Baku, ‘missione Ue in Armenia allarmante, termini al più presto’ (Ansa 12.12.24)

“Lo spiegamento di forze di qualsiasi paese terzo, inclusa la missione dell’Ue sul territorio dell’Armenia, è un fattore preoccupante che dovrebbe terminare al più presto”.

Lo ha detto parlando alla stampa nazionale Hikmat Hajiyev, consigliere del presidente dell’Azerbaijan e capo del dipartimento degli Affari Esteri.

Lo riporta l’agenzia di stampa azera Apa.
“Baku non vede alcuna necessità per la partecipazione di una terza parte al processo di delimitazione che viene svolto in condizioni pacifiche e reciprocamente concordate e quindi non vediamo la necessità dello spiegamento di alcuna missione dell’Unione Europea al confine tra Armenia e Azerbaigian”. “Tale missione – ha concluso Hajiyev – avrebbe dovuto essere a breve termine ma come abbiamo visto sta diventando una missione permanente e la sua composizione e l’area del mandato geografico si stanno espandendo: non consideriamo la missione dell’Ue un fattore che contribuisce al consolidamento della pace nella regione, anzi è per noi un fattore preoccupante”.

Caucaso del Sud, un anno difficile (Osservatorio Balcani e Caucaso 12.12.24)

L’anno che sta per finire ha visto il Caucaso meridionale affrontare numerose crisi e sfide elettorali e politiche: una situazione turbolenta in cui si intrecciano le azioni di poteri ufficiali e non riconosciuti. Una rassegna

12/12/2024 –  Marilisa Lorusso

Nulla di nuovo in Azerbaijan, con un sistema politico che non conosce l’alternanza. Le elezioni del 2024 hanno lasciato il quadro com’era. Molto più travagliatala situazione della Georgia.

A Tbilisi c’è un governo uscito dalle controverse elezioni di fine ottobre, mentre la presidenza della Repubblica è in scadenza e le nuove, sperimentali, elezioni prendono forma nel peggior quadro politico possibile. Per la prima volta infatti il capo dello stato non sarà più eletto direttamente dal popolo ma mediante un collegio di 300 membri.

Nei territori georgiani controllati dalla Russia, è in pieno tumulto l’Abkhazia in cui una rivolta di piazza ha costretto le dimissioni il presidente de facto Aslan Bzhania. La presidenza è stata assunta ad interim, fino alle elezioni di febbraio, da Badra Gunba.

Le guerre secessioniste e gli sfollamenti che le hanno accompagnate hanno infatti generato un proliferare di amministrazioni de facto e de jure. Oltre ai governi secessionisti, il governo di Tbilisi mantiene vive le sue amministrazioni de jure dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud.

A settembre il Presidente del governo della Regione Autonoma dell’Abkhazia, Ruslan Abashidze, in carica dal 2019, ha rassegnato le dimissioni.

Il suo messaggio  di dimissioni riassume il senso del suo ruolo e mandato: “Vorrei esprimere un ringraziamento speciale alla società abkhaza. È stato un grande onore e, allo stesso tempo, una grande responsabilità per me servire loro e lavorare insieme per avvicinarci ancora di più all’obiettivo di unire le società divise e ripristinare l’integrità territoriale del Paese.”

Il nuovo Presidente del governo abkhazo è Levan Mgaloblishvili, originario di Sukhumi, e insieme a Tamaz Bestaev, Capo dell’unità amministrativo-territoriale provvisoria dell’ex distretto autonomo dell’Ossezia meridionale (unità amministrativa abolita da Tbilisi nei primi tumultuosi anni di indipendenza), oltre a coordinare le suddette attività per la popolazione sfollata, partecipa alle Discussioni internazionali di Ginevra, ovviamente come membro della delegazione georgiana.

Il fu Nagorno Karabakh

Il territorio della fu repubblica de facto del Nagorno Karabakh continua il suo percorso, sotto la sovranità azera, mentre la popolazione che vi risiedeva è per lo più fuggita in Armenia. Come entità politica amministrativa la Regione Autonoma del Nagorno Karabakh, così denominata in periodo sovietico, e poi diventata la Repubblica dell’Artsakh durante il periodo secessionista, non esiste più.

Dal luglio 2021 è una delle 14 regioni economiche in cui è suddiviso l’Azerbaijan. Il Presidente azero Ilham Aliyev ha istituito la carica di Rappresentante speciale presidenziale per questa regione economica e incaricato nel 2021 Emir Huseynov.

Nel frattempo continuano i rientri, e il dicembre del 2024 ha portato la popolazione degli ex sfollati di guerra azeri trasferiti in Karabakh nella ex cintura di sicurezza a circa 30mila persone. Insieme ai rientri continuano anche i massicci interventi urbanistici e infrastrutturali, che sono monitorati a distanza dagli ex residenti armeni e dalle loro istituzioni.

Sì, perché il Karabakh armeno nella sua realtà istituzionale esiste ancora. Gli organi di governo, che avrebbero dovuto sciogliersi non si sono infatti sciolti.

Questa nuova popolazione di sfollati del Karabakh e i loro rappresentanti osservano da lontano l’evolversi del territorio dove sono rimasti i loro beni immobili e il patrimonio culturale materiale.

A ottobre l’ex ministro della Cultura, della Gioventù e del Turismo del Nagorno Karabakh (2017-2018), Capo del Consiglio pubblico dell’Artsakh per la protezione del patrimonio culturale (dal 2021) Sergey Shahverdyan ha pubblicato un post su Facebook  con una foto che mostra la demolizione da parte dell’amministrazione azera di edifici residenziali di Stepanakert / Khankendi aggiungendo che nei giorni precedenti i quartieri storici della capitale lungo Tumanyan Street sono stati rasi al suolo, violando così i diritti di proprietà di migliaia di proprietari di edifici privati ​​del XIX e dell’inizio del XX secolo.

Il mese seguente il difensore civico de facto Gegham Stepanyan ha pubblicato un post  denunciando che il piccolo centro di Stepanakert, noto come ‘Koltsevaya’, è stato distrutto. Stepanyanha rilevato anche che decine di edifici pubblici e privati ​​sono stati rasi al suolo.

