IL CONFLITTO DEL NAGORNO KARABAKH DEL 2020 E L’EVOLUZIONE (TECNOLOGICA) DELLE OPERAZIONI MILITARI (Difesa on line 15.01.21)

La “piccola” guerra del Nagorno Karabakh1, conclusasi con il cessate il fuoco del 9 novembre 2020 dopo quarantaquattro giorni di combattimento, presenta novità nella condotta delle operazioni degne di nota. Non è ancora la rivoluzione negli affari militari, avviata da Stati Uniti, Cina – chissà chi vincerà la partita! – e da numerosi altri Paesi che possiedono capacità di ricerca nel campo della digitalizzazione e delle tecnologie “emerging & disruptive2”, ma qualcosa da osservare con attenzione perché quella rivoluzione in parte la preannuncia.

Dal punto di vista geopolitico poi rappresenta una conferma dell’abilità di Putin nel mantenere l’egemonia russa nelle provincie dell’ex impero sovietico. Nondimeno Erdogan ha giocato e continua a giocare un ruolo importante, confermandosi player molto assertivo della revisione degli equilibri regionali.

E cosa dire delle popolazioni locali di quella terra di confine tra Europa e Asia3? Esse sono vicine a noi. La rappresentanza di armeni in Italia è storicamente consolidata, come nell’Isola di San Lazzaro degli Armeni, nella laguna di Venezia, o nel quartiere napoletano di San Gregorio Armeno, noto per la tradizione dei presepi. E sono di considerevole entità le relazioni commerciali con l’Azerbaijan, paese ricco di risorse energetiche e aperto al mercato europeo4.

Il contesto

Armenia e Azerbaijan sono due entità statali della regione transcaucasica (definizione sovietica di quell’area che comprende anche la Georgia), i cui confini nei secoli hanno subito modifiche significative, lasciando sempre aperti i problemi dell’identità nazionale. Le popolazioni lì residenti sono rispettivamente 3,3 milioni (97,9% armeni; ortodossi 72,9% più altri,) per l’Armenia e 8,9 milioni (azeri al 91,6%; musulmani sciiti 63% e sunniti al 33% più altri) per l’Azerbaijan.

Nella storia, gli armeni hanno mantenuto una forte identità, talvolta contrastata. Ricordiamo le tragiche deportazioni del 1895 (foto) e 1896 e poi dell’estate del 1915, da parte dell’Impero Ottomano (Papa Francesco il 12 aprile 2015 ha ricordato il massacro degli Armeni “generalmente considerato come primo genocidio del Novecento”. La frase, pronunciata durante una celebrazione liturgica del rito armeno in San Pietro per il centenario del martirio armeno, ha scatenato l’immediata reazione della Turchia che ha ritirato il suo ambasciatore)5. Quindi l’imposizione da parte di Stalin di confini non rispondenti alla distribuzione etnica, negli anni ’20 del secolo scorso. Infine i sanguinosi fatti di Sumgait, città dell’Azerbaijan, in cui nel 1988 furono perpetrate gravi violenze a danno sempre dei residenti armeni. Inoltre armeni e azeri risentono tuttora dell’influenza geopolitica delle potenze vicine, in particolare Russia e Turchia.

L’attuale disputa ha quindi origine remote. Ma fu la dissoluzione dell’URSS a far riaffiorare i nazionalismi come forze identitarie e talvolta disgregatrici dell’ordine internazionale. Nasceva così nel settembre del 1991 la Repubblica Indipendente dell’Artsakh6, per autodeterminazione degli armeni del Nagorno Karabakh, quella regione montuosa sita nella parte orientale dell’Azerbaijan. Una repubblica indipendente questa, peraltro mai riconosciuta. Seguiva un conflitto tra Armenia e Azerbaijan, interrotto con un cessate il fuoco nel 1993, ma periodicamente riaccesosi per incidenti nelle zone di confine.

