiti finanziari occidentali.

Hub globali e il ruolo dell’Africa

La strategia russa si estende ben oltre i confini nazionali. Paesi come l’Armenia e il Sudan svolgono un ruolo centrale nel traffico di oro russo. L’Armenia, ad esempio, funge da snodo logistico fondamentale, importando ingenti quantità di oro russo per poi riesportarlo negli Emirati Arabi e in Cina, aggirando così i divieti imposti dal G7. Tra gennaio 2023 e marzo 2024, l’Armenia ha movimentato 111 tonnellate d’oro, un volume pari a un terzo del suo PIL, evidenziando la portata globale di questa rete commerciale.

In Africa, la presenza russa è ancora più radicata. Nel Sudan devastato dalla guerra, l’oro è diventato una delle principali risorse per finanziare conflitti e accordi con Mosca. I mercenari del Gruppo Wagner, ormai sotto il controllo diretto dell’intelligence militare russa, gestiscono attività estrattive e accordi con signori della guerra locali, utilizzando l’oro come moneta di scambio per armi e influenza geopolitica. Questo modello si ripete in altri Paesi africani, come il Mali, dove i mercenari russi hanno preso il controllo di diverse miniere d’oro, rafforzando il legame tra risorse naturali e geopolitica.

Un’arma silenziosa contro le sanzioni

La capacità della Russia di utilizzare l’oro per sostenere la propria economia e finanziare la guerra dimostra l’efficacia delle strategie alternative adottate da Mosca per resistere alle pressioni internazionali. Le sanzioni occidentali, sebbene estese e pervasive, non sono riuscite a bloccare del tutto le entrate russe grazie a questa rete di commercio parallelo. Inoltre, il controllo di miniere in Africa e l’espulsione di aziende occidentali dai mercati locali rafforzano la posizione russa nel continente, a discapito delle ex potenze coloniali come la Francia.

Le implicazioni globali

La crescente dipendenza della Russia dall’oro evidenzia una trasformazione nelle dinamiche economiche globali. Il metallo prezioso non è solo una risorsa economica, ma anche un mezzo per costruire alleanze strategiche, aggirare le restrizioni internazionali e consolidare l’influenza geopolitica. Tuttavia, questa strategia solleva interrogativi significativi: fino a che punto le potenze occidentali possono ignorare il ruolo dell’oro nel finanziare le operazioni russe? E quale impatto avrà questa corsa all’oro sulla stabilità politica ed economica dei Paesi coinvolti, soprattutto in Africa?

Conclusione

L’oro è una delle risorse più sottovalutate nel dibattito sulle relazioni internazionali e sulle strategie economiche della Russia. La sua importanza va ben oltre il semplice valore economico: rappresenta una leva geopolitica che Mosca utilizza con grande abilità per mantenere il controllo interno e rafforzare la propria presenza globale. Ignorare questa dimensione significa trascurare un elemento fondamentale per comprendere la resilienza della Russia e il futuro degli equilibri geopolitici globali.

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Israele Ha Tradito gli Armeni del Nagorno Karabagh. Non Ripeta l’Errore con i Curdi. Michael Rubin, 1945. (Stilum Curiae 24.12.24)

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, una amico e collega, Vasilios Meichanetsidis, ci segnala questo interessante articolo di Michael Rubin, a cui va il nostro grazie. Buona lettura e condivisione.

Di immediato interesse per il resto di noi in Grecia e nella terraferma di Cipro.

 

 

Il noto analista americano di origine ebraica Michael Rubin avverte Israele di non ripetere con i curdi l’errore/tradimento commesso con gli armeni dell’Artsakh/Nagorno Karabakh e di mantenere le alleanze…

Il 27 settembre 2020 è iniziato come una tranquilla domenica mattina nel Nagorno-Karabakh , una regione montuosa popolata da armeni che, a prima vista, sembra la Svizzera : campi verdi, fattorie ondulate e montagne innevate con chiese e monasteri che punteggiano i pendii. Erano passati solo pochi giorni dal 100° anniversario dell’invasione ottomana dell’Armenia indipendente alla fine del genocidio armeno, ma quell’anniversario era trascorso con il minimo clamore da parte dei turchi e degli azeri.