Continua la propria attività il Comitato per la difesa dei diritti fondamentali del popolo dell’Artsakh. Secondo un comunicato stampa  di ottobre, i suoi membri hanno avuto incontri con il Presidente della Repubblica dell’Artsakh Samvel Shahramanyan, i membri dell’ex parlamento, l’Assemblea nazionale, il capo della diocesi e Sua Santità Karekin II, Catholicos di tutti gli Armeni, durante il quale sono stati condivisi aggiornamenti.

Il Comitato si ripropone fra le attività svolte di compiere sforzi verso la definizione di un formato negoziale internazionale per affrontare il diritto al ritorno, la tutela del patrimonio culturale dell’Artsakh, della proprietà pubblica e privata, il ritorno dei prigionieri di guerra armeni e degli ostaggi trattenuti a Baku e altre questioni critiche legate alla difesa dei diritti del popolo dell’Artsakh.

Né il Comitato, né gli organi governativi e istituzionali de facto hanno più alcun contatto con Baku, e sono ridotti al minimo o meno del minimo quelli con Yerevan, dove pure i vari esponenti in esilio risiedono.

Cercano invece contatti all’estero, e questo mese l’Assemblea nazionale ha chiesto che le Nazioni Unite riconoscano l’Artsakh, anche ora che la sua popolazione è in esilio, ricordando che nel luglio del 2023 la stessa si era rivolta all’ONU per il riconoscimento, rammaricandosi che i rischi che erano stati segnalati fossero stati ignorati.

Il settembre seguente il conflitto di un giorno ha decretato lo sfollamento completo dei secessionisti armeni. Secondo i rappresentati de facto  ora “Il riconoscimento dell’indipendenza della Repubblica dell’Artsakh da parte degli Stati membri dell’ONU è l’unico modo per ripristinare la giustizia storica, diventerà una garanzia affidabile della protezione del nostro popolo, contribuirà al ritorno dignitoso e sicuro di 150mila armeni alla propria patria storica, entro i confini internazionali già riconosciuti, alla propria dimora storica.”

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Azerbaijan, non sorprende il silenzio su Gaza (Osservatorio Balcani e Caucaso 12.11.24)

l presidente azero Ilham Aliyev ha chiesto pubblicamente la fine della “tragedia di Gaza”. Nonostante le proteste che arrivano da più parti, però, l’Azerbaijan resta il principale fornitore di petrolio ad Israele, che a sua volta ha fornito un aiuto chiave a Baku per modernizzare l’esercito

12/12/2024 –  Arzu Geybullayeva

Lo scorso giugno, dopo un incontro con l’omologo egiziano Abdel al-Sisi, il presidente azero Ilham Aliyev ha chiesto  di porre fine alla “tragedia di Gaza”. Eppure, l’Azerbaijan è tra i paesi che forniscono petrolio a Israele, alimentando così la guerra.

L’Azerbaijan fornisce a Israele circa il 40% del suo fabbisogno di petrolio. Lo scorso novembre, durante la conferenza internazionale sul clima a Baku, i gruppi di pressione hanno colto l’occasione per chiedere al governo dell’Azerbaijan di interrompere la fornitura.

Contemporaneamente, si sono svolte proteste fuori dalle ambasciate azere in varie capitali. L’attivista per il clima Greta Thunberg, che si trovava in Georgia e non è riuscita a raggiungere Baku a causa della chiusura ai passeggeri di tutti i confini di terra dall’inizio della pandemia, ha definito  l’Azerbaijan complice della guerra contro Gaza a causa del costante flusso di combustibili fossili verso Israele.

A ottobre Progressive International  , una piattaforma che riunisce oltre cento organizzazioni con la missione di “unire, organizzare e mobilitare”, ha pubblicato un appello  “ad agire e fare pressione sugli attori complici nell’alimentare il genocidio israeliano tramite l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan”.

L’oleodotto in questione (BTC) trasporta il petrolio azero attraverso la Georgia fino ai porti del Mediterraneo in Turchia, da dove viene spedito in tutto il mondo, compreso Israele. L’appello chiede “un embargo energetico su Israele con un focus sull’oleodotto BTC e sui suoi due principali attori aziendali: British Petroleum (BP) e Azerbaijan State Oil Company (SOCAR)”.

Questi appelli non sono nuovi. Durante l’estate, un gruppo pro-Palestina denominato “The Thousand Youths for Palestine” ha organizzato proteste fuori dagli uffici SOCAR a Istanbul. La Turchia ha proseguito con il commercio e le spedizioni a Israele fino a maggio 2024, quando ha annunciato restrizioni su tutti gli scambi commerciali fino alla fine della guerra a Gaza.

Tuttavia, non tutti credono che sia così. Il giornalista Metin Cihan, ora in esilio, è stato tra i primi a sottolineare come il paese continuasse a commerciare con Israele nonostante la decisione di bloccare tutte le relazioni commerciali. Il 29 novembre, mentre il presidente Recep Tayyip Erdoğan si rivolgeva al TRT World Forum, gli attivisti che chiedevano perché il petrolio azero venisse ancora spedito in Israele sono stati rapidamente allontanati dalla sala.

Queste domande, tuttavia, erano corrette, poiché un recente report  di Progressive International e della campagna Stop Fuelling Genocide ha rivelato che una petroliera partita dal terminal Heydar Aliyev a Ceyhan il 30 ottobre ha attraccato in Israele il 5 novembre, per poi partire per la Sicilia.

La petroliera avrebbe spento il segnale di tracciamento dopo aver raggiunto il Mar Mediterraneo orientale e lo avrebbe riacceso dopo aver raggiunto la Sicilia, pertanto la sua tappa in Israele è stata rilevata solo grazie alle immagini satellitari.

Durante le proteste di fronte all’ufficio SOCAR di Istanbul durante l’estate, la società ha negato la vendita diretta di petrolio a Israele, affermando che la vendita avviene tramite società commerciali. La società ha quindi insistito sul fatto che queste società commerciali non sono monitorate o controllate da società fornitrici come SOCAR.

I funzionari in Turchia concordano. Rivolgendosi  al parlamento il 12 novembre, il vicepresidente del gruppo AKP Özlem Zengin ha affermato: “Attualmente 700.000 barili di petrolio scorrono quotidianamente dall’oleodotto Baku-Ceyhan. Questo petrolio appartiene a diverse società. La Turchia non gestisce il petrolio trasportato, ma solo l’oleodotto”.

