La catastrofe umanitaria minaccia il Nagorno Karabakh (Insider Over 27.12.22)

La guerra del Nagorno Karabakh non è finita con gli accordi trilaterali di cessate il fuoco firmati da Armenia, Russia e Azerbaijan il 9 novembre del 2020, e basta osservare quanto sta avvenendo in queste ore nella regione dell’Artsakh per rendersene conto. Il conflitto è semplicemente mutato, una nuova fase della guerra ha avuto inizio, in queste ore infatti non sono ci esplosioni e bombardamenti tra le valli del Caucaso meridionale ma c’è una crisi umanitaria indotta a minacciare la vita dei cittadini armeni che vivono nel territorio dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh.

Dal 12 dicembre centinaia di attivisti azerbaigiani hanno interrotto la strada che collega Goris con Stepanakert, ovvero l’unica arteria che mette in comunicazione l’Armenia con la piccola autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, isolando così i cittadini armeni dal resto del mondo. Da giorni i dimostranti impediscono il passaggio di uomini, mezzi, viveri, medicinali, in molti casi anche delle ambulanze e quest’azione ha già mietuto la prima vittima.

Non è la prima volta che si registrano provocazioni e violazioni della tregua  dopo la fine della guerra dei 44 giorni iniziata il 27 settembre 2020 con l’aggressione da parte di Baku e che ha causato oltre 7’000 morti e più di 100’000 sfollati. In numerose occasioni ci sono stati scontri nelle aree di contatto tra l’esercito azerbaigiano e quello armeno, si è verificata ripetutamente la chiusura delle forniture di gas e di acqua potabile ai territori del Nagorno Karabakh e adesso un blocco stradale sta prendendo in ostaggio l’intera popolazione armena.

L’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, che conta 120’000 abitanti importa quotidianamente 400 tonnellate di beni di prima necessità dall’Armenia (grano, farina, verdura, frutta…) e questo dato dà la dimensione di quanto sia vitale per la sopravvivenza della popolazione locale il collegamento con Yerevan.

Gli attivisti azeri che a partire dal 12 dicembre hanno bloccato la strada hanno dichiarato di farlo per la difesa dell’ambiente e contro le attività estrattive che avvengono nella regione. Le rivendicazioni degli “ecoattivisti” sono state però messe in discussione da un report pubblicato dai Difensori dei diritti umani dell’Armenia e dell’Artsakh che nella loro relazione hanno denunciato con queste parole quanto sta avvenendo: “i blocchi stradali in corso sono in realtà finte manifestazioni ambientaliste inscenate da attivisti appartenenti ad organizzazioni finanziate dal governo azero o direttamente riconducibili a fondazioni della famiglia del premier Aliyev” e poi il report aggiunge che tra i dimostranti sono riconoscibili “numerosi appartenenti ai servizi speciali di sicurezza azeri”. I numerosi video e filmati che circolano su Twitter   inoltre ritraggono i manifestanti intonare canzoni nazionaliste e inneggiare ai Lupi Grigi, l’organizzazione ultra nazionalista turca di cui faceva parte anche Ali Agca, l’attentatore di Giovanni Paolo II.

“Mi preoccupa la situazione creatasi nel Corridoio di Lachin, nel Caucaso meridionale. In particolare sono preoccupato per le precarie condizioni umanitarie delle popolazioni che rischiano ulteriormente di deteriorarsi nel corso della stagione invernale”. E’ con queste parole che domenica Papa Francesco, al termine dell’Angelus, ha espresso la sua personale apprensione per quanto sta accadendo. E enorme preoccupazione è trasparsa anche dalle parole di Karen, un cittadino di Stepanakert, intervistato da InsideOver: “Al momento la città è isolata e la popolazione sta ricorrendo alle proprie scorte di viveri, ma se questo blocco stradale dovesse durare ancora una settimana, forse anche meno, le conseguenze per tutti gli abitanti dell’Artsakh saranno catastrofiche. Tutto è bloccato, scuole e ospedali non possono funzionare, non sappiamo quanto possono durare le riserve di combustibile e di alimenti; se l’isolamento perdurerà il mondo dovrà rispondere di una tragedia”. Le immagini che arrivano dalla capitale dell’Artsakh mostrano i banchi del mercato completamente vuoti, i negozi di alimentari hanno le saracinesche abbassate, i medici lanciano appelli disperati dalle corsie degli ospedali e se oltre alla mancanza di beni si considera che per oltre 50 ore, in questi 10 giorni di isolamento, sono state tagliate anche le forniture di gas, si può a vere una comprensione chiara e vivida dell’emergenza umanitaria che sta colpendo la regione.

L’interruzione del corridoio di Lachin (la strada che collega l’Armenia con l’Artsakh ndr.) viola gli accordi siglati il 9 novembre, infatti il sesto punto del testo della tregua recita: “Il corridoio di Lachin che assicurerà la comunicazione tra l’Armenia e il Nagorno Karabakh, e che aggirerà la città di Shushi, dovrà rimanere sotto il controllo del contingente di peacekeeping della Federazione Russa”. Al momento in Karabakh, e a presidio del checkpoint degli attivisti azeri, sono dispiegati i soldati di Mosca come forze di interposizione ma questi si stanno dimostrando “neutrali” non facendo alcuna azione per riconsentire il transito di persone e merci tra l’Armenia e l’Artsakh. Molti analisti suppongono che dietro l’atteggiamento di inamovibile estraneità dei soldati russi via sia la longa manu di Putin visto che i suoi rapporti con il premier armeno Pashinyan si sono fatti sempre più tesi negli ultimi mesi, come dimostra lo scontro tra i due avvenuto a fine novembre in occasione del summit del OTSC (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva). E inoltre studiosi e giornalisti internazionali suppongono  anche che lo Zar tema uno scontro frontale con Baku poiché rischierebbe così di deteriorare i rapporti con Ankara, storico alleato dell’Azerbaijan, e di spingere Aliyev ad avvicinarsi ulteriormente al blocco occidentale di cui già ora è uno dei principali fornitori di gas.

Ieri sera il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, mentre a Yerevan migliaia di persone hanno marciato sotto l’ambasciata russa e sino alla sezione locale dell’ONU per chiedere la riapertura del corridoio di Lachin, ha discusso di quanto sta accadendo nel Caucaso meridionale e molteplici sono stati i Paesi che hanno condannato l’azione dei dimostranti azerbaigiani e hanno chiesto un apertura della strada che collega l’Armenia con l’Artsakh per scongiurare un acuirsi della crisi.

Al momento 120’000 persone sono completamente isolate, di queste, 30’000 sono bambini e più di 1000 persone sono impossibilitate a ricongiungersi con i propri cari compresi i giovani ragazzi del Nagorno Karabakh che si sono recati a Yerevan in occasione dell’Eurovision junior e che adesso non hanno modo di tornare dai genitori. Ma la situazione più delicata la si riscontra nel nosocomio di Stepankert dove si registrano 10 bambini in terapia intensiva di cui uno in condizioni estremamente critiche, 11 adulti sono anch’essi in terapia intensiva e una persona è deceduta a causa della mancanza tempestiva dei trattamenti necessari.

La tragedia è imminente e per comprendere la portata di quanto sta accadendo è bene citare un altro passaggio della relazione degli osservatori dei Diritti Umani che lanciano un appello finale, dai toni disperati, nei confronti della comunità internazionale: “fermate il prima possibile lo spopolamento della nativa gente armena dall’Artsakh, e anche l’eventuale suo sterminio”.

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