Nagorno-Karabakh: un vecchio conflitto in un nuovo contesto geopolitico, afferma l’esperto Tom de Waal (Globalvoices 11.05.21)

Per più di tre decenni la guerra tra Azerbaigian e Armenia per il territorio del Nagorno-Karabakh è stato perlopiù congelato, con lunghi periodi di impasse intervallati a sprazzi da conflitti armati, con morti da entrambi i lati. La più recente esplosione di violenza è cominciata il 27 settembre e questa volta sia combattenti che analisti predicono che il conflitto degenererà, con conseguenze sconosciute e potenzialmente pericolose.

Per capire perché ho parlato con Tom de Waal, Senior Fellow a Carnegie Europe e esperto di geopolitica di Caucaso meridionale, Russia e Ucraina. De Waal ha viaggiato a lungo nella regione e scritto un libro autorevole sul Nagorno-Karabakh, “Black Garden: Armenia and Azerbaijan Through Peace and War”.

Filip Noubel (FN) Cosa c’è di diverso questa volta nella escalation tra Azerbaigian e Armenia cominciata il 27 settembre?

Tom de Waal (TdW) Abbiamo visto prima d’ora violazioni del cessate il fuoco del 1994 e anche dei combattimenti, ma mai un’offensiva militare sostenuta da parte dell’Azerbaigian dalla fine della guerra negli anni ’90. Questa è una novità, così come il contesto geopolitico: la Russia sembra non potere o non volere imporre un cessate il fuoco, mentre la Turchia ha smesso di fingersi neutrale e sta ora giocando un ruolo attivo. Infine gli Stati Uniti, che hanno avuto un ruolo importante, sono stati una voce estremamente debole finora.

FN Si dice che entrambi i capi di Stato siano prigionieri del conflitto, ma che allo stesso tempo stiano sfruttando la narrazione del conflitto per combattere l’opposizione in casa e cavalcare un’ondata di populismo. Lei è d’accordo?

TdW È corretto ma questo è vero per qualunque leader: l’intera nazione è coinvolta in questo conflitto, queste due nazioni moderne [dopo la caduta dell’Unione Sovietica nel 1991] sono state costruite negli anni ’90 sulla base delle rivendicazioni sul Karabakh, perciò un leader deve anche essere leader di questa idea nazionale sul Karabakh. È anche utile in termini di politica interna. Questo è vero a maggior ragione per l’Azerbaigian, perché è una società autoritaria e quindi ora l’opposizione deve stare in silenzio. In effetti le figure dell’opposizione stanno sostenendo l’esercito e sono molto patriottiche e solidali. L’Azerbaigian ha avuto molti problemi quest’anno: il crollo dei prezzi del petrolio, la pandemia della COVID-19, problemi con i prigionieri politici, eppure ora si unisce sotto questa causa. Ma tutto questo è anche molto insidioso: se non ci sono successi sul campo di battaglia, la nazione può rivoltarsi contro se stessa e i effetti due ex leader azerbaigiani, Ayaz Mutalibov [it] e Abdulfaz Elchibey [it] hanno perso il loro potere in gran parte a causa dei fallimenti sul fronte Karabakh.

FN Durante questa escalation, le autorità armene hanno più volte ribadito che potrebbero riconoscere il Nagorno-Karabakh. Se questo accadesse, quali sarebbero le conseguenze?

TdW In termini militari siamo lontani da una guerra su larga scala. La maggior parte delle operazioni sono concentrate in tre regioni intorno a Karabakh e vedono l’uso di armi a lungo raggio. Riprendere il territorio perso è letteralmente una battaglia in salita, perché gli armeni controllano il terreno montano. Questo potrebbe comportare pesanti perdite per l’Azerbaigian, che la leadership del Paese non vorrebbe e che la loro società non tollererebbe. Questo fattore costituisce un freno, ma potrebbe andare avanti a lungo. La Russia non sembra in grado di imporre un cessate il fuoco, di conseguenza ci sono molti modi in cui [la situazione] potrebbe degenerare. Uno è che l’Armenia riconosca il Nagorno-Karabakh. A quel punto avremmo una situazione simile a quella di Cipro, con nessuna possibilità di trovare un accordo. Un’altro potrebbe essere l’uso di armi pesanti per attaccare le città, che sarebbe disastroso. Oppure se la Turchia aumentasse il suo coinvolgimento: per ora non sta inviando truppe, fornisce aiuti restando ai margini. Nello scenario meno negativo, i combattimenti in corso continuerebbero per alcuni giorni, poi entrambe le fazioni, stremate, rivendicherebbero qualche successo e concorderebbero un cessate il fuoco. Ma non tratterei il respiro finché questo accade.

FN Il sostegno della Turchia è senza precedenti. Che ne pensa della relazione tra Turchia e Russia, passata in pochi anni da nemiche giurate ad alleate su diverse questioni regionali, incluso il conflitto in Siria?

TdW Erdoğan e Putin sono felici di combattere per procura, che è il motivo per cui spero che la Turchia eviterà di commettere incursioni in territorio armeno, a cui la Russia dovrebbe rispondere in base ai suoi impegni militari con l’Armenia. Perciò non credo che arriveranno a un conflitto diretto. La Russia ha le mani legate. È la principale mediatrice, dà molta importanza ai suoi rapporti con Baku e Yerevan, se fosse troppo coinvolta da un lato perderebbe dall’altro. I russi possono solo fornire un sostegno discreto all’Armenia e ci sono segnalazioni di invio di armi da Mosca tramite l’Iran.

FN E per quanto riguarda il ruolo di Georgia e Iran, i due Paesi vicini?

TdW La Georgia ha un grande interesse affinché la situazione non degeneri. Condivide confini con entrambi i Paesi. Ha anche minoranze etniche sia armene che azerbaigiane che vivono in pace da decenni. Ma la Georgia dipende molto dall’Azerbaigian dal punto di vista economico. Ha anche espresso solidarietà con l’Azerbaigian sul concetto di integrità territoriale [la stessa Georgia ha parti di territorio che si sono autodichiarate indipendenti e non sono più sotto il controllo georgiano: l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud]. La Georgia si è offerta come mediatrice, ma non potrebbe essere considerata un’intermediaria onesta dall’Armenia. E la Russia certamente non vorrebbe che Tbilisi fosse coinvolta [Russia e Georgia hanno combattuto una guerra nel 2008 [it]]. La Georgia fornirebbe alle due fazioni uno spazio neutrale per incontrarsi e dovrebbe essere più coinvolta, ma ciò che può fare è limitato.

L’Iran fu un mediatore nel 1992, ma poi fu tagliato fuori. Tuttavia anche questo Paese ha confini con entrambi gli Stati in lotta. Ha una posta in gioco enorme e qualunque futura negoziazione in un contesto internazionale dovrà includere l’Iran, nonostante l’opposizione degli Stati Uniti.

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