Poi è iniziata l’esplosione, mi hanno descritto gli armeni del Nagorno-Karabakh quando sono andato a trovarli settimane dopo. Utilizzando droni e munizioni israeliani, l’Azerbaijan ha lanciato un attacco a sorpresa all’enclave armena autonoma, il primo di molti attacchi nei tre anni successivi in cui l’Azerbaijan ha violato i cessate il fuoco fino a completare la pulizia etnica del Nagorno-Kabarakh.

La rabbia verso Israele resta profonda tra i rifugiati del Nagorno-Karabakh, l’Armenia vera e propria e la comunità armena in generale.

Francamente, hanno ragione. Israele è uno dei pochi paesi occidentali che non riconoscono il genocidio armeno. Questa rabbia è persistita mentre l’Azerbaijan ha iniziato sistematicamente a smantellare le chiese armene e a sabbiare le iscrizioni sui monasteri, alcuni vecchi di oltre un millennio. È stata una strategia a breve termine e controproducente da parte di Israele, poiché il sostegno di Israele alla pulizia etnica degli armeni del Nagorno-Karabakh e alla distruzione del patrimonio culturale da parte dell’Azerbaijan ha creato un precedente che potrebbe essere usato contro gli ebrei che vivono in Cisgiordania, specialmente tra i palestinesi che negano qualsiasi legame ebraico con la terra.

Gli israeliani, come il commentatore Mordechai Kedar, ad esempio , potrebbero sostenere che l’Azerbaijan è un paradiso per gli ebrei, ma questo è sempre più falso. Le argomentazioni di Kedar si basano su numeri obsoleti e ripetono le stesse tattiche usate dai partigiani iraniani per sostenere che la Repubblica islamica era semplicemente anti-Israele, non antisemita. La realtà è che l’Azerbaijan ha perso i suoi ebrei per un motivo. Quando le statistiche sulla popolazione rimangono invariate per decenni, è un segno che quelle statistiche sono obsolete se non false.

Né reggono gli argomenti realisti di Israele per giustificare le armi israeliane per l’Azerbaijan. L’Azerbaijan potrebbe essere stato un tempo una fonte di energia cruciale per Israele, ma gli Accordi di Abramo hanno aperto nuovi canali in assenza del bagaglio morale insito nell’aiutare un dittatore razzista a eliminare una comunità minoritaria. In privato, tutti tranne coloro che vogliono qualcosa Il presidente azero Ilham Aliyev riconosce quanto Aliyev sia diventato repressivo e squilibrato; Aliyev stesso non cerca di nascondere il suo programma . Né Israele si mostra consapevole del vero ruolo dell’Azerbaijan quando il presidente turco Recep Tayyip Erdogan pianifica apertamente la violenza contro Israele e rafforza l’industria militare interna della Turchia ma usa l’Azerbaijan per continuare a commerciare con lo stato ebraico. Israele deve rimuovere i suoi paraocchi strategici: ogni consegna israeliana a Baku fornisce tecnologia che Ankara può usare contro Gerusalemme.

La complicità di Israele nella pulizia etnica del Nagorno-Karabakh rappresenta una macchia difficile da rimuovere, ma può anche fornire una lezione da non ripetere: gli accordi a breve termine con gli avversari ideologici di Israele non portano la pace; al contrario, incoraggiano i nemici. La Turchia può presentare un volto ai turisti a Istanbul, Bodrum o Antalya, ma ideologicamente, lavora per sradicare le minoranze mediorientali, siano esse cristiani armeni o caldei, curdi siriani, yazidi, alawiti o ebrei.

I curdi siriani ora affrontano un pericolo esistenziale mentre l’esercito turco si fa duro. L’accusa della Turchia che i curdi rappresentino una minaccia terroristica è una sciocchezza; piuttosto, la Turchia si oppone al liberalismo dei curdi, al loro autogoverno e al loro rifiuto dell’Islam ispirato dalla Fratellanza Musulmana di Erdogan, un’interpretazione dell’Islam storicamente estranea alla regione.

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I Parlamentari Europei di Fratelli d’Italia votano contro il rispetto dei diritti umani!!! (Politicamentecorretto 23.12.24)

Lo scorso 19 dicembre il parlamento europeo ha votato una risoluzione che ancora una volta condanna l’Azerbaigian per la terribile situazione dei diritti umani in quel Paese. Non solo per gli oppositori politici ma anche per i prigionieri di guerra armeni illegalmente detenuti dal regime di Aliyev.