Zenging ha anche aggiunto che il ministro del Commercio turco Ömer Bolat ha incontrato tutte le aziende che utilizzano l’oleodotto, le quali hanno tutte confermato che non è stato spedito petrolio direttamente in Israele attraverso questo canale.

Dal punto di vista tecnico, la Turchia non può fermare le spedizioni e bloccare il flusso. L’accordo firmato tra la compagnia petrolifera statale turca TPAO e BP, il più grande partner dell’oleodotto BTC, proibisce di ritardare o ostacolare il transito del petrolio. In caso contrario, la Turchia potrebbe finire in una corte internazionale di arbitrato.

Legami tra Israele e Azerbaijan

I legami dell’Azerbaijan con Israele si basano da tempo sul commercio di equipaggiamento militare e di sorveglianza, sulla fornitura di petrolio e, più di recente, sulla tecnologia aerospaziale. Israele ha istituito la sua ambasciata nella capitale Baku nel 1993. L’Azerbaijan ha iniziato a fornire petrolio a Israele nel 1999. La svolta nelle relazioni, tuttavia, è avvenuta nel 2010.

L’analista azero Zaur Shiriyev ha dichiarato  a Global Voices che la necessità di Baku di modernizzare il proprio esercito e la ricerca di nuovi partner da parte di Israele, in un contesto di deterioramento dei legami con la Turchia, hanno avvicinato i due paesi.

Nel 2011 l’Azerbaijan era diventato il principale partner commerciale di Israele ed esportava circa 2,5 milioni di tonnellate di petrolio all’anno, secondo i dati disponibili in quel periodo. La sussidiaria della SOCAR, la Caspian Drilling Company, ha firmato un accordo con il giacimento petrolifero israeliano Med Ashdod, ottenendo una quota del 5% e i diritti per le trivellazioni offshore nella zona.

Con il prosperare delle relazioni, l’Azerbaijan ha aumentato la spesa sull’equipaggiamento militare israeliano. Nel 2015-2019, secondo i dati dello Stockholm International Peace Research Institute, Israele ha fornito il 60% delle importazioni di armi all’Azerbaijan. Questa attrezzatura, così come l’acquisto di droni israeliani, ha aiutato l’Azerbaijan a vincere la guerra di 44 giorni con l’Armenia nel 2020.

L’Azerbaijan ha continuato a mantenere un delicato equilibrio sulla scia dell’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre e della successiva guerra a Gaza. Ufficialmente, il paese non ha condannato Israele, limitandosi a votare “a favore della risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite che chiedeva una tregua umanitaria immediata che portasse alla cessazione delle ostilità tra Israele e Hamas”. Questo, scriveva l’esperto di politica estera Eldar Mamedov nel suo articolo  per Eurasianet nel novembre 2023, “è più o meno il massimo che [l’Azerbaijan] è disposto a fare”.

Nell’ottobre 2023, SOCAR è stata tra le sei aziende a cui è stata assegnata una licenza per esplorare e sviluppare nuove riserve di gas naturale nel Mediterraneo orientale. “Le aziende vincitrici si sono impegnate con investimenti senza precedenti nell’esplorazione del gas naturale nei prossimi tre anni, il che si spera porti alla scoperta di nuovi giacimenti di gas naturale”, avrebbe affermato  all’epoca il ministro dell’Energia Katz. Lo stesso anno, l’Azerbaijan ha aperto la sua ambasciata a Tel Aviv.

Nel febbraio 2024, il presidente Aliyev ha incontrato il suo omologo israeliano Isaac Herzog a margine della Conferenza sulla sicurezza di Monaco. Nell’aprile 2024, i ministri dell’Energia di entrambi i paesi hanno discusso di ulteriori legami energetici durante un incontro a Dubai.

Se i due governi intrattengono legami strategici, anche l’opinione pubblica è rimasta in silenzio. Non ci sono state proteste o richieste, tranne una manciata di attivisti civici e politici espressione dell’opinione pubblica azera, composta in maggioranza da musulmani sciiti, che hanno chiesto al governo di assumere una posizione più dura contro Israele.

Nell’ottobre 2023, poco dopo l’inizio della guerra a Gaza, diverse piattaforme di notizie online hanno condotto sondaggi tra i loro lettori, in base ai quali due terzi degli intervistati hanno espresso sostegno a Israele. Le immagini  condivise dall’ambasciatore israeliano in Azerbaijan, che mostrano fiori deposti fuori dall’ambasciata, illustrano la solidarietà del popolo azero nei confronti di Israele.

Scarsa è anche la copertura della guerra a Gaza in gran parte dei media statali o filo-governativi. Pertanto, l’inerzia dell’Azerbaijan nei confronti di Gaza non sorprende.

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LO SCHIACCIANOCI CON IL BALLETTO NAZIONALE ARMENO A DICEMBRE AL REGIO (Zarabaza 11.12.24)

LO SCHIACCIANOCI

CON IL BALLETTO NAZIONALE ARMENO A DICEMBRE AL REGIO

Uno dei capolavori del balletto dell’Ottocento nella versione coreografica di Georgy Kovtun, con scene e costumi di Vjačeslav Okunev che restituiscono lo splendore della sua veste tradizionale

Teatro Regio di Parma

sabato 28 dicembre 2024 ore 20.30

domenica 29 dicembre 2024 ore 15.30

Lo Schiaccianoci è lo spettacolo dall’atmosfera natalizia per eccellenza, uno dei capolavori del balletto dell’Ottocento, grande opera di Marius Petipa, adattata per i bambini e trasformata in balletto grazie alla celeberrima musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij, con suggestioni oniriche tipiche della favola. L’allestimento raffinato del Balletto Nazionale Armeno, nella versione coreografica di Georgy Kovtun, con scene e costumi di Vjačeslav Okunev incanterà grandi e piccoli al Teatro Regio di Parma sabato 28 dicembre ore 20.30 e domenica 29 dicembre 2024 ore 15.30,rimanendo fedele al balletto originale, emblema della tradizione ballettistica russa e ripercorrendo i passi di Petipa e di Ivanov con lo scopo di restituire lo splendore della sua veste tradizionale.

Protagonisti in scena: Elya Aslanyan (28) e Anahit Vasilyan (29) nel ruolo di Marie, Andrei Gukasian (28) e Militon Kirakosyan (29) in quello del Principe; Sevak Avetisyan (28) e Grigor Grigoryan (29) in Drosselmeyer; Mariam Garajyan (28) e Tatevik Bolshikyan (29) nella Fata; Garegin Babelyan (28) e Vahe Babajanyan (29)nello Schiaccianoci; Artashes Hakobyan (28) e Armen Zakaryan (29)nel Re dei topi.

