Maestoso da mille anni: è il Platano gigante di Vrisi, il più longevo d’Italia (QuiCosenza 29.09.24)

CURINGA (CZ) – Al suo interno potrebbero starci tranquillamente 10 persone. Il suo fusto è quasi totalmente cavo alla base, e largo più di tre metri. Con una circonferenza di 14,75 metri, (ma le sue radici sono ancora più estese) e un’altezza di oltre 31 metri, il platano di Vrisi è il più longevo d’Italia, ed è inserito nella lista degli alberi monumentali della Calabria. Il platano calabrese si è anche aggiudicato il secondo posto al contest European Tree of the Year, che il 17 marzo 2021 ha assegnato il titolo alla millenaria Carrasca di Lecina, in Spagna. Il maestoso albero si trova nel cuore di un bosco, situato sulle basse montagne del comune di Curinga (Cz) ed è accessibile attraverso un apposito e suggestivo sentiero

Ma quanti anni ha? Alcuni botanici hanno stabilito che ha oltre 1000 anni di vita e che sarebbe stato uno dei monaci Basiliani, provenienti dall’Armenia, a costruire il vicino Eremo di Sant’Elia nel XI secolo, e a piantare nel fertile terreno sulle sponde di un ruscello, una piantina, diventata oggi l’eccezionale gigante della natura.

L’albero più grande d’Italia è il Castagno dei Cento Cavalli di Sant’Alfio, in Sicilia, e misura 22 metri; perciò il platano di Curinga è, per dimensioni del tronco, ai primissimi posti nella classifica dei giganti vegetali del Paese.

Questo platano orientale, originario dell’Armenia, viene definito “Il Gigante di Curinga”. Il luogo che lo accoglie è affascinantesilenzioso, e per molti ha il profumo di sacralità. Il corpo dell’albero non è stato intaccato dal tempo, ed è cresciuto meravigliosamente maestoso diventando non solo il simbolo di Curinga, ma anche uno dei principali attrattori del territorio. Di questo imponente albero dunque, si può dire “mille anni e non sentirli”. 

Dalla sua posizione inoltre, su un pianoro affacciato sul golfo di Sant’Eufemia, è possibile spaziare, nelle giornate più chiare, sullo Ionio e sul Tirreno, intravedendo le isole Eolie e persino la cima dell’Etna. Un tempo, inoltre, veniva utilizzato da pastori e viandanti per ripararsi dalle intemperie.

L’Eremo di Sant’Elia Vecchio

I resti attuali si trovano poco sopra l’area boschiva che ospita il Platano monumentale, e richiamano le forme tipiche dell’architettura orientale: il livello inferiore dell’edificio adibito alle funzioni quotidiane, quello superiore a dormitorio; la splendida chiesa con l’abside tuttora visibile, sormontato da una splendida cupola bizantina.

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Nagorno-Karabakh: A un anno dalla pulizia etnica, l’Azerbaijan lavora per cancellare ogni traccia di cristiani e armeni (Entrevue 28.09.24)

Stupri, massacri, umiliazioni, esseri umani decapitati, diffusione di immagini sordide sui social network… L’Azerbaigian si è fermato davanti a nulla solo un anno fa per impossessarsi di una terra ancestralmente popolata da armeni, il Nagorno Karabakh.

Una Repubblica autonoma, un’autoproclamata democrazia Artsakh, caduta nell’indifferenza generale alla fine del 2023. Terre, ricordi, proprietà strappate dalla dittatura azera.

Tuttavia, il presidente della Commissione europeaUrsula von der Leyen ha descritto l’Azerbaigian nel 2022 come “ partner affidabile per l’Unione europea“. Dovevi osare.

Pochi mesi dopo, la dittatura ha intrapreso decisivi progressi militari, massacrando civili e personalità politiche, catturando ostaggi, commettendo negli ultimi anni numerosi crimini di guerra e violando le leggi internazionali.

Con obiettività (lall’opposto della propaganda permanente dell’Azerbaigian, la cui diplomazia del caviale funziona a meraviglia con alcune personalità politiche francesi), le squadre di France 2 hanno realizzato un interessante focus sull’esodo degli armeni, costretti ancora una volta alla fuga. A più di 100 anni dal primo genocidio del XX secolo. Lasciamo che la Turchia continui a negare.