La risoluzione è passata a larghissima maggioranza: 434 voti a favore, 89 astenuti e solo 30 contrari.

I voti contrari provengano purtroppo per buona parte dall’Italia (19) e specificatamente dal gruppo di Fratelli d’Italia.

E’ incredibile come una risoluzione di tal importanza morale, che si esprimeva a difesa dei diritti umani, abbia potuto avere il voto contrario di rappresentanti del popolo italiano.

Il gruppo che ha votato contro è capitanato dal ministro della Difesa, Crosetto, insieme ai parlamentari del suo partito, a differenza di quasi tutto il resto del parlamento europeo, ha ritenuto assolutamente necessaria l’opposizione a una mozione sui diritti umani non si sa se per vendere più armi al regime di Aliyev o con la improbabile scusa di salvaguardare le forniture di gas.

Ovviamente c’era anche la scelta diplomatica di astenersi, però con il voto espresso risulterebbe palese che Fratelli d’Italia preferisce stare dalla parte di un regime che è considerato tra i dieci peggiori e oppressivi al mondo, alla faccia dei diritti umani e del rispetto della dignità di ogni essere umano..

Finché c’è guerra c’è speranza, recitava il titolo di un vecchio film con Alberto Sordi.

I moderni mercanti preferiscono che gli oppositori politici e i prigionieri di guerra pacifici rimangano in galera, pur di non scontentare il cliente dittatore.

C’è solo da indignarsi di fronte a tale scenario.

Consiglio per la Comunità Armena di Roma

www.comunitaarmena.it

 

PER COMPLETEZZA DELL’INFORMAZIONE QUESTA E’ LA LISTA DEI DEPUTATI ITALIANI CHE HANNO VOTATO CONTRO IL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI

Berlato, Ciccioli, Crosetto, Donazzan, Fidanza, Fiocchi, Gambino, Gemma, Inselvini, Magoni, Mantovani, Nesci, Picaro, Polato, Razza, Squarta, Torselli, Ventola, Vivaldini

Testi approvati – La continua repressione della società civile e dei media indipendenti in Azerbaigian e i casi di Gubad Ibadoghlu, Anar Mammadli, Kamran Mammadli, Rufat Safarov e Meydan TV – Giovedì 19 dicembre 2024

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“Lo Schiaccianoci”: la magia armena del Balletto di Tchaikovsky al Carlo Felice. La recensione (Goamagazine 22.12.24)

