Da Turchia e Azerbaijan attacchi armati a curdi e armeni (Monzaindiretta 15.12.22)

di Giuseppe Morabito – Turchia e Azerbaijan stanno attuando metodi che si possono definire anche disumani nei loro attacchi armati a Kurdistan e Nagorno Karabakh.

I due paesi alleati stanno attuando tale atteggiamento approfittando che l’attenzione mondiale è concentrata sull’ aggressione russa al territorio ucraino e alle enormi problematiche che vengono quotidianamente affrontate dalla popolazione ucraina.

L’associazione non governativa Human Rights Watch ha riportato che attacchi aerei turchi dal 20 novembre 2022 stanno interessando aree densamente popolate e infrastrutture critiche nel nord e nel nord-est della Siria e, di conseguenza, aggravando una crisi umanitaria già catastrofica per curdi, arabi e altre comunità nella regione.

Le azioni di guerra hanno, di fatto, sfollato famiglie, causato significative interruzioni di corrente e carenze di carburante, hanno costretto le organizzazioni umanitarie a sospendere temporaneamente alcune delle loro attività e hanno portato a interruzioni sia scolastiche sia lavorative. Il forum NES ONG, l’organo di coordinamento principale per le organizzazioni non governative che lavorano nel nord-est della Siria, ha avvertito in una nota del 25 novembre del danno che il targeting delle infrastrutture energetiche potrebbe avere sull’ambiente e sull’attuale crisi idrica nella regione.

“Gli attacchi della Turchia alle aree popolate e alle infrastrutture critiche nel nord e nel nord-est della Siria stanno mettendo ulteriormente a rischio i diritti fondamentali dei civili”, ha affermato Adam Coogle, vicedirettore per il Medio Oriente di Human Rights Watch.

“I siriani stanno già affrontando una catastrofe umanitaria, una crescente crisi emigratoria e un’economia in caduta libera. Gli attacchi della Turchia rischiano di peggiorare una situazione già insopportabile per curdi, arabi e altre comunità”.

Human Rights Watch ha fatto sapere che almeno 10 civili sarebbero già deceduti a seguito degli attacchi aerei dell’aeronautica turca.

I caduti includono un giornalista ucciso mentre intervistava i residenti di Derik (al-Malikiyah in arabo), una città nel governatorato di al-Hasakeh nel nord-est della Siria. L’area da cui stava riferendo era stata l’obiettivo di un inatteso devastante attacco aereo.

Il presidente turco Erdoğan ha affermato che gli attacchi aerei nel nord-est della Siria sono una rappresaglia per un attentato del 13 novembre a Istanbul che ha ucciso sei civili, per il quale la Turchia ha accusato dell’accaduto le Unità di protezione del popolo (YPG) e il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK-Turchia, USA e Unione Europea considerano il PKK un gruppo terroristico).

Ankara contrasta l’YPG, il più importante membro delle Forze Democratiche Siriane (SDF), un gruppo armato sostenuto dagli USA e guidato dai curdi che controlla gran parte del nord-est della Siria.

Il PKK e le SDF, la principale forza di terra che ha combattuto i terroristi dell’ISIS nel nord-est della Siria, hanno entrambi negato il coinvolgimento nell’attentato di Istanbul.

Per la terza volta nel 2022, Erdoğan minaccia anche un’invasione di terra nelle regioni controllate dalle SDF. Questa sarebbe la quarta invasione della Turchia nel nord della Siria dal 2016 e si avrebbe notizia che le precedenti incursioni sono state caratterizzate da violazioni dei diritti umani da parte turca.

Quanto precede, e conoscendo le caratteristiche dei servizi segreti del governo di Ankara, ha fatto nascere in alcuni osservatori non pochi dubbi sul reale organizzatore dell’attentato che è stato usato come “ragione/scusa” per l’attacco dal 20 novembre.

Dal 20 novembre, l’aviazione turca ha iniziato un’offensiva nel nord della Siria, chiamandola Operazione Claw-Sword, che secondo la Turchia prende di mira le posizioni delle forze democratiche siriane e delle forze armate siriane, ma che ha colpito anche un centro di trattamento del Covid-19, una scuola, silos per il grano, centrali elettriche, distributori di benzina, giacimenti petroliferi e una strada spesso utilizzata da civili e gruppi umanitari. La Turchia ha anche lanciato attacchi aerei nel nord dell’Iraq, che ha affermato di aver preso di mira le posizioni del PKK.

Il bombardamento aereo è iniziato pochi giorni dopo che la Turchia e altri 81 paesi hanno adottato una dichiarazione che mira a proteggere i civili di tutto il mondo dall’uso di armi esplosive nelle aree popolate. Ma di Erdogan non c’è da stupirsi!

Un attacco nei pressi della centrale elettrica Swedieh nel distretto di Derik il 23 novembre ha portato a significative interruzioni di corrente e internet nella città di Derik e nei sottodistretti di Derik e al-Hasakeh. Il forum delle ONG di NES ha affermato che la centrale fornisce elettricità alla stazione idrica di Allouk, che serve più di 460.000 persone nel governatorato di al-Hasakeh e in tutte le aree e città altamente popolate nella regione dell’Alta Jazira.