Oggi la TV francese nota come noi che ai giornalisti non è permesso recarsi nell’ex Artsakh. La dittatura azera vuole cancellare tutto per ricostruire tutto e rifare la storia. Ricordiamo che l’Azerbaigian è uno dei peggiori stati al mondo in termini di diritti umani, diritti della stampa, diritti delle donne. Molto indietro rispetto alla Russia o ad alcuni paesi del Medio Oriente, anche se vengono spesso presi di mira. L’Azerbaigian ha l’arte di farsi dimenticare.

E l’arte di dimenticare la presenza di armeni e cristiani in questa regione. Come mostrato nelle immagini del drone di France Télévision in questo rapporto, possiamo vedere che tutti i nomi armeni sono stati rinominati: segni, città, ecc. Una croce cristiana è stata spezzata in due parti.

Nel villaggio di Sushi, la chiesa era ” amputato dei suoi due campanili“, poi si è rasato quest’anno. Altre chiese sono state trasformate in moschee.

Il Parlamento del Nagorno Karabakh, in carica dal 1995, ha lasciato il posto a… una terra desolata. Una tabula rasa del passato e una riscrittura della Storia. Un grande classico azero.

Per finire, costringere i cittadini azeri a popolare questo territorio” grande come la Savoia“, il dittatore Aliyev ha fatto di tutto: gli studenti possono iscriversi qui all’Università gratuitamente. Allo stesso modo, anche l’alloggio viene offerto loro dallo Stato del gas.

« Tutti coloro che fanno uno sforzo vengono premiati“, spiega uno studente il cui lavaggio del cervello sembra aver funzionato perfettamente. A meno che la paura della repressione non la costringa a fare tali commenti.

« Il grande ritorno“, questo è il nome in codice di questo piano di occupazione delle terre armene. Il problema è che l’Azerbaigian è un Paese nato dopo la Prima Guerra Mondiale, per volontà esclusiva di Stalin, per il quale “ dividere e conquistare » era un filo conduttore. Così ha creato lo Stato azero, ridisegna arbitrariamente i confini armeni… e quindi vediamo molti armeni, in particolare nel Nagorno Karabakh, finalmente vivere ufficialmente in terra azera.

Dopo la caduta del muro di Berlino le carte furono ridistribuite, gli armeni combatterono per le loro terre che avevano abitato per secoli e vinsero le prime guerre d’indipendenza, sotto la guida del soldato Monte Melkonian. Il Nagorno Karabakh proclama la sua indipendenza, diventa una Repubblica, si afferma come democrazia in una regione del mondo dominata da stati autoritari. Successivamente, per più di 20 anni, l’Azerbaigian utilizzerà ogni anno l’equivalente del PIL dell’Armenia per rafforzare il proprio esercito. Ingenua, l’Armenia non si preoccuperà particolarmente di rafforzare i suoi confini o il suo esercito.

Nell’indifferenza generale, la dittatura effettuerà poi nel 2023 una sporca pulizia etnica, costringendo vecchi, donne e bambini a fuggire sulle strade attraverso la violenza e l’odio. Circa 700 gli esiliati, senza la minima sanzione internazionale.

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L’ Armenia continua a dipendere fortemente dalla Russia (Iari 28.09.24)

Nonostante le recenti mosse intraprese dalla leadership armena ed un parziale distaccamento dall’eccessiva dipendenza dalla Russia il paese rimane fortemente dipendente da essa in diversi settori

Recentemente il Ministro degli esteri armeno Mnatsakan Safaryan ha dichiarato che l’Armenia prenderà parte al summit dei BRICS che si terrà ad ottobre 2024 a Kazan’ in Russia. La dichiarazione è apparsa ambigua considerando la svolta intrapresa da parte della leadership armena nei confronti della Russia in seguito alle problematiche emerse negli ultimi anni tra i due paesi.

Un evento che ha particolarmente inciso su questa svolta è stato il secondo conflitto del Nagorno Karabakh e le azioni che la Russia e la sua leadership hanno intrapreso nei confronti del paese.