GENOVA – Quando Hoffmann pubblicò nel 1816 il racconto  “Lo schiaccianoci e il re dei topi” (“Nussknacker und Mausekönig”) non avrebbe mai saputo che la storia del soldatino che schiaccia le noci con la bocca e di Marie/Clara/Masha sarebbe divenuto uno dei balletti più iconici e amati di sempre:una fiaba che ha conquistato il pubblico mondiale, in particolare durante le festività natalizie. Il soldatino nasce in un paesino della Germania al confine con la repubblica Ceca come forma di protesta pacifica contro le tasse che venivano imposte dai militari; l’idea funzionò e da allora è un giocattolo tradizionale, una sorta di nume tutelare della casa, magicamente la custodisce e la protegge. Nel 1892,Ciajkovskij compose la musica per “Lo Schiaccianoci” su libretto di Marius Petipa e Lev Ivanov, adattato da Alexandre Dumas padre, un balletto commissionato dal Teatro Mariinskij di San Pietroburgo in cui andò in scena il 18 Dicembre del medesimo anno. La rappresentazione a cura dell’Armenian National Ballet (direttore Karen Durgaryan) andata in scena ieri al Carlo Felice riprende la coreografia (Georgy Kovtun)voluta da Petipa ma in chiave più dinamica con tratti ironici (basti pensare al grande topo telecomandato che percorre la scena) che per concetto controintuitivo sottolineano la capacità di Tchaikovsky di trasmettere emozioni profonde attraverso la musica, tra cui la melanconia di cui è permeato “Lo Schiaccinoci”, differenziandosi dagli altri coevi compositori connazionali, come Mussorgsky, Rimsky-Korsakov e Borodin, che si concentravano sullo sviluppo della tradizione popolare russa, e di avvicinarsi ad un linguaggio musicale più universale, che univa il retaggio ruteno alla musica tedesca e francese (vedi l’introduzione della Celesta, o l’intuizione di usare sonagli e trombette simboli dell’infanzia) dando vita a opere che, pur mantenendo una forte identità nazionale, erano apprezzate a livello internazionale. La musica di Ciaikovskiè emotivamente complessa, meno interessata alla ricerca del puro stile: e’ focalizzata sull’espressione di sentimenti personali, rendendolo più vicino al linguaggio sinfonico del romanticismo europeo, ma con una “firma” unica. Nell’edizione dell’Armenian il fil rouge della storia è tenuto da Drosselmeyer (scoppiettante esecuzione di Grigor Grigoryan) che nel sogno di Marie veste come l’apprendista stregone di Fantasia e ci porta, prima nell’ intimità casalinga di una festa di natale, con giochi, bambini, danze e regali, poi nel mondo di fiaba dove tutto è ignoto e magico. La prima rappresentazione de “Lo Schiaccianoci” non ebbe successo, la sua popolarità crebbe negli anni, diventando un ever green natalizio e non solo; presente dei cartelloni annuali di tutti i teatri mondiali grazie anche alla duttilità degli stili di danza (dalla classica a alla moderna,a quella di popolare), ha mantenuto intatta la sua capacità di emozionare e di affascinare. Molte delle grandi compagnie di balletto internazionali, tra cui il Balletto Bolshoi, il Royal Ballet e il New York City Ballet, lo includono regolarmente nel loro repertorio sia per la possibilità di utilizzare diversi stili che per la tipica combinazione di narrazione e danza che ne acuiscono la spettacolarità:in un’atmosfera onirica i ballerini raccontano una storia di magia (il soldatino, il bravissimo Vahe Babajanyan che diventa un principe, l’appaluditissimo Yura Martirosian), mutazione (Il pas de deux tra Clara, appaludita calorosamente, Anahit Vasilyan e lo Schiaccianoci che rappresenta la trasformazione della protagonista da bambina ad adulta) e trionfo del bene sul male (la lotta contro i soldatini di Fritz, il prepotente, e il duello tra Lo schiaccianoci e il re dei topi, il frizzante Armen Zakaryan). “Lo Schiaccianoci” è molto più di un semplice balletto, è diventato un vero e proprio evento culturale globale superando i confini temporali e nazionali, entrando a far parte della cultura collettiva mondiale: l’Atto II del balletto, che si svolge nel “Regno dei Dolci” (bellissime scenografie di Vjaceslav Okunev, dove il regno di Fata confetto è una sorta di palazzo d’inverno con uova di Fabergè ricolme appunto di confetti) presenta una serie di danze tipiche di diverse nazioni, come la “Danza Spagnola o del cioccolato”, la “Danza Cinese o del tè”, la “Danza Araba o del caffè”, la danza russa” (basata sul teprak russo e ucraino) e “la danza degli agnelli e del pastore”, al carattere pedagogico della fiaba si unisce così l’intento ecumenico il tutto sulle ali di quella fantasia, che fa volteggiare nell’omonimo film di Walt Disney cardi, funghi, carpe, fiori, motore imperituro della mente umana.

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Armenia – Il Natale arriva con i Magi (Assadakah 20.12.24)

Letizia Leonardi (Assadakah News) – Il Natale, nella piccola Repubblica d’Armenia, viene chiamato Poqr Zatig, la piccola festa.

La commemorazione della Natività di Gesù, che la chiesa cattolica ha fissato al 25 dicembre, è stata scelta dopo il III secolo per unire questa festa cristiana con le celebrazioni del solstizio d’inverno e quelle dei Saturnali romani, dal 17 al 23 dicembre. A differenza delle Chiese cattoliche e ortodosse, che celebrano il Natale rispettivamente il 25 dicembre e il 7 gennaio, la Chiesa Apostolica Armena lo celebra il 6 gennaio. Il Natale armeno ha un carattere fortemente religioso e non è una festa pomposa e consumistica come in molti Paesi occidentali. Sulle tavole si trovano ricette a base di pesce e uova, ma il piatto tradizionale è l’harissa con pollo e frumento.