BALLETTO NAZIONALE ARMENO

Il Teatro Nazionale Armeno dell’Opera e del Balletto intitolato ad Alexander Spendiaryan è stato fondato nel 1933, segnando un’importante pietra miliare nel panorama culturale armeno. La sua compagnia di balletto si è esibita per la prima volta all’inaugurazione del teatro nelle scene di ballo dell’opera “Almast” di Alexander Spendiaryan, coreografate da Vahram Aristakesyan e Vladimir Presnyakov. La prima rappresentazione del balletto, “Il lago dei cigni” di P.I. Čajkovskij fu messa in scena nel 1935 da Yuri Reineke. Un evento significativo nel 1939 fu l’esecuzione del balletto “Happiness” su musica di Aram Khachaturyan in cui Ilya Arbatov combinò per la prima volta il balletto classico con le danze popolari armene. Dal 1938 al 1957, il repertorio del teatro si arricchì con una serie di balletti nazionali come “Gayane” di Aram Khachaturyan, “Sevan” di Grigor Yeghiazaryan, “Marmar” di Edgar Hovhannisyan e “Sona” di Eduard Khaghagortyan.

Dal 1961 al 1967, Yevgeny Changa fu a capo del Balletto Nazionale Armeno e permise la creazione di balletti su larga scala come “Spartacus” di Aram Khachaturyan, “Cenerentola” di Sergey Prokofiev, “Don Chisciotte” di Ludwig Minkus e “Prometeo” di Emin Aristakesyan. Dal 1967 al 1971 la compagnia di balletto fu diretta da Maxim Martirosyan. Con un rapporto unico tra danza classica, moderna e popolare armena, le sue produzioni di balletto hanno arricchito la scena della danza nazionale con nuove espressioni artistiche. Dal 1972 al 1983 e poi dal 2014 al 2021, con alcune interruzioni, Vilen Galstyan, è stato il principale direttore del balletto del Teatro Nazionale Armeno dell’Opera e del Balletto. Sotto la sua direzione furono create le seguenti produzioni di balletto: “David of Sassoun” di Edgar Hovhannisyan, “Spartacus”, “Masquerade” e “Gayane” di Aram Khachaturyan – il pezzo più rappresentativo del Balletto Nazionale Armeno fino ad oggi. I classici del repertorio degli ultimi anni sono “Romeo e Giulietta” di Oleg Vinogradov e “Il lago dei cigni” di A. Fadeečev. Il Balletto Nazionale Armeno è stato in tournée in numerosi teatri prestigiosi: Teatro Bolshoi a Mosca, Teatro Mariinsky e Teatro Mikhailovsky a San Pietroburgo, così come teatri in Francia, Belgio e altri paesi. Oggi Ruben Muradyan, artista onorato della Repubblica d’Armenia, è il principale coreografo del Teatro Accademico Nazionale Armeno dell’opera e del balletto.

Dicembre al Regio si concluderà mercoledì 1 gennaio, ore 18.00, con il Concerto di Capodanno della Società dei Concerti di Parma.

BIGLIETTERIA

Biglietti da 15 a 70 euro. Riduzioni del 20% per Under35 e scuole di danza. I biglietti per tutti gli spettacoli sono disponibili presso la biglietteria del Teatro Regio di Parma e online su teatroregioparma.it. L’acquisto online non comporta alcuna commissione di servizio. Per informazioni Strada Giuseppe Garibaldi, 16/A – 43121 Parma Tel. +39 0521 203999 – biglietteria@teatroregioparma.it

Parma, 5 dicembre 2024

Paolo Maier

Responsabile Comunicazione istituzionale, Ufficio stampa, Archivio

Teatro Regio di Parma

strada Garibaldi 16/A, 43121 Parma – Italia

Tel. +39 0521 203969

p.maier@teatroregioparma.it

stampa@teatroregioparma.it

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GEORGY KOVTUN

Nato il 19 febbraio 1950 a Odessa è un ballerino, maestro di balletto e coreografo ucraino. Nel 1985 si è diplomato come coreografo-direttore al Conservatorio di Leningrado nella classe di N. N. Boyarchikov. Dal 1987 al 1994 è stato il coreografo principale del Teatro dell’Opera e del Balletto per bambini di Kiev e ha coreografato più di 30 produzioni di balletto. Dal 1994 lavora come maestro di ballo del Teatro Accademico Statale dell’Opera e del Balletto di San Pietroburgo. Nel 2000 inizia ad insegnare “L’Arte della Coreografia” al Conservatorio di San Pietroburgo. Nel corso della sua lunga carriera ha già messo in scena più di 300 spettacoli di opera e balletto, miniature coreografiche, musical, operette.

VJAČESLAV OKUNEV

È lo scenografo principale del Teatro Mikhailovsky. Le produzioni in cui ha lavorato in questo teatro includono La storia dello zar Saltan, La sposa dello zar, La traviata, Otello, Rigoletto, Tosca, Carmen, Il barbiere di Siviglia, Die Csárdásfürstin, Die Fledermaus, Faust, Don Giovanni, Iolanta, Don Chisciotte, La Bayadère, La Bella Addormentata, Il Lago dei Cigni, Lo Schiaccianoci, Raymonda, Giselle e Spartacus tra gli altri. Ha lavorato anche in produzioni del Boris Eifman Ballet Theatre, dell’Opera da Camera di San Pietroburgo, del Leonid Yakobson Ballet Theatre, del Lensoviet Theatre (San Pietroburgo) e dei teatri dell’opera e del balletto di Novosibirsk, Samara, Krasnoyarsk e Saratov. L’artista ha collaborato con il Teatro dell’Opera e del Balletto del Conservatorio di San Pietroburgo, i teatri dell’opera e del balletto di Ekaterinburg e Perm, il Teatro Musicale di Rostov, i teatri delle commedie musicali di San Pietroburgo e Ekaterinburg e il teatro Zazerkalye (San Pietroburgo). Al Teatro Bolshoi russo Vyacheslav Okunev ha disegnato le scenografie per le produzioni di La Sylphide, Russian Hamlet e Khovanshchina.