Il 13 settembre 2022 il primo ministro armeno ha tenuto un discorso parlamentare in cui ha accusato l’Azerbaijan di aver invaso ed attaccato l’Armenia. Di conseguenza Pashinyan, sia nel discorso che in una riunione tenuta il giorno successivo con i capi di stato degli altri stati membri del CSTO, aveva richiesto l’applicazione dell’articolo 4 dello statuto dell’Alleanza. Esso obbliga gli stati membri ad intervenire militarmente nel caso in cui uno dei membri sia sotto attacco.

Tuttavia gli stati membri dell’alleanza, e soprattutto la Russia, non sono mai intervenuti lasciando le richieste armene del tutto inascoltate. Questo avvenimento, insieme ad altre motivazioni, hanno spinto Pashinyan a dichiarare che fosse stato un errore strategico affidare la sicurezza del paese esclusivamente alla Russia e che ci fosse la necessità di diversificare le politica di sicurezza per non dipendere da un’unica fonte.

Di conseguenza il premier armeno ha annunciato a febbraio 2024 il congelamento della partecipazione del paese a tutte le attività del CSTO. In seguito a giugno 2024 ha dichiarato che l’Armenia si sarebbe ritirata dall’alleanza militare a guida russa. Tuttavia Pashinyan non ha mai preso una decisione definitiva e nella stessa intervista di giugno 2024 non specificò il momento in cui il paese avrebbe lasciato il CSTO. Ad agosto 2024 ha ritrattato parzialmente la sua decisione dichiarando che il congelamento della partecipazione fosse sufficiente.

Le dichiarazioni apparentemente ambigue del Primo Ministro sono dovute al fatto che nonostante il progressivo ritiro russo dall’area l’Armenia rimane fortemente dipendente da essa nel campo sia per la propria sicurezza che per la propria economia.

Nonostante il ritiro dei peacekeeper dispiegati in Nagorno-Karabakh e del contingente militare dall’aeroporto di Yerevan, la Russia mantiene ancora il controllo della base militare di Gyumri, che resterà sotto la propria giurisdizione fino al 2044 in virtù di un accordo per il prolungamento della permanenza delle truppe, firmato dai due paesi nel 2010. Inoltre, dal 2022 la Russia ha sviluppato ottimi rapporti diplomatici e commerciali con l’Azerbaigian e resta, quindi, un attore fondamentale nelle discussioni per un futuro accordo di pace tra i due Paesi confinanti.

Dal punto di vista militare è avvenuto un processo di diversificazione. Il paese, infatti, ha effettuato a luglio 2024 delle esercitazioni militari con l’esercito statunitense, scatenando le proteste da parte della Russia. Anche nel campo delle forniture militari il paese ha diversificato i partner da cui acquistare sistemi difensivi. Ad ottobre 2023 e a giugno 2024sono stati firmati due accordi tra il ministro della difesa Suren Papikyan ed il suo omologo francese Sebastien Lecornu, rispettivamente per l’acquisto di 3 radar GM 200 e di 36 obici CAESAR.

Un altro attore che recentemente ha assunto un ruolo di primaria importanza dal punto di vista militare è l’India che a settembre 2024 è diventata il maggiore fornitore di sistemi difensivi del paese.

Dal punto di vista economico, la Russia continua ad essere per l’Armenia un partner fondamentale, sia per quanto concerne le importazioni che le esportazioni, entrambe cresciute esponenzialmente dal 2020 in poi.

Infatti, nel periodo 2020-2023 il livello di importazioni del paese dalla Russia è passato da 1,74 miliardi di dollari del 2020 a 3,28 miliardi di dollari del 2023 raggiungendo nell’ultimo anno una quota del 33% nel livello di importazione annuali.

Lo stesso discorso vale per le esportazioni che sono passate da 611 milioni di dollari del 2020 a 3,38 miliardi di dollari del 2023 arrivando nell’ultimo anno a coprire il 41% delle esportazioni totali.

Le ragioni dietro a questo incremento sono in buona parte dovute al fatto che l’Armenia è uno dei paesi attraverso cui la Russia riesce ad aggirare le sanzioni imposte dai paesi occidentali in seguito all’invasione dell’Ucraina.

