La Russia sta perdendo la presa sul Caucaso? (East Journal 26.09.22)

Le sconfitte subite dalle truppe russe in Ucraina, e le difficoltà che il Cremlino sta incontrando nel portare avanti il conflitto, hanno mostrato chiaramente i limiti del gigante russo che, come scriveva il marchese De Custine nel lontano 1839, ha piedi d’argilla. La debolezza russa è occasione per riaprire vecchi conti e rimettere in discussione vecchi equilibri nell’estero vicino di Mosca, vale a dire nel Caucaso e in Asia centrale, dove nuovi scontri hanno riacceso vecchie dispute.

Gli scontri nel Nagorno-Karabakh

Il Nagorno Karabakh, territorio azero a maggioranza armena, si è proclamato indipendente nel 1991, durante la dissoluzione sovietica, generando una guerra tra l’Armenia – che ne sostiene l’indipendenza – e l’Azerbaijan, che ne reclama la sovranità. Un primo conflitto, tra il 1992 e il 1994, ha portato alla vittoria dell’Azerbaijan ma non alla pace. Dopo decenni di instabilità, nel 2020 la guerra è ripresa per sei settimane trovando infine tregua grazie alla mediazione del Cremlino, tradizionale alleato degli armeni ma interessato a mantenere l’equilibrio nella regione caucasica.

Tuttavia, tra il 12 e il 14 settembre scorso l’esercito dell’Azerbaijan ha lanciato una serie di attacchi d’artiglieria e droni sulle posizioni armene sia verso i territori del Nagorno-Karabakh, sia all’interno della stessa Armenia, colpendo anche centri abitati che non si trovano lungo la linea di confine. L’attacco azero è stata un’aggressione deliberata finalizzata a capitalizzare la propria posizione di forza in un momento in cui la Russia appare debole e incapace di mantenere la propria influenza nella regione. Proprio la Russia, infatti, si era fatta garante di una tregua che, nel 2020, aveva messo fine a sei settimane di scontri tra armeni e azeri. L’accordo di cessate-il-fuoco, firmato a Mosca alla presenza di Vladimir Putin, prevedeva la restituzione del Distretto di Kəlbəcər e del Distretto di Laçın all’Azerbaijan e stabiliva la presenza di peacekeepers russi lungo il corridoio di Laçın destinato a collegare il Nagorno-Karabakh all’Armenia, tradizionale alleato di Mosca nella regione.

Malgrado la presenza militare russa, le truppe azere hanno attaccato e hanno avuto facilmente la meglio sul nemico. Gli azeri, addestrati dai turchi secondo gli standard della NATO, e dotati dei famosi droni turchi Bayraktar TB2, sono apparsi decisamente superiori rispetto agli armeni. Anche per questo il ministro della Difesa armeno, Suren Papikyan, ha chiesto all’omologo russo, Sergei Shoigu, di intervenire per riportare la situazione sotto controllo, coinvolgendo l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC), un’alleanza militare di sei stati guidata dalla Russia. Ma il Cremlino, impegnato a evitare la débâcle in Ucrainanon ha risorse né capacità per intervenire e l’OTSC si è limitata a esprimere “preoccupazione“.

Abcasia e Ossezia del sud, territori separatisti georgiani

L’Ossezia del Sud e l’Abcasia sono due regioni de iure georgiane, ma de facto indipendenti grazie al sostegno di Mosca. Anche in questo caso il conflitto affonda le sue radici nella dissoluzione sovietica, ma la guerra osseto-georgiana del 2008, nella quale il governo di Tbilisi – allora guidato da Mikheil Saakashvili – cercò di riprendersi i territori separatisti, culminò con l’ingresso dei russi nel conflitto e la conseguente disfatta georgiana. La guerra tra separatisti e georgiani prosegue oggi sul fronte russo-ucraino: soldati osseti sono andati a ingrossare le fila dell’esercito russo mentre l’Abcasia ha dichiarato di voler fare altrettanto. Dalla parte opposta, un gruppo paramilitare, la Legione Nazionale Georgiana, composta di veterani delle guerre in Iraq e in Afghanistan, si trova attualmente in Ucraina a combattere i russi al fianco dell’esercito di Kiev. I georgiani sostengono fermamente la lotta ucraina, in cui rivedono la propria, e sperano che una sconfitta della Russia possa aprire le porte della NATO anche a Tbilisi. Manifestazioni pro-ucraine si sono susseguite, mentre 150mila russi in fuga dal regime sono riparati in Georgia dove cresce sempre più forte la voglia di una rivincita militare malgrado il governo, guidato dal partito Sogno georgiano, guidato dall’oligarca filorusso Bidzina Ivanishvili, si sia mostrato freddo nel sostegno a Kiev.

Il dominio russo sulla regione sta stretto anche agli abcasi che hanno più volte manifestato insofferenza per l’atteggiamento coloniale mostrato dal Cremlino nei loro confronti. Diverso il caso dell’Ossezia del Sud, assai più incline a un’integrazione con la Federazione russa, tanto che un referendum per l’annessione doveva tenersi il 17 luglio scorso salvo poi saltare per lo scetticismo di Mosca, poco incline a creare un ulteriore fronte di scontro con la comunità internazionale.

Conclusioni

L’intero Caucaso meridionale sembra ribollire e molto si agita sotto la cenere dei conflitti mai spenti. Qualora la condizione di debolezza del Cremlino perduri, o nel caso in cui il regime si trovi nella condizione di non poter agire, persino collassando, ecco allora che nuove tensioni e rinnovate ambizioni militari e politiche emergeranno nella convinzione di saldare vecchi conti, ma destabilizzando una regione dai fragili equilibri. Non si deve tuttavia fare l’errore di ritenere la presenza russa un fattore di stabilità. Al contrario la Russia è l’origine dei molti mali del Caucaso, e non da oggi. La logica della violenza e del sopruso portata avanti dai russi in secoli di occupazione, influenza e interferenza nella regione ha infine condotto a una pacificazione mancata: il fondamentalismo islamico, le guerre civili, i separatismi e i conflitti che hanno generato, tutto questo non ci sarebbe stato senza la presenza russa. Oggi, di quella presenza, vediamo i risultati.

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