Okunev ha anche lavorato molto fuori dalla Russia, tra cui all’Opera di Stato di Vienna, alla Staatsoper Unter den Linden di Berlino, all’Opera israeliana (Tel Aviv), al Theatre Royal di Glasgow, all’Opera Nazionale Greca (Atene), al Teatr Wielki – Opera Nazionale Polacca (Varsavia), Opera di Stato Ungherese (Budapest), Teatro Nazionale della Corea (Seoul), New York City Ballet, Teatro Bolshoi della Bielorussia (Minsk) e Nuovo Teatro Nazionale, Tokyo. Le produzioni ideate da Vyacheslav Okunev sono state presentate in diverse sedi italiane, tra cui il Teatro alla Scala, l’Arena di Verona e il Teatro Lirico di Cagliari.

LA TRAMA

Atto I Gli ospiti stanno arrivando per la festa a casa dei signori Stahlbaum e dei loro bambini, Mary e Fritz. Il padrino di Mary, l’eccentrico sig. Drosselmeyer, arriva con giocattoli per tutti i bambini e qualcosa di speciale  per Mary.

Durante la festa Drosselmeyer ha un’altra meravigliosa sorpresa, bambole ad altezza d’uomo che danzano per la delizia dei bambini. Egli poi fa a Mary il suo dono speciale, uno schiaccianoci in legno con l’aspetto di un soldato, uno strano regalo per una bambina, ma Mary se ne innamora a prima vista e, orgogliosa, lo mostra a tutti. Fritz volendoglielo strappare incidentalmente rompe lo schiaccianoci. Mary ha il cuore spezzato, ma per fortuna Drossdelmeyer aggiusta il giocattolo con grande sollievo di tutti. La festa volge al termine e i bambini vengono mandati a letto. Mary è troppo eccitata per dormire e sgattaiola al piano di sotto per stare insieme al suo schiaccianoci. Incominciano a succedere delle strane cose. Enormi topi, grandi quasi quanto lei, corrono sul pavimento. La pendola batte la mezzanotte e l’intera casa incomincia a trasformarsi. L’albero di Natale incomincia a crescere diventando enorme e una grande battaglia ha inizio tra i topi guidati dal Re dei Topi e lo Schiaccianoci, ora a grandezza naturale, che è alla testa di un esercito di soldati giocattolo. Sembra che il Re dei Topi stia per avere la meglio, ma proprio all’ultimo lo Schiaccianoci è vittorioso. Lo Schiaccianoci si trasforma in un Principe e conduce Mary in un viaggio fantastico che ha inizio nel ventoso Regno della Neve dove la Regina delle Nevi le dà il benvenuto. Nell’ultima scena l’intero Regno della Neve manda Mary nel palazzo della Fata Confetto nel magico Paese della Dolcezza.

Atto II La scena incomincia nel palazzo della Fata Confetto dove tutti si riuniscono per dare il benvenuto a Mary. Mentre gli Angeli sono intorno al palazzo, la Fata Confetto e il suo Cavaliere incontrano Mary e il Principe Schiaccianoci e invitano tutti i personaggi a entrare per un saluto reale. Il Principe Schiaccianoci rievoca la battaglia per spiegare a tutti come l’intrepida Mary l’abbia aiutato a sconfiggere il Re dei Topi. La Fata Confetto organizza una grande festa. Danzatori provenienti da posti lontanissimi, Spagna, Arabia e Russia, sono arrivati per danzare per Mary. La Fata della Rugiada apre il bel valzer dei Fiori, e poi la Fata Confetto e il suo Cavaliere interpretano la più bella danza. Alla fine tutti i personaggi si riuniscono per salutare Mary che ritorna a casa.

Teatro Regio di Parma

sabato 28 dicembre 2024 ore 20.30

domenica 29 dicembre 2024 ore 15.30

Durata 2 ore compreso un intervallo

LO SCHIACCIANOCI

Balletto Nazionale Armeno

Musica Pëtr Il’ič Čajkovskij

Versione coreografica Georgy Kovtun

Scene e costumi Vjačeslav Okunev

Marie Elya Aslanyan (28) / Anahit Vasilyan (29)

Il principe Andrei Gukasian (28) / Militon Kirakosyan (29)

Drosselmeyer Sevak Avetisyan (28) / Grigor Grigoryan (29)

La fata Mariam Garajyan (28) / Tatevik Bolshikyan (29)

Lo schiaccianoci Garegin Babelyan (28) / Vahe Babajanyan (29)

Il re dei topi Artashes Hakobyan (28) / Armen Zakaryan (29)

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1489 di Shoghakat Vardanyan (Osservatorio Balcani e Caucaso 11.12.24)

Nell’ambito della rassegna “DocDay“, proiezione del film della regista armena Shoghakat Vardanyan che racconta le ricerche del fratello Soghomon che stava per completare il servizio militare obbligatorio quando è scoppiata la guerra del Nagorno-Karabakh. Conferenza pomeridiana e a seguito della proiezione serale, dibattito con l’autrice

Proiezione del film “1489” della regista armena Shoghakat Vardanyan (Armenia, 2023) nell’ambito della rassegna di film documentari „DocDay“.

La giovane pianista armena Shoghakat Vardanyan non aveva mai preso in considerazione di fare un film. Ma poi, nell’autunno del 2020, il governo azero ha lanciato una nuova grande offensiva militare sulla regione del Nagorno-Karabakh tra Armenia e Azerbaigian, contesa da decenni. Il fratello di Vardanyan, anch’egli un giovane musicista, stava svolgendo il suo servizio militare obbligatorio quando, da un giorno all’altro, è stato chiamato al fronte. Da qui la famiglia perse ogni contatto con lui. La giovane donna ha quindi iniziato a documentare la ricerca del fratello col suo smartphone. Il risultato è un film molto emotivo e intimo sulla ricerca, l’incertezza e infine un triste presentimento.

Shoghakat Vardanyan è nata nel 1993 a Yerevan, in Armenia. Musicista, nel 2014 si è laureata in pianoforte al Komitas State Conservatory di Yerevan. Dal 2017 suona improvvisazioni libere ed è entrata a far parte della Contemporary Sound Orchestra di Yerevan. Ha partecipato ai workshop EurasiaDoc Armenia e DocTrain Armenia, dove ha avuto come mentore la regista e produttrice russa Marina Razbežkina. 1489 è il suo primo film.

