Nagorno Karabakh, contro il genocidio culturale, un nuovo dipartimento di Etchmiadzin (Acistampa 21.01.21)

Il presidente azero Ilhan Aliyev ha recentemente dichiarato la città di Shushi, in Nagorno Karabakh, come “capitale culturale” dell’Azerbaijan. La presa della città da parte delle forze azere ha portato l’Armenia a dover accettare un doloroso accordo che ha portato alla conquista azera di molti territori. Quello che si teme, ora, è che continui il “genocidio culturale” contro la presenza armena e cristiana nel Nagorno Karabakh, conosciuta in armeno con Artsakh.

La regione era stata negli anni Venti del secolo scorso all’Azerbaijan, ma, nel momento in cui Baku si era staccata dall’Unione Sovietica, l’Artsakh proclamò la sua indipendenza. E cominciò un conflitto di disputa territoriale, che continua ancora oggi.

Sono stati molte le vestigia cristiane scomparse dal Nagorno Karabakh nell’ultimo secolo, secondo quella che è stata definita una delle più grandi campagne di “pulizia culturale” degli ultimi cento anni. Un rischio costante, perché durante il conflitto le forze azere avevano attaccato la cattedrale di Shushi e vandalizzato la chiesa di San Giovanni Battista, mentre è rimasta incerta la sorte del monastero di Dadivank, che si trova in una zona passata ora sotto il controllo azero e quindi divenuta inaccessibile per la popolazione armena. E restano tutte da definire le sorti della residenza dei melik, i signori feudali, del sito archeologico di Tigranakert, del monastero Kataro e del Museo Azoh, così come di dozzine di chiese e centinaia di khachkar (le croci di pietra armena) in tutto il territorio.

La Santa Sede di Etchmiadzin ha allora stabilito un dipartimento per la preservazione del patrimonio cristiano in Artsakh, guidato da padre Karekin Hambardzumyan. ACI Stampa lo ha intervistato.

Quale è la situazione oggi in Nagorno Karabakh dopo il conflitto?

Non si può parlare di una situazione stabile, dopo la calamità che ci ha colpito il 27 settembre 2020. La pacifica popolazione dell’Artsakh è dovuta partire e non tutte le persone che sono state costrette a lasciare le loro case a causa della guerra hanno poi potuto tornare nelle loro case al momento della firma del cessate il fuoco nel novembre dello scorso anno. Considerando la presenza delle forze di pace russe, il nostro popolo si sente al sicuro e cerca di tornare lentamente a ricostruire la sua vita. La Repubblica di Artsakh ha comunque perso la maggioranza dei suoi territori storici e il nostro popolo sente il dolore di questa perdita sia da un punto di vista economico che emozionale.

E come fa il popolo a superare questo senso di perdita?

Siamo la prima nazione cristiana della storia, il nostro popolo sa che la nostra speranza e la nostra fede è sempre stata riposta in Dio e che Dio ci protegge nella nostra difficile storia non solo per sopravvivere ma anche per prosperare. Al momento, tutti gli sforzi delle due repubbliche armene e degli armeni in diaspora devono essere destinati a superare velocemente le ferite della guerra e di fornire tutta l’assistenza necessaria ai civili che hanno perso tutto e sono in disperato bisogno di aiuto.

Lei è a capo del dipartimento per la protezione dell’eredità cristiana in Artsakh. Quale è lo scopo di questo dipartimento, e cosa ha fatto fino ad ora?

Il dipartimento, che opera all’interno della Sede Madre di Etchmiadzin, mette in campo attività per assicurarsi la conservazione dell’eredità spirituale viva dell’Artsakh, e specialmente quei monumenti storici e spirituali che si trovano nelle regioni passate all’Azerbaijan.

Le comunità e organizzazioni, così come altre Chiese, inclusa la Chiesa cattolica, sono informate della situazione e che c’è bisogno per un costante monitoraggio dei luoghi spirituali per evitare la loro possibile distruzione. Questo lo abbiamo sperimentato quando diverse chiese e i tradizionali Khachkar armeni sono stati distrutti o profanati durante e dopo la recente guerra con gli azeri.

Quali sono i monumenti cristiani più a rischio in Artsakh?

In generale, tutti i monumenti sono più o meno a rischio di distruzione. Ciò che è più importante è che molte di quelle chiese e monasteri sono ora falsamente presentate come eredità non del popolo armeno, ma del popolo Udi, che sono parte del popolo che per secoli ha vissuto nella regione, e che era anche parte della Chiesa Apostolica Armena, rappresentata in Artsakh dal Catholicosato di Aghyank (nell’Albania caucasica). Questo è tutto tranne che vero. Ogni persona istruita potrebbe facilmente aprire un libro di storia che, sin dal suo stabilimento, il Catholicosato di Aghyank ha lavorato nella Chiesa Apostolica Armena e che i monasteri e l’eredità cristiana di Artsakh sono stati creati nella tradizione armena e dalla Chiesa Armena.

Perché tutto questo?

Comprendiamo che i social media e le risorse danno oggi ogni possibilità di diffondere disinformazione o di fabbricare fatti che sono visti e usati abbondantemente da quanti si sforzano in tutti i modi di presentare l’eredità armena come non armena. Tuttavia, la comunità internazionale deve sapere che gli armeni hanno vissuto in questa regione e hanno creato una eredità spirituale meravigliosa, tangibile e intangibile. E questa eredità è a rischio e deve essere protetta.

Cosa può fare la comunità internazionale per supportarvi?

Gli armeni sono stati sempre amati nelle nazioni dove hanno trovato rifugio a seguito del Genocidio Armeno del 1915. Tutte quelle nazioni che hanno ora piccole o grandi comunità armene sanno che il nostro popolo è pacifico, amichevole e creativo. Rispettano le altre tradizioni. Per questo, la comunità internazionale, tenendo a mente le conseguenze del genocidio, devono comprendere che gli armeni sono in costante minaccia di guerre e di finire intrappolati in giochi politici. C’è bisogno di consapevolezza riguardo la situazione nella regione, e nella necessità di reagire immediatamente.

In concreto, quale potrebbe essere la reazione?

Riguardo la preservazione dell’eredità spirituale viva degli armeni, desidereremmo che tutte le istituzioni fossero coinvolte nel processo di protezione dei monumenti, rendendo i loro officiali statali più consapevoli della situazione con un richiamo ad essere attivi per difendere la secolare eredità armena, la quale, essendo parte di una tradizione cristiana universale, è universale e piena di significato

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