L’Italia si schiera a favore dello sterminio degli armeni (Il Riformista 14.01.23)

Lo scrive in un tweet. Come se fosse uno dei tanti. Ma quel “cinguettio” rivela una determinazione gravissima: l’Italia intende essere complice del governo azero nella campagna di sterminio della popolazione armena del Nagorno Karabakh. “L’Italia è determinata a rafforzare ulteriormente relazioni e cooperazione con l’Azerbaigian. Oggi a Baku ho confermato al Presidente Ilham Aliyev il nostro sostegno per favorire dialogo con NATO e UE. Comune interesse in diversi settori tra cui difesa ed energia”. Questo è il tweet del ministro della Difesa Guido Crosetto. Armi in cambio di gas, di cui l’Azerbaigian è ricco. E nulla importa che quelle armi possano servire per sterminare una popolazione intera. Ciò che conta è che più del dieci per cento del fabbisogno annuo italiano di gas viene da Baku grazie ad accordi con Eni e Snam.

Dice a Il Riformista Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia: “I rapporti privilegiati tra Italia e Azerbagian vanno avanti da tempo. La famiglia del presidente Aliyev ha anche una sua Fondazione filantropica che ha staccato sostanziosi assegni per restauri sia a Roma che in Vaticano. Questo rapporto privilegiato diventa sempre più strategico alla luce della necessità di diversificare le fonti energetiche. La leadership di Aliyev ha sulle sue spalle una recente guerra con l’Armenia, con crimini di guerra a profusione. A ciò si aggiunge una situazione di repressione del dissenso interno ampiamente documentata da Amnesty International ma anche dal Consiglio d’Europa. Il tutto fa pensare che ancora una volta il tema dei diritti, in questa relazione bilaterale, sia all’ultimo posto. Noi abbiamo denunciato negli anni passati una forte repressione nei confronti dell’attivismo giovanile, arresti e intimidazioni nei confronti di giornalisti, come Kadisha Ismailova e altri ancora. E questa repressione si è estesa costringendo all’esilio, per evitare il carcere, tutti coloro che avevano una posizione di pace e non anti armena”.

Secondo il Democracy index dell’Economist, quello di Baku è un regime autoritario e lo piazza al 141esimo posto su 167 Paesi analizzati per lo stato della democrazia. La Russia, per fare un confronto, è 121esima Nell’autunno del 2020 ci sono stati sanguinosi combattimenti tra armeni e azeri nel Nagorno-Karabakh, dove si stima che abbiano perso la vita oltre 6.500 persone. Un accordo di cessate il fuoco tra Armenia e Azerbaigian è stato siglato nel novembre del 2020 con la mediazione di Mosca. In base al documento, l’Azerbaigian ha mantenuto i territori conquistati e l’Armenia gli ha ceduto anche altre zone del conteso Nagorno-Karabakh e dei territori limitrofi. Sempre sulla base dell’accordo, inoltre, la Russia ha inviato circa 2.000 soldati nel Nagorno-Karabakh, con l’obiettivo ufficiale di far rispettare la tregua. A metà settembre si sono registrati altri combattimenti alla frontiera, nei quali si stima che siano morte oltre 280 persone e i due Stati si accusano a vicenda di aver provocato il conflitto.

 

 

Quale sia l’obiettivo strategico del regime di Baku lo chiarisce molto bene Tigrane Yégavian, esperto di geopolitica, in una intervista a Le Figaro, ripresa in Italia da Il Foglio il 30 dicembre. “La priorità degli azeri – rimarca Yégavian – è mettere fine alla presenza armena nell’Artsakh. Il blocco del corridoio di Lachin e l’interruzione provvisoria delle forniture di gas puntano a spingere gli abitanti dell’Artsakh ad abbandonare quelle terre, e, di riflesso, a porre fine alla presenza russa, il cui mandato si giustifica con il mantenimento di una presenza armena su quel territorio. Baku non è soddisfatta della situazione ereditata dal cessate-il-fuoco del novembre 2020, perché i due obiettivi non sono stati raggiunti. L’Artsakh non è ancora stato annientato e l’Armenia si rifiuta di cedere un corridoio extraterritoriale transitante dalla città di Meghri, che porterebbe a compimento la giunzione panturchista tra l’Azerbaijan, la sua enclave del Nakhchivan e per estensione la Turchia. […] L’Armenia e l’Artsakh stanno già affrontando una minaccia esistenziale. Gli eventi avvenuti dal 2020 ad oggi sono lì per ricordare che il genocidio del 1915 continua a fuoco lento, seguendo modus operandi diversi: ingegneria demografica, blocco energetico, atti terroristici, provocazioni quotidiane… l’Azerbaijan e il suo alleato turco fanno di tutto per mettere fine alla presenza armena nell’Artsakh, che alcuni considerano come lo scudo dell’Armenia.  La vasta offensiva militare scatenata da Baku lo scorso settembre ha dimostrato che senza il Nagorno-Karabakh, l’Armenia è priva di profondità strategica e incapace di difendere le sue frontiere seghettate, ereditate dalle erosioni avvenute sotto Stalin. La stretta striscia montagnosa del Syunik è troppo vulnerabile e sottomessa a provocazioni quotidiane. La sua popolazione è conosciuta per la sua tenacia e per il suo carattere indomito, non cede al panico, ma si sente abbandonata da tutti. Se i giovani del Syunik se ne andassero, ci sarebbero delle forti probabilità che l’Armenia venga tagliata fuori dall’Iran e totalmente asfissiata”. L’Italia ha scelto da che parte stare. La peggiore.

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