Ore 16.00 – Conferenza “Quando conflitto e perdita prendono forma” – Libera Università di Bolzano, Aula F.06, ore 16.00

La regista Shoghakat Vardanyan dialoga con Roberto Farneti (Facoltà di Economia e Management, Università di Bolzano), Emanuela Fronza (Dipartimento di Scienze Giuridiche,  Università di Bologna), Daniela Giannetti (Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Università di Bologna), Emanuele Vernillo (Zelig Scuola di Documentario).

Ore 20.00 – Proiezione del film presso il Cinema Capitol

Seguirà un dibattito con l’autrice.

INFO:

FAS – Film Association South Tyrol

web: https://www.fas-film.net/it/docday/

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Dal Congo all’Armenia passando per l’Europa: mostra internazionale di presepi al Museo Pitrè (PalermoToday 11.12.24)

QuandoDal 16/12/2024 al 06/01/2025dalle ore 9 alle 18.30 | festivi e prefestivi dalle ore 9 alle ore 13
PrezzoPrezzo non disponibile
Altre informazioniSito web palermo.it Tema Natale
Presepi di tutto il mondo in mostra al Museo Pitrè. Un affascinante allestimento frutto della passione e dei viaggi intrapresi, negli ultimi 40 anni, da Marcella Croce e Giovanni Matranga in una ventina di paesi diversi tra cui Italia, Spagna, Portogallo, Francia, Armenia, Israele, Palestina, Congo, Etiopia, Brasile, Argentina, Uruguay e Messico, a cui si aggiungono i presepi appartenenti alla collezione del Museo Pitrè.

La mostra sarà visitabile dal 16 dicembre 2024 al 6 gennaio 2025 dalle ore 9 alle 18.30 gratuitamente, festivi e prefestivi dalle ore 9 alle ore 13. Lunedì 16 dicembre 2024, alle ore 17, nella suggestiva cappella del Marvuglia del Museo l’inaugurazione.

Pratica devozionale seguita per la prima volta da San Francesco a Greccio nel 1223, il presepe fu incoraggiato fra i fedeli soprattutto dai gesuiti, nel clima postridentino tipico della Controriforma: famosi soprattutto quelli napoletani tuttora lì in vendita vicino la chiesa di San Gregorio Armeno. Sappiamo che a Palermo nel 1653 ne venne allestito uno con figure a grandezza naturale nella chiesa di San Domenico. Tra le figure peculiari del presepe siciliano, accuratamente elencate da Pitrè, troviamo lo ‘spaventato’ che è sconvolto dall’evento e l’addormentato’ che si perse tutto lo spettacolo.

Marcella Croce

Marcella Croce è nata a Palermo. È giornalista, ha collaborato con il quotidiano La Repubblica per più di dieci anni e collabora attualmente con il Giornale di Sicilia con la rubrica settimanale Una gita fuori porta che da più di tre anni segnala itinerari e luoghi poco conosciuti in Sicilia. Conoscere le lingue e studiare le culture del mondo è il suo principale interesse.

Dopo una laurea in letteratura inglese (Palermo) e una borsa di studio presso il Mount Holyoke College (Massachusetts), ha conseguito nel 1988 il dottorato di ricerca in letteratura italiana presso la University of Wisconsin-Madison (USA) con una tesi sulla Tradizione cavalleresca in Sicilia. Ha insegnato lingua inglese nelle scuole secondarie a Palermo e lingua italiana presso le Università di Isfahan (Iran) e Kyoto (Giappone).

Ha pubblicato vari libri sulle tradizioni popolari siciliane e non solo: Pupi carretti contastorie (1999),  Pupari (2003), Le stagioni del sacro (2004), Eat Smart in Sicily (2008), Guida ai sapori perduti – storie e segreti del cibo siciliano (2008), L’anima nascosta del Giappone (2009). Il suo volume Oltre il chador  — Iran in bianco e nero (2006)  ha vinto il 1° Premio di scrittura femminile “Il paese delle Donne” (Roma 2007). Negli ultimi anni ha pubblicato Oriente e Occidente (2018), Sicilia da Scoprire (2022) e Una gita fuori porta (2024). Dal 2011 è responsabile del Centro Studi Avventure nel Mondo di Palermo.


Mostra internazionale di presepi al Museo Pitrè dal 16 dicembre 2024 al 6 gennaio 2025
https://www.palermotoday.it/eventi/mostra-presepi-museo-pitre-16-dicembre-6-gennaio.html
© PalermoToday


“Esposizione internazionale di presepi al Museo Etnografico G. Pitrè di Palermo

Armenia-Azerbaigian: ministro Esteri Mirzoyan, concordati 15 dei 17 articoli del Trattato di pace (AgenziaNova 09.12.24)

Erevan, 09 dic 16:34 – (Agenzia Nova) – Armenia e Azerbaigian hanno raggiunto un accordo su 15 dei 17 articoli della bozza di trattato di pace. Lo ha detto il ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan, in un’intervista ai media finlandesi, confermando che le due nazioni stanno lavorando su un accordo che si basa sulla Dichiarazione di Almaty del 1991, che ha stabilito i confini statali tra le ex repubbliche sovietiche. Mirzoyan ha sottolineato che la demarcazione dei confini è fondamentale per garantire stabilità futura e che le commissioni dei due Paesi continueranno a lavorare per definire chiaramente le linee di confine. Inoltre, ha dichiarato che Armenia e Azerbaigian potrebbero raggiungere soluzioni reciproche accettabili in relazione all’apertura delle comunicazioni, inclusi il trasporto ferroviario e altre modalità di collegamento. Riguardo alla conclusione del trattato di pace, il ministro ha aggiunto che, sebbene non si sia riusciti a finalizzare l’accordo prima del vertice della Cop29 di Baku, le parti sono ora pronte a firmarlo a breve. Mirzoyan ha espresso ottimismo, indicando che nonostante il difficile passato delle due nazioni, ci sono segni di speranza e una reale opportunità di voltare pagina.
(Rum)

Un viaggio tra speranza e memoria: arriva in Italia Amerikatsi, il film che racconta l’Armenia oltre la tragedia (Castingnews 09.12.24)

Amerikatsi, il film diretto, scritto e interpretato da Michael A. Goorjian, sarà proiettato nei cinema italiani a partire dal 16 gennaio, distribuito da Cineclub Internazionale Distribuzione con il supporto di DNA Srl. L’opera, scelta dall’Armenia per concorrere come Miglior Film Internazionale agli Oscar® 2024, è entrata nella short list finale, attirando l’attenzione per il suo approccio innovativo e commovente.

