La verità dell’Armenia su Khojalu. Una riflessione dell’Ambasciatore di Erevan presso la Santa Sede (Faro di Roma 06.03.22)

In questi anni l’Azerbaigian ha insistentemente travisato e distorto la realtà dei fatti di Khojalu del 1992 che, secondo testimonianze di diverse organizzazioni internazionali e di stessi alti funzionari azerbaigiani, incluso l’allora presidente Ayaz Mütallibov, furono pianificati dal partito azerbaigiano d’opposizione “Fronte Nazionale“ con l’intento di spodestare la leadership azerbaijana dell’’epoca.

Gli accadimenti che portarono alla morte di civili, furono il risultato della lotta per il potere politico in Azerbaijan, come risulta chiaramente dalle testimonianze di numerosi funzionari azerbaigiani. Non posso non fare riferimento, a tal proposito, all’intervista nell’aprile del 1992 rilasciata dal Presidente Mütallibov alla giornalista ceca Dana Mazalova. Mütallibov dichiarò che le milizie del Fronte Nazionale dell’Azerbaigian avevano ostruito attivamente e impedito di fatto l’evacuazione della popolazione civile locale dalla zona teatro delle operazioni militari attraverso il corridoio nelle montagne che era stato appositamente lasciato aperto dagli armeni del Karabakh. La speranza e le intenzioni degli oppositori azerbaijani era di utilizzare le ingenti perdite di vite umani tra i civili per istigare la popolazione a sollevarsi contro il regime di Baku e prendere in mano il potere.

Sempre nell’aprile del 1992, secondo l’agenzia di stampa Bilik-Dunyasy, fu lo stesso Hydar Aliyev, ex presidente dell’Azerbaijan, a commentare: “Trarremo beneficio dallo spargimento di sangue. Non dobbiamo interferire col corso degli eventi.” Anche qui l’intenzione del partito di opposizione (Fronte Nazionale) era di utilizzare le morti dei civili per istigare un rovesciamento politico a prendere il potere. Il settimanale Megapolis Express (Megapolis Express, No. 17, 1992) scrisse: “È innegabile che se il Fronte Nazionale aveva obiettivi di vasta portata li ha raggiunti. Mütallibov è stato compromesso e rovesciato, l’opinione pubblica mondiale è stata scossa, gli azerbaijani e i loro fratelli turchi hanno creduto al cosiddetto genocidio del popolo azerbaijano a Khojalu.”

Ogni anno il governo azerbaigiano diffonde storie, trasmette programmi, in cui mostra filmati con morti anche a bambini piccoli di appena 10 anni, e con i proventi del petrolio ingaggia società di pubbliche relazioni e media stranieri per organizzare eventi e sensibilizzare l’opinione mondiale, tutto in nome della verità storica. Ciò che non viene mostrato è il trattamento riservato a coloro che mettono in discussione la linea ufficiale azerbaijana, come accaduto, tra gli altri al giornalista azerbaigiano Eynulla Fatullayev.

L’inchiesta di Fatullayev sugli eventi del 1992 metteva in discussione la versione ufficiale di Baku e per questo motivo il giornalista venne privato della sua libertà. Il 22 aprile 2010 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ne ordinò il rilascio immediato specificando che “la ricerca della verità storica è parte integrante della libertà di espressione”, pur ammettendo che “diversi fatti connessi agli avvenimenti di Khojaly erano ancora oggetto di discussione tra gli storici e, in quanto tali, avrebbero dovuto essere materia di interesse generale nella società azerbaigiana moderna. Era fondamentale che il dibattito sulle cause di atti particolarmente gravi, che probabilmente costituivano crimini di guerra o crimini contro l’umanità, potesse essere condotto liberamente in una società democratica.”

Nella sua decisione, la Corte osserva che ci sono opinioni contrastanti sul fatto che sia stato fornito un corridoio sicuro ai civili in fuga di Khojaly, sul ruolo e la responsabilità delle autorità e dei militari dell’Azerbaigian e se gli eventi siano stati il risultato di una lotta politica interna in Azerbaigian.”

Cercare la verità storica è un’impresa nobile. Ancora di più, è un dovere. Eppure negli ultimi due decenni, con la pratica della disinformazione e dei fatti inventati, il governo dell’Azerbaigian si è impegnato nel futile tentativo di modificare la storia e il corso degli eventi nella regione attraverso la cosiddetta campagna “Justice for Khojaly”. Questa deplorevole iniziativa, sponsorizzata dall’Azerbaijan, genera xenofobia e odio e affossa le speranze e le aspirazioni per una pace duratura tra le nazioni basata sulla verità e sulla giustizia.

E mentre la leadership dell’Azerbaigian sembra spesso incerta su cosa voglia esattamente, che sia il suo paese o la sua storia, l’opinione pubblica internazionale rimane indifferente e immobile poiché la propagazione dell’odio e della disinformazione non creano nessuna verità storica.

L’Armenia ha sempre condannato, e continua a farlo, ogni attacco deliberato e l’uccisione di civili attraverso l’uso indiscriminato o sproporzionato della forza, che è una grave violazione del diritto umanitario internazionale in qualsiasi conflitto in ogni parte del mondo.

A ulteriore chiarimento permettetemi di sottolineare che la comunità internazionale è già stata testimone e ha confermato le innumerevoli atrocità del governo azerbaijano nei confronti dell’inerme popolazione armena.

Nel 1988, in risposta alla pacifica richiesta del popolo del Nagorno Karabakh di esercitare il suo diritto all’autodeterminazione, le autorità azerbaijane armarono la folla dando così il via ai pogrom contro gli armeni che vivevano nella città azerbaijana di Sumgait. I massacri furono il primo caso di uccisioni di massa nel territorio dell’Unione Sovietica, come fu provato nel procedimento penale avviato dalle autorità sovietiche. Immediatamente dopo la sua dichiarazione di indipendenza, l’Azerbaijan liberò gli assassini e li celebrò pubblicamente come eroi nazionali sui media.

Il rapporto di Helsinki Watch dell’epoca testimonia che “gli eventi avevano lo scopo di esacerbare la paura e l’orrore nei confronti dell’etnia armena in diverse parti dell’Azerbaijan”. I massacri a Ganja, Baku e altre città tra il 1988 e il 1991 furono più barbarici e massicci e portarono alla deportazione e alla pulizia etnica di circa mezzo milione di armeni. Alle atrocità fecero seguito offensive militari azerbaigiane senza precedenti e operazioni concepite per attuare una soluzione militare di annientamento della popolazione del Nagorno Karabakh.

Deve essere chiaro, finalmente e per sempre, che è stato l’Azerbaigian a iniziare un’aggressione armata contro il Nagorno Karabakh. L’Armenia è convinta che la soluzione di gran lunga migliore potrà essere solo il ripristino dei diritti fondamentali e legittimi degli armeni che vivono in Nagorno Karabakh riconoscendo il loro inalienabile diritto all’autodeterminazione.

Garen Nazarian
Ambasciatore della Repubblica d’Armenia presso la Santa Sede

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