Prendere di mira gli impianti di petrolio e gas ha anche esacerbato la grave carenza di carburante che ha già afflitto il nord-est della Siria, lasciando i civili in difficoltà a trovare combustibile per cucinare e riscaldare le abitazioni per l’inverno. I prezzi del carburante erano già saliti a livelli incredibili e insostenibili ma almeno prima il carburante era ancora disponibile.

Secondo il rapporto della ONG le persone vivono nella paura e c’è un senso generale di panico e terrore anche perché’ il 23 novembre, gli attacchi turchi hanno preso di mira anche una postazione delle SDF nel campo di al-Hol, un campo di detenzione nel governatorato di al-Hasakeh che detiene più di 53.000 sospetti e familiari di terroristi dello Stato islamico (ISIS). Gli attacchi avrebbero causato sia vittime sia il panico tra i detenuti , ridotto drasticamente le scorte d’acqua e causato carenza di cibo.

Nel 2022 la Turchia ha ripetutamente sottoposto le città e i paesi della Siria nord-orientale controllati dalle SDF a bombardamenti, artiglieria e attacchi di droni.

Human Rights Watch ha anche affrontato nel suo documento le implicazioni per i siriani e gli stranieri detenuti nella regione per presunti legami con l’ISIS, inoltre, ha delineato gli obblighi legali internazionali per tutte le parti in conflitto di adottare tutte le misure possibili per proteggere i civili e ridurre al minimo i danni alle infrastrutture civili.

In caso di invasione, la Turchia dovrebbe aprire i suoi confini a coloro che ne hanno bisogno e consentire a coloro che fuggono dal conflitto di cercare protezione all’interno della Turchia. Ankara dovrebbe, garantire che le sue azioni militari non aggravino ulteriormente le crisi umanitarie e di sfollamento della Siria nord-orientale e gli alleati internazionali della Turchia (rimane un paese membro della NATO) dovrebbero fare pressione su Erdogan in tal senso.

A nord della Turchia, il 12 dicembre l’esercito azero ha iniziato una operazione per bloccare la strada principale che collega la regione contesa, con l’Armenia, del Nagorno-Karabakh con l’Armenia stessa.

L’azione militare avviene per la seconda volta in due settimane e assume oramai anche essa le dimensioni di una emergenza umanitaria per la popolazione della regione. Questo corridoio funge da ancora di salvezza per il Nagorno-Karabakh chiamato anche repubblica dell’Artsakh.

Nello specifico la strada (corridoio di Lachin) dovrebbe essere controllata dalle forze di pace russe schierate nella regione e mente di un accordo trilaterale ( Mosca, Baku, Yerevan) firmato dopo l’ultima aggressione azera e “mediato” dal presidente russo Putin. L’impatto successivo al blocco stradale sarà devastante per la regione in quanto il blocco del flusso di cibo e forniture mediche essenziali si sta già trasformando in una crisi umanitaria e il mancato e pronto intervento dell’ONU si tradurrà non solo in un aumento delle vittime, ma porterà quasi certamente ad una nuova insicurezza e instabilità in una regione già fragile.

La situazione sul campo è quella che dalla mattina del 12 dicembre, l’Azerbaigian ha bloccato l’unica strada che collega l’Artsakh al di fuori del territorio azero, affermando di condurre “controlli ambientali”.

I 120.000 abitanti della Repubblica, di cui 30.000 bambini, si sono trovati in completo isolamento senza alcuna indicazione di quando questo blocco sarà revocato. Le forze di pace di stanza nella regione riescono a malapena a mantenere la calma nell’area e il comportamento dell’ esercito azero parrebbe non aver nulla a che fare con la protezione dell’ambiente.

Ad oggi, una linea di contatto molto fragile separa gli azeri, le forze di pace e l‘Artsakh ma la situazione potrebbe cambiare perché appare chiaro che il governo di Baku, supportato da Ankara, (approfittando che le forze armate russe hanno altri obiettivi) vuole che gli armeni cedano alle sue richieste territoriali e tale situazione esplosiva, in pieno inverno, comporterà molto probabilmente la perdita di molte vite.

C’è una tragica similitudine tra Ucraini, cittadini del Kurdistan e del Nagorno Karabakh. È importante sapere che esistono queste ulteriori “aggressioni” alle porte dell’ Europa.

Anche nel caso dell’Azerbaigian la grande produzione di gas naturale del paese e la necessità dello stesso per l’economia di molti paesi occidentali gioca un fattore importante per attenuare l’eco di quanto avviene. Parimenti il palesato attivismo (molto utilitaristico) di Erdogan a favore della pace in Ucraina e il suo “nulla osta” all’ingresso nella NATO di Finlandia e Svezia fanno da sordina ai tragici accadimenti nel Kurdistan.

Generale Giuseppe Morabito – Membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation.

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