Ambientato nel 1948, il film segue la storia di Charlie, un uomo che, dopo essere fuggito negli Stati Uniti per scampare al genocidio armeno, decide di tornare nella terra natia. Il ritorno si scontra con la dura realtà del regime sovietico, portandolo inaspettatamente in prigione. Tuttavia, ciò che potrebbe sembrare una tragedia si trasforma in una straordinaria avventura umana: dalla finestra della sua cella, Charlie osserva la vita degli abitanti dell’edificio di fronte, immergendosi in storie di amore, dramma e ironia, come in una serie televisiva vista attraverso uno schermo.

Goorjian, americano di origine armena, trasforma questa narrazione in una delicata favola sulla resilienza e la scoperta culturale, esplorando temi universali come il legame con le proprie radici e il contrasto tra sogno e realtà. “Molti film sull’Armenia si focalizzano sul genocidio, ma questa storia vuole andare oltre,” ha dichiarato il regista. “Amerikatsi celebra la musica, il cibo, la passione e l’amore per la vita che caratterizzano l’Armenia, mostrando aspetti poco conosciuti della sua cultura.”
L’opera, con una miscela unica di commedia, dramma e romanticismo, affronta con sensibilità il tema del genocidio armeno, senza ridurre la narrazione a un mero racconto di lutto. Al contrario, riesce a intrecciare momenti di umorismo e poesia in una riflessione profonda sull’identità e sulla speranza.

Sinossi:
Charlie, un uomo di origine armena che ha vissuto per anni negli Stati Uniti, decide di tornare nel suo paese natale. Finisce però in prigione sotto il regime sovietico, trovando nella finestra della sua cella una via inaspettata per scoprire la vivacità e la ricchezza della vita armena. Da spettatore silenzioso, si immerge in una serie di vicende umane che lo riconnettono alle sue radici e lo spingono a credere nel potere della speranza.

Con Amerikatsi, Michael A. Goorjian firma un’opera unica che invita il pubblico a guardare oltre la tragedia e ad abbracciare la complessità di un popolo e della sua cultura, in un viaggio che tocca il cuore.

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Un premio in Armenia all’ “orgoglioso marnatese” Ibrahim Malla, fotografo umanitario e Ambasciatore di Buona Volontà (Varesenews 09.12.24)

In occasione della Giornata Mondiale del Volontariato Ibrahim Malla, fotografo umanitario e orgoglioso marnatese, è stato invitato in Armenia dove la Croce Rossa locale gli ha conferito la Medaglia d’Oro all’Onore e lo ha nominato Ambasciatore di Buona Volontà.

Durante la cerimonia, che si è celebrata il 5 dicembre a Yerevan, sua Eccellenza Alfonso Di Riso, Ambasciatore d’Italia in Armenia, che era presente, si è personalmente congratulato con Ibrahim Malla.

Dopo 30 anni di volontariato, con missioni umanitarie e mostre fotografiche in tutto il mondo, la Medaglia d’Argento al Merito della Croce Rossa Italiana e la firma di papa Francesco su una delle sue foto, Malla è orgoglioso di questo riconoscimento, che gli è stato conferito per l’ottimo lavoro svolto con i volontari Armeni e per il sostegno che ha dato alle famiglie armene in difficoltà. «Sono felice di trasmettere il mio messaggio e la mia passione ai volontari – ha commentato Malla – sono il motore dell’Umanità».

Il fotografo Ibrahim Malla, marnatese, premiato in Armenia

Al rientro in Italia il sindaco di Marnate Marco Scazzosi e gli assessori Donata Canavesi e Alessandro Bonfanti hanno ricevuto Malla in comune per congratularsi e sottolineare l’importanza del volontariato, e della sua attività.

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Il Nagorno-Karabakh: teatro di interessi internazionali (Iari 07.12.24)

Come un conflitto latente pluridecennale nel Caucaso può attirare l’attenzione delle potenze mondiali? Interessi ed opportunità a confronto. 

Il conflitto nel Nagorno-Karabakh, regione situata nel Caucaso meridionale, è un’espressione storica delle tensioni etniche e territoriali tra Armenia e Azerbaijan. Il Nagorno-Karabakh, abitato in maggioranza da armeni ma riconosciuto internazionalmente come parte dell’Azerbaijan, è stato al centro di scontri violenti fin dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Tra il 1988 e il 1994 una guerra tra le due nazioni portò al controllo armeno della regione e di territori circostanti, fino al cessate il fuoco mediato dalla Russia. Nel settembre 2020, un nuovo conflitto su larga scala è esploso, culminato con una vittoria militare dell’Azerbaijan e la riconquista di gran parte del territorio.

Tra il 19 ed il 20 Settembre 2023 il governo dell’Azerbaijan ha ordinato un’offensiva sulla regione separatista dell’Artsakh, all’interno della regione del Nagorno-Karabakh, fermata grazie all’intervento delle forze russe che hanno svolto il ruolo di mediatore imponendo un cessate il fuoco nella regione. Tuttavia la legittimità e la legalità dell’intervento azero ha interrogato la comunità internazionale, spingendo il procuratore della Corte Penale Internazionale Luis Moreno Ocampo a richiamare l’attenzione mondiale sul Washington Post rievocando il rischio di un nuovo genocidio nella regione.

Ad Aprile 2024 ha avuto però inizio la ritirata da parte delle forze di peacekeeping russe che ha fatto registrare un nuovo leggero aumento delle tensioni, seppur limitate, specialmente nel distretto di Kelbecer, Agdam e Lachin. Il corridoio di Lachin, all’interno dell’omonimo distretto, è una strada strategica che collega il Nagorno-Karabakh all’Armenia, che è stata bloccata per mesi, causando il peggioramento delle condizioni di vita della popolazione armena. A causa della sua geolocalizzazione e il ruolo cruciale che ha per il popolo armeno, l’embargo de facto imposto dall’Azerbaijan ha portato a carenze di beni essenziali, compresi cibo e medicinali. Il corridoio è ora completamente sotto il controllo di Baku.