Un conflitto identitario, si è detto e non religioso, pur trattandosi di popoli di diversa fede. Così è avvenuto anche il 27 settembre scorso, quando con un attacco azero lungo l’intera linea di confine dell’Artsakh la situazione è precipitata7.

Se il primo conflitto, quello degli anni novanta del secolo scorso, dando la vittoria all’Armenia stabiliva di fatto un nuovo assetto territoriale, l’ultimo in ordine di tempo ha consentito all’Azerbaijan di riprendersi Shusha, la seconda città per importanza della regione, il corridoio di Lachin8, che costituisce la principale via di comunicazione tra Artsakh e Armenia, (ne esisteva una seconda, passante nel distretto di Kalbjar, a nord ovest, ora ritornato all’Azerbaijan) e sette province amministrative alle falde del complesso montuoso del Nagorno Karabakh. Dunque, una sconfitta militare che ha prodotto effetti molto significativi sulla geografia.

Russia e Turchia

In questo conflitto Russia e Turchia hanno sostenuto, ma in maniera diversa, rispettivamente Armenia e Azerbaijan. Sebbene i due stati siano membri dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, guidato da Mosca, che prevede il sostegno militare della Russia in caso di attacco, essendo l’Artsakh non riconosciuto come stato indipendente, all’attacco azero Mosca non è intervenuta direttamente, limitandosi a schierare proprie unità militari in Armenia, lungo il confine9. Dunque, Putin, pur storico sostenitore dell’Armenia, ha tenuto un profilo basso, almeno sino a quando le forze azere non hanno minacciato direttamente Stepanakert, la capitale di fatto dell’Artsakh.

Libero di agire, Erdogan ha schierato con l’esercito azero soldati, mercenari fondamentalisti10 e armamenti pregiati, che hanno determinato il successo militare di quella parte. Si arriva così al 9 novembre scorso, quando Putin riconduce i contendenti al tavolo della trattativa, sancendo un cessate il fuoco tuttora in vigore, che congela la situazione sul campo, prevedendo però lo schieramento di una unità militare russa di peacekeeping in Artsakh, per vigilare sul rispetto dell’accordo. Sempre Erdogan, a cose fatte, nel corso della parata celebrativa della vittoria, a Baku, ha dichiarato: “Siamo qui oggi per celebrare questa gloriosa vittoria, la liberazione delle terre occupate dell’Azerbaigian, tuttavia, non significa che la lotta sia terminata11.

Putin, da parte sua, il 18 dicembre, ha dichiarato che “il Nagorno Karabakh, dal punto di vista del diritto internazionale è territorio azero, nemmeno riconosciuto dall’Armenia”. Che “le radici sono nel conflitto etnico, iniziato a Sumgait12, che si è poi diffuso in Nagorno-Karabakh”. Quindi, riferendosi ai pogrom anti-armeni del 1988, ha così proseguito: “Ogni parte ha le sue ragioni. Gli armeni del Nagorno-Karabakh hanno preso le armi nel loro tempo per proteggere le loro vite e la loro dignità. E si è creata la situazione esistente al momento dell’escalation del conflitto di quest’anno”13.

Sin dal 1992 l’OSCE ha cercato di risolvere la controversia con il Gruppo di Minsk, guidato da Francia, Stati Uniti e Russia, che vede anche la partecipazione dell’Italia. Ma i fatti dicono che tale foro diplomatico sino ad ora ha fallito la propria missione. Occorre ancora ricordare che l’Azerbaijan è un paese esportatore di idrocarburi (il gasdotto TAP che approda nel Salento origina dai giacimenti azeri), con un PNL di circa 50 miliardi di dollari USA, rispetto all’Armenia che registra un PNL di circa 10 miliardi. Tale differenza di ricchezza tra i due paesi ha sicuramente inciso sugli apparati militari, ovviamente a favore degli azeri che hanno potuto avvalersi di tecnologie evolute, anche provenienti da Israele.

