Diplomazia pontificia, focus internazionale: dal Libano al Caucaso (Acistampa 08.08.20)

La Santa Sede segue con attenzione le tensioni nel Caucaso, e questa settimana due ambasciatori della Regione (di Georgia e Armenia) hanno rilasciato dichiarazioni sulle situazioni nei loro rispettivi Paesi. Il territorio, infatti, è colpita da diversi conflitti regionali, complessi da spiegare e che pure hanno un forte impatto anche sull’Europa. La Santa Sede ha mostrato più volte la sua presenza.

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Armenia – Azerbaijan, parla l’ambasciatore di Armenia presso la Santa Sede

C’è stata una escalation nel conflitto tra Armenia e Azerbaijan, che ha portato ad una ventina di vittime ed anche alla richiesta di Papa Francesco, durante l’Angelus del 19 luglio, di giungere ad “una soluzione politica duratura”. L’escalation nasce da una situazione di conflitto al confine contesto tra Azerbaijan e Armenia.

Secondo alcune fonti, sono gli armeni ad aver certo di prendere posizioni vantaggiose sul territorio. Secondo altre fonti, sono stati gli azeri ad aver cercato di prendere una posizione in territorio armeno. Le schermaglie sono sfociate in veri e propri attacchi di artiglieria.

Garen Nazarian, ambasciatore di Armenia presso la Santa Sede, in una dichiarazione resa ad ACI Stampa mette in luce l’interesse della Turchia nella regione, Stato in antica inimicizia con l’Armenia anche per il non riconoscimento del genocidio armeno.

L’ambasciatore Nazarian ha sottolineato “l’aggressione scatenata dall’Azerbaijan contro il nostro Paese”, operata ignorando “i precedenti appelli di Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, e di Papa Francesco di mettere in atto un cessato il fuoco generale in questo momento di pandemia da COVID 19”.

Nazarian nota che i giornali italiani hanno messo in luce le dichiarazioni del ministro della Difesa azero sugli attacchi alla centrale nucleare di Metsamour, nonché “l’inaccettabile interferenza da parte turca”, denunciata tra l’altro di voler “fuorviare la comunità internazionale per nascondere l’innegabile uso della forza da parte dell’Azerbaijan al confine armeno a partire dal 12 luglio”.

Secondo Nazarian, “è risaputo che la Turchia cerca costantemente di intervenire nei conflitti regionali, complicandoli ulteriormente, creando nuove fonti di tensione, minando la sicurezza dei suoi vicini e diffondendo instabilità per raggiungere i suoi obiettivi più che secolari”, ma questo non fa altro che esprimere “l’incondizionato sostegno turco all’Azerbaijan, giustificando la sua politica anti-armena e belligerante”.

Nazarian rivolge alla Turchia la pesante accusa di agire “non come un membro del Gruppo di Minsk dell’OSCE, ma come parte direttamente coinvolta nel conflitto del Nagorno-Karabakh; e non può svolgere nessun ruolo nel processo di risoluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh”.

Nazarian accusa l’atteggiamento provocatorio della Turchia “una grave minaccia per la Regione in senso lato”. E denuncia anche la decisione di convertire nuovamente Santa Sofia in moschea, sulla base del fatto che Santa Maria è patrimonio culturale dell’UNESCO.

Nazarian nota che fu un architetto armeno, certo Trdat, a restaurare Santa Sofia nl IX secolo, e sottolinea che “la società armena – attraverso il Ministro degli Affari Esteri della Repubblica d’Armenia, il Catholicos di tutti gli Armeni e della Grande Casa di Cilicia, gli ambiti accademici armeni e le organizzazioni della diaspora – ha rilasciato commenti e dichiarazioni sulla decisione della parte turca. E questo è ovvio perché la decisione crea un precedente pericoloso e ciò rende necessario l’introduzione di un meccanismo di monitoraggio internazionale per salvaguardare le chiese e gli altri monumenti in Turchia ed evitare che vengano snaturati. L’Armenia è pronta a impegnarsi in questo senso con l’Unesco e con tutti gli stati membri interessati”.

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