La forte dipendenza dalla Russia e il ruolo che il paese gioca nell’aggirare le sanzioni imposte dall’Occidente costituiscono una significativa vulnerabilità. Qualora i paesi occidentali decidessero di adottare nuove strategie per impedire tali aggiramenti, diversi settori dell’economia armena ne risentirebbero. Le conseguenze potrebbero essere dannose, causando ulteriore instabilità alla già fragile sicurezza interna del paese. In questo contesto, la partecipazione al vertice BRICS offrirebbe opportunità economiche. L’organizzazione, infatti, include paesi con economie emergenti e mercati dalle ampie prospettive di sviluppo e guadagno. L’Armenia potrebbe sfruttare il vertice per ricercare nuovi partner commerciali ed individuare paesi da cui importare, o verso cui esportare i propri prodotti in alternativa alla Russia.

Dal punto di vista militare, nonostante ci sia stata una certa diversificazione nella cooperazione e nell’acquisto di sistemi difensivi, l’Armenia non ha ancora trovato un partner disposto ad intervenire in sua difesa o a garantirle protezione nel caso in cui scoppi un nuovo conflitto con l’Azerbaigian. Per questo motivo, l’abbandono definitivo del CSTO non è un’opzione attualmente considerabile dalla leadership armena. Inoltre, un’eventuale uscita dall’alleanza peggiorerebbe le relazioni con la Russia, che potrebbe rafforzare la sua cooperazione con l’Azerbaigian, con l’obiettivo di destabilizzare ulteriormente la sicurezza dell’Armenia.

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La presidenza dell’Azerbaigian: “Se l’Armenia vuole la pace, rinunci al Karabakh, cambi la Costituzione e smilitarizzi” (Repubblica 27.09.24)

Parla Hikmat Hajiyev, braccio destro del presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev, che pone le condizioni all’Armenia per porre fine al conflitto tra i due paesi: referendum che sancisca la rinuncia al Nagorno Karabakh e nessun posizionamento di missili a lunga gittata lungo i confini

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Dario Rupen Timurian Console Onorario d’Armenia in Bari (Affari Italiani 27.09.24)

Sabato 28 settembre 2024 alle ore 19,00 avrà luogo l’inaugurazione del Consolato Onorario della Repubblica d’Armenia in Bari (Circoscrizione: Puglia) presso gli uffici siti in Corso Vittorio Emanuele 30 a Bari. L’edificio che ospita il Consolato ha sede in uno dei palazzi storici del pieno centro della città, a pochi passi dai principali delle istituzioni politiche, culturali e religiose della regione pugliese.

Il taglio del nastro sarà presieduto da S.E. Tsovinar Hambardzumyan, Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Repubblica d’Armenia in Italia, e dal Console Onorario Dario Rupen Timurian. Vi prenderanno parte, insieme ai componenti del Corpo Consolare di Puglia, Basilicata e Molise, le autorità, civili e religiose locali.

Il Consolato Onorario della Repubblica di Armenia in Bari sarà il luogo di riferimento per la tutela dei cittadini della Repubblica d’Armenia in Puglia e per le iniziative volte a promuovere e rafforzare la cooperazione scientifica e culturale, educativa, economica e commerciale tra Armenia e Regione Puglia.

Il Console Onorario Dario Rupen Timurian, classe 1974, laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Bari, è un imprenditore. La sua famiglia giunse a Bari dopo il Genocidio Armeno del 1915 e si inserì sin da subito nel tessuto sociale e imprenditoriale regionale e nazionale.

(gelormini@gmail.com)

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Passi avanti su trattato di pace Armenia-Azerbaigian (Ansa 27.09.24)

BRUXELLES, 27 SET – I negoziati tra Armenia e Azerbaigian per un trattato di pace fanno passi avanti dopo l’incontro di ieri tra i due ministri degli esteri a New York, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Sul contenuto dell’accordo di pace in 16 punti al momento in discussione tra le due cancellerie 13 punti sarebbero ora concordati lasciando fuori solo 3 soli paragrafi su cui serve ancora un’intesa.