La sera del 5 gennaio in tutte le Chiese Apostoliche Armene si celebra la Santa Liturgia della Candelora. Il nome “candelora” deriva dall’espressione “accendere una candela o una lampada”. Ecco perché quella sera la gente porta dalla chiesa candele accese, che simboleggiano la luce divina, la benedizione di Dio, la luce della stella di Betlemme, che ha aiutato i magi a trovare la strada verso il bambino Gesù.

La mattina del 6 gennaio, dopo la Santa Liturgia, viene eseguita la Benedizione dell’Acqua in ricordo del Battesimo di Gesù.

I credenti, secondo la tradizione, portano a casa un po’ di quest’acqua come mezzo per curare i malati. Si ritiene che abbia particolari proprietà benefiche. L’acqua consacrata, secondo la tradizione cristiana, dovrebbe essere conservata con cura e trattata come sacra. Il clero trasmette la notizia della nascita di Cristo anche visitando le persone e benedicendo le loro case.

Il 6 mattina vanno tutti a messa e se, nell’anno passato, si è avuto un lutto in famiglia, diventa d’obbligo anche una visita al cimitero, presso la tomba del familiare venuto a mancare. Anche quest’anno è stata organizzata la Fiera del Natale che è iniziata il 14 dicembre e proseguirà fino al 6 gennaio. Si possono trovare cibo, dolci, souvenir, ecc. Una parte separata della fiera è riservata alle persone sfollate con la forza dal Nagorno Karabakh.

Ma qual è il vero giorno della nascita di Cristo? Quello che si celebra il 25 dicembre o il 6 gennaio?  Fino al IV secolo la Natività veniva festeggiata da tutte le chiese il 6 gennaio, poi la data è stata spostata al 25 dicembre. In primo luogo perché la Chiesa voleva imporsi sulla festa pagana dedicata alla nascita del dio Sole e, dato che la gente era già abituata a festeggiare il giorno 25, sarebbe stato più semplice far dimenticare la festività pagana sovrapponendosi a essa. La Chiesa armena però non ha applicato alcun cambiamento di data, in quanto il Cristianesimo era la religione ufficiale già a partire dal 301 d.C. sotto il Regno del re Tiridate III e le feste politeiste non rappresentavano alcun pericolo. Nel 551, in disaccordo con alcuni dogmi, dopo il Concilio di Dwin, la Chiesa Armena si separò dalla Chiesa di Roma. Nacque, dunque, la Chiesa Apostolica Armena con sede nella città di Etchmiadzin, a pochi chilometri da Yerevan, che ancora porta avanti questa grande tradizione spirituale. A capo di tale Chiesa c’è il Catholicos, erede di Gregorio Illuminatore. Le Chiese orientali antiche, fra cui quella armena, hanno dunque mantenuto l’uso di commemorare il Natale il 6 gennaio, data che coincide con la festa dedicata alla dea Iside. E insieme alla nascita di Gesù si celebra anche il suo battesimo e quindi la benedizione delle acque. In Terra Santa, invece, dove si trova un’importante e antica presenza del popolo armeno, il Natale viene celebrato da questa comunità, in base al calendario giuliano, il 18 gennaio. In questo giorno, a Betlemme, gli armeni danno vita a un cerimoniale molto ricco e a una processione che giunge fino alla Chiesa della Natività.

Grazie anche all’integrazione in Occidente delle varie comunità di armeni della diaspora, le tradizioni natalizie sono diventate simili a quelle occidentali, come il pranzo di Natale e lo scambio dei doni. Nel giorno della vigilia arriva Dzmer pap, il Babbo Natale armeno, che porta regali ai bimbi, mentre nel giorno di Natale, il 6 gennaio, s’imbandiscono le tavole per ospitare, come nelle migliori tradizioni, amici e parenti, mangiando di tutto, come a Capodanno, con una carrellata di prelibatezze. In particolare si preparano: sudjuk (salsicce speziate), pasterma (fette di carne molto fini rivestite di pasta speziata), tolma (foglie di vite al riso), tourchi (verdure all’aceto), beurég (simile a un calzone al formaggio), sardine all’olio, insalata di fagioli bianchi, formaggio bianco (féta). Il piatto forte è anche il keuftés (polpettine di carne fritte) con verdure (bamia) e boulghour (un cereale originario della Turchia che si mangia come il couscous) e ornate con capelli d’angelo. Al posto delle polpette fritte può esserci anche una faraona o un tacchino. Le verdure ripassate in padella non mancano mai. Può esserci cicoria o verdure che si trovano nei campi. A fine pasto i tradizionali dolci: il gatnabour, un dolce di riso al latte spolverato di cannella, e il famoso pakhlava o baklava.