Le trattative finalizzate a ricomporre i conflitti identitari e territoriali sono sempre irte di difficoltà. Tuttavia, nel caso specifico, l’Italia, presente nel Gruppo di Minsk, avrebbe potuto contribuire nel dirimere le controversie avvalendosi della propria tradizione di cultura ed esperienza. Infatti, il nostro Paese ha sempre gestito con sagacia e lungimiranza le questioni identitarie delle diverse comunità presenti sul territorio nazionale, riuscendo a comporre le divergenze e a stemperare le diffidenze; tutto ciò senza trascurare poi il capitale di esperienza maturato nel campo del peacekeeping. Ma l’Italia, in quanto a peso strategico, non è un player globale e anche l’Europa in questo conflitto ha reputato di dover tenere un profilo di lontana equidistanza dalle parti.

Ma cosa ha caratterizzato questo conflitto peraltro ignorato dai media nostrani? Le novità appaiono numerose e tutte degne di nota.

Le operazioni belliche, in sintesi

Sebbene l’entità delle forze in campo fosse a vantaggio dell’Azerbaijan, tuttavia il terreno impervio e le difese ben consolidate nel tempo avrebbero potuto favorire le forze armene, consentendo di incanalare gli attaccanti in aree di distruzione, per colpirle con le riserve mobili: ciò è possibile in terreni compartimentati. Tuttavia, le informazioni raccolte mostrano che le forze azere abbiano adottato sistemi evoluti di comando, controllo, acquisizione degli obiettivi ed erogazione del fuoco distruttivo. Inoltre i droni utilizzati da questa parte, sia i velivoli a pilotaggio remoto che quelli autonomi, che non necessitano di pilotaggio, hanno svolto un ruolo di primaria importanza. Tale superiorità tecnologica ha sortito l’effetto desiderato, consentendo il pieno successo.

Dunque, l’attacco azero sembra sia partito con la distruzione della rete di comando e controllo dell’esercito armeno e subito dopo delle unità corazzate di riserva nelle zone di attesa. È possibile che per colpire i posti comando siano state utilizzate bombe volanti autocercanti le emissioni elettromagnetiche, gli UAV (unmanned aerial veihcle) Harop15, di costruzione israeliana. Questo tipo di velivolo può restare in volo per sette ore e vagare sul campo di battaglia in attesa di individuare emissioni radio. A quel punto, autonomamente, si dirige con una traiettoria verticale oppure obliqua sul bersaglio, distruggendolo con la carica di esplosivo che trasporta. Quindi, l’attacco è proseguito colpendo le riserve corazzate schierate nelle aree di diradamento e nelle zone di attesa utilizzando, questa volta, UAV di provenienza turca: i Bayraktar TB216. Si tratta di un drone con autonomia di 27 ore, capace di volare sino a ottomila metri di altitudine, poco visibile anche ai radar e silenzioso, armato con missili aria terra. I filmati che circolano in internet, presi da questi stessi velivoli a pilotaggio remoto, mostrano i bersagli inquadrati con telecamere ad alta definizione e la loro distruzione all’impatto del missile.

Una volta neutralizzata la comandabilità delle forze e colpite le unità mobili della riserva è iniziato l’attacco alle posizioni difensive e la conquista degli abitati. Non sono mancati i bombardamenti anche sulla popolazione civile, l’uso di bombe a grappolo, vietate dalle convenzioni internazionali e forse atti di violenza indiscriminati. In questo modo, poco alla volta, le propaggini del complesso montuoso del Nagorno Karabakh, una vera e propria fascia cuscinetto dell’autoproclamata repubblica, sono cadute nelle mani dell’attaccante e quando è stato minacciato il corridoio di Lachin ed è anche caduta la città di Shusha, a venti chilometri dalla capitale, Stepanakert, la situazione per l’Artsakh è divenuta veramente critica, profilandosi una crisi umanitaria di vaste proporzioni.

