Mkhitaryan, il legame con la sua Armenia e la finale di Europa League saltata (Goal.com 21.01.21)

Henrikh Mkhitaryan sente il bisogno di essere protagonista in campo. Lo è sempre stato in ognuna delle squadre in cui ha giocato. È nella sua natura. Quando è al centro della scena, si esalta e dà il meglio di sé stesso. Lo stanno scoprendo anche alla Roma in questa stagione, dopo gli eccellenti segnali mandati nella scorsa annata. Nella sua carriera l’armeno è sempre stato al centro della scena, a partire da quando si è fatto conoscere al grande calcio europeo con lo Shakhtar Donetsk. Poi, successivamente, al Borussia Dortmund con Jürgen Klopp, il tecnico che più di tutti lo ha segnato. Quando è arrivato in Germania, come erede di Mario Götze, appena passato al Bayer Monaco, Klopp lo aveva definito un fit perfetto per la sua squadra, paragonandolo a “un sedere su un water” per quanto fosse azzeccato l’acquisto. Aveva ragione. Anche se la stagione migliore di Mkhitaryan in Bundesliga è stata nel 2016, quando è stato eletto miglior giocatore del campionato, con Thomas Tuchel in panchina. Il rapporto con Klopp, comunque, è stato diverso. Speciale.

“Per me è stato quasi uno psicologo. Ero severo con me stesso, per un errore potevo chiudermi in camera, spegnere il telefono e non parlare con nessuno. Mi ha aiutato a raggiungere un maggiore equilibrio. Con lui ho giocato al mio massimo livello. Prima di giocar con l’Eintracht, mentre mi allenavo sui tiri in porta, mi sfidò: ‘Se ne segni sette ti do 50 euro, se no me li dai tu‘. Non li feci, pagati. Ma il giorno dopo in partita feci doppietta e dissi a Klopp: ‘Ora me li ridai quei 50 euro’…”.

È stata l’unica scommessa che ha fatto in vita sua. Anche perché lui in primis non si è mai sentito una scommessa. In realtà soltanto a inizio carriera: poteva finire in Iran, è stato scartato perché ritenuto troppo magro. Curioso, perché all’Arsenal in un certo periodo fu accusato dai tifosi di avere una pancetta un po’ troppo vistosa. A Londra, in realtà, non ha trascorso un anno e mezzo memorabile. Ci era arrivato dopo uno scambio alla pari con Alexis Sanchez con il Manchester United nel gennaio del 2018. Entrambi hanno condiviso lo stesso destino: esperienze deludenti, spediti in Italia in prestito nell’estate 2019 e poi ceduti a zero insieme in estate. Roma e Inter. Col senno di poi, uno scambio ‘lose-lose’. Aveva deciso di andare in Premier League nel 2016, con un solo anno di contratto rimasto col Dortmund e poca voglia di rinnovare. Aveva fame di trofei. È diventato il primo armeno a giocare in Premier League. Voleva essere protagonista, ma non andò bene. Né allo United con Mourinho, né all’Arsenal con Emery. Che poi lo ha spedito gratuitamente in Italia. Dove si è ritrovato.

“Emery era molto attento alla tattica, ha cambiato il mio ruolo. Giocavo da ala, ma dovevo aiutare in impostazione il centrocampo. Non ho potuto contribuire con goal e assist. A me piace di più giocare liberamente, andare dove c’è lo spazio, ma dovevo ascoltare l’allenatore”.

In Inghilterra, comunque, ha conquistato quello che è probabilmente il suo successo più importante in carriera: la vittoria dell’Europa League nel 2017, in finale a Stoccolma, segnando uno dei due goal con cui lo United di Mourinho ha battuto l’Ajax. In finale di Europa League ci è tornato con l’Arsenal due stagioni dopo, nel 2019. Doveva giocare contro il Chelsea un derby di Londra storico, poi vinto dai Blues di Maurizio Sarri con un rotondo 4-1 finale. Eppure quella partita Mkhitaryan non poté giocarla. Non per una scelta tecnica, non per un infortunio, bensì per colpa della propria nazionalità e di un conflitto che va avanti da trent’anni.

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