Come la Turchia perseguita i cristiani (InformazioneCattolica 20.12.24)

Come la Turchia perseguita i cristiani

A cura di Aid to the Church in Need U.K.

IL CASO TURCHIA DAL “PERSECUTED AND FORGETTEN? 2024”, UN RAPPORTO SUI CRISTIANI PERSEGUITATI PER LA LORO FEDE

 

L’annuncio dell’agosto 2020 secondo cui i musei di Hagia Sophia e Chora di Istanbul – costruiti originariamente come chiese cristiane – sarebbero stati formalmente riconvertiti in moschee ha suscitato molte polemiche. Mentre i piani per Hagia Sophia sono stati portati avanti, il progetto per Chora si è arenato dopo che il Comitato del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO ha espresso preoccupazioni. Tuttavia, nel maggio 2024, la preghiera islamica è ripresa nell’ex Chiesa di Chora.

Le attuali interpretazioni legali del Trattato di Losanna del 1923 riconoscono lo status di minoranza legale solo ai cristiani armeni apostolici ortodossi, ai cristiani greco-ortodossi e agli ebrei. Nonostante il loro status speciale, non hanno un’identità legale e non possono acquistare o possedere proprietà a titolo collettivo né intraprendere azioni legali. Lo stesso vale per altri gruppi minoritari, inclusi cattolici e protestanti, che attualmente possono possedere proprietà solo tramite fondazioni separate.

Nonostante queste restrizioni, nell’ottobre 2023 la Chiesa Siriaco-Ortodossa di Sant’Efrem, la prima nuova chiesa costruita con l’approvazione del governo dalla fondazione della Turchia moderna, è stata ufficialmente inaugurata alla presenza del Presidente Recep Tayyip Erdoğan. Fonti della Chiesa nel paese hanno riferito che ci sono segnali che il governo emetterà permessi di costruzione per altre nuove chiese.

Le comunità cristiane continuano a incontrare restrizioni nella formazione del clero. Le comunità protestanti non possono formare clero nel paese e fanno affidamento principalmente su ministri stranieri. Il Seminario di Halki della Chiesa greco-ortodossa è chiuso da oltre mezzo secolo e, come la Chiesa ortodossa armena, invia i candidati al sacerdozio all’estero per gli studi.

L’eliminazione delle difficoltà burocratiche che impedivano il ritorno dei cristiani emigrati dalla Turchia è stata lodata da Padre Gabriel Akyuz della Chiesa Siriaco-Ortodossa dei 40 Martiri di Mardin. Egli ha reso omaggio al Presidente Erdoğan e al governo del Partito AK, sottolineando che “le massime autorità dello Stato [hanno dato] assicurazioni agli assiri che possono tornare nel loro paese in sicurezza”. Tuttavia, le paure sono riaffiorate quando, nel novembre 2023, la 91enne Gevriye Akgüç, cristiana siriaco-ortodossa ritornata in patria, è stata uccisa ad Anhil, Mardin.

A proposito di gravi eventi accaduti, nel mese di Gennaio 2024 due uomini armati hanno ucciso un uomo durante la messa domenicale nella Chiesa di Santa Maria a Istanbul. Lo zio della vittima ha dichiarato che l’uomo era un catecumeno di 52 anni. Lo Stato Islamico (ISIS) ha rivendicato l’omicidio. Nel mese di Febbraio 2024 sono state inviate domande scritte al Ministro dell’Istruzione Yusuf Tekin riguardo a un manuale inviato a tutte le scuole, in cui si affermava che era vietato celebrare festività cristiane. Ad Aprile 2024 i cristiani sono rimasti indignati quando la storica Chiesa di Santa Maria nel villaggio di Goydun, nella provincia di Sivas, è stata messa in vendita per 16 milioni di lire turche (circa 500.000 dollari). La chiesa del XIX secolo è stata venduta da Hatice Akay, una residente locale la cui famiglia l’aveva acquisita dopo il genocidio armeno. Essendo registrata come bene culturale protetto, la vendita dovrebbe essere illegale.

