L’unità dei cristiani, condizione di «fertilità» (Romasette 21.01.21)

Prendere sul serio gli insegnamenti e l’esortazione di Gesù che ieri come oggi chiama i suoi discepoli a seguirlo rimanendo uniti. È l’invito rivolto dall’arcivescovo Khajag Barsamiam, rappresentante della Chiesa Armena Apostolica (ortodossa) presso la Santa Sede, intervenuto ieri sera, 20 gennaio, alla veglia ecumenica diocesana svoltasi nella basilica di Santa Maria in Trastevere, nell’ambito della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. «Diverse tradizioni cristiane in comunione con Gesù e tra di loro – ha detto – possono rendere il mondo decisamente migliore». Tema scelto dal Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani è “Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto”, tratto dai primi versetti del capitolo 15 del Vangelo di Giovanni.

Presieduto dal vescovo Paolo Selvadagi, delegato diocesano per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso, il momento di preghiera – trasmesso in streaming sulla pagina Facebook della diocesi – ha unito cattolici, ortodossi, protestanti, anglicani, luterani, valdesi, battisti, metodisti attraverso i rappresentanti delle comunità di Roma. «Con la molteplicità e le ricchezze delle tradizioni di ognuno, si è pregato insieme nel servizio all’unità», ha rimarcato monsignor Marco Gnavi, parroco della basilica di Trastevere e incaricato dell’Ufficio diocesano per l’ecumenismo e il dialogo. La pandemia non ha ostacolato il tradizionale ottavario e l’auspicio di monsignor Selvadagi è che «cresca il desiderio di unità fra i popoli e che il cuore di ciascuno non sia più diviso e i cristiani cerchino la loro unità visibile».

Il materiale per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è stato preparato dalla Comunità ecumenica femminile del monastero di Grandchamp, in Svizzera, composta da cinquanta donne di diversa età, tradizione ecclesiale, Paese e continente. «In questa loro diversità – si legge nel sussidio -, le suore sono una parabola vivente di comunione».

Nell’omelia, l’arcivescovo Barsamiam ha ricordato che Gesù insegnava attraverso parabole per farsi comprendere e nel discorso giovanneo dell’Ultima Cena utilizza l’immagine della vite e dei tralci. Leggendo il messaggio di Cristo in riferimento all’unità dei cristiani, ha spiegato che «Gesù fa capire chiaramente che tutti i suoi discepoli avrebbero portato frutti se avessero mantenuto il legame con Lui e tra di loro. Ovvero: Lui è la “vite” e i suoi seguaci sono i “tralci”, dove la comunione reciproca è condizione di fertilità. Quando i rami “dimorano” nel terreno, danno frutti e prosperano, altrimenti, “appassiscono” e diventano improduttivi». I cristiani devono quindi impegnarsi nella sequela perché «senza di Lui non si può essere fruttuosi». Al contempo, ha rimarcato monsignor Barsamiam, «è importante che anche i rami, cioè i discepoli di Gesù, che hanno in Gesù la loro fonte, siano collegati l’uno con l’altro» altrimenti «il Signore rifiuterà ciò che non viene fatto in comunione con Lui e gli uni con gli altri», bruciando i rami non produttivi. «Qui è racchiusa la stretta connessione tra il credente e il suo operato», le parole del rappresentante della Chiesa Armena Apostolica (ortodossa) presso la Santa Sede.

Rivolgendosi ai fedeli presenti in basilica, tra i quali il fondatore e il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi e Marco Impagliazzo, l’arcivescovo ha osservato che il discepolato «non è qualcosa di statico ma è dinamico. Continuare a produrre frutti applicando quotidianamente i principi di Cristo non è una condizione del discepolato ma è una conseguenza di esso» ed è per questo che i discepoli «nell’amare i propri compagni di fede, devono seguire l’esempio di amore che il Padre e il Figlio nutrono per gli uomini».

Prima della benedizione, il vescovo ausiliare del settore Centro Daniele Libanori ha auspicato che «la preghiera unanime affretti la guarigione dalla pandemia, da ogni violenza, da ogni conflitto, per essere insieme fratelli e sorelli della stessa famiglia umana».