Lo spiegano all’ANSA fonti qualificate del governo armeno a Bruxelles.
Tra i punti in sospeso la presenza della missione civile dell’Ue sul confine tra le due nazioni o le presenza di qualsiasi meccanismo internazionale, civile o militare, fortemente osteggiata da Baku.
Preoccupa poi il ruolo di Mosca. Il Cremlino infatti avrebbe interesse a ritardare la firma in quanto il raggiungimento di un trattato di pace definitivo comporterebbe una forte riduzione dell’influenza russa nella regione. Per quel che riguarda le forniture militari, ad esempio, l’esercito armeno è passato in 4 anni dal 96% di forniture militari russe al 10%, sostituendo i vecchi contratti con nuovi accordi siglati con India e Francia.
Ridotto, rispetto ad un anno fa, il rischio di escalation militare grazie anche ai lavori della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la Cop 29, che sarà ospitata a novembre dall’Azerbaigian portando il Paese caucasico sotto i riflettori del mondo intero.
Alte le aspettative di Yerevan sul passaggio di testimone alla guida del Servizio europeo per l’azione esterna dell’Ue con l’arrivo dell’estone Kaja Kallas, che il governo armeno vede molto positivamente. Yerevan infatti ha fatto sapere di sperare in una visita della nuova Alto Rappresentante Ue in tempi brevi, visita venuta a mancare durante la gestione dell’attuale capo della diplomazia Ue, lo spagnolo Josep Borrell.

ARMENIA, UN ANNO DALL’OCCUPAZIONE DEL NAGORNO-KARABAKH (L’Opinione delle libertà 27.09.24)

Dopo oltre tre decenni di conflitti, e passato un anno da quel 19 settembre 2023, quando l’Azerbaigian rovesciò militarmente l’autoproclamata autorità della ex regione autonoma del Nagorno-Karabakh, o Repubblica dell’Artsakh, il popolo armeno vive ancora sotto la minaccia dello scomodo, ma sempre più solido militarmente, vicino. Allora l’esercito di Baku in circa venti ore ha praticamente assunto il controllo del territorio popolato principalmente da armeni. Pochi giorni dopo furono avviati, mestamente per i rappresentanti armeni del Nagorno, i colloqui con gli azeri, che strumentalmente definiscono “separatisti” gli abitanti dell’area contesa; ma su questa descrizione non si può essere né sintetici, né superficiali, né generalisti. In quella operazione militare rimasero vittime oltre duecento armeni. Il territorio del Nagorno-Karabakh era già stato amputato dei suoi confini storici a seguito della prima vittoria azera, nell’autunno del 2020.

Poi l’Azerbaigian a dicembre 2022, con volontà unilaterale, chiuse il corridoio di Lachin, e così fu interrotto il legame terrestre tra gli artisakhioti, o karabakhi, che in pratica furono rinchiusi all’interno dei residui confini del Nagorno-Karabakh, e l’Armenia. Una operazione che apre tutt’oggi profonde riflessioni sui bilanciamenti geopolitici dell’area caucasica, in quanto la recisione del cordone tra l’Armenia e il Nagorno-Karabakh avvenne con il nulla osta, e la complicità della Russia di Vladimir Putin, che comunque è uno dei garanti dell’Armenia, e coordinatore degli accordi siglati tra i belligeranti. Ma gli effetti dell’isolamento portarono risultati quasi immediati; infatti fu spezzata la resistenza degli artisakhioti, anche perché i circa centoventimila abitanti piombarono in una carestia assoluta essendo interrotte le comunicazioni con l’Armenia, infatti già nell’estate del 2023 si iniziarono a contare i primi decessi per penuria dei generi necessari.

Un trauma che si aggiunge a un trauma: la perdita di un territorio con le sue tradizioni cristiane e la sua cultura, con la perdita del minimo per la sopravvivenza. Dalla “fame” scaturì terrore. Questo spiega la motivazione perché nessuno accettò di rimanere in patria dopo il 19 settembre 2023, quando la tirannia di Baku accompagnata dall’esercito azerbaigiano, invasero l’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh, ormai totalmente inerme e fragilissima. Le modalità offensive dell’autocrate presidente azero Ilham Aliyev richiamano ataviche tattiche militari. In realtà, fu posto un assedio in una regione che fu privata di tutto, una distruzione di massa raggiunta tramite il terrore assoluto. La complessità dell’operazione di Baku sfuma nella memoria e richiama l’epoca genocida. Probabilmente proprio la memoria indelebile del genocidio del popolo armeno del 1915, con i preamboli del 1894-96, ha martoriato la resistenza dei pochi abitanti del Nagorno-Karabakh; una palese pulizia etnica dell’autoproclamata repubblica e l’ennesimo spregio del diritto internazionale e dei diritti dell’umanità. Un anno fa la perseguitata popolazione artisakhiota, a rischio concreto di sopravvivenza, si rifugiò in Armenia. Così il Nagorno-Karabakh armeno, per ora, si è estinto demograficamente, umanamente e culturalmente. Resta una regione geografica controllata da Baku e inserita in un profondo programma di ripopolamento con popolazione azera-musulmana.