Nel mese di Maggio 2024 le preghiere islamiche sono ricominciate nella storica Chiesa di Chora. Il Presidente Erdoğan ha presieduto la cerimonia di inaugurazione tramite collegamento video. La chiesa del IV secolo divenne moschea nel 1511, dopo la caduta di Costantinopoli, e fu trasformata in museo nel 1945 per via dei suoi mosaici e affreschi significativi del tardo periodo bizantino. Chora è un sito del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. Nel mese di Giugno 2024 un processo ha rivelato che l’agenzia di intelligence Milli İstihbarat Teşkilatı monitorava segretamente i membri delle comunità protestanti da diversi anni, contrassegnando i dossier dei chierici stranieri con il codice N-82. Questo identificava i religiosi come minacce alla sicurezza nazionale, rendendo di fatto estremamente difficile il rientro nel paese.

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Trilaterale India-Iran-Armenia (FarodiRoma 20.12.24)

Il secondo giro di consultazioni trilaterali India-Iran-Armenia si è tenuto il 12 dicembre 2024 a Nuova Delhi. Shri J.P Singh, segretario congiunto della Divisione PAI, ha guidato le discussioni per la parte indiana. Le delegazioni di Iran e Armenia erano guidate rispettivamente da S.E. Mr. Hashem Ashja’ Zadeh, direttore generale della Divisione Asia meridionale, Ministero degli Affari esteri della Repubblica islamica dell’Iran e S.E. Ms. Anahit Karapetyan, capo del Dipartimento Asia-Pacifico, Ministero degli Affari esteri della Repubblica di Armenia.

Sulla base dei risultati delle precedenti consultazioni trilaterali tenutesi a Yerevan nell’aprile 2023, le tre parti hanno discusso in agenda le iniziative nel campo della connettività, l’impegno in forum multilaterali e ulteriori sviluppi di carattere regionale, esplorando anche modalità per promuovere il commercio, il turismo e gli scambi culturali attraverso il rafforzamento dei legami interpersonali. Durante le consultazioni, le delegazioni hanno sottolineato la necessità di promuovere una stretta cooperazione nell’ambito dell’INSTC (International North–South Transport Corridor) e hanno evidenziato a tale proposito il ruolo del porto di Chabahar. La parte armena ha informato i partecipanti sulla sua iniziativa di connettività “The Crossroads of Peace”. Le tre parti hanno ribadito, infine, il proprio impegno a continuare la cooperazione secondo il formato attuale ed è stato concordato che il prossimo round di consultazioni trilaterali si terrà in Iran in una data e un orario reciprocamente convenienti.

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Armenia: vicepremier Grigoryan, progetto Crocevia della pace fondamentale per gestire rischi (AgenziaNOva 18.12.24)

Erevan, 18 dic 16:50 – (Agenzia Nova) – Il progetto Crocevia della pace dell’Armenia rappresenta un elemento cruciale per neutralizzare i rischi energetici, rafforzare le relazioni economiche e commerciali e creare nuove opportunità per la fornitura di beni. Lo ha dichiarato il vice primo ministro armeno, Mher Grigoryan, durante il forum “Challenges and Opportunities: Towards 2025” a Erevan. Grigoryan ha sottolineato che i rischi globali sono interconnessi e richiedono un’analisi approfondita per evitare conseguenze impreviste. “Non si tratta solo del costo o della disponibilità di risorse energetiche, ma anche delle capacità logistiche di fornitura, spesso fisicamente limitate”, ha affermato il vicepremier. Grigoryan ha evidenziato che le infrastrutture regionali per il gas e le soluzioni logistiche dovrebbero garantire una gestione sostenibile dei rischi energetici e ha inoltre ribadito l’importanza di produrre beni competitivi di alta qualità, in grado di superare le sfide del mercato globale. Il progetto Crocevia della pace si inserisce nella strategia di diversificazione dell’Armenia, mirata a consolidare la resilienza economica e a promuovere lo sviluppo sostenibile nel contesto regionale.