Identità ed economie nazionali

Fin dall’inizio del conflitto, in seguito al crollo dell’Unione Sovietica e i successivi moti di indipendenza degli ex-stati satelliti, il Caucaso è stato soggetto alle attenzioni e all’influenza straniera. Armenia ed Azerbaijan sono sempre stati due paesi profondamente divisi per motivi etnici e religiosi. L’Armenia è composta in maggior parte da una popolazione di etnia armena (98.1%) e cristiana (95.2%), mentre l’Azerbaijan è in maggior parte di etnia azera (92.5%) e musulmana (97.3%, maggioranza sciita). Questi dati, inizialmente, sono già un indizio sui principali alleati storici dei rispettivi paesi: come più volte riproposto (vedi il caso Serbia) la Russia ha sempre appoggiato un paese straniero proponendo come criterio per il proprio schieramento una comune identità religiosa e, in questo caso, l’Armenia. Analogamente, dunque, l’Azerbaijan invece ha sempre potuto contare sul supporto e la vicinanza di Ankara.

Anche da un punto di vista economico risulta evidente l’interdipendenza e l’importanza delle relazioni politico-economiche tra i paesi del Caucaso e le potenze limitrofe. L’Azerbaijan dispone di un gran quantitativo di risorse naturali che gli permette di tenere testa all’ingerenza di Mosca. I gas naturali, i metalli e soprattutto il petrolio ha portato Baku ad indirizzare l’export principalmente verso l’Italia (a cui arriva il 47% delle esportazioni azere) e verso la Turchia (a cui arriva il 9% dei prodotti azeri), seguiti poi da Israele, India e Grecia. In fase di import invece l’Azerbaijan si affida in ugual misura alle risorse di Russia e Turchia (17% del totale a ciascuno), seguiti poi da Cina, Emirati Arabi e Georgia in quantità minori, importando principalmente grano, medicine e petrolio raffinato. L’Armenia, d’altro canto, dispone di una quantità risorse naturali ben inferiori che la porta ad una dipendenza quasi totale verso la Russia. Il principale prodotto per l’export di Yerevan deriva dalle ridotte miniere presente nel territorio ed è indirizzato verso, come detto, la Russia (41% dell’export totale), ed in misura minore verso gli Emirati Arabi, Cina, Georgia e Svizzera. Così, in materia di import, l’Armenia si ritrova nuovamente dipendente dalla Russia, dagli Emirati Arabi e dalla Cina da cui acquista principalmente gas, petrolio e macchine.

Centro di interessi

Chi, negli anni, ha avuto gli occhi puntati sul Caucaso meridionale sono stati principalmente Russia, Turchia e l’Unione Europea.

La Russia è il principale alleato dell’Armenia e il garante della sua sicurezza. Mosca ha una base militare in Armenia, a Gyumri, e sono entrambi membri dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO). Nonostante questo, il ritiro delle truppe nel 2024 e la guerra in Ucraina ha distolto l’attenzione di Mosca dal Caucaso, causando diffidenza nelle capacità russe di essere ancora garante della stabilità nella regione. Al contempo, però, la Russia non ha tagliato definitivamente i rapporti economici, soprattutto in materia energetica, con Baku mantenendo alcuni dei suoi interessi in territorio azero.

L’influenza turca nel Caucaso è parte di una strategia più ampia di espansione della sua influenza nelle ex repubbliche sovietiche, in particolare nelle regioni turcofone. La Turchia ha cercato di posizionarsi come un attore regionale dominante, contrastando l’influenza russa. Il Corridoio Meridionale del Gas, che trasporta gas naturale dall’Azerbaijan verso l’Europa attraverso la Turchia, è una componente strategica della politica energetica turca e riduce la dipendenza europea dal gas russo. Inoltre, Ankara sostiene progetti infrastrutturali come la ferrovia Baku-Tbilisi-Kars, che collega l’Azerbaijan alla Turchia attraverso la Georgia, rafforzando ulteriormente i legami economici e strategici tra i due paesi.

Infine, l’Unione Europea, soprattutto in seguito alle limitazioni dell’importazione di risorse energetiche dalla Russia successive allo scoppio del conflitto in Ucraina, ha interessi fortissimi in Azerbaijan. Il Corridoio Meridionale del Gas rappresenta la possibilità di rendersi sempre più indipendente dalle forniture russe. In materia umanitaria, Bruxelles ha finanziato gli aiuti umanitari in Nagorno-Karabakh, cercando anche di posizionarsi come mediatore per stabilizzare il conflitto e proteggere le popolazioni da abusi e violenze.

Scenari futuri

I possibili risvolti del conflitto in Nagorno-Karabakh sono tre: la ripresa delle ostilità su vasta scala, l’instaurazione di una pace duratura e il protrarsi del conflitto a bassa intensità.

L’instaurazione di una pace duratura è al momento irrealistica: gli sforzi diplomatici e militari che richiede un’operazione di questo genere non sono sostenibili nel breve periodo. Il susseguirsi di tensioni a livello internazionale (principalmente in Ucraina e a Gaza) continua a ridisegnare le priorità delle relazioni estere dei vari attori. Un conflitto come quello nel Nagorno-Karabakh, che ha alla base ragioni anche di carattere etnico-religioso, è molto complicato da approcciare e soprattutto da risolvere instaurando una pace stabile e duratura, e nessuno ha al momento la disponibilità e le risorse da investire in questa regione.

La ripresa del conflitto su vasta scala non conviene a nessuno, in quanto richiederebbe un coinvolgimento attivo nella regione, che sia con azioni di peacekeeping militare o diplomatico, che sia per sostenere una delle due fazioni. La Russia sarebbe l’unico attore a poter trarre dei benefici, avendo l’occasione di reinstaurarsi come potenza mediatrice e organo di controllo nella regione (divide et impera), ma con la guerra in corso in Ucraina Mosca non avrebbe interesse ad aprire un nuovo fronte.

L’opzione più plausibile è quindi, come spesso accade, che non succeda niente e che la situazione rimanga così com’è: un conflitto latente, con dei picchi di violenza occasionali gestititi ad intermittenza da forze straniere e da interventi diplomatici. Da una prospettiva umanitaria è sicuramente l’opzione meno desiderabile perché impedisce, di fatto, una garanzia di sicurezza e protezione per la popolazione, ma geopoliticamente il meccanismo può essere ancora sostenibile.

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