Gli azeri occupanti come da prassi, hanno annichilito velocemente ogni traccia di civiltà cristiana: chiese, cimiteri, monumenti storici, ma anche la toponomastica di ogni entità geografica, vie, piazze, quartieri, come le simbologie rappresentanti la politica. La narrazione della “cultura” dell’Azerbaigian afferma che gli armeni non sarebbero mai esistiti nel Nagorno-Karabakh. Molti capi artisakhioti sono scomparsi nelle profonde prigioni azere, tra questi anche Ruben Vardanjan, ex ministro, pare consegnato dai russi ai carcerieri azeri. Ricordo che l’enclave del Nagorno-Karabakh ottenne l’indipendenza nel 1991. Nel periodo 1992-94 l’esercito armeno sconfisse quello azero dimostrando una netta superiorità militare. Nella penultima guerra nel Nagorno, quella del novembre 2020, le forze armene furono sconfitte non dall’esercito azero ma da quello mercenario turco, composto soprattutto da jihadisti dell’ex Stato islamico, e dai droni di AnkaraLi vacillò quel sistema disequilibrato, che comunque ancora dava prospettive e speranze agli armeni della regione del Nagorno-Karabakh.

Inoltre il Ministero degli Esteri armeno il 21 giugno 2024 ha annunciato il riconoscimento dello Stato di Palestina, sottolineando la condivisione assoluta dei principi del diritto internazionale, quindi la sovranità (sensibilità diretta), l’uguaglianza e la convivenza pacifica dei popoli. Tuttavia ciò ha sollevato critiche reazioni da parte di Israele. Ma i rapporti tra lo Stato ebraico e l’Armenia si erano già deteriorati nel 2020, quando Yerevan ha accusato Gerusalemme-Tel Aviv di avere venduto all’Azerbaigian grandi quantità di armi che hanno permesso l’offensiva lampo nel settembre 2023 contro il Nagorno-Karabakh. Va anche rammentato che Israele fornisce all’Azerbaigian strategici sistemi di controllo informatico, anche invasivo, e apparecchiature elettroniche di intercettazione aerea; inoltre l’Intelligence israeliana può fare conto su queste relazioni per controllare il confinante Iran. Va sottolineato che nel contesto storico attuale dove operazioni militari tendono a modificare i confini geografici di alcuni Stati, occorre collocare la “questione armena” sullo scacchiere geopolitico valutando le criticità caucasiche; in quanto svincolare questa area di crisi da quella ucraina e georgiana, come da quella iraniana, potrebbe condurre a una visione limitata di un sistema geostrategico articolato ma legato ai medesimi ancoraggi. Ad oggi possiamo definire la questione del Nagorno-Karabakh come la classica dissoluzione metafisica; ma potremmo anche riflettere su due popoli, quello armeno e quello ebreo, che anche se accomunati dal medesimo dramma del genocidio, pare non siano in posizioni “politiche” complanari.

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Omaggio all’artista armeno Yervand Kochar (Oggi Roma 26.09.24)

Martedì, 1 ottobre, ore 18:30, l’Institut Français Centre Saint Louis di Roma ospiterà una serata speciale dedicata a Yervand Kochar, uno dei maggiori artisti armeni del XX secolo, che ha saputo fondere tradizioni nazionali e innovazioni europee in un dialogo artistico unico.

Yervand Kochar ha lasciato un segno indelebile nel panorama delle avanguardie artistiche del XX secolo, soprattutto negli anni del suo soggiorno a Parigi (1923-1936), dove fu protagonista della creazione di un nuovo linguaggio plastico, la “Pittura nello Spazio” (Peinture dans L’Espace).

