Il genocidio degli Armeni torna a dividere (Orwell.live 06.05.20)

La notizia, di un paio di settimane fa, è passata come ovvio sotto silenzio e non solo a causa della pandemia, ma perché è una di quelle “notizie scomode” che sollevano il velo su storie che “è meglio dimenticare”. In occasione del 105° anniversario, il Parlamento siriano ha approvato all’unanimità una risoluzione che riconosce come “genocidio” lo sterminio dei cristiani armeni pianificato in Turchia negli anni 1915-1916.

Abbiamo parlato ieri della drammatica situazione che stanno vivendo i siriani sotto attacco da parte delle milizie islamiste appoggiate dall’esercito turco. Questa risoluzione, richiesta direttamente dal presidente Bashar al-Assad, che in passato si era già espresso sulla tragedia del popolo armeno, è sicuramente destinata a far aumentare le tensioni tra Damasco e Ankara

Ancora oggi, infatti, l’articolo 301 del codice penale turco punisce come reato “contro lo Stato turco” chi parla in pubblico del “genocidio degli armeni”.

Si può rischiare da sei mesi a due anni di carcere, nelle prigioni turche, non certo famose per il rispetto dei diritti umani. Pena già inflitta, in questi anni, a circa 300 persone, tra giornalisti e intellettuali, che non condividono la linea politica di Erdogan.
Peggio è andata al giornalista Hrant Dink che non ha mai smesso di ricordare il popolo armeno e, per questo, è stato assassinato, nel 2007, da killer sapientemente addestrati che non sono mai stati trovati e forse neanche cercati.

La Turchia è nata sul sangue di un genocidio

La pianificazione del genocidio avvenne tra il dicembre del 1914 e il febbraio del 1915 con l’aiuto di consiglieri tedeschi, alleati della Turchia nell’ambito del Primo conflitto mondiale. Il 24 aprile del 1915 tutti i notabili armeni di Costantinopoli vennero arrestati, deportati e massacrati. Unitamente all’eliminazione dell’élite armena (di religione cristiana), si procedette, a partire dal gennaio del 1915, al disarmo e all’uccisione dei soldati armeni arruolati. Da maggio, fu intrapresa un’opera di sistematica deportazione della popolazione armena verso il deserto di Der-Es-Zor, dove giunsero in pochi, decimati lungo la strada.

La quasi totalità degli Armeni scomparve dalla terra dove l’identità e la cultura di quel popolo si erano sviluppate nel corso di più di duemila anni. Le vittime di quella prima strage furono almeno un milione e mezzo e si calcola che circa un terzo delle vittime avesse meno di 18 anni. Molte di queste furono trucidate in modo inenarrabile, ci furono numerosi atti di inaudita violenza (raccontati parzialmente nel film: La masseria delle allodole).

Moltissimi armeni sono stati volontariamente lasciati morire di fame e di sete nei campi di concentramento turchi o durante le lunghe marce forzate. Le “leggi speciali” del governo turco, infatti, vietavano ai cittadini locali di portare cure, dare cibo o acqua, agli armeni affamati e debilitati.

Fu una “pulizia” etnica e religiosa

Una delle principali cause del genocidio, insieme all’appartenenza etnica odiata dagli ottomani, fu la fede religiosa che ebbe un ruolo rilevante; anche se “ufficialmente” le motivazioni della pulizia etnica vanno ricercate anche al di fuori della disputa religiosa. Sicuramente il governo turco face leva sul sentimento religioso per rafforzare nella popolazione l’avversione nei confronti del nemico da eliminare; rafforzando così l’azione genocida e trasformandola progressivamente, fino a farle assumere le motivazioni e le sembianze di una guerra di religione.

In quegli anni, però, il governo di Ankara era guidato dai Giovani Turchi, una organizzazione politica laica, “di ispirazione mazziniana” (quindi massonica e antireligiosa). Furono loro ad aizzare la popolazione musulmana contro i cristiani, solo per dare maggiore credibilità al loro piano politico che mirava a distruggere le élite economiche, militarie e culturali del Paese.

Rimane il fatto che un intero popolo fu quasi del tutto sterminato, anche coloro che avevano servito fedelmente il proprio Paese non furono risparmiati. Anche gli Armeni, infatti, erano stati chiamati alle armi a causa della guerra in atto ma, un decreto del 1915, aveva stabilito il disarmo di tutti i militari di etnia armena, che furono poi isolati e massacrati. Di 350.000 soldati armeni, nessuno si salverà.

Il silenzio dei colpevoli

Ancora oggi, che pure la Turchia non è più il Paese “laico” di allora ma  ha sposato con Erdogan l’islamismo estremista ottomano, il governo continua ogni anno a spendere milioni di dollari per promuovere le tesi “negazioniste”, minacciando boicottaggi politici ed economici verso gli Stati che si azzardano a riconoscere ufficialmente il genocidio degli armeni. La paura che la verità storica emerga e una coscienza non certo cristallina, determinano, ancora oggi, questo atteggiamento delle autorità di Ankara.

Nonostante qualche passo in avanti di diverse nazioni che, negli ultimi 30 anni, hanno riconosciuto la verità e le proporzioni del genocidio armeno, questa enorme, sanguinosa pulizia etnico-religiosa, resta ancora completamente impunita.

La questione del riconoscimento del genocidio coinvolge l’intera comunità internazionale, perché va ricordato che lo sterminio degli armeni avvenne sotto gli occhi e con la consapevolezza dei maggiori Stati del tempo, che venivano informati dai propri diplomatici di ciò che stava avvenendo, ma evitarono di intervenire.

Purtroppo la storia è piena di “indifferenze” analoghe: basti pensare a ciò che è avvenuto in Cambogia negli anni ’70, in Ruanda negli Anni ’90, in Sud Sudan ancora oggi. Oggi come ieri, la comunità internazionale, con i suoi massimi organismi resta a guardare, bloccata da interessi e veti incrociati, che le fanno volgere lo sguardo altrove, smascherando tutta l’ipocrisia di una politica inefficace se non, a volte, inesistente.

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