Per non dispiacere Ankara, i diplomatici di Bergoglio minimizzano il genocidio armeno che diventa “i tragici fatti del 1915” (Il Messaggero 06.02.16)

Far rientrare la crisi diplomatica con la Turchia è costata parecchio al Vaticano: come per esempio rinnegare il genocidio armeno che, nella nuova versione convenuta, è diventato: “i tragici fatti del 1915”. E dire che Papa Bergoglio aveva parlato chiaro l’anno scorso, riferendosi al milione e mezzo di vittime armene sterminate dai turchi in due anni di atrocità inenarrabili. Francesco, con grande coraggio, non aveva esitato ad usare la parola che la Turchia non ammette. Genocidio. A distanza di qualche mese, pur di risolvere il contenzioso aperto con Ankara, i diplomatici del Vaticano si sono piegati alle regole realpolitik. E pazienza se quel buio capitolo storico è stato trasformato in: “i tragici fatti del 1915”, come se quegli eventi fossero frutto di un non ben precisato incidente, e non tanto un piano diabolico, preparato a tavolino nel 1915 per cancellare dalla faccia della terra un intero popolo, dal triumvirato Enver-Talat-Jemal (ministri considerati tuttora dei padri della Patria e non dei criminali per l’umanità). “I tragici fatti” sono menzionati, nero su bianco, nel comunicato diffuso mercoledì scorso dal Vaticano, al termine della udienza generale, per annunciare un libro scritto dal direttore della Caritas turca: “il signor Rinaldo Marmara ha presentato a Sua Santità Papa Francesco una copia del suo libro La Squadra Pontificia ai Dardanelli 1657 / İlk Çanakkale Zaferi 1657. Questo volume è una traslitterazione italiana e turca di un manoscritto dal fondo della Biblioteca Apostolica Vaticana, ed è un resoconto della flotta pontificia che partecipò nella seconda battaglia dei Dardanelli nel 1657”. Dietro questo apparentemente innocuo comunicato si nasconde una trattativa estenuante, fatta per sanare la frattura con Ankara e fare ritornare in Vaticano l’ambasciatore turco richiamato per protesta dopo che il Papa, il 13 marzo dell’anno scorso, osò pronunciare la fatidica parola: “genocidio”. La Turchia come condizione sine qua non aveva chiesto al Vaticano una dichiarazione riparatrice di Francesco che però si era rifiutato di fare una dichiarazione simile, probabilmente memore della scortesia usata nei suoi confronti durante il viaggio in Turchia, due anni fa, quando fu costretto a censurarsi e a non menzionare mai il genocidio del popolo armeno, per non dare dispiacere al presidente Erdogan. Alla fine è bastato il comunicato di mercoledì scorso. Dietro la realpolitik dei diplomatici in talare si staglia il prossimo viaggio in Armenia del Papa a maggio. La meta è Yerevan, anche se il Papa vorrebbe unire una tappa in Azerbaijan e in Georgia. Un programma un po’ ambizioso visto che un’altra grana sta per scoppiare perché gli armeni hanno già fatto sapere alla Santa Sede che se il Papa vuole andare in Armenia non potrà di certo andare in Azerbaijan

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