A questo punto, nell’equidistanza tra le parti dell’Occidente; nell’impossibilità del gruppo di Minsk di generare una soluzione condivisa, Putin ha condotto i contendenti all’accordo di cessate il fuoco, rimettendo così ordine nel giardino di casa!

E mentre scriviamo, la forza di peacekeeping russa prende contatto col terreno e già vigila sul vitale corridoio di Lachin; mentre i profughi che avevano cercato rifugio in Armenia iniziano a rientrare alle proprie terre.

Evoluzione di armi e strategie

Sul piano militare, oltre al ruolo degli UAV già richiamato, senza dubbio decisivo, occorre constatare che la tecnologia informatica (IT) sarà sempre più presente sul campo di battaglia con la digitalizzazione dei sistemi.

Se negli ultimi due decenni sono giunte a maturazione le tecnologie di comando e controllo (C2) basate sulla citata IT: posti comando in rete, generazione di “carta della situazione”17 informatizzata, aggiornata di fatto in tempo reale (COP: common operational pictures), anche la funzione operativa ISTAR (informazione, sorveglianza, acquisizione obiettivi e ricognizione) può essere automatizzata e collegata al C2. In particolare, con l’intelligenza artificiale, in via di rapida evoluzione, sistemi informatici sempre più efficienti potranno gestire autonomamente la raccolta e fusione delle informazioni, la designazione degli obiettivi, la distribuzione degli stessi alle sorgenti di fuoco e la verifica dell’efficacia dell’azione (processo sensor to shooter).

La sfida tecnologica consiste nel gestire contemporaneamente numerosi sensori e tracce radar, il che comporta una grande mole di dati da processare in breve tempo. In questa maniera, una unità militare, schierata in un’area di operazione anche compartimentata per morfologia del terreno o perché urbanizzata, è totalmente connessa in rete. Ogni singolo elemento – dal soldato appiedato al veicolo da combattimento e quindi ai sensori da ricognizione e acquisizione obiettivi sul terreno e in volo (dispositivi campali, droni, palloni sonda, velivoli e satelliti) – raccoglie le informazioni e le invia ai nodi di rete, dove elaboratori sufficientemente potenti le interpretano, le catalogano, le fondono e attribuiscono priorità decidendo di fatto cosa fare. Ovvero, impartiscono in automatico l’ordine di fuoco alla sorgente più idonea: velivolo, artiglieria, veicolo da combattimento o singolo uomo sul campo. Quindi, l’elaboratore valuta l’effetto dell’azione e archivia il processo in una memoria di massa.

E l’uomo che ruolo detiene? Se per un verso l’IT tenderebbe ad appiattire le strutture di comando e controllo, le linee di comando, nondimeno l’azione di comando resta centrale. I comandanti ai diversi livelli supervisioneranno i processi, stabilendo la politica da adottare in base alle regole d’ingaggio (fire policies), per graduare gli effetti. Occorre anche considerare che queste soluzioni tecnologiche potrebbero monitorare l’azione lasciandone traccia registrata, utile per accertare a posteriori la conformità dell’azione al mandato conferito alla forza in campo e quindi alle leggi che regolamentano i conflitti: una funzione molto importante da un punto di vista etico.

Una critica frequente a questo sistema fortemente digitalizzato e che la tecnologia, più è complessa, più può essere soggetta a essere degradata con attacchi tecnologici, come quelli cibernetici. In effetti, parimenti allo sviluppo dei sistemi evolvono le contromisure. Già le azioni condotte con gli UAV possono essere neutralizzate con contromisure oltre che passive (mimetizzazione, protezione) anche attive, tipo jammer: emissioni elettromagnetiche capaci di oscurare il bersaglio oppure disorientare il velivolo. Ma alle contro-misure, seguono poi le contro-contro misure tese a rendere queste armi e i sistemi di comando e controllo resilienti.