Saranno proiettati due film, in lingua armena con sottotitoli in italiano, che mettono in luce la versatilità artistica di Kochar:

• “La pittura nello spazio di Yervand Kochar”, un documentario di 15 minuti dedicato alla sua produzione artistica;
• “Cagliostro”, 41 minuti, un film tratto dalla pièce di Yervand Kochar, diretto dal regista Ruben Kochar, figlio dell’artista e presidente della “Kochar Cultural Foundation”, che sarà presente alla serata.

A introdurre le proiezioni è il professor Francesco Gallo Mazzeo, critico e storico dell’arte.

Quest’evento, s’inserisce nell’ambito del Focus «Spécial Francophonie» all’Institut Français Centre Saint Louis di Roma.
Ingresso gratuito fino ad esaurimento posti.

Dove e quando

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Turchia-Armenia: la pace tra le rovine (Arte.tv 26.09.24)

Le rovine di Ani, antica capitale dell’Armenia nel Medioevo, si trovano oggi in territorio turco. Per gli armeni, i cui rapporti con la Turchia restano tesissimi fin dal genocidio del 1915, è una ferita aperta; e lo è ancor di più dopo l’estate del 2024, quando il governo di Ankara ha avviato una nuova campagna di scavi archeologici nel sito. Sebbene la Turchia non metta in discussione l’identità originaria della città medievale, costruita da Cristiani, l’esecutivo di Erdoğan ha aggiunto una connotazione religiosa sviluppando una Moschea tra le rovine, la prima in Anatolia.

Il tentato golpe in Armenia è un’imbarazzante sconfitta per Putin (L’Inkiesta 26.09.24)

Mercoledì scorso, tre uomini vengono arrestati a Erevan. Sono cittadini armeni e insieme ad altri connazionali fanno parte di una banda che da inizio anno viene finanziata e addestrata dal Cremlino con l’obiettivo di «preparare la presa di potere, usando la violenza e la minaccia della violenza per impossessarsi dei poteri del governo».

In poche parole, un golpe. Sebbene le autorità non abbiano ancora diffuso l’identità dei cospiratori, i primi dettagli dell’operazione sono stati resi pubblici: non si tratta di utili idioti o mitomani con il pallino del colpo di stato, ma di una formazione che fino alla sua cattura ha ricevuto uno stipendio mensile di duecentomila rubli (poco più di duemila euro) e un addestramento di tre mesi presso la base militare di Arbat, a Rostov sul Don.

In Russia, il gruppo si è esercitato all’utilizzo delle armi da fuoco, in particolare fucili d’assalto e altro equipaggiamento militare, oltre a prestarsi a improbabili test con la macchina della verità in modo da garantire, di fronte all’esercito putiniano, la propria fedeltà a Mosca.

Per quanto grottesco possa risultare questo dettaglio, è emblematico della paranoia che si respira dalle parti della Federazione russa (sulla quale torneremo a breve). La relazione stilata dal Comitato investigativo della Repubblica di Armenia afferma che i membri riconosciuti di questo commando sono sette, due dei quali provenienti dalla regione del Nagorno-Karabakh, epicentro del conflitto tra Armenia ed Azerbaijan.

Non è chiaro come questi avrebbero potuto concretamente rovesciare il governo e conquistare la Repubblica, se dietro di loro ci siano altri agenti dormienti, degli effettivi sostenitori o, più realisticamente, se con il loro atto di forza Mosca speravano in una strategia volta a destabilizzare il Paese, scatenando una reazione a catena che avrebbe offerto ai russi la giustificazione perfetta per un’invasione militare.

Questo scenario, del resto, è supportato dai numerosi esempi della storia recente. Ma a rendere il caso ancora più degno di interesse è il bersaglio: l’Armenia di Nikol Pashinyan. Russia e Armenia vantavano un’alleanza che risale ai tempi dell’Urss, un’unione politica e militare secondo molti indissolubile. Questo spiega l’imbarazzo da ambo le parti; il ministero degli Esteri russo si rifiuta di commentare la notizia, chiudendosi in un silenzio più che esplicativo, e anche i vertici armeni evitano accuse dirette.

