«L’Ue non può più ignorare gli armeni del Nagorno-Karabakh» (Tempi 10.01.23)

Asili chiusi, supermercati quasi vuoti, tessere di razionamento: peggiora la crisi umanitaria nel Nagorno-Karabakh, dove 120 mila armeni sono isolati dal mondo. «Bruxelles deve intervenire», dichiara a Tempi Emanuele Aliprandi, specialista della regione

Nella repubblica dell’Artsakh, nel Nagorno-Karabakh. dove vivono 120 mila armeni, i supermercati sono ormai vuoti. Da quasi un mese l’Azerbaigian ha chiuso l’unica strada che collega la regione al resto del mondo

«L’Unione Europea definisce l’Azerbaigian un partner “affidabile” e non ha detto una parola sulla crisi umanitaria che sta causando nel Nagorno-Karabakh». Nel giorno in cui la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, è arrivata a Roma per incontrare il premier Giorgia Meloni, il Consiglio per la comunità armena di Roma ha lanciato un appello perché Bruxelles, per preservare gli accordi sugli approvvigionamenti di gas firmati con il dittatore azero Ilham Aliyev, non chiuda gli occhi davanti alla violazione dei diritti umani dei 120 mila armeni residenti nel Nagorno-Karabakh che va avanti da quasi un mese. Un appello che, come prevedibile, è caduto nel vuoto. «Si è sempre fatto affari anche con le peggiori dittature, però l’Ue e il governo italiano avrebbero potuto spendere almeno due parole di condanna», dichiara in un’intervista a Tempi Emanuele Aliprandi, specialista del conflitto nel Caucaso, al quale ha dedicato libri come Pallottole e petrolio e Le ragioni del Karabakh. «La verità è che all’Europa interessa poco o niente degli armeni dell’Artsakh, ritenendo più importante il gas di Aliyev», spiega il membro del Consiglio della comunità armena di Roma.

Dal 12 dicembre, da quando cioè l’Azerbaigian ha bloccato il Corridoio di Lachin, gli armeni che vivono nel Nagorno-Karabakh sono completamente isolati dal mondo. Qual è la situazione?
La situazione è critica: il Corridoio di Lachin è l’unica strada che connette la Repubblica dell’Artsakh all’Armenia e al resto del mondo. Ieri hanno chiuso gli asili e le scuole materne, perché non c’è più possibilità di offrire pasti ai bambini, e i beni di prima necessità stanno finendo. I supermercati sono quasi vuoti, non ci sono quasi più medicine, le operazioni chirurgiche negli ospedali sono sospese. Il carburante è agli sgoccioli, di sigarette non se ne trovano più ed è stata introdotta una tessera annonaria per razionare le scorte e assicurarsi che i cittadini comprino solo determinate quantità di prodotti.

Quanto possono andare avanti gli armeni in queste condizioni?
È difficile dirlo, i problemi sono davvero tanti. I bancomat, ad esempio, sono stati chiusi perché manca la cartamoneta. Nonostante tutti questi disagi la popolazione resiste e si sta comportando in modo ammirabile: a fine 2022 sessantamila persone sono scese in piazza a Stepanakert per invocare la riapertura del Corridoio di Lachin e ribadire che non accetteranno mai di fare parte dell’Azerbaigian.

Che cosa vogliono i manifestanti ambientalisti azeri che hanno bloccato la strada?
Fa ridere soltanto sentire nella stessa frase le parole “manifestanti” e “Azerbaigian”. Nel paese guidato da Aliyev, infatti, non esiste libertà di manifestare ed esistono enormi problemi ambientali. La verità è che molti dei cosiddetti manifestanti sono ex militari o soldati in abiti civili che bloccando il Corridoio di Lachin violano l’accordo di tregua del novembre 2020 tra Armenia e Azerbaigian, il quale prevede che quella strada rimanga aperta alla circolazione sotto il controllo dei peacekeeper russi.

L’ambientalismo dunque è una scusa?
È evidente. Ufficialmente i manifestanti chiedono chiarimenti circa lo sfruttamento di due miniere nel territorio controllato dagli armeni, ma nonostante l’interruzione delle attività minerarie non hanno interrotto il blocco. Inoltre, hanno respinto la proposta di lasciare che una commissione internazionale verifichi i presunti danni ambientali. Il vero obiettivo della protesta è stritolare il Nagorno-Karabakh ed esercitare un controllo su tutto ciò che transita dal Corridoio di Lachin.

Il ministro di Stato dell’Artsakh, Ruben Vardanyan, ha proposto di creare un “ponte aereo” per assicurare rifornimenti ai 120 mila armeni del Nagorno-Karabakh bloccati da un mese. È una soluzione percorribile per affrontare la crisi umanitaria?
Stepanakert dispone di un aeroporto inaugurato nel 2012 ma mai utilizzato, se non per l’atterraggio di qualche elicottero militare. L’Azerbaigian, infatti, ha sempre minacciato di abbattere qualunque aereo avesse tentato di far rotta sulla città. È chiaro che se le Nazioni Unite e l’Unione Europea decretassero la crisi umanitaria, allora l’aeroporto potrebbe essere utilizzato e per Baku sarebbe un enorme autogol visto che si creerebbe un collegamento aereo che fino ad oggi non è mai esistito. Tocca però agli organismi internazionali fare questo passo.

Crede che Bruxelles accetterà di inimicarsi l’Azerbaigian per aiutare gli armeni?
Io non contesto il fatto che l’Ue faccia affari con Baku, il mondo non va diviso in buoni e cattivi, però l’Europa dovrebbe rimarcare la differenza tra paesi democratici e non dando un segnale. L’Azerbaigian vuole mettere le mani sul Nagorno-Karabakh ma perché 120 mila armeni che oggi vivono in un sistema democratico dovrebbero essere trasferiti sotto una dittatura che, tra l’altro, diffonde l’odio etnico verso gli armeni? L’Ue dovrebbe rispondere anche se dubito che la von der Leyen e la Commissione europea se ne occuperanno.

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