Quindi, ignorare l’evoluzione tecnologica comporta rischi da valutare con la cura che richiede l’interesse nazionale. Perché il non sviluppare capacità operative fondamentali quasi sempre riduce o annulla la credibilità dello strumento militare e rende impreparati a sostenere il conflitto futuro.

Per non restare indietro

Queste brevi note descrivono situazioni differenti che in comune hanno anche la peculiarità di sollevare dubbi di natura etica: la questione geopolitica dell’Autoproclamata repubblica dell’Artsakh, irrisolta da quasi trent’anni; le ingerenze straniere in un conflitto locale e la presenza di paramilitari, che combattono non vincolati alle leggi di guerra (l’avevamo visto nei Balcani, ora lo ritroviamo anche in Siria, Libia e nel Sahel); la propaganda che rende la realtà sul campo indistinguibile, con filmati molto convincenti sui social; infine la disponibilità di armi e sistemi militari innovativi, capaci di generare un salto di qualità. Ma questa è la realtà che ci circonda, di cui occorre saper prendere atto.

La domanda quindi è se questa realtà la stiamo ignorando, forse perché concentrati su altre priorità: Covid 19, debito pubblico, instabilità politica. Dunque, la sintesi che deduciamo è un invito a considerare tutti questi aspetti e ricercare formule congruenti con gli interessi nazionali, mantenendo una visione etica e nel rispetto di quello delle parti concorrenti. Perché, e questo è un fatto incontrovertibile, la competizione continua ad animare le relazioni internazionali, la conflittualità nelle regioni di più diretto interesse è cresciuta e stanno emergendo pericolose tendenze alla revisione dei confini nazionali, il che è sempre fonte di instabilità.

In tale quadro, la politica militare, nell’indicare le linee evolutive alle forze armate, ha innanzi a sé la sfida a dover essere lungimirante, viepiù in un momento di sviluppo tecnologico come quello che stiamo vivendo. Forze armate, integrate nel contesto atlantico e europeo, solo se aggiornate alle capacità operative fondamentali, rimarranno uno strumento di deterrenza, come è necessario ai fini della stabilità e della pace. Viceversa, la disattenzione all’evoluzione tecnologica in campo militare, come la storia evidenzia, sarà foriera di emarginazione geopolitica, la qual cosa l’Occidente, assertivo nel ritenere l’uomo e la sua dignità centrale nel sistema di vita e di relazioni, non può permettersi.

Siamo in piena rivoluzione negli affari militari18, a cui, come detto in apertura, sono molti a lavorare alacremente (la Cina ha dichiarato nel suo Libro Bianco di tendere a diventare potenza militare vincente nella dimensione del Cyberspazio): una sorta di 5G militare che a breve subiremo, se non capaci di adeguarci con la necessaria tempestività. La disponibilità, ridotta, di risorse finanziarie mostra anche la centralità delle alleanze, della Nato e dell’Unione Europea, nel cui ambito far convergere la ricerca scientifica e gli investimenti, per generare forze efficienti a difesa dell’interesse comune e al servizio di una visione fondata sui valori condivisi dell’Occidente.

In termini di maggiore pragmatismo, il fattore chiave è che rimanere indietro nella sfida “sensor-to-shooter19” significa perdere capacità operativa e quindi di deterrenza, non solo in ambienti war fighting (di guerra), ma anche di Crisis Responce Operations, ovvero missioni di pace, che restano uno via imprescindibile alla pacificazione di realtà contese, come Putin ha appena confermato nello scenario transcaucasico appena descritto. Il sensor to shooter è dunque oggi il fattore chiave su cui già competono le forze terrestri.

Gen. EI (ris.) Antonio Venci

1 Il Nagorno Karabakh è una regione montuosa dell’Azerbaijan occidentale, compresa nel territorio dell’Autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, entità geografica con popolazione prevalentemente armena, non riconosciuta come stato indipendente.

2 Tecnologie che generano un vantaggio strategico a chi le possiede: big data, elaboratori quantistici, materiali innovativi, ecc.