Dopo la rivelazione dei procuratori, Pashinyan ha tenuto una conferenza stampa piena di attacchi sibillini all’ex alleato, parlando di inadempienze dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Otsc) – la cosiddetta “Nato russa” – piuttosto che confermare il ruolo attivo degli uomini di Vladimir Putin nella trama.

«Abbiamo congelato la nostra adesione alla Otsc non solo perché la Otsc non sta adempiendo ai suoi obblighi di garantire la sicurezza dell’Armenia, ma anche perché sta creando minacce alla sicurezza, all’esistenza e alla statualità dell’Armenia», ha dichiarato il primo ministro nell’incontro con i giornalisti e non servono particolari interpretazioni per capire che la sigla e il suo attentato alla “statualità” del Paese siano un modo per affermare quanto sospettato dall’opinione pubblica: la Russia non perdona l’indipendenza di Erevan e non si farà scrupoli per fermare il processo di emancipazione.

È proprio per questo che Pashinyan rincara la dose: «Se vedremo una possibilità più o meno realistica di diventare un membro a pieno titolo dell’Unione Europea non perderemo quel momento». Il tentato golpe doveva essere un modo per allontanare l’Armenia dall’Europa, e invece ha avuto l’effetto contrario. Era prevedibile.

Quello di mercoledì scorso è solo l’ultimo episodio della crisi tra Mosca ed Erevan che ha raggiunto il suo culmine poco prima dell’estate, quando il governo di Pashinyan ha deciso di “congelare” la sua adesione alla Otsc; la Russia perdeva non solo la sua presenza territoriale nella regione, ma uno dei partner più importanti dell’alleanza che secondo la propaganda putiniana rappresentava il braccio armato del tanto vagheggiato “ordine multipolare” a trazione moscovita.

È proprio su questo terreno che la paranoia russa diventa palese perché quello che secondo i media putiniani è riducibile a un “tradimento” da parte di Erevan, in realtà nasconde una serie di fallimenti del Cremlino che lo hanno colpito nel suo ruolo di arbitro internazionale. Il contingente russo, ai tempi, non ha difeso l’Armenia dagli azeri causando un progressivo, e inarrestabile, avvicinamento di questa ai Paesi occidentali; per cercare di correre ai ripari, la Russia è passata dall’altra parte del campo schierandosi in maniera sempre più esplicita con l’Azerbaijan.

Un mese prima della scoperta del complotto, i media russi hanno riportato con entusiasmo l’incontro a Baku tra Vladimir Putin e il presidente Ilham Aliyev nel quale si è discusso di collaborazione politica ed economica per rafforzare il ruolo di entrambi nella regione. A margine del bilaterale, Aliyev ha annunciato trionfalmente l’accordo stipulato con il Cremlino per il trasporto di merci dal valore di oltre centoventi milioni di dollari, un primo passo verso un’alleanza organica tra i due Paesi.

Il risultato di questa operazione non si è fatto attendere: l’ingresso della Russia nelle tratte commerciali azere ha fatto infuriare l’Iran perché avrebbe minato gli scambi diretti tra la Repubblica islamica e l’Armenia (la questione del corridoio di Zangezur, parte decisiva dei tentati accordi di pace nel conflitto del Nagorno-Karabakh).

Mosca ha tentato di fare la voce grossa ma l’Iran è un partner essenziale non solo per motivi ideologici, è tra i Paesi che contribuisce di più ai rifornimenti per sostenere l’invasione dell’Ucraina. È per questo che la grande strategia russa si è risolta con un ritorno sui propri passi condito da un’umiliante riappacificazione con il regime islamico.

Nel mentre, il protagonismo di Putin subisce un’ulteriore ferita con la recente chiamata tra Aliyev e il segretario di Stato americano Antony Blinken. Gli Stati Uniti stanno operando per raggiungere un accordo di pace nel Nagorno-Karabakh e l’evento è particolarmente amaro per il Cremlino: Putin non è più il solo arbitro al di sopra delle parti.

Questo insieme di sconfitte diplomatiche, tra un’Armenia dichiaratamente vicina all’Europa e un neo alleato che dialoga con il nemico numero uno, rappresenta una ferita fatale al sistema russo. Ma l’animale ferito è sempre più pericoloso ed è facile immaginare che il tentato golpe sia solo l’inizio.

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