Genocidio armeno. Antonia Arslan, “Non smetterò mai di raccontare le nostre donne” (Io donna 06.06.16)

«Il mio prossimo libro parlerà ancora del genocidio armeno. Le mie origini mi chiamano di nuovo per essere ricordate. In questo senso il riconoscimento tedesco  è un altro importantissimo passo in avanti».

Antonia Arslan, 78 anni, scrittrice italiana di origine armena, plaude alla Germania. Con il suo primo romanzo, “La masseria delle allodole“, pubblicato da Rizzoli e tradotto in 21 lingue, ha raccontato il dramma del suo popolo. Il libro è diventato un successo, da cui è stato tratto anche un film diretto dai fratelli Taviani.

Perché è importante la presa di posizione tedesca?
«Perché la Germania storicamente è sempre stata vicina all’impero ottomano, come ha dimostrato anche la costruzione della ferrovia Berlino-Bagdad, usata durante il genocidio. Questa decisione ristabilisce la verità storica, va oltre il negazionismo turco».

Ventuno stati hanno riconosciuto lo sterminio, non la Turchia. Sta cambiando qualcosa nel Paese?
«Penso di sì, intellettuali e storici si stanno risvegliando, c’è consapevolezza. Ho appena curato il libro di Hasan Cemal, un giornalista turco: il nonno, Cemal Pasha, era coinvolto nei massacri. Lui ha scritto “1915: genocidio armeno”. Molti studiosi rischiano ancora esponendosi di persona. Oggi a Istanbul vive una comunità di 45mila armeni, nel 1915 erano 2 milioni e mezzo: ricordare è importante».

Schermata 2016-06-05 alle 17.34.59Antonia Arslan è in viaggio per Milano da Padova, dove vive e dove ha insegnato per molti anni Letteratura italiana moderna e contemporanea all’università. Deve presentare “Io Sono il Nordest”, un’antologia collettiva – diventata un caso editoriale  – con i racconti di 18 autrici, a sostegno del Centro veneto contro la violenza alle donne.

Uno dei racconti è suo, s’intitola “Tempi di Erode” e racconta il coraggio delle donne armene costrette a umiliarsi con i turchi pur di salvare i propri bambini nei giorni terribili dello sterminio. Descrive, ad esempio, il caso di due fratellini separati da un turco, cui si era concessa la madre, che si sono ricongiunti 30 anni dopo.

«Le donne spesso dovevano scegliere quale figlio salvare perché dopo i 12 anni venivano considerati grandi. Sono successe cose terribili all’epoca. Tutte le donne venivano deportate, lungo il percorso venivano stuprate, uccise a colpi d’ascia. Oppure inserite negli harem turchi. È grazie a loro se sono rimaste importanti testimonianze. Nel 1915 erano già tutte alfabetizzate».

 Il suo prossimo libro racconterà altre storie di famiglia?
«Sì, è successa una cosa strana, glielo rivelo in anteprima. Volevo raccontare le storie di alcune donne di varie nazionalità. Ma, mentre ero negli Stati Uniti a fare ricerche, sono stata contattata da cugini del New Hampshire che non sapevo di avere, discendenti di una delle sorelle minori di mio nonno. E ho scoperto altri capitoli della mia famiglia. Mi hanno raccontato che la moglie di uno dei fratelli del nonno, Noemi, è morta annegata nel Mar Nero: un ufficiale turco la voleva per sé e si è ribellata. Lui l’ha affogata».

Raccontare il genocidio armeno è una missione per lei?
«È stato un richiamo a cui non ho potuto dire di no, che mi portavo dietro da sempre, dai racconti di mio nonno. Sono una scrittrice tardiva (La masseria delle allodole è uscito nel 2004), un’amica americana un giorno mi ha detto “basta raccontare aneddoti sulla tua famiglia, adesso scrivi tutto” e l’ho fatto».

Come vive il successo?
«Sono sempre Antonia Arslan».

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