3 L’Italia, presente nel Gruppo di Minsk dell’OSCE, mantiene una posizione equidistante tra le parti, auspicando la soluzione pacifica della controversia territoriale. In data 11 novembre 2020 il MAECI ha emesso il seguente comunicato stampa: “In risposta all’emergenza umanitaria provocata dall’escalation delle ostilità nella regione del Nagorno-Karabakh, il Sistema della Cooperazione Italiana, su indicazione del Vice Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Emanuela Del Re, ha contribuito con 500.000 euro al Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR). Grazie al contributo italiano, il CICR potrà rafforzare le sue attività nel fornire servizi umanitari essenziali, come cibo e riparo, agli oltre 75.000 sfollati colpiti dal conflitto, su entrambi i lati della linea di contatto, e in collaborazione sia con la Croce Rossa Armena che con la Mezzaluna Rossa dell’Azerbaijan.

4 Agenzia Nova. È stato firmato il 18 dicembre in videoconferenza un contratto tra Azerenerji e Ansaldo Energia, che prevede la ricostruzione di quattro sottostazioni in aree recentemente liberate dall’occupazione militare delle forze militari dell’Armenia: i distretti di Agdam, Kalbajar, Gubadly e Fuzuli. Nelle prossime settimane, si legge in un comunicato, è prevista l’apertura di una filiale di Ansaldo Energia a Baku. (18.12.20)

5 Alcuni Stati definiscono le violenze contro gli armeni del 1915 (seguite a quelle degli anni 90 dell’’800) da parte dell’Impero Ottomano ‘genocidio’. La Turchia rifiuta questa definizione inquadrando le deportazioni delle popolazioni armene nelle esigenza di difesa nazionale nel corso del primo conflitto mondiale, quando interi battaglioni di quella popolazione militava nell’esercito russo. Papa Francesco il 12 aprile 2015 ha ricordato il massacro degli Armeni (cristiani) “generalmente considerato come primo genocidio del Novecento“. La frase, pronunciata durante una celebrazione liturgica del rito armeno in San Pietro per il centenario del martirio armeno, ha scatenato l’immediata reazione della Turchia che ha ritirato il suo ambasciatore. (Servizio Studi del Senato. Nota breve n.67)

6 La popolazione stimata è di 150.000 persone. Il conflitto di cui stiamo parlando ha generato 70.000 profughi, che ora in parte ritornano alle proprie case. https://www.aljazeera.com/news/2020/10/12/the-human-cost-of-the-nagorno-karabakh-conflict (2020)

8 Ora il Corridoio di Lachin, che costituisce l’unica via di collegamento dell’Artsakh con l’Armenia, è presidiato dai peacekeeper russi, in base agli accordi di “cessate il fuoco” assunti tra Armenia e Azerbaijan con la mediazione russa, il 9 novembre 2020. Correndo questa via attraverso la città di Shushi, ora in mano azera, l’accordo prevede anche la realizzazione di una bretella per aggirare l’abitato e garantire la viabilità verso Stepanakert. In questo modoviene garantita una via di collegamento e di rifornimento tra Artsakh e Armenia.

9 Il 9 novembre 2020 un elicottero russo è stato abbattuto mentre sorvolava la linea di confine tra Armenia e Azerbaijan. Due piloti sono rimasti uccisi, un terzo membro dell’equipaggio si è salvato. L’Azerbaijan si è assunta la responsabilità scusandosi per l’incidente.

10 Nella Dichiarazione congiunta dei Capi delegazione dei Paesi co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE viene fatta esplicita richiesta: “… i Capi delegazione chiedono anche la piena e pronta partenza dalla regione di tutti i mercenari stranieri e invitano tutte le parti a facilitare questa partenza”.

11 Dal discorso di Erdogan tenuto a Baku in occasione della parata militare celebrativa della vittoria militare del 10 dicembre 2020 (Agenzia NOVA 25.12.20)

12 Sumgait è una città industriale azera sita sul mar Caspio, a nord di Baku. Nel 1988 bande di azeri lì residenti scatenarono un pogrom contro la comunità armena. Ci furono devastazioni, morti feriti e stupri in misura tale da risvegliare la memoria delle sofferenze patite dagli armeni nel periodo della Grande Guerra. Pietro Kuciukian. Gariwo Network. https://it.gariwo.net/rubriche/viaggio-fra-i-disobbedienti-azeri/testimoni-dei-pogrom-di-sumgait-19699.html (2021). Ancora riportiamo: “In quell’anno il Premio Nobel Andrei Sakharov, attivista per i diritti umani ed eminente scienziato (sposato a un’armena), in una lettera indirizzata al leader sovietico Mikhail Gorbaciov sui pogrom di Sumgait scriveva: “Se prima degli eventi di Sumgait qualcuno poteva avere ancora dei dubbi, dopo questa tragedia non resta nessuna possibilità morale di insistere sul mantenimento dell’appartenenza territoriale del Nagorno-Karabakh all’Azerbaijan. Le liste delle vittime di Sumgait non sono state pubblicate, cosa che mette in dubbio l’esattezza dei dati ufficiali relativi al numero delle vittime. Non ci sono informazioni sulle indagini. Un crimine del genere non può non avere degli organizzatori. Chi sono questi?”. Francesco De Palo. https://impaginato.it/article/3069/trent-anni-fa-i-massacri-degli-armeni-a-sumgait.-ma-chi-se-ne-ricorda/ (2021)

13 LUISS Osservatorio sulla sicurezza internazionale. https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2020/12/18/nagorno-karabakh-lopinione-putin/ (01.01.21)

14  Robin Forestier-Walker. Aljazeera (13.10.20)

15 Shaan Shaikh, Wes Rumbaugh. Center of strategic and international studies. (2020)

16 Ibidem.

17 La carta della situazione/informazioni, costituita da una carta topografica riportante anche la posizione delle unità schierate sul terreno, le direttrici di movimento e di attacco, le posizioni difensive, ecc. può essere oggi realizzata con sistemi digitali distribuiti all’interno dei posti comando, se non anche nei computer portatili in rete dei soldati schierati sul campo. In tale configurazione “virtuale”, la carta della situazione/informazioni assume la denominazione di Common Operational Picture (COP).

18 Armi da fuoco, eserciti permanenti al servizio di stati nazionali dopo la Pace di Vestfalia, leva di massa, rivoluzione industriale e binomio carrarmato e aereo d’attacco al suolo, armi nucleari, Information Technology militare, possono considerarsi altrettante rivoluzioni negli affari militari, ovvero, momenti di rottura nell’andamento delle operazioni generati dall’irruzione di un fatto nuovo. Una politica militare lungimirante dovrebbe osservare l’evoluzione tecnologica, come questa influenzi il war fighting e tendere a evitare di giungere al prossimo conflitto impreparati.

19 Sensor to shooter, letteralmente dall’individuazione del bersaglio all’azione di fuoco: un processo che l’automazione delle procedure di comando e controllo unitamente a quelle di ricognizione, sorveglianza e acquisizione obiettivi rende più celere. Conferisce il vantaggio consentendo la celere individuazione anche di più obiettivi contemporaneamente, l’ingaggio, la designazione e la neutralizzazione. Tali processi sono validi anche solo per il controllo della conflittualità, senza necessariamente usare il fuoco letale, come avviene nelle operazioni di risposta alle crisi (CRO). Si veda anche https://asc.army.mil/web/news-alt-jas19-from-sensor-to-shooter-faster/ (2021) e https://www.rafael.co.il/worlds/land/multi-service-network-centric-warfare/ (2021).

Foto: ARMENPRESS / AZERTAC / Ministry of Defence of the Russian Federation / Ministero della Difesa

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